Comunicazioni
EFFETTI AVVERSI E FARMACI UTILIZZATI NEL TRATTAMENTI DEL DIABETE DI TIPO 2: UN APPROCCIO DI GENERE
S. Cherchi1,2, I. Campesi1,3, G. Tonolo2, F. Franconi1,3,4
1Dipartimento di Scienze Biomediche, Università di Sassari; 2SC Diabetologia Aziendale ASL 2-Olbia; 3Laboratorio Nazionale di Medicina di Genere, INBB, Osilo; 4Centro di Eccellenza per lo Sviluppo della Ricerca Biotecnologica e della Biodiversità, Università di Sassari
Premessa: le donne hanno un rischio più alto di sviluppare effetti avversi (ADE) rispetto agli uomini. Scopo dello studio sarà di valutare il rischio di ADE da terapia farmacologica a quattro anni, correlato al genere, comprese le fratture e l’identificazione di marcatori di utilizzo dei farmaci in T2DM di nuova diagnosi.
Metodi: T2DM di nuova diagnosi afferenti alla SC diabetologia Olbia. Oltre ai normali esami ematologici e strumentali di routine verranno valutati calcitonina, paratormone, vit D3, amilasi, lipasi, vitamina B12 e l’assetto ormonale. Inoltre verrà valutata la funzione dei monociti (liberazione di TNFalfa ) come da noi descritto in precedenza. Ad oggi sono disponibili i dati ad un anno di 162 T2DM (91 uomini, 71 donne).
Risultati: sono stati registrati 26 eventi avversi legati all’utilizzo di metformina (14 donne, 12 uomini), principalmente a carico dell’apparato gastrointestinale. Degno di nota è che le donne presentano effetti collaterali in media più lunghi (2-3 giorni) e di intensità maggiore (maggior numero di scariche di diarrea, o soggettiva sensazione di dolori addominali più forti), rispetto agli uomini. Un ADE ipoglicemico lieve è stato legato all’utilizzo di glimepiride in associazione alla metformina (1 uomo) e un ADE legato alla ritenzione idrica da pioglitazone (1 donna in cui la metformina non era tollerata). In ambedue i casi però la terapia è stata continuata.
Conclusioni: in questo breve periodo di tempo non è ancora possibile trarre delle conclusioni sugli effetti collaterali dei farmaci utilizzati, valutazioni che verranno effettuate solo al termine del quarto anno di follow-up.
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INFLUENZA DEL SESSO E DELL’USO DEI CONTRACCETTIVI ORALI (CO) SUI PROFILI METABOLICI DEL SIERO
S. Cherchi1,2, M. Ruoppolo3,4, I. Campesi1,5, E. Scolamiero4, R. Pecce3, G. Mercuro6, G. Tonolo2, F. Franconi1,5
1Dipartimento di Scienze Biomediche, Università di Sassari; 2SC Diabetologia Aziendale ASL 2-Olbia; 3Dipartimento di Medicina Molecolare, Università “Federico II” di Napoli; 4CEINGE Biotecnologie Avanzate, Napoli; 5Lab. Naz. Medicina di Genere, INBB, Osilo; 6Dipartimento di Scienze Mediche, Università di Cagliari
Premessa: l’influenza del sesso e dei CO sui metaboliti del sangue sono scarsamente studiati. Abbiamo valutato se l’uso dei CO influenzi i livelli serici dei più rilevanti amminoacidi, della carnitina e della acilcarnitina, usando la metabolomica.
Metodi: sono stati analizzati i sieri di 35 uomini e 67 donne (26 CO+ ,41 CO-) di età 20-47 anni, che non avevano mai fumato e non assumevano farmaci ad eccezione delle donne CO+. Gli amminoacidi, la carnitina libera e l’acilcarnitina, sono stati dosati mediante HPLC o LC/MS/MS.
Risultati: gli uomini avevano livelli significativamente più alti di leucina, isoleucina, metionina, asparagina, prolina, valina, tirosina, glutamina+glutammato, glutammato, istidina e citrullina rispetto alle donne CO-, mentre il triptofano è risultato significativamente più basso. Le donne CO+ avevano livelli significativamente più bassi di glicina, prolina, istidina, lisina, idrossiprolina e ornitina e più elevati livelli di isoleucina rispetto a CO-. La carnitina totale esterificata era più elevata in CO- rispetto a CO+. I cambiamenti osservati non erano attribuibili al peso corporeo o alla funzionalità epatica o renale.
Conclusioni: i parametri valutati erano influenzati dal sesso facendo risaltare la necessità di stabilire valori di riferimento distinti per uomini e donne. La principale novità di questo studio è stata la dimostrazione che i CO cambiano i livelli nel siero di amminoacidi e di carnitina, suggerendo che le donne che usano e non usano CO dovrebbero essere ambedue rappresentate nei trials clinici. Stiamo al momento valutando queste differenze nei T2DM.
COMPENSO GLICEMICO E OUTCOMES DELLA GRAVIDANZA IN DONNE CON DIABETE TIPO 1 TRATTATE CON MICROINFUSORE PER INSULINA O TERAPIA MULTINIETTIVA
V.M. Cambuli, R. Floris, M.F. Mulas, R. Seguro, G. Piras, M. Songini
Centro per il Trattamento delle Complicanze del Diabete, Azienda Ospedaliera Brotzu, Ospedale San Michele, Cagliari
Studi di confronto tra donne con diabete tipo 1 (T1D) in terapia multi-iniettiva (MDI) o con microinfusore (CSII) non hanno evidenziato differenze nel controllo metabolico o negli outcomes della gravidanza.
Obiettivo: confrontare HbA1c, epoca e tipo di parto, complicanze neonatali in donne con T1D pregravidico con o senza CSII.
Metodi: analisi dei dati delle 23 donne con T1D seguite nella nostra Struttura che hanno portato a termine una gravidanza tra il 2012 e il 2014. L’età media era di 32,17±4,98 anni (19-40), la durata di T1D 17,65±8,3 anni (4-29). 7 erano in MDI (30,4%) e 16 in CSII (69,6%). Il t-test per campioni indipendenti è stato applicato dopo verifica della distribuzione normale delle variabili.
Risultati: vedi tabella. Tutte le donne hanno partorito con parto cesareo. Ci sono stati quattro casi di ipoglicemia neonatale, una ipocalcemia, una malformazione costale, una tachicardia parossistica sopraventricolare.
MDI (n=7) |
CSII (n=16) |
p |
|
Anni |
29,43±5,88 |
33±4,05 |
NS |
Anni T1D |
11,86±8,59 |
19,87±7,1 |
0,03 |
HbA1c pre (ultimo valore) |
7,97±0,97 |
7,22±0,66 |
0,046 |
HbA1c pre (media ultimo anno) |
8,07±0,91 |
7,3±0,62 |
0,03 |
HbA1c durante (media) |
6,21±0,27 |
6,72±0,66 |
0,019 |
Epoca del parto (settimane) |
35,43±1,51 |
35,29±0,82 |
NS |
Conclusioni: le donne con T1D pregravidico in terapia con CSII seguite nella nostra Struttura presentano una maggiore durata di T1D, valori di HbA1c pregravidici migliori, ma più elevati durante la gestazione. Il parto rimane pre-termine e medicalizzato con cesareo per tutte le donne studiate.
BALLANDO SI IMPARA
A. Lai1, A. Cusseddu1, L. Cogoni1, M.G. Murtas1, T. Mudadu1, M. Floris1, N. Littera1, V. Bertocchi1, A. Delogu1, L. Carboni1, M.A. Taras2, G. Amadori2, P.P. Cocco2, G. Tonolo2
1Servizio di Diabetologia, P.O. Roberto Binaghi, ASL 8-Cagliari; 2SC Diabetologia Aziendale, ASL 2-Olbia
Tra le attività di gruppo facenti parte delle strategie educative applicate nelle nostre diabetologie nel corso di quest’anno, abbiamo condiviso il progetto “ballando si impara”, sulla scia dell’esperienza maturata da Felice Mangeri (Salò) (SID, 2014).
Il progetto è rivolto a 2 gruppi di persone, simili nelle 2 strutture: – diabetici obesi, in trattamento con metformina; – diabetici con diverse strategie terapeutiche e in cattivo compenso metabolico di cui sono stati rilevati parametri antropometrici, metabolici e psicometrici (tests e PRISM).
Attività: 90 minuti a cadenza bi-settimanale: – 30+30 di ballo, preceduti da una fase di riscaldamento e seguiti da una fase di raffreddamento, guidati da un maestro di latino-americano e da un laureato in scienze motorie per le loro competenze specifiche, più 30 minuti di riflessione o di insegnamento diabete-correlati condotti da diabetologi anch’essi partecipanti alle attività di ballo a Cagliari, mentre a Olbia una sessione a parte a cadenza settimanale, in reparto, a gestione infermiere (70%)/diabetologo (30%).
Obiettivo: valutare se un’attività fisica con le particolarità del ballo latino americano e in un contesto reso capace di modalità di aggregazione adeguate sia in grado di stimolare quelle attitudini psico-fisiche capaci di migliorare la concordanza al trattamento e il superamento delle barriere emozionali o applicative spesso di ostacolo alla cura.
Durata: 3 mesi.
Risultati: i primi risultati a oltre 1 mese dall’inizio sono altamente incoraggianti e, pur non potendo entrare a far parte di una presentazione strutturata, meritano una segnalazione soprattutto l’incremento di autostima dei pazienti e la percezione di benessere.
Valutazione dell’impatto dell’ipotiroidismo subclinico nell’obesità e nella Sindrome Metabolica (SM), al fine di un adeguamento del programma motorio rieducativo
G. Sainas, R. Milia, S. Roberto, D. Lai, E. Loi, A. Deledda, G. Mulliri, A. Boi, S. Scano, P. Ruiu, A. Loviselli, F. Velluzzi
Dipartimento di Scienze Mediche, Scuola di specializzazione Medicina dello sport, Università di Cagliari
Introduzione: l’obesità (Flint A. 2010) e l’ipotiroidismo subclinico, caratterizzato da TSH elevato ed ormoni tiroidei nella norma (Westerink J. 2011), sono singolarmente associati ad aumentato rischio cardiovascolare e la contemporaneità negli stessi pazienti potrebbe inficiarne la risposta ai programmi di intervento motorio.
Materiali e Metodi: 789 pazienti (194 maschi), di età media di 40,7±24 anni, sono stati sottoposti ad un programma di intervento strutturato multidisciplinare sullo stile di vita. È stata effettuata una valutazione metabolica (trigliceridi, HDL, glicemia basale) e della funzione tiroidea (TSH FT4 FT3 e anticorpi antitiroide).
Risultati: è stato riscontrato ipotiroidismo subclinico in 159 casi (20,1%), senza differenza significativa fra presenza o assenza di sindrome metabolica; questa prevalenza è risultata ben più elevata di quella riscontrata nella nostra Regione nella popolazione generale (3,8%: Martino E. 1998). È stata quindi calcolata la eventuale correlazione esistente fra TSH e BMI che è risultata significativa (p=0,01; r=0,16) solo nei pazienti con obesità I grado e senza SM; questa correlazione aumentava significativamente quando venivano inclusi solo i pazienti di sesso femminile con anticorpi antitiroide positivi (p=0,0003; r=0,28).
Conclusioni: i dati ottenuti evidenziano un’alta prevalenza di ipotiroidismo nell’obesità, indipendentemente dalla eventuale presenza di sindrome metabolica; la funzione tiroidea deve essere pertanto indagata ed eventualmente corretta prima di intraprendere il percorso di riduzione ponderale mediante programma rieducativo motorio, per evitare il rischio di effetti collaterali cardiovascolari.
IL “GRUPPO” NELLE NOSTRE MODALITÀ “EDUCATIVE”
L. Carboni, M. Floris, M.G. Murtas, T. Mudadu, A. Cusseddu, L. Cogoni, M.P. Turco, B. Spanu, A. Masala, M. Molinu, A. Lai, N. Littera, V. Bertocchi, A. Delogu
Servizio di Diabetologia, P.O. Roberto Binaghi, ASL 8-Cagliari
È vecchia storia!
1923, Joslin: “…se il paziente non diventa abile nel ‘to manage’ il suo diabete, tempo e denaro spesi per lui sono assolutamente sprecati…”.
1992. St Vincent declaration: “None of the aims… will be achieved unless effective educational programmes are developed at all levels of care…”.
1995. Da quella esigenza e dalla ‘impreparazione in educazione’ (l’Università persiste?) nasceva il Gruppo Educazione Diabete; l’intervento di gruppo difficoltà primaria.
2008, Gale EA, Diabetologia, 51:700-702: “il diabetologo… non cura nessuno. Il suo ruolo principale, mai veramente cambiato, è… aiutare le persone a organizzare il loro diabete attorno alla loro vita e non la loro vita attorno al diabete”.
Quanti diabetici ‘affollano’ i Centri! ‘Educazione’? come? One to one? o gruppo? o one to one e gruppo si integrano e completano reciprocamente?
L’ultima, per noi! Abbiamo così integrato ‘da sempre’ nella nostra organizzazione e oggi le attività di gruppo per pazienti (12-14 persone) sono di seguito elencate:
– PARLARE DI DIABETE T1DM (mer 18-20 1/mese); – PER ‘SAPERE’ DEL MIO DIABETE T2DM (3 gruppi lun-mar-mer 18-20); – ‘AMICO PIEDE’ (ven 11-13); – ‘VIVERE CON IL MICRO’ (ven 14-16); – FARE INSULINA… (gio 11-13); – LE MIE IPO… (mer 11-13); – CARA MAMMINA (gio 15-17); – CHO-NTO IO (lun 17-20); – UNA STRISCIA PER ME (mar 15-17); – dalla curva da carico ai FATTI (gio 9-10); – BALLANDO SI IMPARA (abstract); – FOTOGR…AMIAMOCI (mer 18-19.30); – atelier di PITTURA e di PITTURA e FOTOGRAFIA (occasionali); – atelier di TEATRO DEL VISSUTO (ven+sab+dom x 4-5 edizioni/anno); – LA ‘SALA D’ASPETTO’.
E di seguito le attività di gruppo per gli operatori del servizio:
– incontri équipe/psicologa a complemento della supervisione delle consulenze mediche individuali; – formazione aziendale d’equipe con supporto della Philosophy for Community.
La nostra mission: accompagnare la persona nella sua vita con il suo diabete, promuovendone l’autonomia come mezzo per…
Il metaplan è da sempre l’ispiratore della nostra interazione. Conclusioni: gruppi sistematici nell’attività educativa quotidiana? Si può! 21 ore settimanali su 288 di 8 operatori.
Questo è il senso di questa presentazione. Fornire testimonianza che si può! Lo è stato anche in contingenze operative precarie. E a maggior ragione oggi che nei nostri nuovi locali abbiamo a disposizione una ‘sala gruppi’.
Prevalenza della nefropatia in una popolazione di diabetici di tipo 2, osservata al basale e dopo follow-up, e relazione tra l’indice di filtrazione glomerulare e l’albuminuria
G. Frau1, C. Satta1, C. Serafini1, M. Incani1, F. Zanda1, M.G. Pani1, L. Perra1, M. Melis1, S. Casula1, D. Mastino1, A. Boi1, E. Cossu1, M. G. Baroni2
1Dipartimento di Scienze Mediche Internistiche, Cattedra di Endocrinologia e Metabolismo, Università di Cagliari; 2Dipartimento di Medicina Sperimentale, Università “La Sapienza”, Roma
Introduzione: la nefropatia diabetica (ND) è la principale causa d’insufficienza renale terminale. Si manifesta in circa il 30% dei pazienti entro 20-25 anni dall’esordio del diabete. È noto che molti diabetici non presentano la naturale evoluzione della nefropatia, manifestando insufficienza renale (IR) pur essendo normoalbuminurici.
Obiettivi: valutare la prevalenza della ND e confrontare le caratteristiche tra i pazienti con e senza danno renale; valutare la relazione tra l’eGFR e l’albuminuria; valutare la prevalenza della ND dopo follow-up medio di 3,94 anni; valutare l’incidenza di albuminuria e/o di IR in un follow-up medio di 3,94 anni.
Soggetti e Metodi: sono stati reclutati negli anni 2007-2008, 214 diabetici di tipo 2 afferenti al Centro di Diabetologia del Policlinico di Monserrato, di essi 161 sono stati rivalutati dopo follow-up medio di 3,94 anni.
Risultati: la prevalenza dell’albuminuria è risultata dell’11,2 %, quella dell’IR del 22,4% e quella della malattia renale cronica (CKD) del 29%. L’albuminuria è risultata correlata alle HDL basse mentre il sesso (F) e l’età sono correlati all’IR. Ben il 79,2% dei pazienti con IR è normoalbuminurico. Il sesso (F) e l’età sono correlati al fenotipo renale nonalbuminurico mentre il fumo è correlato al fenotipo renale albuminurico. Al follow-up la prevalenza dell’IR è risultata del 32,3%, dell’albuminuria del 28,6% e della CKD del 45,9%. Il 35,13% dei pazienti senza alterazione renale al basale ha sviluppato IR rimanendo normoalbuminurico, il 27,03% ha sviluppato IR normoalbuminurica. L’eGFR basso è fattore predittivo di sviluppo di IR normoalbuminurica, l’ipertensione sistolica lo è per lo sviluppo di IR albuminurica.
Conclusioni: l’albuminuria e la riduzione del GFR sono i principali marcatori di danno renale nel diabete e ad essi si associano distinti fattori di rischio. Sebbene l’albuminuria generalmente preceda il declinare del GFR, molti pazienti seguono la via non-albuminurica verso la compromissione della funzione renale. Sia l’escrezione urinaria dell’albumina sia il GFR devono essere valutati precocemente e periodicamente per individuare i soggetti con nefropatia e definirne lo stadio di progressione.
Prevalenza e determinanti della neuropatia diabetica in una popolazione di T1DM
M. Melis1, F. Zanda1, M.G. Pani1, A. Boi1, C. Satta1, C. Serafini1, M. Incani1, S. Casula1, G. Gattu1, P. Tacconi2,L. Polizzi2, L. Lavra2, M.G. Baroni3, S. Mariotti1, E. Cossu1
1Dipartimento di Scienze Mediche, Cattedra di Endocrinologia e Metabolismo, Università di Cagliari; 2Dipartimento di Scienze Cardiovascolari e Neurologiche, Sezione Neurologia, Università di Cagliari; 3Dipartimento di Medicina Sperimentale, Endocrinologia, Università “La Sapienza”, Roma
Background: la neuropatia diabetica è un disordine neurologico che compare in corso di DM, le cui manifestazioni sono sia a carico del sistema nervoso periferico che vegetativo.
Obiettivo: valutare la prevalenza e i determinanti della neuropatia autonomica cardiovascolare (CAN) e della polineuropatia periferica (PND) in un popolazione di T1DM.
Materiali e Metodi: son stati reclutati 100 pz (60 M e 40 F) seguiti presso UO Diabetologia del Policlinico di Monserrato selezionati in base a durata di malattia (>5 aa), sintomi riferiti e età (18-65 aa). Sono stati valutati parametri clinico-metabolici, complicanze micro vascolari, presenza di CAN attraverso i test cardiovascolari, sintomi e segni di PND con MNSI-Q, DNI, elettromiografia/elettroneurografia (EMG/ENG), dolore neuropatico con DN4.
Risultati: la prevalenza di CAN (1 o più test patologico) era del 55%, della PND (anormalità EMG con segni e/o sintomi) del 28,1% e della NDD (PND e DN4≥4) del 2,9%. I CAN avevano associata retinopatia diabetica (RD) e peggiori parametri neurologici (MNSI-Q patologico in 35/55 p<0,003, minore velocità di conduzione sensitiva (VCS) del surale. Nell’analisi di regressione logistica l’unico di predittore indipendente di CAN è risultato la RD. I PND positivi avevano peggiore eGFR (93,40± 22,01 vs 102,66±17,54, p=0,04) e RD (in 11/25 pazienti, p=0,02), risultato l’unico predittore indipendente di PND (OR 3,57, CI 0,996-12,80, p=0,05). Si è riscontrata una differenza statisticamente significativa fra i PND positivi rispetto ai PND negativi per quanto riguarda punteggio DNI (alterato in 22/25 pz p<0,001), ampiezza (SAP) del n. surale (10,27± 8,67 ms vs 18,7± 8,12 ms p<0,0001), riflesso H del muscolo soleo (patologico in 19/25 pz p<0,0001), velocità di conduzione motoria del n. peroneo profondo (42,9±5,8 vs 47,71±5,5 m/s p=0,001) e VCS del n. surale (49 (0-56,9) vs 51,9 (44-83,8) m/s p=0,002).
Conclusioni: CAN si accompagna ad altre complicanze del DM. La RD è un predittore indipendente di ND. L’EMG/ENG potrebbe essere utile per la conferma diagnostica e per identificare pz con PND subclinica. Il riflesso H del muscolo soleo sembrerebbe individuare precoci alterazioni in pz asintomatici.
Prevalenza della arteriopatia periferica in una popolazione di diabetici sardi di tipo 1
M. Melis1, A. Boi1, F. Zanda1, M.G. Pani1, C. Serafini1, M. Incani1, C. Satta1, S. Casula1, G. Gattu1, D. Mastino1, P. Demuru2, M.G. Baroni3, E. Manconi2, E. Cossu1
1Dipartimento di Scienze Mediche, Cattedra di Endocrinologia e Metabolismo, Università di Cagliari; 2Dipartimento di Scienze Cardiovascolari e Neurologiche, Sezione Cardiologia, Università di Cagliari; 3Dipartimento di Medicina Sperimentale, Endocrinologia, Università “La Sapienza”, Roma
Background: l’arteriopatia periferica (PAD) è una patologia ostruttiva su base aterosclerotica a localizzazione sistemica caratterizzata da calcificazioni vascolari.
Obiettivo: valutare prevalenza e identificare i pz a maggior rischio ulcerativo in una popolazione di T1DM.
Materiali e Metodi: sono state effettuate ispezione dei piedi e valutazione dei polsi, misurazione dell’ABI e ecodoppler arterioso degli arti inferiori in 91 pz afferenti a UO Diabetologia del Policlinico di Monserrato.
Risultati: la prevalenza della PAD è risultata del 10,8%. In 23 pz si è riscontrato un ABI patologico (di cui 2 con ABI<0,9 e 21 con ABI >1,3), confermato con l’ecodoppler degli arti inferiori in 9 pazienti (PAD positivi). Nello specifico, i 2 pz con ABI <0,9 presentavano segni di angiosclerosi. Dei 21 pz solo 13 hanno eseguito l’esame, di cui 4 hanno presentato segni di angiosclerosi, 2 calcificazioni di parete, 1 AOP. I pazienti con PAD rispetto a quelli senza avevano maggiore età (52,22±11,08 vs 36,49±10,76 p=0,000), durata del diabete (30,2±9,65 vs 18,17±9,3 p=0,000), BMI (26,78±5,09 vs 23,55±2,86 p=0,009) e pressione arteriosa sistolica 135 (100-160) vs 120 (85-174) p=0,006) e ridotto eGFR (83,36±22,02 vs 101,6±18,2 p=0,001). Nell’analisi di regressione logistica (includendo età, BMI, HbA1c, pressione sistolica, LDL, eGFR ) l’età del paziente (OR 1,175; IC 1,02-1,34; p=0,02) e il BMI (OR 1,522; IC 1,03-2.25; p=0,035) sono risultati predittori indipendenti di PAD. Suddividendo i pz in categorie di rischio per l’insorgenza di lesioni al piede, (classificazione proposta dal gruppo internazionale del piede diabetico, IWGDF) si è osservato che 55 pz rientravano nella categoria 1 (basso rischio), 16 nella categoria 2 (rischio medio), 9 nella categoria 3 (alto rischio), nessun pz nella categoria 4 (altissimo rischio).
Conclusioni: la misurazione dell’ABI si è dimostrato un valido strumento per lo screening precoce. È tuttavia indicato in caso di ABI patologico un approfondimento diagnostico tramite ecodoppler arterioso degli arti inferiori.
FIRST DEGREE: Studio di prevalenza dell’autoimmunità Betacellulare nei parenti di I grado di soggetti sardi affetti da DMT1 e studio dell’andamento temporale del titolo anticorpale ed eventuale sviluppo di alterazioni del metabolismo glucidico
L. Perra1, C. Serafini1,M. Incani1, C. Satta1, A. Olla1, G. Frau1, F. Zanda1, A. Boi1, M.G. Pani1, F. Sentinelli1, M. Soro2, A.P. Frongia3, R. Ricciardi3, A. Strazzera1, E. Cossu1, M.G. Baroni4
1Dipartimento di Scienze Mediche, Cattedra di Endocrinologia e Metabolismo, Università di Cagliari; 2Divisione di Pediatria e Neonatologia, Ospedale San Martino, Oristano; 3Divisione di Pediatria, Ospedale Brotzu, Cagliari; 4Dipartimento di Medicina Sperimentale, Università “La Sapienza”, Roma
Background: nonostante l’alta incidenza del DM1 in Sardegna non sono disponibili dati di prevalenza anticorpale nei parenti di I grado di pazienti affetti.
Obiettivo di questo lavoro è stato valutare la prevalenza degli Ab diretti contro la β-cellula in una coorte di parenti di I grado di soggetti con DM1 e, nei soggetti positivi, studiare l’evoluzione temporale tramite OGTT e follow-up anticorpale.
Materiali e Metodi: 399 parenti di I grado e 115 pz affetti da DM1 sono stati sottoposti a prelievo per dosaggio degli Ab GAD, IA2, IAA e ZnT8 e ad anamnesi per individuare la presenza di DM e/o di altre patologie autoimmuni.
Risultati: 60 parenti di I grado sono risultati positivi ad almeno un Ab, tra questi 42 non avevano una diagnosi clinica di DM mentre 18 erano già diabetici (16 DM1, 2 DM2).GADA positivi nel 5% dei soggetti, gli IA2 nel 0,3%, gli IAA nel 1,8% e ZnT8 nel 1,5%. Il 10,2% dei parenti presentavano altre malattie autoimmuni. Dei 42 soggetti senza diagnosi di DM o altre alterazioni della glicemia, 24 hanno effettuato follow-up tramite OGTT e nuovo dosaggio anticorpale; 15 di questi hanno effettuato anche II follow-up. È stata fatta diagnosi di IGR in 6 soggetti, mentre 18 sono risultati NGT. In base all’OGTT, abbiamo fatto diagnosi di DM in 4/24 soggetti, mentre 4 soggetti hanno sviluppato DM prima dell’esecuzione di tale esame. Dei 38 soggetti positivi senza diagnosi, 8 hanno sviluppato DM. Considerando i soggetti che hanno sviluppato DMT1, 2 presentavano singola positività anticorpale, 5doppia positività e uno tripla positività. 3 probandi di nuova diagnosi sono risultati Ab negativi; in base all’anamnesi si è deciso di analizzare il gene GCK ed, in un soggetto, anche il gene HNF1a ma non sono state rilevate mutazioni associate a patologia.
Conclusioni: questi dati confermano un’elevata prevalenza nella popolazione sarda di anticorpi del DM1ed evidenziano, nei parenti di I grado, l’importanza della determinazione precoce del processo autoimmune al fine di apportare le necessarie misure per prevenire le complicanze acute al momento dell’esordio clinico della malattia.
Studio ecologico della relazione tra incidenza del diabete di tipo 1 e dati geochimici in Sardegna: correlazione negativa con Zinco e Rame
C. Targhetta1, C. Mannu1, A. Sanna2,G. Bruno3, P. Zavattari4, P. Valera2,5, M. Songini1
1Centro per il Trattamento delle Complicanze del Diabete Azienda Ospedaliera Brotzu, Cagliari; 2DICAAR-Dipartimento di Ingegneria Civile Ambientale e Architettura, Università di Cagliari; 3Dipartimento di Scienze Mediche, Università di Torino; 4Dipartimento di Scienze Biomediche, Università di Cagliari; 5IGAG CNR-Istituto di Geologia Ambientale e Geoingegneria, National Research Council of Italy
La Sardegna presenta il secondo più elevato tasso di incidenza di T1D nel mondo (45/100.000, 0-14 anni, 1989-2009, Bruno et al. Diabetes 2013), con incremento annuale medio del 2,12% (Finlandia: 3,6%). L’esistenza del clustering geografico (Songini et al. Diabetologia 1998) sottenderebbe l’esistenza di fattori ambientali variamente distribuiti in Sardegna. Obiettivo del presente studio è la valutazione dell’eventuale ruolo di fattori geochimici nella distribuzione geografica del T1D in Sardegna. Sono stati presi in considerazione 17 elementi (As, Be, Cd, Co, Cr, Cu, Mn, Ni, Pb, Sb, Se, Sn, Th, Tl, U, V, Zn) provenienti prevalentemente da campioni di sedimenti fluviali delle campagne geochimiche nell’isola. Per ogni elemento è stato calcolato il fondo geochimico litologico. Le unità geografiche comprendono uno o più territori comunali e un numero sufficiente di dati per poter effettuare un trattamento statistico adeguato (Valera et al. Environ. Geochem. Health 2014). I dati di incidenza di T1D, negli anni 1989-2009, in ciascun comune, sono stati utilizzati per identificare la distribuzione del T1D in Sardegna, normalizzati con le superfici delle aree omogenee stabilite nell’elaborazione dei dati geochimici. I dati di T1D geochimici sono stati georiferiti tramite il Geographic Information System (GIS) e sono state ottenute le matrici di correlazione tra incidenza di T1D e dati geochimici. Sono risultate statisticamente significative le correlazioni negative con Cu (r=-0,35, p=0,0002) e Zn (r=-0,31, p=0,001), mentre non sono emerse correlazioni con gli altri elementi testati. La correlazione negativa tra T1D e Cu e Zn riscontrata, su dati preliminari, paleserebbe un ruolo protettivo dei due elementi nell’insorgenza di T1D, consistente con i dati biologici sul ruolo dello Zn sia nella regolazione epigenetica della secrezione di insulina (Gilbert et al. 2012) che in processi cellulari di omeostasi e signaling (Kelleher et al. 2011; Rutter, 2010). Tale ipotesi di lavoro dovrà essere confermata da studi ad hoc per la valutazione del ruolo nella catena alimentare di Zinco e Rame sul rischio di T1D.
Poster
Studio clinico sulla distribuzione e frequenza di ipertrofie gengivali correlate a stato di gravidanza con Diabete Mellito Gestazionale
M. Erriu1, A. Masala1, F.M.G. Pili1, R. Floris2, G. Denotti1, G. Chessa3, M. Songini2
1Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Università degli Studi di Cagliari, Cagliari; 2A.O. Brotzu, S.C. di Diabetologia, Cagliari; 3A.O. Brotzu, S.C. di Ginecologia, Cagliari
Le ipertrofie gengivali sono alterazioni volumetriche del tessuto gengivale correlate a condizioni locali e sistemiche favorenti. Dai dati in letteratura emerge come, durante la gravidanza, dal 30% al 70% delle pazienti vada incontro allo sviluppo di affezioni del parodonto superficiale ed in particolare ad ipertrofia gengivale (1). In questi casi l’aumento di volume gengivale è riconducibile alle alterazioni dello stato immunitario e ormonale delle pazienti che possono indurre un’alterata risposta locale alla colonizzazione batterica dei tessuti parodontali (1). Altri fattori sistemici, tra cui in particolare gli squilibri glicemici, sono stati riconosciuti come predisponenti all’insorgenza di patologie a carico di tali tessuti (2). Nelle donne con gravidanza fisiologica, non a rischio, è raccomandato lo screening per il diabete gestazionale tra la 24° e la 28° settimana con una curva da carico glicemico con 75g di glucosio. Sono definite affette da diabete gestazionale le donne con uno o più valori di glicemia plasmatica superiori alle soglie: glicemia plasmatica a digiuno ≥92 mg/dl (5,1 mmol/l) e <126 mg/dl (7,0 mmol/l); glicemia plasmatica dopo 1 ora ≥180 mg/dl (10,0 mmol/l); glicemia plasmatica dopo 2 ore ≥153 mg/dl (8,5 mmol/l). Queste sono le linee guida dei consensus statement nazionali AMD e SID aggiornate al 2011 (3-5). Con questo studio è stata valutata la varianza della frequenza di sviluppo delle ipertrofie gengivali nelle pazienti in stato di gravidanza al fine di evidenziare il possibile ruolo eziologico degli eventuali scompensi glicemici.
Bibliografia
1. Barak S, Oettinger-Barak O, Oettinger M, Machtei EE, Peled M, Ohel G. Common oral manifestations during pregnancy: a review. Obstet Gynecol Surv, 58(9): 624-628, 2003.
2. Mealey BL, Rose LF. Diabetes mellitus and inflammatory periodontal diseases. Curr Opin Endocrinol Diabetes Obes, 15(2): 135-141, 2008.
3. Xiong X, Buekens P, Vastardis S, Pridjian G. Periodontal disease and gestational diabetes mellitus. Am J Obstet Gynecol, 195(4): 1086-1089, 2006.
4. Mittas E, Erevnidou K, Koumantakis E, Papavasileiou S, Helidonis E. Gingival condition of women with gestational diabetes on a Greek island. Spec Care Dentist, 26(5): 214-219, 2006.
5. Ruiz DR, Romito GA, Dib SA. Periodontal disease in gestational and type 1 diabetes mellitus pregnant women. Oral Dis, 17(5): 515-521, 2011.
DIABETE DA ANTIPSICOTICI ATIPICI: PRESENTAZIONE DI UN CASO CLINICO IN UN ADOLESCENTE
A.P. Pinna, C. Ripoli, A. Nurchi
UOS Diabetologia dell’Età Evolutiva-Clinica Pediatrica I, Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Università di Cagliari
Introduzione: gli antipsicotici atipici o di seconda generazione (SGA), sono utilizzati in età evolutiva per il trattamento di diverse patologie psichiatriche, tra cui i disturbi pervasivi dello sviluppo. Questi farmaci devono essere somministrati con attento monitoraggio per gli effetti di tipo metabolico: iperglicemia e diabete, aumento del colesterolo e dei trigliceridi, incremento di peso.
Caso clinico: presentiamo il caso di SF, maschio di 16 anni, affetto da autismo in trattamento con olanzapina, clomipramina, acido valproico e litio. Giunge alla nostra osservazione, tre mesi dopo l’inizio del trattamento con olanzapina, perché da alcuni giorni presenta poliuria e polidipsia. All’anamnesi si segnala la familiarità per diabete mellito tipo 2 di cui sono affetti i nonni paterno e materno. I parametri antropometrici sono nella norma: BMI 22,8, Indice di Cole 101. La glicemia a digiuno è 670 mg/dl, l’emogas nella norma, non vi è chetonuria. L’HbA1c è 9,7%. ICA, IAA, GADA e IA2 sono negativi e l’HLA non è predisponente per il diabete tipo 1. Il c-peptide basale è 1,8 ng/ml. Ipotizzando un diabete secondario all’assunzione di olanzapina, si sospende il farmaco e si inizia terapia insulinica basal-bolus con analogo rapido e lento. Si ottiene un buon controllo delle glicemie con una dose insulinica di 0,6 U/Kg/die. Nei mesi successivi si verifica una progressiva riduzione del fabbisogno insulinico fino alla completa sospensione della terapia dopo 7 mesi. L’HbA1c è 6,1%.
Conclusioni: nei bambini e negli adolescenti che assumono antipsicotici atipici i livelli sierici di glucosio e l’assetto lipidico devono sempre essere valutati prima dell’inizio della terapia e poi monitorati frequentemente. La scelta dell’antipsicotico deve tenere in considerazione il differente rischio delle varie molecole nel favorire lo sviluppo di iperglicemia/diabete e la presenza di familiarità per questa patologia. In particolare il trattamento con olanzapina, risultato uno dei farmaci a maggior rischio, deve essere riservato ai casi strettamente necessari.
Bibliografia
Almandil NB, Liu Y, Murray ML, Besag FM, Aitchison KJ, Wong IC. Weight gain and other metabolic adverse effects associated with atypical antipsychotic treatment of children and adolescents: a systematic review and meta-analysis. Paediatr Drugs, 15(2): 139-150, 2013.
DIABETE MELLITO DI TIPO 1 E MALATTIA CELIACA: EFFETTI METABOLICI DELLA DIETA PRIVA DI GLUTINE
C. Aresu, A.P. Pinna, R. Angelo Maria, C. Ripoli, A. Nurchi
UOS di Diabetologia dell’Età Evolutiva-Clinica Pediatrica I, Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Università di Cagliari
Introduzione: nei bambini e adolescenti con diabete mellito di tipo 1 (DMT1) e malattia celiaca (MC), gli effetti della dieta priva di glutine sul controllo metabolico, sullo stato nutrizionale, sulle complicanze croniche micro e macroangiopatiche sono ancora contrastanti e non ben definiti.
Materiali e Metodi: abbiamo indagato 315 pazienti DMT1 di cui 22 affetti anche da MC (7%). Quattro di questi sono stati esclusi dall’indagine. Il gruppo di studio era quindi costituito da 18 pazienti affetti da DMT1+MC e quello di controllo da 36 pazienti con DMT1 senza MC equiparabili per età, sesso e durata del diabete. I parametri presi in considerazione sono stati valutati nei 12 mesi precedenti la diagnosi di MC e dopo 12 mesi di dieta priva di glutine. Sono stati analizzati: peso, statura, BMI e BMI-SDS, il valore medio di HbA1c, il fabbisogno di insulina, la pressione arteriosa sistolica e diastolica, il profilo lipidico ed infine la microalbuminuria.
Conclusioni: confrontando i soggetti con doppia patologia prima e dopo la dieta è emerso che la prevalenza di sovrappeso è aumentata in questo gruppo dal 5,5% al 16,6%. Inoltre, comparando i soggetti DMT1+MC già a dieta con quelli solo con DMT1 si è potuto osservare che i valori di BMI e BMI-SDS di questi ultimi sono inferiori, così come la prevalenza di sovrappeso (8,3% verso 16,6%) anche se queste differenze non sono risultate statisticamente significative probabilmente per le piccole dimensioni del campione esaminato.
La dieta priva di glutine non influisce sul compenso glicometabolico (valori di HbA1c immodificati dopo 12 mesi di GFD), ma per mantenere un buon compenso dopo l’inizio della dieta è necessaria una quantità maggiore di insulina: 0,8±0,2 vs 0,7±0,2 U/Kg/die p=0,043. Per quanto riguarda i fattori di rischio cardiovascolare, la dieta priva di glutine non sembra influenzare i valori di pressione arteriosa, ma esercita un effetto positivo sul profilo lipidico plasmatico. Dopo 12 mesi di dieta si riscontra un aumento significativo dei valori plasmatici di HDL rispetto al periodo precedente: 56±13 vs 44±14 mg/dl p=0,0003. Infine, per quanto riguarda la microalbuminuria, non è confermato l’effetto nefroprotettivo della dieta priva di glutine descritto da Gopee e Coll: nei soggetti con doppia patologia i valori di microalbuminuria non sono significativamente differenti sia riguardo al periodo pre-dieta sia rispetto ai soggetti diabetici non celiaci.
Ai pazienti con DMT1+MC è necessario garantire un counseling nutrizionale ancor più accurato e assiduo rispetto a quello comunemente offerto ai bambini e adolescenti affetti da solo diabete mellito.
Bibliografia
Gopee E, Van den Oever ELM, Cameron F, Thomas MC. Coeliac disease, gluten-free diet and development and progression of albuminuria in children type 1 diabetes. Pediatric Diabetes: 1-4, 2013.
DIABETICI OLD E OLDEST-OLD: UN PROBLEMA SOMMERSO? Risultati ed esperienze nella Provincia di Sassari
D. Concu¹, F. Tolu², G.M. Pes¹, A. Pacifico³
1Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Sassari; 2U.O. di Endocrinologia e di Nutrizione, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Sassari; 3U.O. di Diabetologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Sassari
In Italia l’aspettativa di vita in base alle stime dell’ISTAT è di 79,1 nei M e di 84,3 anni nelle F (Istat, 2012), per cui la diffusione delle malattie cronico-degenerative, specie nelle donne, ha aggravato i costi sanitari. Tra le malattie dell’anziano il diabete mellito richiede interventi frequenti: controllo della HbA1c, monitoraggio delle ipoglicemie e prevenzione delle complicanze d’organo. Occorre una continua attività educativa nel paziente old (75-84 anni) e oldest-old (≥85 anni), spesso con comorbidità e disabilità. I nostri dati mostrano una fotografia preliminare, epidemiologica, della prevalenza degli anziani con diabete mellito tipo 2 afferenti all’Unità di Diabetologia della AOU di Sassari. Abbiamo esaminato 3856 cartelle ambulatoriali (15% sul totale di 24837 raccolte nel 1986-2006), relative a 1562 M e 2294 F ≥75 anni. La distribuzione per sesso e fascia di età era: 75-84 anni (old 763 M/1028 F), ≥85 anni (oldest-old 799 M/1266 F), con un rapporto M/F rispettivamente di 0,74 e 0,63. I valori di HbA1c nella fascia degli old era di 7,2 nei M e 7,4% nelle F, e nella fascia degli oldest-old di 7,5 nei M e 7,7% nelle F.
La nostra analisi descrittiva evidenzia come le donne anziane in entrambe le fasce di età afferiscano agli ambulatori in proporzione maggiore. Il compenso metabolico era lievemente peggiore nelle donne di fascia di età più avanzata, ovviamente in relazione alla fisiologia dell’invecchiamento ed allo stile di vita (sarcopenia, sedentarietà, obesità) (Palleschi, Zuccaro 2009; Senin 2006). Solitamente l’anziano diabetico non presenta chiari sintomi e più spesso quelli aspecifici (depressione, astenia) vengono talvolta attribuiti ad altre patologie. Inoltre le peculiarità relative all’età avanzata creano problemi terapeutici e gestionali: la necessità di agire sullo stile di vita, sui deficit nutrizionali e sulla terapia (Palleschi, Zuccaro 2009). Pertanto la letteratura recente ha aggiornato gli standard di prevenzione e cura del paziente anziano fragile con approcci e obiettivi meno rigidi (Standard Italiani per la cura del diabete mellito 2014). Solo una valutazione multidimensionale nel paziente diabetico anziano (valutazione stato socio-economico, comorbidità e terapia, complicanze micro/macrovascolari) fornisce un più adeguato supporto al suo management.
In conclusione nel paziente old e oldest-old il diabete è un’entità eterogenea che si manifesta quasi sempre in un contesto di polipatologia e disabilità: non è raro osservare quadri di Mild Cognitive Impairment o demenza franca che rendono difficoltosa l’educazione alla terapia, pur essendo i pazienti ambulatoriali complessivamente più sani rispetto a quelli istituzionalizzati. La strategia gestionale deve mirare alla riduzione della disabilità assicurando una buona qualità di vita.
Valutazione degli effetti di un protocollo di intervento terapeutico multidisciplinare focalizzato sull’attività motoria strutturata e supervisionata in un gruppo di pazienti obesi
D. Lai, G. Sainas, G. Mulliri, E. Loi, A. Deledda, R. Manca, A. Loviselli, F. Velluzzi
Dipartimento di Scienze Mediche Internistiche, U.O. Obesità A.O.U., Cagliari
Introduzione: scopo dello studio è quello di valutare gli effetti di un intervento terapeutico motorio strutturato, somministrato da operatori APA, integrato con gli interventi nutrizionale e comportamentale nell’ambito di un programma di trattamento multidisciplinare dell’obesità, volto anche a trasmettere ai pazienti le capacità e le competenze per svolgere un’attività fisica adeguata.
Materiali e Metodi: sono stati reclutati a tutt’oggi 24 pazienti, 20 donne e 4 uomini, età media di 56±8,6 anni, valutati al tempo 0 (T0), al sesto (T6) e al dodicesimo mese (T12).
Risultati: T0: peso corporeo medio (PC) 95,2±1, BMI 37,3±5 Kg/m2, circonferenza addominale (CA) 113±12 cm; Pressione Arteriosa Sistolica (PAS) e Diastolica (PAD) 135±10 e 83±1 mmHg; glicemia a digiuno109± 0 mg/dl; Colesterolo HDL 55± 13 mg/dl; Trigliceridi 122±4 mg/dl; al T6 si è rilevato un miglioramento significativo dei parametri antropometrici, più evidente al T12 (PC 75,4±17 Kg, BMI 31,2±5 Kg/m2, CA 102±15 cm; p<0,01) ed un cambiamento della composizione corporea a favore della FFM (+ 4.1% vs T0, p=0,02). Al T12 è stata inoltre rilevata una riduzione progressiva, seppur non significativa dei valori medi della PAS e PAD a riposo, e dei parametri ematochimici diagnostici per sindrome metabolica.
Conclusioni: l’approccio multidisciplinare ha determinato il miglioramento di tutti i parametri valutati, predittivo di una riduzione del rischio cardiometabolico. Inoltre, dato che lo studio è attualmente in corso e vista l’elevata adesione al protocollo e il trend positivo riscontrato, è presumibile che le modifiche allo stile di vita apportate diventino un comportamento stabile nel tempo.
Confronto fra sindrome metabolica e obesità nella risposta al test cardiopolmonare
R. Milia, S. Roberto, D. Lai, G. Sainas, A. Crisafulli, A. Loviselli, F. Velluzzi
Dipartimento di Scienze Mediche, Scuola di Specializzazione Medicina dello Sport, UO Obesità Università degli Studi di Cagliari
Introduzione: una buona capacità fisica si correla ad un fenotipo metabolicamente sano. I pazienti obesi possono mostrare un fenotipo metabolicamente sano (OMS), diversamente da coloro affetti da Sindrome Metabolica (SM), che potrebbero mostrare una ridotta tolleranza all’esercizio fisico. Abbiamo pertanto valutato eventuali differenze nella risposta cardiometabolica al test incrementale tra un gruppo di donne affette da OMS e uno affetto da SM.
Materiale e Metodi: sono state reclutate: 26 donne affette da OMS con indice di massa corporea (BMI) ed età di 36,5±4,5 DS e 44,5±12,2 DS anni; 21 donne affette da SM con BMI ed età sovrapponibili (36,9±4,1 DS e 51,5±12,2 DS anni). Entrambi i gruppi sono stati sottoposti ad un test incrementale sub-massimale al cicloergometro con metabolimetria (CPX), in cui sono stati misurati: frequenza cardiaca (FC), massimo consumo di Ossigeno (VO2max), produzione di Anidride Carbonica (VCO2), polso di Ossigeno e altri parametri metabolici.
Risultati: non sono state riscontrate differenze statisticamente significative tra i due gruppi in: VO2max, VCO2 e Polso d’Ossigeno [(OMS 17,6±2,8 vs SM 17,1±2,6 mL•Kg•min-1 (p<0,005) e 1841,1±415,9 mL•min-1 vs. 1647,9±307,2 mL•min-1, OMS vs SM: 9,7±1 DS mL•min-1 vs. 10,6±1,9 DS mL•min-1 p<0,005)]. Una sovrapposizione di risultati è stata riscontrata anche al test incrementale al cicloergometro in entrambi i gruppi nel massimo carico raggiunto espresso in watt e nella FC massima.
Discussione: non sono state osservate differenze tra il gruppo OMS e SM sia al test incrementale che nei parametri metabolici. Ciò si trova in accordo con la letteratura internazionale in cui è emerso che il fenotipo obeso metabolicamente sano, risulta uno step intermedio nel processo degenerativo in cui evolvono i pazienti affetti da sindrome metabolica.
COMPENSO GLICEMICO E VARIAZIONI DEL PESO IN PAZIENTI SOTTOPOSTI A TRATTAMENTO CON INIBITORI DPP4
M.G. Pani1, S. Casula1, A. Boi1, F. Zanda1, C.Serafini1, L. Perra1, M. Melis1, C. Satta1, M. Incani1, D. Mastino1, E. Cossu1, S. Mariotti 1 , M.G. Baroni2
1Dipartimento di Scienze Mediche, Cattedra di Endocrinologia e Metabolismo, Università di Cagliari; 2Dipartimento di Medicina Sperimentale, Endocrinologia, Università “La Sapienza”, Roma
Background: le incretine sono dei peptidi di origine intestinale importanti nella regolazione del metabolismo glucidico che vengono liberati in risposta all’assunzione di un pasto e sono rapidamente degradati dall’enzima DPP-4. Per tale motivo si è ipotizzato l’utilizzo clinico degli inibitori di questo enzima per incrementare le concentrazioni plasmatiche delle incretine, contribuendo ad abbassare i valori glicemici in pazienti con DMT2, con effetto neutro sul peso corporeo.
Scopo, Materiali e Metodi: valutare l’andamento dell’HbA1c e del peso corporeo in una coorte di 112 soggetti, afferenti all’UO Diabetologia, AOU Cagliari, a 6 e 12 mesi dall’inizio della terapia con inibitori DPP4. Abbiamo selezionato 112 pazienti, di cui 50 di sesso maschile (44,6%) e 62 di sesso femminile (55,4%), età media 69,5 anni ±10,2, durata media di malattia di 8,8 anni ±6,6.
Risultati: 16 pazienti (14,3%) assumevano inibitori DPP4 in monoterapia; 59 pazienti (52,7%) in duplice terapia con metformina e 2 pazienti (1,8%) con insulina; 7 pazienti (6,3%) in triplice terapia con metformina e insulina; 4 pazienti (3,6%) con insulina e antidiabetici orali e 17 pazienti (15,2%) con metformina e antidiabetici orali. Considerando la HbA1c, il suo valore basale medio è risultato di 8,0%± 5,7, a 6 mesi 6,9% ±0,8, a 12 mesi 7,0 ± 0,8; si osserva una riduzione statisticamente significativa (p<0.05) da 0 a 6 mesi, mentre non si rileva nessuna riduzione statisticamente significativada 6 a 12 mesi. Per quel che riguarda il BMI, il suo valore basale medio è 28 ±4,8, a 6 mesi 27,8 ±4,7, a 12 mesi 27,7 ±4,6, senza che si evidenzi nessuna riduzione statisticamente significativa. Considerando le sottoclassi dei pazienti in terapia con inibitori DPP4 e insulina si è infine riscontrata una riduzione statisticamente significativa (p<0,023) dell’HbA1c da 0 a 12 mesi (8,2% vs 7,7%). Nessuna riduzione statisticamente significativa per il peso.
Conclusioni: i nostri dati confermano come l’uso degli inibitori DPP4 agisca sui valori dell’HbA1c, con effetto neutro sul peso corporeo.
COMPENSO GLICEMICO E VARIAZIONI DEL PESO IN PAZIENTI SOTTOPOSTI A TRATTAMENTO CON AGONISTI GLP-1
C. Serafini1, S. Casula1,F. Zanda1, M.G. Pani1, L. Perra1, M. Melis1, C. Satta1, M. Incani1, A. Boi1, E. Cossu1, S. Mariotti1 , M.G. Baroni2
1Dipartimento di Scienze Mediche, Cattedra di Endocrinologia e Metabolismo, Università di Cagliari; 2Dipartimento di Medicina Sperimentale, Endocrinologia, Università “La Sapienza”, Roma
Background: il GLP-1 è un peptide liberato in risposta al pasto. Gli analoghi GLP-1 rappresentano un’innovazione terapeutica del T2DM per la loro efficacia sul calo ponderale e per il basso rischio di ipoglicemie.
Obiettivo: valutare HbA1c e peso corporeo a 6 e 12 mesi dall’inizio della terapia con analoghi GLP-1.
Materiali e metodi: 51 pz afferenti all’UO Diabetologia, AOU Cagliari sono stati sottoposti a misurazione del BMI e HbA1c basali e a 6 e 12 mesi dall’inizio della terapia.
Risultati: il 68,4% è in trattamento con Liraglutide, il 21,6% con Exenatide. 33 pz (64,7%) facevano duplice terapia agonisti GLP-1 più metformina, 6 pz (11,8%) facevano triplice terapia con analoghi GLP-1, metformina e antidiabetici orali e 8 pz (15,7%) facevano triplice terapia con analoghi GLP-1, metformina e insulina. Solo 1 pz (2%) terapia con analoghi GLP-1, insulina, metformina, antidiabetici orali e 3 pz (5,9%) duplice terapia con analoghi GLP-1 e insulina. Nessuno dei 51 pz effettuava terapia solo con analoghi GLP-1. Per l’esiguo campione non è al momento possibile effettuare un confronto con valenza statistica tra i singoli sottogruppi. Considerando l’HbA1c, il valore basale medio è risultato di 7,9%± 1,3, a 6 mesi 7,2% ±1, a 12 mesi 7,2 ± 1. In un anno c’è stata una riduzione statisticamente significativa (p<0,01). Il valore basale medio del BMI è pari a 35,7 ±5, a 6 mesi 34,7 ±5,5, a 12 mesi 34,5 ±5,6, con una riduzione statisticamente significativa (p<0,01). Considerando i pz in terapia con analoghi GLP1 e insulina c’è una riduzione significativa (p<0,05) dell’HbA1c da 0 a 6 mesi (da 8,5% a 7,7%). Negli stessi non c’è riduzione significativa del BMI.
Conclusioni: in accordo con la letteratura, l’uso degli analoghi GLP-1 porta ad una riduzione significativa di BMI e HbA1c. Ciò non si evidenzia in chi effettua anche terapia con insulina, verosimilmente per l’effetto anabolizzante dell’ormone.
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