Un caso di diabete mellito tipo 2 complicato da acromegalia

Aggiornamento clinico e tecnologie a cura di Francesco Dotta1, Anna Solini2

1U.O.C. Diabetologia, Azienda Ospedaliera Universitaria Senese, Università degli Studi di Siena;

2Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università degli Studi di Pisa


Federico Parolini1, Edoardo Biancalana1, Anna Solini2

1Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale Università degli Studi di Pisa, 2Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell’Area Critica, Università degli Studi di Pisa

DOI: 10.30682/ildia1903h

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Nell’Ottobre 2017 una donna di 61 anni afferiva al nostro ambulatorio specialistico per eseguire visita di controllo diabetologica.

Anamnesi familiare: familiarità per diabete in linea materna e per malattia CV (IMA non precoce) in linea paterna; una sorella di 58 anni e un figlio di 35 anni in attuale buona salute.

Anamnesi fisiologica: non fumatrice. Consumo occasionale di alcolici. Alvo regolare e diuresi nella norma. Umore in asse. Da alcuni mesi russamento notturno e apnee del sonno testimoniate dal compagno, con sonnolenza diurna. Menarca all’età di 12 anni, cicli regolari per frequenza, durata e flusso; una gravidanza a termine, in assenza di complicanze, all’età di 26 anni. Menopausa a 53 aa.

Anamnesi patologica remota: colecistectomia per colelitiasi nel 2004. Dislipidemia mista nota dall’età di circa 40 anni, per cui assume statina. Ipertensione arteriosa nota dall’età di circa 50 anni, in terapia con calcio-antagonista.

Anamnesi diabetologica: diabete di tipo 2 diagnosticato c/o il nostro Centro nel 2013; da allora in terapia con metformina. Lo screening per le complicanze del diabete risultava negativo per cardiopatia ischemica, nefropatia, retinopatia e neuropatia periferica; era presente ateromasia carotidea bilaterale, non emodinamicamente significativa. Buon controllo glicometabolico fino all’ultima visita di controllo (eseguita 6 mesi prima di quella attuale) quando, per lieve peggioramento del compenso glicometabolico (HbA1C 54 mmol/mol vs precedente 48 mmol/mol), veniva aggiunto in terapia sitagliptin in add-on a metformina.

Anamnesi patologica prossima: la paziente lamentava cefalea non pulsante, persistente da qualche mese ed associata ad astenia, facile affaticabilità e crampi muscolari. Riferiva, inoltre, un lieve fastidio nell’indossare calzature precedentemente comode. Inoltre, descriveva da circa 3 mesi sintomi compatibili con sindrome del tunnel carpale. Infine, riferiva un significativo peggioramento dei valori pressori domiciliari (145-150/90-95 mmHg) e un notevole peggioramento della glicemia misurata con glucometro al risveglio (180-190 mg/dL), a fronte del potenziamento della terapia anti-iperglicemica effettuato circa 6 mesi prima.

Terapia domiciliare: Sitagliptin/Metformina 50 mg/850 mg x 2; Amlodipina 10 mg; Atorvastatina 20 mg.

Esame obiettivo: obesità di I grado (peso 81 Kg, altezza 1.64 m, BMI 30.1 Kg/m2). Glicemia a digiuno: 189 mg/dL (glucometro). Pressione arteriosa ambulatoriale 155/90 mmHg, FC 70 bpm ritmica. All’ispezione: gonfiore delle labbra, lievi macroglossia e macrognazia, oltre a diastasi degli incisivi (quest’ultima riferita presente da sempre); l’esame obiettivo cardio-polmonare e addominale evidenziavano la presenza di un soffio protosistolico 2/6 sui focolai della base, ed un fegato debordante circa 4 cm dall’arcata costale; la tiroide risultava non palpabile; all’esame obiettivo neurologico si riscontrava riduzione del campo visivo.

Esami ematochimici

  • Glicemia a digiuno 191 mg/dL, HbA1C 70 mmol/mol;
  • Colesterolo totale 148 mg/dL, cHDL 48 mg/dL, trigliceridi 135 mg/dL, cLDL 73 mg/dL;
  • Creatinina 0.79 mg/dL, eGFR (CKD-EPI) 81 mL/min/1.73m2, ACR 126 mg/g;
  • Emocromo, indici di funzione epato-pancreatica ed elettroliti nella norma.

Esami strumentali

  • ECG: RS, PR e QTc nei limiti, aspecifiche anomalie della ripolarizzazione;
  • Ecocolordoppler cardiaco: IVS concentrica, alterato rilasciamento diastolico, EF conservata (60%), insufficienza mitralica di grado lieve;
  • Ecocolordoppler tronchi sovraortici: ateromasia carotidea non emodinamicamente significativa (20% bilateralmente, stabile rispetto ai precedenti controlli);
  • Esame del fondo oculare: non segni di retinopatia diabetica.

Conclusione della visita: gli esami ematochimici documentavano un peggioramento del compenso glicometabolico e uno scarso controllo pressorio. Inoltre, alcuni elementi clinici di sospetto (deficit del campo visivo, ingrandimento dei piedi, macrognazia, diastasi dentaria, apnee del sonno, sindrome del tunnel carpale) suggerivano il sospetto diagnostico di acromegalia, condizione che influisce negativamente sia sul compenso glicemico che sul controllo pressorio. Pertanto, si prescriveva il dosaggio di GH ed IGF-1 e delle altre tropine ipofisarie (PRL, TSH, LH, FSH, ACTH). Si modificava la terapia ipoglicemizzante, incrementando la posologia della metformina e introducendo un analogo insulinico lento biosimilare. In relazione allo scarso controllo pressorio e al riscontro di microalbuminuria, si introduceva ACE inibitore, in associazione fissa con il calcio-antagonista.

Terapia consigliata (Ottobre 2017)

  • Sitagliptin/Metformina 5 mg/850 mg x 2 (colazione e cena)
  • Metformina 850 mg a pranzo
  • Toujeo 8 UI la sera
  • Perindopril/Amlodipina 5/10 mg
  • Atorvastatina 20 mg

Rivalutazione (Novembre 2017)

Dopo circa un mese la paziente tornava a visita, portando in visione gli esami ematochimici prescritti:

  • GH 8.71 mcg/L (vn 0.01-3.60), IGF1 243.4 mcg/L (vn 43-179);
  • TSH 1.050 mUI/L (vn 0.400-4.00), fT3 3.75 ng/dL (vn 2.70-5.70), fT4 1.58 ng/dL (vn 0.70-1.70)
  • LH 6.8 UI/L (vn post-menopausa 10.0-80.0)
  • FSH 18.3 UI/L (vn post-menopausa 18.0-160.0)
  • E2 <20 ng/L (vn post-menopausa fino a 50)
  • PRL 8.90 mcg/L (vn 2.00-25.00)
  • ACTH 11 ng/L (vn fino a 50), cortisolo ore 8.00 9.5 mcg/dL (vn 6.7-22.6)

Gli esami erano compatibili con la diagnosi di acromegalia. Si programmava RMN della sella turcica con MdC paramagnetico, che documentava la presenza di un macroadenoma extra sellare (Fig. 1), confermando la diagnosi di acromegalia da macroadenoma GH-secernente.

Si prescriveva quindi esecuzione di esame del campo visivo (che confermava l’emianopsia temporale bilaterale) e si inviava la paziente a visita specialistica endocrinologica. Nel Febbraio 2018 la paziente si sottoponeva a intervento chirurgico di ipofisectomia trans-sfenoidale. Non si registravano complicanze intra o post-operatorie.

Alla luce della diagnosi di acromegalia si programmavano inoltre:

  • Pancolonscopia, per escludere la presenza di formazioni adenomatose del colon;
  • MOC, per escludere eventuale osteoporosi;
  • Polisonnografia e visita neurologica, in merito alla clinica compatibile con OSAS.

Rivalutazione (Giugno 2018): la paziente tornava a visita di controllo dopo circa 4 mesi dall’intervento. Portava in visione RMN della sella turcica di controllo a 3 mesi dall’intervento, che documentava exeresi apparentemente radicale del tessuto adenomatoso (Fig. 2). La paziente riferiva benessere soggettivo, con miglioramento delle apnee del sonno, valori pressori ben controllati e miglioramento dei valori glicemici a domicilio (130-140 mg/dL al risveglio, avendo gradualmente ridotto l’analogo insulinico lento, fino a sospenderlo). Alla visita si riscontrava lieve incremento ponderale (circa 2 Kg), glicemia a digiuno 124 mg/dL (glucometro), buon controllo pressorio (PA 125/70 mmHg, FC 75 bpm ritmica). Agli esami ematochimici:

  • glicemia a digiuno 106 mg/dL, HbA1C 58 mmol/mol;
  • creatinina 0.75 mg/dL, eGFR (CDK-EPI) 86 mL/min/1.73 m2; ACR 38 mg/g
  • GH: 0.85 mcg/L (v.n. 0.01-3.60), IGF-1: 129.1 mcg/L (vn 43-179); altre corticotropine nella norma
  • Emocromo ed elettroliti nella norma.

In considerazione del compenso glicometabolico, in miglioramento ma non ancora ottimale, e della presenza di obesità con difficoltà nel conseguire calo ponderale, si sostituiva il DPP4-inibitore con un GLP1-RA (Liraglutide), confermando la sospensione dell’analogo insulinico lento.

Terapia consigliata (Giugno 2018)

  • Liraglutide 0.6 mg (da titolare gradualmente a 1.8 mg)
  • Metformina 850 mg x3
  • Perindopril/Amlodipina 5/10 mg
  • Atorvastatina 20 mg

1° QUESITO

In quali pazienti andrebbe sospettata l’acromegalia?

L’acromegalia è una sindrome clinica caratterizzata da una persistente ipersecrezione di ormone della crescita (GH), causata nella maggior parte dei casi (> 95%) da un adenoma ipofisario a cellule somatotrope o, più raramente, da un adenoma misto secernente GH e PRL (1). La maggior parte degli adenomi GH-secernenti, probabilmente anche a causa del ritardo nella diagnosi, risultano macroadenomi (>10 mm). In rari casi (<5%) l’ipersecrezione di GH è determinata da un’eccessiva stimolazione delle cellule somatotrope dell’ipofisi da parte del GHRH, prodotto in eccesso in sede ipotalamica (amartomi) o ectopica (GHRH-omi in sede pancreatica, carcinoidi, carcinomi polmonari a piccole cellule). In rarissimi casi è stata documentata una secrezione ectopica di GH, per lo più dovuta a tumori intracranici originati da residui embriogenetici della migrazione verso la tasca di Rathke e la sella turcica.

Pur essendo una patologia rara, con una prevalenza stimata di circa 2.8-13.7/100,000 e un’incidenza annua di 0.2-1.1/100,000, l’acromegalia si accompagna ad un incremento significativo del rischio cardiovascolare globale e oncologico, nonché di mortalità, rendendo importante la diagnosi precoce di tale condizione (2). Tuttavia, poiché i sintomi possono essere sfumati e comparire molto lentamente nel tempo, l’acromegalia rappresenta una vera e propria sfida diagnostica, e spesso la diagnosi viene posta con un ritardo di circa 5-10 anni dalla comparsa delle prime manifestazioni, prevalentemente nella quarta decade e senza una chiara prevalenza di sesso (3).

La diagnosi di acromegalia dovrebbe essere sospettata nei soggetti che presentino le caratteristiche cliniche tipiche dell’eccesso di GH, ovvero ingrossamento della mandibola (macrognazia) e del naso, e deformazione dei tratti somatici, che divengono grossolani, oltre all’ingrossamento delle mani e dei piedi (in genere riferito come necessità di indossare guanti e scarpe di taglia superiore rispetto ai precedenti o fastidio procurato dalla fede nuziale, che diventa troppo stretta), fino all’organomegalia. Tuttavia, tali cambiamenti, pur essendo eclatanti in fase avanzata, si manifestano in maniera molto graduale, ed è piuttosto frequente che il paziente o i suoi familiari non se ne rendano conto.

Pertanto, la diagnosi di acromegalia dovrebbe essere sospettata in presenza di due o più tra i sintomi o le comorbidità riportati nella Tabella 1, anche in assenza delle tipiche deformazioni somatiche (4).

Condizioni cliniche e sintomi
associati all’acromegalia

Diagnosi di diabete o scompenso di diabete in precedenza ben controllato

Diagnosi di ipertensione arteriosa o ipertensione di difficile controllo

Coinvolgimento cardiaco (ipertrofia biventricolare e/o disfunzione sisto/diastolica)

Cefalea e/o deficit del campo visivo e/o ptosi palpebrale*, diplopia* o parestesie faciali*

Sindrome delle apnee ostruttive del sonno (OSAS)+

Poliposi del colon

Sindrome del tunnel carpale

Progressiva malocclusione dentale

Iperidrosi

Altri sintomi aspecifici: artralgie diffuse, astenia, crampi muscolari

* In alcuni casi il tumore, espandendosi lateralmente, può comprimere i nervi cranici che decorrono nel seno cavernoso (III, IV, VI e branca oftalmica e mascellare del V), determinando ptosi palpebrale, diplopia o parestesie facciali.

** La OSAS è dovuta alle alterazioni morfologiche della faringe e della laringe e alla macroglossia, ma il GH esercita anche un effetto inibitorio diretto sui centri del respiro.

La paziente in esame presentava un cluster di sintomi compatibili con la diagnosi di acromegalia. In primo luogo riferiva variazioni abbastanza tipiche delle caratteristiche somatiche, quali ingrossamento delle estremità inferiori, macrognazia, ingrossamento della lingua, diastasi degli incisivi. Inoltre, lamentava cefalea associata a deficit del campo visivo (emianopsia bitemporale), manifestazione d’esordio piuttosto comune della patologia, ascrivibile all’espansione soprasellare del tumore con conseguente stiramento della dura madre e compressione sul chiasma ottico. In aggiunta, si era verificato un marcato peggioramento del compenso glicometabolico e del controllo pressorio, apparentemente non giustificabili. Inoltre, la paziente presentava interessamento cardiaco, con ipertrofia ventricolare sinistra e alterato rilasciamento diastolico, elementi che, sebbene imputabili anche all’ipertensione arteriosa, avvaloravano ulteriormente la diagnosi di acromegalia. Altri elementi di sospetto erano la recente comparsa di sindrome del tunnel carpale e delle apnee ostruttive del sonno, oltre alla presenza di sintomi del tutto aspecifici quali astenia e facile affaticabilità.

2° QUESITO

Qual è il corretto iter diagnostico?

Una volta posto il sospetto clinico di acromegalia, è necessario effettuare il dosaggio dell’IGF-1 plasmatico, preferibile rispetto a quello del GH, in quanto quest’ultimo ha un’emivita breve (circa 20 minuti) ed è secreto con ritmo circadiano e in maniera pulsatile, essendo stimolato dall’esercizio fisico, dal sonno e dai pasti; ciò rende la concentrazione plasmatica del GH soggetta a rapide fluttuazioni nell’arco della giornata. Peraltro, i livelli di GH possono risultare elevati in molte condizioni patologiche, come malattie sistemiche, epatopatia, malnutrizione, scompenso glicemico. Viceversa, i livelli plasmatici di IGF-1 sono più stabili, riflettendo la secrezione del GH nel giorno precedente o addirittura più a lungo. Pertanto, normali livelli di IGF-1 escludono la diagnosi di acromegalia. Tuttavia, i livelli plasmatici di IGF-1 diminuiscono negli adulti di età >60 anni, sottopopolazione nella quale è possibile riscontrare falsi negativi. Inoltre, è possibile riscontrare falsi positivi in caso di malattie sistemiche intercorrenti, stati catabolici, digiuno prolungato, anoressia nervosa, insufficienza epatica, malattia renale cronica, diabete scompensato. Quest’ultima condizione merita particolare attenzione, in quanto il cattivo controllo glicemico costituisce un correlato clinico dell’acromegalia stessa; in questi casi sarebbe opportuno misurare nuovamente IGF-1 dopo aver ristabilito un adeguato controllo glicemico (1).

Una volta confermata la presenza di elevati livelli plasmatici di IGF-1, il gold standard per la diagnosi di acromegalia è rappresentato dal test di soppressione del GH dopo carico orale di glucosio (OGTT), che si effettua al mattino a digiuno, somministrando 75 g di glucosio e dosando i livelli di GH plasmatici e la glicemia ogni 30 minuti per 120 minuti; il test si considera negativo se il GH risulta soppresso (<0.4 mcg/L), mentre valori superiori consentono di porre diagnosi di acromegalia. L’OGTT trova come unica controindicazione la presenza di diabete scompensato, come nel caso descritto.

Una volta posta la diagnosi biochimica di acromegalia, lo step successivo è eseguire lo studio della sella turcica mirato ad individuare l’adenoma, mediante RMN con MdC paramagnetico o, in caso di controindicazioni, TC cranio con MdC. Nel caso in cui l’imaging eseguito mostri una compressione del chiasma ottico, o se il paziente lamenta riduzione della visione periferica, è opportuno eseguire lo studio del campo visivo. Una volta accertata la presenza di un adenoma ipofisario è consigliabile eseguire una valutazione globale della funzione ipofisaria al fine di escludere un quadro di ipopituitarismo.

Nei casi in cui non sia possibile evidenziare l’adenoma, va ipotizzata una secrezione ectopica; i tumori secernenti GHRH sono rari e si tratta prevalentemente di neoplasie neuroendocrine bronchiali o addominali, pertanto gli esami più indicati in questi casi sono una TC toraco-addominale o un Octreoscan.

3° QUESITO

Qual è la relazione tra diabete e acromegalia?

Un alterato metabolismo glucidico è complicanza non infrequente nei pazienti affetti da acromegalia; in tali pazienti, a seconda delle casistiche, la prevalenza del diabete è del 12-37%, mentre per quanto riguarda la IFG e la IGT la prevalenza sale al 16-54%. Nei soggetti acromegalici il rischio di sviluppare il diabete correla con l’età avanzata, il BMI elevato e la familiarità per diabete, esattamente come nella popolazione generale.

Visto l’esordio insidioso dell’acromegalia, circa il 20% degli acromegalici sviluppano il diabete prima che venga posta diagnosi di acromegalia (5).

Il principale meccanismo che predispone allo sviluppo del diabete nei pazienti acromegalici è l’insulino-resistenza, determinata dall’eccesso di GH, che esplica un’azione contro-insulare. Sebbene nell’acromegalia aumentino anche i livelli di IGF-1, dotato di azione insulino-simile, le complesse interazioni tra gli effetti contrastanti dei due ormoni esitano nell’insulino-resistenza; peraltro, la concentrazione plasmatica di IGF-1, rispetto a quella di GH, correla maggiormente con l’insulino-resistenza, probabilmente perché l’IGF-1 è l’effettivo mediatore degli effetti del GH, rappresentando una “misura integrata” di quest’ultimo (6).

I meccanismi con cui nell’acromegalia si sviluppa insulino-resistenza, molteplici e complessi, sono riassunti nella Figura 3.

Innanzitutto, l’eccesso di GH stimola la lipolisi (attivando l’enzima lipasi ormono-sensibile) e promuove l’uptake cellulare degli acidi grassi liberi (FFA) a livello del muscolo scheletrico (attivando l’enzima lipoprotein-lipasi, LPL); la riesterificazione a trigliceridi degli FFA comporta la produzione di prodotti intermedi (quali diacilglicerolo e ceramide), che interferiscono con l’uptake insulino-mediato del glucosio da parte del tessuto muscolare. A livello epatico, l’uptake degli FFA comporta la loro ossidazione e l’accumulo di Acetil-CoA, con aumento della gluconeogenesi; inoltre il GH sembra agire direttamente a livello epatico, determinando l’incremento della produzione di corpi chetonici. Infine, il GH sembra avere un’azione diretta a livello periferico, legandosi a specifici recettori e determinando il blocco del recettore dell’insulina-1 (IRS-1), tramite la via molecolare JAK/STAT, riducendo l’espressione del trasportatore GLUT4 e provocando, di conseguenza, la mancata utilizzazione del glucosio a livello periferico.

L’insulino-resistenza determinata dall’eccesso di GH è compensata da una condizione di iperinsulinemia; tuttavia, quando questo meccanismo compensatorio viene meno, si possono sviluppare alterazioni del metabolismo glucidico, fino al diabete. Sebbene la sensibilità insulinica sia ridotta allo stesso modo nei pazienti acromegalici con normale tolleranza glucidica e nei pazienti con IGT o diabete franco, i pazienti con normale tolleranza glucidica rispondono con una iperattività β-cellulare compensatoria, che contrasta la ridotta sensibilità insulinica; tale risposta compensatoria non si manifesta nei pazienti con IGT.

L’insulino-resistenza e la disfunzione β-cellulare, associate agli effetti metabolici sfavorevoli del GH e dell’IGF-1 sopra descritti (aumento della lipolisi e dell’ossidazione degli acidi grassi, produzione epatica di chetoni), possono condurre alla chetoacidosi diabetica, che in rari casi descritti in letteratura ha anticipato la diagnosi di acromegalia, rappresentandone la prima manifestazione. Tale grave complicanza, inoltre, può essere favorita nei soggetti acromegalici da una concomitante terapia steroidea, che affligge negativamente il metabolismo glucidico e peggiora l’insulino-resistenza (7).

Per quanto concerne l’impatto sulla morbidità e la mortalità cardiovascolare, il ruolo del diabete nei pazienti acromegalici è scarsamente definito, anche se sembra associarsi a una prognosi peggiore. Pertanto, l’obiettivo del trattamento del diabete nei pazienti acromegalici deve essere il medesimo che ci si prefigge in quelli non acromegalici, ovvero ottenere un adeguato controllo glicemico e prevenire le complicanze micro e macrovascolari. Poiché nei soggetti acromegalici la principale causa di mortalità è la malattia cardiovascolare, questi pazienti andrebbero considerati ad alto rischio cardiovascolare, mettendo in atto gli interventi necessari per ridurlo quanto più possibile (controllo glicemico, pressorio e del profilo lipidico) (8).

4° QUESITO

Quali sono le scelte terapeutiche più appropriate nel paziente diabetico e acromegalico?

L’algoritmo terapeutico per l’acromegalia è descritto nella Figura 4.

Il cardine del trattamento nell’acromegalia è la chirurgia, solitamente eseguita con approccio trans-sfenoidale. Le complicanze della chirurgia sono relativamente rare (5-7%) e comprendono sanguinamento nasale, peggioramento della vista, liquorrea nasale e ipopituitarismo. Tramite la chirurgia si ottiene la remissione della malattia in più dell’85% dei pazienti con microadenoma e nel 40-50% dei pazienti con macroadenoma. Se il tessuto adenomatoso viene rimosso completamente i livelli plasmatici di GH tornano alla normalità nell’arco di alcune ore, mentre quelli di IGF-1 si normalizzano nell’arco di settimane/mesi; questo comporta il miglioramento della tolleranza glucidica, che correla meglio con la normalizzazione dei livelli di IGF-1 rispetto a quelli di GH.

La terapia medica può avere un ruolo adiuvante prima della chirurgia, per ottenere un’iniziale “debulking” della massa e per prevenire complicanze durante l’intervento chirurgico. Inoltre, la terapia medica trova indicazione qualora la chirurgia non sia stata risolutiva, o lo sia stata solo in parte, oppure in caso di rifiuto del paziente di sottoporsi all’intervento. Infine, la terapia medica è l’opzione di prima scelta in presenza di macroadenoma di grosse dimensioni che non determini compressione chiasmatica, condizione in cui la chirurgia ha scarse probabilità di successo. Sono disponibili tre classi di farmaci: i) gli agonisti del recettore D2 della dopamina (bromocriptina e cabergolina); ii) gli agonisti della somatostatina (octreotide, lanreotide e pasireotide); iii) un antagonista del recettore del GH (pegvisomant), che risulta altamente efficace laddove abbiano fallito altri trattamenti.

Pur essendovi pochi studi relativi all’impatto sul metabolismo glucidico dei farmaci dopamino-agonisti, questi ultimi appaiono in grado di migliorare il compenso glicemico nei soggetti acromegalici.

I risultati degli studi sull’effetto degli agonisti della somatostatina sul metabolismo glucidico hanno dato risultati contrastanti; complessivamente, i dati in letteratura documentano un modesto peggioramento del compenso glicemico a seguito del trattamento con tali farmaci, imputabile all’inibizione della secrezione insulinica (mediata principalmente dal recettore SST5). Tuttavia, quest’effetto è clinicamente trascurabile ed inoltre è contrastato dalla riduzione dei livelli di GH, qualora venga raggiunto un buon controllo della malattia; fa eccezione il pasireotide, farmaco di nuova generazione che, a fronte di una maggiore efficacia nel trattamento dell’acromegalia, ha un effetto peggiorativo sul compenso glicemico più evidente rispetto a lanreotide e bromocriptina, dovuto ad una riduzione della secrezione insulinica e della risposta incretinica.

Infine, il pegvisomant, analogo del GH prodotto mediante ingegneria genetica, agisce legandosi ai recettori del GH, impedendo il legame dell’ormone endogeno e riducendo la produzione di IGF-1. In questo modo il farmaco neutralizza anche gli effetti metabolici dell’eccesso di GH, riducendo la glicemia a digiuno e migliorando la sensibilità insulinica nei soggetti acromegalici (9).

La radioterapia è raccomandata come trattamento adiuvante in caso di persistenza di malattia dopo terapia chirurgica o medica (1).

In merito alla gestione del diabete nei pazienti acromegalici, questi ultimi possono essere trattati allo stesso modo dei pazienti diabetici non acromegalici, secondo gli standard di terapia più aggiornati. Fa eccezione il caso in cui la terapia con pasireotide si associ a un peggioramento del compenso glico-metabolico; in questo caso si sono dimostrati più efficaci i farmaci che agiscono sul sistema incretinico (nello specifico vildagliptin e liraglutide).

È descritto in letteratura il caso di un paziente con acromegalia misconosciuta in cui, a seguito dell’utilizzo di un SGLT2i, è insorta chetoacidosi diabetica. La chetoacidosi è descritta come una rara possibilità di presentazione dell’acromegalia; d’altro canto, la chetoacidosi euglicemica è una complicanza riconosciuta, sebbene rara, associata all’utilizzo degli SGLT2i. Pertanto questi farmaci, seppur dotati di effetti positivi sia in termini metabolici sia in termini di protezione cardiovascolare e renale, dovrebbero essere usati con cautela in caso di acromegalia attiva, così come in quei pazienti acromegalici con buon controllo della malattia ma che, a seguito di una condizione di iperglicemia cronica, abbiano verosimilmente una scarsa riserva β-cellulare (10-11).

In sintesi, la presenza del diabete non deve influenzare la terapia medica dell’acromegalia, essendo l’impatto di quest’ultima sul metabolismo glucidico facilmente gestibile nella comune pratica clinica. Anche per quanto concerne la terapia ipoglicemizzante nel paziente acromegalico che sviluppi diabete (o, come nel nostro caso, peggioramento del compenso glicometabolico), l’atteggiamento terapeutico non deve differire da quello tenuto nei confronti di pazienti non acromegalici, tranne i casi in cui sia in atto terapia con l’analogo della somatostatina pasireotide, in cui vi sono evidenze di una maggiore efficacia dei farmaci che agiscono sul sistema incretinico; infine, l’utilizzo degli SGLT2i richiede cautela in caso di malattia attiva.

BIBLIOGRAFIA

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