Rubrica Caso Clinico a cura di Francesco Dotta1, Anna Solini2
1U.O.C. Diabetologia, Azienda Ospedaliera Universitaria Senese, Università degli Studi di Siena; 2Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università degli Studi di Pisa
Un caso di diabete di tipo 1 associato a Stiff- person syndrome (SPS) e a tiroidite cronica autoimmune
Laura Nigi, Valentina Belardini, Giulia Busonero, Caterina Formichi, Silvia Memmo, Francesco Dotta
U.O.C. Diabetologia e U.O.C. Endocrinologia, Università degli Studi di Siena
È giunta alla nostra osservazione una donna di 41 anni per un inqua- dramento diagnostico-terapeutico in merito al riscontro di una gli- cemia a digiuno di 263 mg/dl, in occasione di esami ematochimici di routine. La paziente è affetta da circa 5 anni da ipertensione arteriosa (in terapia con valsartan ed idroclorotiazide) e tre anni fa veniva posta diagnosi di Stiff-person syndrome (SPS), in seguito ad accertamenti eseguiti presso lo specialista neurologo, per la comparsa di rigidità muscolare progressiva a livello del tronco e delle anche, associata a spasmi muscolari dolorosi. Un anno fa circa, veniva infine diagnosti- cata una tiroidite cronica autoimmune, in attuale eutiroidismo.
Gli esami ematochimici eseguiti in occasione della visita conferma- vano la presenza di iperglicemia (278 mg/dl), associata ad un valore di emoglobina glicata di 9,8% e alla presenza di chetoni urinari. La pa- ziente riferiva inoltre poliuria e polidipsia, in assenza di altri sintomi. Veniva effettuato il dosaggio degli anticorpi anti decarbossilasi dell’a- cido glutammico (GADA) e anti tirosino fosfatasi IA-2 (IA-2A), risulta- ti entrambi positivi (19 UI/ml e 35 U/ml, rispettivamente).[protected]
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Cos’è la Stiff-person syndrome?
CLINICA E PATOGENESI
La “Stiff-person syndrome” (SPS, sindrome della perso- na rigida) è una rara malattia neurologica a patogenesi autoimmune, caratterizzata essenzialmente da rigidità fluttuante a livello del tronco e degli arti, spasmi musco- lari dolorosi e sviluppo di disturbi psichiatrici. L’inciden- za è di 1:1.000.000, con maggior frequenza intorno alla quinta decade di vita; colpisce entrambi i sessi, con un rapporto femmine/maschi di 2:1, senza differenze tra le varie etnie. La sintomatologia si sviluppa nel corso di mesi o anni. La rigidità, dovuta alla contemporanea contrazione di muscoli agonisti e antagonisti, riguarda soprattutto i muscoli prossimali, paraspinali e addomi- nali, per poi estendersi ai muscoli prossimali degli arti e può comportare la comparsa d’iperlordosi. Rigidità e spasmi dolorosi determinano nel tempo impossibilità a camminare e a svolgere le normali attività quotidiane in circa il 65% dei pazienti. È infine molto frequente il riscontro di ansia, fobie e depressione (che talvolta ren- dono difficile la diagnosi), e la presenza di un’eccessiva risposta allo stress con comparsa di spasmi prolungati e dolorosi in caso di rumori improvvisi o spaventi. Tale quadro clinico, legato ad una possibile alterazione dei meccanismi neuronali di controllo e di inibizione, ha fin da subito fatto supporre un possibile ruolo patogenetico del sistema GABAergico. In effetti, nei pazienti affetti da SPS è stata documentata una riduzione dei livelli di GABA sia nel liquido cerebrospinale che nell’encefalo e ci sono prove evidenti di meccanismi autoimmunitari contro molecole della sinapsi GABAergica, che possono alterare la funzione del neurotrasmettitore. La sintoma- tologia della SPS sembrerebbe rappresentare il risultato di una deficienza immuno-mediata di acido gamma- amino-butirrico (GABA). Il target antigenico più comune è rappresentato dall’enzima GAD65 (acido glutammico decarbossilasi) che media la tappa limitante nella sin- tesi del GABA, ed alti livelli di anticorpi anti-GAD65 si osservano in circa l’80% dei pazienti con SPS. Tale enzi- ma è selettivamente espresso nei neuroni GABAergici, nelle β-cellule pancreatiche e nel tessuto testicolare ed ovarico. Il possibile ruolo patogenetico degli anticorpi anti-GAD65 è stato dimostrato in studi in vitro nei quali IgG anti-GAD65, ottenute da pazienti con SPS, inibivano l’attività di GAD e limitavano la sintesi di GABA. Studi in vivo hanno inoltre mostrato come l’infusione intratecale di IgG anti-GAD, ottenute da pazienti con SPS, in ratti anestetizzati, aumentava l’eccitabilità neuronale. Un al- tro autoanticorpo, diretto contro la proteina associata al recettore del GABA (Ab anti-GABARAP), si riscontra nel 50% circa dei pazienti con SPS ed anche questo sembrereb- be svolgere un ruolo patogenetico, alterando la stabilità del recettore per il GABA a livello neuronale. Infine altri due autoanticorpi, i quali si osservano soprattutto nella variante paraneoplastica della SPS e connessi con la tra- smissione GABAergica sono rappresentati dall’anticorpo anti-anfisina (5% dei pazienti con SPS) e dall’anticorpo anti-gefirina (descritto in un solo caso). Oltre al sistema GABAergico, anche il sistema neuroinibitorio della gli- cina può essere implicato nella patogenesi della SPS, ed in effetti anticorpi anti-recettore della glicina 1-alfa si osservano nel 15-20% dei pazienti. Tale sistema neuromo- dulatorio sembra essere implicato soprattutto nello svi- luppo dell’ipereccitabilità muscolare caratteristica della SPS.
CRITERI DIAGNOSTICI
La diagnosi di SPS si basa principalmente sull’osserva- zione clinica e sull’esclusione di altre possibili cause. La conferma avviene tramite il riscontro di anticorpi anti- GAD (spesso ad alto titolo) nel siero e nel liquido cerebro- spinale e dalle caratteristiche anomalie elettromiogra- fiche (presenza di potenziale dell’unità motoria anche a riposo, che può essere ridotto dalla somministrazione di benzodiazepine). In aggiunta è possibile osservare un’esaltazione dei riflessi tendinei profondi, talvolta con comparsa di cloni muscolari. Nella nostra paziente la diagnosi di Stiff-person syndrome è stata posta in base al quadro clinico, al ri- scontro all’elettromiografia di un’attivazione di potenziali continui a carico delle unità motorie dei muscoli agonisti e antagonisti e di livelli elevati di GADA sia a livello sierico che del liquido cerebro-spinale. L’esame neurologico risultava sostanzialmente nella norma ad eccezione della presenza di rigidità muscolare e una RMN, eseguita a livello dell’ encefalo e del midollo spinale, non mostrava reperti patologici.
TERAPIA
Non esistono ad oggi linee guida in merito alla terapia di questa rara malattia ed in letteratura non sono presenti ampi studi controllati. I farmaci utilizzati storicamen- te in prima linea sono i GABA agonisti, in particolare il diazepam, ma anche altre benzodiazepine, le quali in- crementano l’attività GABAergica. Il razionale per il loro impiego si basa sulla patogenesi della malattia, in cui i ridotti livelli di GABA sono responsabili del quadro sinto- matologico. Tuttavia la risposta alla terapia non è omo- genea nella popolazione affetta, sia per quanto riguarda il dosaggio del farmaco utilizzato, che la durata dell’ef- ficacia; essa risulta inoltre gravata da effetti collaterali che ne riducono la tollerabilità e quindi l’utilizzo nella pratica clinica. Infatti, agendo tramite un’ipereccitabi- lità dei centri soprasegmentali, questi farmaci possono provocare in un primo momento la comparsa di nausea, discinesia, psicosi e depressione e, successivamente, di- pendenza e tolleranza, con uno scarso controllo del dolo- re. Per tali motivi spesso viene associato un altro GABA agonista, il baclofene, in contemporanea alla riduzione della posologia della benzodiazepina. Esistono inoltre terapie alternative quali gli immunomodulatori che stanno diventando sempre più la terapia di prima scelta e che comprendono la somministrazione di corticosteroi- di come il prednisone, immunoglobuline G ad alte dosi endovena ed in casi selezionati regolare plasmaferesi, con miglioramento della sintomatologia, secondaria alla riduzione del titolo anticorpale dei GADA a livello sieri- co. Tuttavia anche le suddette terapie non sono scevre da effetti collaterali. In fase di sperimentazione vi è infine il rituximab, un anticorpo monoclonale che ha come ber- saglio la proteina CD20 espressa sulla superficie dei lin- fociti B, con riduzione del numero di tali cellule e della produzione di anti-GAD65, con una maggiore efficacia tramite somministrazione intratecale.
La nostra paziente è attualmente in terapia con clonaze- pam e baclofene con un buon controllo del quadro sinto- matologico. Nella prima fase della malattia è stata inol- tre trattata con terapia corticosteroidea.
STIFF-PERSON SYNDROME E DIABETE DI TIPO 1
La Stiff-person syndrome si associa nel 35% dei casi al dia- bete di tipo I (DM1) e l’enzima glutammico decarbossilasi (GAD) rappresenta uno dei target antigenici fondamen- tali in entrambe queste patologie autoimmuni. La mole- cola di GAD esiste in due differenti isoforme da 65 kDa (585 aminoacidi) e 67 kDa (594 aminoacidi), codificate da due geni distinti. Le sequenze aminoacidiche del GAD65 e del GAD67 hanno ampie omologie soprattutto nella re- gione mediana e nella regione carbossi-terminale della proteina, mentre differiscono in maniera sostanziale nella regione amino-terminale. Differenze nei residui amino-terminali della proteina sono responsabili anche di una diversa localizzazione cellulare delle due isofor- me; GAD65 è infatti espressa nelle β-cellule pancreatiche e nelle vescicole sinaptiche neuronali, mentre GAD67 nel citoplasma delle cellule neuronali. Le due isoforme enzi- matiche differiscono inoltre nell’interazione con il cofat- tore piridossal-5’-fosfato (PLP): GAD67 è costantemente saturato con PLP, mentre GAD65 è presente in maggior proporzione come apo-enzima inattivo. È stato suggerito che GAD67 regoli i livelli basali di GABA (la sua assenza è infatti incompatibile con la vita in modelli animali) mentre GAD65 sembra svolgere un’azione regolatoria dei livelli di GABA in situazioni di improvviso aumento delle richieste (in modelli animali GAD65-knockout, si assiste alla sopravvivenza fino all’età adulta sebbene possano presentarsi crisi epilettiche e convulsive, indotte perlo- più da stress). Gli anticorpi anti-GAD65 sono stati identi- ficati sia in soggetti affetti da SPS (i quali presentano tut- tavia anche anticorpi specifici verso l’isoforma GAD67) sia in pazienti con DM1. Come sappiamo, tali anticorpi rappresentano un marker importante del processo au- toimmunitario che caratterizza questa forma di diabete e risultano presenti in circa il 70-80% dei pazienti neodia- gnosticati. Dopo l’individuazione di GAD65 come target antigenico comune, sono stati condotti numerosi studi per capire come un processo autoimmune diretto contro la stessa proteina potesse determinare lo sviluppo di due patologie diverse, anche se spesso associate. Sono state identificate infatti delle differenze del profilo anticorpa- le nell’ambito delle due malattie. Innanzitutto i pazienti con SPS hanno solitamente un titolo anticorpale sierico di GADA notevolmente più elevato rispetto ai pazienti con DM1 (nei quali peraltro non sono presenti anticorpi a livello del liquido cerebrospinale). Inoltre, gli autoanticor- pi anti-GAD65 presenti nei pazienti con SPS sono in grado di legare anche forme denaturate della proteina, ricono- scendo quindi epitopi lineari nella molecola di GAD, loca- lizzati nella regione amino-terminale; gli autoanticorpi presenti nei pazienti con DM1, invece, non sono in grado di legare forme denaturate della proteina, e sono quindi specifici per epitopi conformazionali. Tutto ciò comporta una diversa capacità nel ridurre l’attività enzimatica di GAD (con conseguente alterazione della sintesi di GABA) da parte degli autoanticorpi, che è una caratteristica esclusiva della SPS, in quanto nel DM1 gli anti-GAD non svolgono un ruolo patogenetico, ma soltanto diagnostico e predittivo nei soggetti a rischio di sviluppare la malat- tia. A tal proposito, alcuni autori hanno dimostrato che dopo l’infusione sperimentale di anti-GAD65 umani nel ratto, a livello cerebellare, nel caso in cui gli anticorpi provenissero da soggetti con SPS venivano trasmesse al- cune caratteristiche cliniche tipiche della malattia cosa che non succedeva nel caso in cui gli anticorpi provenis- sero da pazienti con DM1.
Infine, studi riguardanti la distribuzione delle diverse classi di IgG rivolte verso l’enzima GAD hanno evidenzia- to come le IgG1 rappresentino la classe preponderante sia nella SPS che nel DM1 alla diagnosi, tuttavia nella SPS i pazienti presentano una più ampia gamma di classi IgG e i pazienti DM1 mostrano solitamente livelli più elevati di IgG3.
CONCLUSIONI
La Stiff-person syndrome, dunque, risulta spesso asso- ciata al diabete di tipo 1 ma anche ad altre malattie au- toimmuni, come ad esempio la tiroidite cronica (come nel caso della nostra paziente), il morbo di Graves, la vi- tiligine, l’anemia perniciosa. Pertanto, potrebbe essere utile, nel caso venga posta diagnosi di SPS, eseguire uno screening autoanticorpale nei confronti degli autoanti- geni più frequentemente coinvolti nei processi autoim- munitari. Nella nostra paziente è stata posta diagnosi di diabete di tipo 1 ed è stata impostata una terapia insulinica multi-iniettiva secondo uno schema basal-bolus. Inoltre, a completamento, è stato effettuato il dosaggio degli anticorpi anti cellule parietali gastriche, anti-surrene, anti-gliadina, anti-endomisio ed anti-transglutaminasi risultati tutti negativi.
LETTURE CONSIGLIATE
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