a cura di Anna Solini1, Agostino Consoli2
1Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università degli Studi di Pisa; 2Dipartimento di Medicina e Scienze dell’Invecchiamento, Università degli Studi di Chieti-Pescara “G. D’Annunzio”
L’ultimo numero del 2017 de il Diabete ospita un pragmatico e intelligente commento allo studio TOSCA, redatto con grande obiettività dai suoi stessi Autori. Questo trial multicentrico randomizzato è stato disegnato per valutare gli effetti a lungo termine della terapia con pioglitazone vs sulfoniluree in pazienti con diabete tipo 2 non più compensati con la sola metformina.
Il TOSCA è uno studio di cui la comunità diabetologica italiana deve andare fiera: indipendente (finanziato da SID ed AIFA) e condotto interamente in Italia, confronta due farmaci non di ultima generazione, e quindi poco allettanti dal punto di vista commerciale. La sua validità e originalità consistono nel fatto che siamo di fronte all’unico ampio studio di confronto head-to-head fra due farmaci antidiabete. Pur in presenza di risultati apparentemente deludenti in termini di outcome cardiovascolari (del resto prevedibili in una coorte di soggetti a basso rischio cardiovascolare, quale era quella del TOSCA), lo studio ha fornito indicazioni cliniche di grande utilità riguardo alla efficacia e alla sicurezza d’uso di entrambi in farmaci, con un piccolo ma rilevante vantaggio per il pioglitazone in termini di efficacia e di rischio di ipoglicemie.
Raccomandiamo a tutti una lettura attenta di questo eccellente contributo.
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TOSCA.IT (Thiazolidinediones Or Sulphonilureas and Cardiovascular Accidents. Intervention Trial)
DISCUSSANT
Olga Vaccaro, Maria Masulli, Gabriele Riccardi
Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia – Università Federico II, Napoli
Evidenze prima di questo studio ed obiettivi dello studio
Ci sono evidenze che un buon controllo glicemico instaurato all’inizio della malattia riduce l’incidenza di complicanze microvascolari e dell’infarto del miocardio nelle persone con diabete tipo 2 (1-2). Tuttavia, mantenere nel lungo termine il compenso glicemico è difficile perché richiede collaborazione da parte del paziente ed anche una progressiva intensificazione del trattamento ipoglicemizzante. Nello studio UKPDS, dopo tre anni dall’inizio di terapia con metformina o sulfonilurea, circa il 50% dei pazienti necessitava dell’aggiunta di un secondo farmaco per mantenere un buon controllo glicemico (3). Attualmente la terapia raccomandata come prima scelta per il diabete tipo 2 è la metformina, ma non ci sono chiare indicazioni su quale sia la migliore opzione per il farmaco da aggiungere alla metformina quando questa da sola non è più efficace. Le linee guida, pur dando alcune indicazioni, sostanzialmente lasciano questa scelta al giudizio clinico in quanto mancano dati di confronto testa a testa tra diverse classi di farmaci su cui basare la scelta (4-5). Le sulfoniluree o il pioglitazone rappresentano entrambi una possibile opzione, tuttavia questi due farmaci sono molto diversi tra loro per meccanismo di azione ed effetti metabolici. Le sulfoniluree (SU) sono farmaci molto efficaci e, sebbene il loro uso sia in decremento, sono ancora largamente utilizzate in associazione alla metformina in tutto il mondo.
Recenti dati italiani di analisi del database ARNO dimostrano che le SU sono ancora oggi i farmaci ipoglicemizzanti orali più utilizzati dopo la metformina in Italia (6-7) (Fig. 1). Tuttavia le SU sono gravate da effetti collaterali indesiderati come l’ipoglicemia e l’aumento di peso, inoltre la sicurezza cardiovascolare delle SU è stata messa in discussione ed ancora oggi, dopo oltre 50 anni di largo utilizzo di questi farmaci, il dibattito rimane aperto (8-9). La sicurezza generale e l’efficacia delle SU in confronto ad altri farmaci non sono mai state testate in un trial.
I TZD potrebbero rappresentare una valida alternativa all’uso delle SU; non provocano ipoglicemie, migliorano la sensibilità insulinica ed i fattori di rischio associati alla insulinoresistenza. Inoltre il pioglitazone – l’unico TZD in commercio dopo il ritiro del rosiglitazone a causa di un sospetto aumento del rischio CV – ha dimostrato effetti protettivi verso gli eventi cardiovascolari ischemici nello studio PROACTIVE condotto in pazienti con diabete tipo 2, e più recentemente nello studio IRIS condotto in persone senza diabete (10-11). Tuttavia, l’uso del pioglitazone nella pratica clinica è stato fortemente limitato dagli effetti collaterali, in particolare, l’aumento di peso, l’aumentato rischio di insufficienza cardiaca e di fratture patologiche, ed il sospetto di un aumentato rischio di cancro della vescica (12-14).
Lo studio TOSCA.IT è stato disegnato per confrontare gli effetti a lungo termine del pioglitazone o delle sulfoniluree utilizzati in aggiunta alla metformina nel trattamento dei pazienti con diabete tipo 2 insufficientemente controllati con la sola metformina. In particolare, lo studio si propone di confrontare la mortalità totale, l’incidenza di eventi cardiovascolari, l’efficacia terapeutica e gli effetti collaterali delle due opzioni terapeutiche, metformina +pioglitazone, o metformina + SU.
Cosa è lo studio TOSCA.IT
TOSCA.IT è un trial pragmatico, multicentrico (clinical trial.gov NCT00700856) condotto in 57 centri per la cura del diabete distribuiti su tutto il territorio nazionale. I dettagli del protocollo ed i principali risultati dello studio sono stati pubblicati (15-16). In breve, 3028 pazienti in terapia con metformina (2g/die) ed emoglobina glicata ≥7% e ≤9% sono stati assegnati in maniera casuale all’aggiunta di pioglitazone o di una SU. Lo studio non era in cieco, sia gli sperimentatori che i pazienti erano a conoscenza del trattamento assegnato. La SU veniva scelta dallo sperimentatore seguendo la pratica clinica locale: rispettivamente il 2%, 48% e 50% sono stati allocati a glibenclamide, gliclazide o glimepiride. I pazienti con insufficienza cardiaca classe NYAHA ≥1, o con insufficienza renale (creatinina >1.5 mg/dl) sono stati esclusi dallo studio. Il follow-up è durato circa cinque anni (mediana 57.3 mesi, IQR 42.2-60.2). I pazienti erano seguiti secondo la pratica clinica. Ogni sei mesi veniva effettuato il controllo clinico e la misurazione della emoglobina glicata; ogni anno si praticavano ECG, profilo lipidico, creatininemia e microalbuminuria. Visite più frequenti potevano essere programmate a giudizio degli sperimentatori sulla base delle condizioni cliniche del paziente. Il protocollo non prevedeva target prespecificati di emoglobina glicata, pressione arteriosa e lipidi, ma gli sperimentatori venivano incoraggiati a seguire le linee guida.
L’obiettivo principale dello studio era valutare l’incidenza di un end point composito costituito da morte per tutte le cause, infarto non fatale, ictus non fatale, rivascolarizzazione coronarica in emergenza. Il principale end point secondario era rappresentato da un end point composito di eventi cardiovascolari ischemici (morte cardiovascolare, infarto, ictus, rivascolarizzazione coronarica o extracoronarica). Gli end points ed alcuni effetti collaterali di particolare interesse per i farmaci in uso – neoplasie, fratture patologiche insufficienza cardiaca, edema maculare – venivano aggiudicati da una commissione esterna di esperti che non era a conoscenza della assegnazione del trattamento.
Cosa ha dimostrato lo studio
I due gruppi di trattamento all’inizio dello studio erano confrontabili per caratteristiche cliniche e metaboliche (età, sesso, IMC, durata del diabete, HbA1c, profilo lipidico e pressione arteriosa). In media i partecipanti avevano 62 anni ed una durata del diabete di 8 anni. La maggior parte dei pazienti (89%) non aveva avuto un precedente evento cardiovascolare. I valori medi di colesterolo LDL, trigliceridi e pressione arteriosa erano molto vicini al target consigliato dalle linee guida per persone con diabete senza precedenti eventi cardiovascolari, inoltre una percentuale molto elevata di pazienti era in trattamento con antiipertensivi ed ipolipidemizzanti (Tab. 1).
Complessivamente l’incidenza degli eventi end point è stata molto bassa – 213 (7%) in circa cinque anni di osservazione – all’incirca la metà di quelli attesi e calcolati sulla base dei dati dello studio PROACTIVE condotto circa dieci anni prima. A causa del basso numero di eventi lo studio è stato chiuso a maggio 2017 sulla base di una analisi di futilità raccomandata dal Data Safety Monitoring Board, la commissione esterna di esperti che vigila sulla efficacia e sulla sicurezza dello studio. Questa analisi ha permesso di stimare che anche protraendo lo studio fino al raggiungimento del prefissato numero di eventi, la probabilità di osservare una differenza significativa tra i due gruppi di trattamento era inferiore al 5%. In particolare, l’incidenza dell’end point primario (morte per tutte le cause, infarto non fatale, ictus non fatale, rivascolarizzazione coronarica in emergenza) è stata di 1.5 per 100 persone-anno, senza differenze significative tra il gruppo trattato con pioglitazone o con sulfonilurea (HR 0.96, CI 95% 0.74-1.26; p=0.79). L’incidenza del principale end point secondario (morte cardiovascolare, infarto, ictus, rivascolarizzazione coronarica o extracoronarica) è stata di 1.1 per 100 persone-anno, senza differenze significative tra il gruppo trattato con pioglitazone o con sulfoniluree (HR 0.88, CI 95% 0.65-1.21; p=0.44) (Tab. 2).
Durante lo studio, un numero significativamente più elevato di pazienti ha sospeso il farmaco in studio nel gruppo trattato con pioglitazone rispetto al gruppo trattato con SU (28% vs 16%, p<0.001): questo si è verificato principalmente perché nel 2011 il pioglitazone è stato ritirato dal mercato in Francia e Germania per un sospetto di aumentato rischio di cancro della vescica, per questo motivo molti pazienti, ed anche molti medici, si sono sentiti insicuri nel continuare il trattamento assegnato. Gli eventi end point sono stati, quindi, valutati anche in una analisi post hoc, cioè non prevista inizialmente, e condotta analizzando solo il periodo di osservazione durante il quale i pazienti hanno effettivamente assunto i farmaci in studio. Questa analisi mostra una riduzione significativa nella incidenza di eventi cardiovascolari ischemici nel gruppo trattato con pioglitazone (HR 0.67, 95% CI 0.47-0.96, p< 0.03) (Tab. 3).
Per quanto riguarda l’efficacia ipoglicemizzante, entrambi i trattamenti si sono dimostrati efficaci, ma il pioglitazone si associa ad una maggiore durabilità dell’effetto ipoglicemizzante ed un numero significativamente più basso di pazienti in questo gruppo ha avuto bisogno di terapia insulinica (11% vs 16%).
Gli effetti sul peso corporeo e sui fattori di rischio CV non erano significativamente differenti tra i due bracci di trattamento, tranne che per il colesterolo HDL che si riduceva in maniera significativamente maggiore nel gruppo trattato con pioglitazone. Come atteso le ipoglicemie erano più frequenti con le SU (32% vs 10%) ed erano in parte dovute al più frequente uso di concomitante terapia insulinica in questo gruppo. Tuttavia, le ipoglicemie gravi, quelle cioè che hanno richiesto aiuto per la risoluzione, sono state rare: 24 (2%) e 2 (<1%), rispettivamente nel gruppo trattato con SU o pioglitazone.
Per quanto riguarda la sicurezza, gli eventi avversi di particolare interesse per i farmaci in studio sono stati aggiudicati da una commissione esterna di esperti. I casi di insufficienza cardiaca sono stati pochi: 19 nel gruppo pio e 12 nel gruppo SU, i.e. eccesso di circa 1 caso per 1000 pazienti-anno, con il pioglitazone; non c’è stato nessun caso fatale. Le fratture patologiche sono state rispettivamente 6 PIO vs 4 SU, con un eccesso di 0.3 casi per 1000 pazienti-anno con il pioglitazone. Le neoplasie sono state in tutto 78 PIO vs. 72 SU, con un eccesso di meno di 1 caso per 1000 pazienti-anno, in particolare le neoplasie della vescica sono state 8 casi vs 8 casi.
In conclusione, i risultati dello studio indicano che il pioglitazone o le SU (glimepiride e gliclazide), utilizzati in associazione alla metformina, sono entrambi efficaci nel controllare l’iperglicemia nel lungo termine e non sono associati con effetti collaterali clinicamente rilevanti. Tuttavia, il pioglitazone si dimostra più vantaggioso per una maggiore durabilità del compenso glicemico, minore rischio di ipoglicemia ed effetti favorevoli sul profilo lipidico.
Cosa abbiamo imparato da questo studio
Un primo dato importante di questo studio è che la mortalità totale e cardiovascolare è stata molto bassa in entrambi i gruppi di trattamento, 213 eventi (7% dei pazienti) in circa cinque anni di osservazione. L’incidenza di eventi è circa la metà di quelli attesi e calcolati sulla base dei dati dello studio PROACTIVE condotto circa dieci anni prima. Questo è spiegato dal fatto che il rischio assoluto cardiovascolare nella popolazione dello studio TOSCA è relativamente basso. Si tratta di pazienti con un controllo ottimale dei fattori di rischio cardiovascolare, con bassa prevalenza di precedenti eventi CV (solo 11%) e bassa prevalenza di fumatori. La bassa incidenza di eventi è in linea con alcuni recenti dati di studi di osservazione che dimostrano come nelle persone con diabete senza precedenti eventi e con correzione ottimale dei fattori di rischio CV la mortalità cardiovascolare non sia molto più elevata di quella osservata nelle persone senza diabete (17). Questo conferma dati precedenti che dimostrano che il diabete non é necessariamente da considerare un “equivalente cardiovascolare”, al contrario una stratificazione del rischio è rilevante anche nelle persone con diabete e deve guidare le strategie terapeutiche (18).
Per quanto riguarda l’effetto dei trattamenti ipoglicemizzanti, non è stata osservata differenza significativa nella incidenza dell’end point primario e secondario tra i due trattamenti. Questo risultato è in apparente contraddizione con i risultati dello studio PROACTIVE e del più recente studio IRIS (10-11), che hanno dimostrato una riduzione degli eventi CV sia nelle persone con diabete (PROACTIVE) che nelle persone senza diabete (IRIS). C’è tuttavia da considerare che entrambi questi studi hanno arruolato partecipanti con pregressi eventi CV mentre lo studio TOSCA.IT ha arruolato pazienti per lo più in prevenzione primaria – solo 11 % riportavano un regresso evento CV. È possibile che gli effetti protettivi del pioglitazone non siano apprezzabili in una popolazione a basso rischio come quella arruolata in TOSCA.IT. Inoltre, bisogna ricordare che sia PROACTIVE che IRIS erano condotti verso placebo, è possibile che l’uso di un comparatore attivo nel gruppo di controllo abbia in parte offuscato l’effetto protettivo del pioglitazone in questo studio: è utile ricordare a questo proposito che gli effetti cardiovascolari negativi delle sulfoniluree sono stati attribuiti principalmente alla glibenclamide che nello studio TOSCA.IT praticamente non è stata utilizzata. Infine, va sottolineato che la definizione di eventi cardiovascolari era diversa nello studio TOSCA.IT rispetto agli altri due studi in quanto nel nostro studio si consideravano sia gli eventi ischemici di natura aterosclerotica sia eventi cardiovascolari di altra natura, come ad esempio lo scompenso cardiaco. Quando, nell’analisi “on treatment” condotta sui pazienti che mantenevano la terapia assegnata fino alla fine dello studio si andava a valutare l’impatto delle due strategie di trattamento solo sugli eventi ischemici (i.e. principale end point secondario), anche nel nostro studio si registrava una significativa riduzione di questi eventi (-33 %) con il pioglitazone (Tab. 2), come nello studio IRIS e nel PROACTIVE. Comunque, nel complesso i risultati suggeriscono che nella prevenzione primaria degli eventi cardiovascolari nelle persone con diabete tipo 2 l’effetto dei farmaci ipoglicemizzanti (nella fattispecie pioglitazone o SU) non è rilevante. In questi pazienti si è dimostrato più efficace un intervento multifattoriale rivolto al controllo ottimale della glicemia e dei maggiori fattori di rischio CV, come dimostrato dallo studio STENO (19).
Un altro messaggio importante di questo studio per la pratica clinica riguarda gli effetti collaterali dei due trattamenti. TOSCA.IT ha evidenziato un modesto incremento del peso corporeo (meno di due Kg in cinque anni) senza differenze significative tra i due gruppi di trattamento. Un aumento decisamente più importante è stato riportato in altri studi, soprattutto con l’uso del pioglitazone. È possibile che l’utilizzo di dosaggi non troppo elevati dei due farmaci (in media 23.0 ± 8.6 mg per il pioglitazone, 7.6 ± 4.0 mg per la glibenclamide, 2.5 ± 0.9 mg per la glimepiride e 42.0 ± 16.6 per la gliclazide) abbiano avuto un ruolo nel limitare l’incremento di peso, in aggiunta, per quanto riguarda il pioglitazone l’esclusione di pazienti con insufficienza cardiaca (classe NYHA 1 o più) può avere limitato i casi di ritenzione idrica, la maggiore causa di incremento di peso con il pioglitazone. Questi dati sottolineano l’importanza dell’uso appropriato dei farmaci in termini di dosaggi e di selezione dei pazienti.
I risultati dello studio sono anche rilevanti per quanto riguarda la sicurezza dei farmaci in studio. L’uso del pioglitazone è stato molto limitato nella pratica clinica dal rischio di effetti indesiderati, principalmente il cancro della vescica, l’insufficienza cardiaca e le fratture patologiche. In circa 5 anni di osservazione, l’incidenza di questi eventi è stata complessivamente molto bassa e non significativamente diversa nei due gruppi di trattamento (Tab. 2). Le ipoglicemie, come atteso, erano significativamente più frequenti nel gruppo trattato con sulfoniluree. Questo è sicuramente un effetto del meccanismo di azione delle SU, ma è in parte dovuto al maggiore uso di insulina nel gruppo in trattamento con SU. Va tuttavia sottolineato che le ipoglicemie gravi sono state poco frequenti, rispettivamente 24 (2%) e 2 (<1%), nel gruppo trattato con SU o pioglitazone.
Come si inserisce lo studio nel panorama attuale delle conoscenze
Nel 2007, quando è stato iniziato lo studio TOSCA.IT, la scelta dei farmaci di seconda linea era sostanzialmente tra i glitazoni e le sulfoniluree. Attualmente sono disponibili molte nuove molecole con meccanismi di azione profondamente diversi tra loro e la scelta del farmaco di seconda linea è diventata ancora più complessa. Le linee guida, pur dando alcune indicazioni, sostanzialmente lasciano questa scelta al giudizio clinico in quanto mancano dati di confronto testa a testa tra diverse classi di farmaci su cui basare la scelta. La maggior parte degli studi sugli effetti cardiovascolari dei farmaci ipoglicemizzanti sono stati condotti dopo il 2008 principalmente per ottemperare alle richieste degli organismi regolatori relative alla registrazione di nuovi farmaci ipoglicemizzanti. L’obiettivo principale è quello di produrre dati sulla sicurezza cardiovascolare delle molecole nel più breve tempo possibile. Questi studi sono in genere disegnati come studi di non inferiorità verso placebo, il comparatore non è infatti un farmaco attivo e la durata del follow-up è breve (due-tre anni). I risultati, pertanto non consentono la valutazione comparativa del bilancio rischio/beneficio di due diverse strategie terapeutiche. Inoltre la quasi totalità di questi studi ha arruolato esclusivamente, o prevalentemente, pazienti con un pregresso evento cardiovascolare e quindi ad alto rischio.
Gli studi finora completati sono riassunti in tabella 3 (15-16, 20-30). TOSCA.IT è ad oggi l’unico studio di confronto testa a testa di due farmaci attivi condotto in una popolazione diabetica con bassa prevalenza di eventi CV e quindi praticamente in prevenzione primaria e con un lungo follow-up. I risultati di questo studio vanno quindi a colmare un importante vuoto di conoscenze. I risultati dello studio sono particolarmente importanti se si considera che stiamo fronteggiando una epidemia di diabete e che il maggiore incremento nella incidenza di diabete tipo 2 si registra nei paesi in via di sviluppo. I risultati di TOSCA.IT supportano l’efficacia e la sicurezza di due “vecchi farmaci” largamente disponibili e di basso costo e sono rilevanti non solo dal punto di vista clinico, ma anche dal punto di vista della accessibilità e sostenibilità economica di una cura appropriata della malattia diabetica anche nei paesi meno affluenti. Certamente l’uso dei farmaci testati in TOSCA non è appropriato per tutti i pazienti (5) e certamente sarebbero auspicabili studi di confronto tra questi “vecchi” farmaci ed i “nuovi“ farmaci.
In conclusione nei pazienti con CV dopo fallimento con monoterapia con metformina, la scelta dovrebbe ricadere su quei farmaci che hanno un documentato beneficio CV. In questi pazienti è abbastanza chiaro cosa fare (5). Nei pazienti senza nota malattia CV e apparentemente a basso rischio CV (circa il 60% dei pazienti), dopo fallimento della monoterapia con metformina, la scelta dovrebbe ricadere su farmaci che hanno un favorevole rapporto rischio/beneficio. L’evidenza disponibile, in larga parte rappresentata dallo studio TOSCA.IT, indica che sia il pioglitazone che le SU sono efficaci e sicuri come terapia di seconda linea in aggiunta alla metformina ed hanno un elevato rapporto efficacia/costi. Tuttavia, il pioglitazone ha effetti metabolici significativamente migliori e sembrerebbe anche in grado di ridurre il rischio di eventi cardiovascolari di natura aterosclerotica.
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