Terapie di combinazione nel diabete: razionale e sviluppo clinico

Terapie di combinazione nel diabete: razionale e sviluppo clinico

Raffaella Buzzetti1, Agostino Consoli2, Stefano Del Prato3, Edoardo Mannucci4, Francesco Saverio Mennini5, Roberto Miccoli6, Gianluca Perseghin7, Giorgio Sesti8, Anna Solini9

1Dipartimento di Medicina Sperimentale, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”; 2Dipartimento di Medicina e Scienze dell’Invecchiamento, Università degli Studi di Chieti; 3Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa; 4Agenzia Diabetologica, Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi di Firenze; 5Facoltà di Economia Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”; 6Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa; 7Unità di Medicina Metabolica, Ambulatorio di Endocrinologia, Policlinico di Monza; 8Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Università Magna Grecia, Catanzaro; 9Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica e Molecolare, Università di Pisa 

DOI: 10.30682/ildia1801c 

 

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Introduzione

Gli Standard di Cura AMD-SID 2016 raccomandano la metformina (MET) come farmaco di prima scelta per tutti i pazienti con Diabete Mellito Tipo 2 (T2DM), nei quali non sia controindicata o non tollerata, cui aggiungere un secondo ed eventualmente un terzo farmaco qualora il controllo glicemico non sia soddisfacente. In questo schema il secondo farmaco può appartenere ad una qualsiasi delle altre classi terapeutiche a disposizione: sulfoniluree (SU); glinidi; acarbose; GLP1 antagonisti; SGLT2 inibitori (SGLT2-i); DPP4-inibitori (DPP4-i); insulina. Il terzo farmaco, appartenente ad una delle classi non utilizzate nel precedente passaggio, viene aggiunto in caso di persistente mancato controllo glicemico (1). Questa procedura ricalca sostanzialmente l’approccio scalare (stepwise) della terapia dell’iperglicemia nel paziente diabetico ma la sempre maggiore attenzione a ricercare e ottenere un precoce e persistente controllo glicemico ha spinto a considerare nuove strategie. È possibile così prevedere che in un paziente non controllato con sola MET invece di aggiungere in sequenza altri farmaci, si possa instaurare precocemente una triplice-terapia aggiungendo direttamente una combinazione precostituita di due altri farmaci. L’utilità di un simile approccio intensivo alla terapia del T2DM è mostrata da Puntakhee et al. (2) che, con un’analisi retrospettiva dello studio ACCORD, ha evidenziato come la precoce intensificazione della terapia ha permesso di migliorare il controllo glicemico in quei pazienti che, terminato lo studio, non erano più strettamente controllati dal punto di vista glicemico. Lo stesso studio evidenziava come l’efficacia dell’intensificazione del trattamento fosse tanto maggiore quanto più basso era il livello di emoglobina glicata (HbA1c) di partenza, permettendo il mantenimento di valori di HbA1c del 6,5%. I risultati di questo studio non sono sorprendenti alla luce della complessità patogenetica del T2DM: intervenire sui molteplici meccanismi responsabili dell’iperglicemia e della sua progressione appare logico e potrebbe tradursi non tanto in una maggiore riduzione della glicemia quanto in una sua più marcata persistenza. Tra l’altro, le linee guida più aggiornate suggeriscono che una terapia di combinazione debba essere presa in considerazione in tutti i soggetti che, alla diagnosi, presentano valori più elevati di HbA1c. Negli ultimi tempi è diventato anche più comune una terapia di combinazione anche nel diabete tipo 1. Ma, soprattutto per il diabete tipo 2, dove sono disponibili almeno sette diverse classi di farmaci, le possibilità combinatorie tra cui scegliere sono almeno 21. Proprio per questo motivo diventa importante per il diabetologo conoscere le armi che può avere a disposizione. Obiettivo quindi di questo documento di consenso è quello di valutare in senso critico le combinazioni terapeutiche con particolare riguardo all’uso dei farmaci di più recente introduzione.

Efficacia e sicurezza delle combinazioni DPP4-i e SGLT2-i

In un’ottica di una precoce intensificazione terapeutica interesse particolare è quello offerto dall’uso dei farmaci anti-diabetici di più recente introduzione. Ad esempio la combinazione di SGLT2-i e DPP4-i (estemporanea o precostituita) determina tutta una serie di modificazioni che sono riassunte in tabella 1.

I DPP4-i, per effetto dell’inibizione della degradazione di incretine (GLP-1, GIP), favoriscono la secrezione insulinica ed inibiscono quella di glucagone in modo glucosio-dipendente, oltre ad una postulata azione protettiva sulla beta-cellula. Al contrario gli SGLT2-i riducono la glicemia in modo indipendente da effetti diretti sulla secrezione o azione dell’insulina semplicemente aumentando la glicosuria per effetto della riduzione della soglia di riassorbimento tubulare di glucosio. Ferrannini et al. (3) hanno riportato che la somministrazione di SGLT2-i comporta un’escrezione di glucosio, in media, di 50-80 g/die. Infine, la riduzione della glicemia e, quindi, una minore glucotossicità comporta anche un miglioramento della funzione beta-cellulare e dell’azione insulinica. Proprio i distinti meccanismi d’azione delle due classi di farmaci, risultando complementari se non addirittura potenzialmente additivi, forniscono la base per un efficace uso combinato. Queste due classi di farmaci sono complementari anche per quanto riguarda gli effetti ancillari (Tab. 1): gli SGLT2-i comportano la riduzione del peso corporeo e della pressione arteriosa (PA) mentre i DPP4-i hanno effetto neutro sul peso; entrambi hanno un basso rischio di ipoglicemia. Infine, questi farmaci sono ora disponibili anche come associazione precostituita (empagliflozin + linagliptin; dapagliflozin + saxagliptin).

L’impiego della terapia di combinazione in pazienti non adeguatamente controllati con sola metformina (MET) è stato valutato in due trial clinici randomizzati. Rosenstock et al. (4) hanno valutato l’efficacia dell’aggiunta della sola dapagliflozin DAPA, della sola saxagliptin SAXA o di DAPA+SAXA in pazienti non controllati con sola MET con livelli di HbA1c basale pari a 9%. L’aggiunta di SAXA a MET comportava una riduzione di HbA1c di ~1 punto percentuale; una riduzione simile si otteneva associando DAPA a MET. Con l’aggiunta di DAPA+SAXA, i livelli di HbA1c scendevano a livelli prossimi al 7%, e circa il 65% dei pazienti con una HbA1c di partenza <8% raggiungevano tale obiettivo terapeutico (Tab. 2).

Uno studio simile è stato condotto da DeFronzo et al. (5) valutando l’efficacia terapeutica dell’associazione precostituita EMPA+LINA in pazienti non controllati con MET con valori di HbA1c di circa 8%. L’aggiunta di LINA o EMPA a MET ha comportato riduzioni simili di HbA1c, mentre l’aggiunta dell’associazione EMPA+LINA ha determinato una riduzione di HbA1c significativamente maggiore e una più elevata percentuale di pazienti che raggiungono l’obiettivo terapeutico (Tab. 2).

Un effetto sinergico è dimostrabile a prescindere dalla terapia di background come dimostrano gli studi nei quali EMPA è stata aggiunta a LINA+MET (6) o quando LINA veniva aggiunta a una preesistente terapia con EMPA +MET (7), o DAPA a SAXA+MET (8) o SAXA a DAPA+MET (9).

La terapia di associazione SGLT2-i/DPP4-i è stata valutata anche in pazienti senza precedente trattamento farmacologico. Lewin et al. (10) ha mostrato che la terapia iniziale con EMPA (10 o 25 mg) + LINA (5 mg) in pazienti naïve al trattamento determinava un miglioramento della HbA1c superiore a quello ottenibile con LINA (5 mg) o EMPA (10 o 25 mg) da soli. A parte il miglioramento del controllo glicemico, rimane da stabilire se l’impiego di queste associazioni in una fase precoce della malattia possa comportare una maggiore persistenza del controllo metabolico. Al momento lo studio con EMPA+LINA di 52 settimane (5) rappresenta il dato disponibile più robusto di persistente efficacia e studi di ancor più lunga durata sono auspicabili. Essenziale è anche la dimostrazione che la terapia di combinazione non comporti peggioramenti del profilo di sicurezza dei suoi singoli componenti. Negli studi ricordati sopra non è stata riscontrata alcuna differenza in termini di effetti collaterali rispetto alle terapie di background, con l’unica eccezione delle infezioni genitali. La terapia di associazione DPP4-i+SGLT2-i si conferma pertanto ben tollerata.

Gli studi di outcome cardiovascolare con gli SGLT2-i EMPA e CANA hanno documentato un effetto di cardio- e nefro protezione (Tab. 1) (11-12). Questi risultati hanno trovato ulteriore supporto in un ampio studio di registro soprattutto per quanto riguarda gli effetti cardiovascolari (13). Per quanto riguarda i DPP4-i gli studi di outcome cardiovascolari hanno confermato la loro sicurezza ma non hanno dimostrato un effetto di riduzione degli eventi (14-16). Un’analisi post-hoc dello studio Savor-TIMI relativo a SAXA ha evidenziato un effetto di riduzione dell’escrezione urinaria di albumina (17) mentre lo studio Marlina, eseguito in pazienti con nefropatia incipiente, non ha dimostrato evidenti benefici renali (18).

Attualmente è difficile immaginare se questi effetti cardiovascolari e renali generati singolarmente da un SGLT2-i o un DPP4-i possano essere amplificati nella terapia di combinazione o al contrario attenuarsi. Peraltro, nella misura in cui l’uso di queste associazioni può contribuire a raggiungere e garantire sin dalle fasi iniziali della malattia un ottimale controllo glicemico, questo potrebbe ben tradursi in una riduzione del rischio cardiovascolare a lungo termine. Paul et al. (19), ad esempio, hanno calcolato come ritardare solo di un anno il raggiungimento del buon controllo rispetto a coloro nei quali viene raggiunto il buon controllo comporta, nell’arco dei successivi 5,3 anni, un aumento del rischio relativo di eventi cardiovascolari pari almeno al 50%.

Un ultimo aspetto da considerare è la specificità delle singole molecole. Sebbene non si possano escludere differenze tra le varie molecole impiegate in associazione, non esistono al momento dati che mettano in evidenza come queste differenze si traducano in differenze di efficacia e sicurezza, fatte salve le segnalazioni relative a canagliflozin (soprattutto per quanto riguarda il rischio di amputazioni) che peraltro non è ancora disponibile in combinazione fissa con DPP4-i.

HIGHLIGHT

  • Esiste un forte razionale per la combinazione di un DPP4-i e un SGLT2-i per il trattamento del diabete tipo 2 perché questi farmaci hanno meccanismi d’azione diversi e complementari
  • La terapia di combinazione è più efficace rispetto alla monoterapia con i due farmaci sia in pazienti in trattamento dietetico sia in quelli già trattati con metformina
  • Il profilo di sicurezza della combinazione non si discosta da quella dei singoli componenti
  • La combinazione di DPP4-i e SGLT2-i non aumenta il rischio di ipoglicemia
  • Due combinazioni fisse sono già disponibili (SAXA-DAPA e LINA-EMPA)
  • Le combinazioni precostituite potrebbero aiutare a semplificare la terapia e migliorare l’aderenza

Efficacia e sicurezza delle combinazioni GLP1-agonisti e SGLT2-inibitori

Nonostante le interessanti caratteristiche farmacologiche la combinazione tra i farmaci agonisti recettoriali del GLP1(GLP1-RA) e inibitori del trasportatore SGLT2 (SGLT2-i) risulta poco studiata. Questo potrebbe dipendere da alcune caratteristiche di tali farmaci. I farmaci GLP1-RA sono iniettivi mentre gli SGLT2-i sono farmaci orali, il che rende impossibile una combinazione precostituita.

L’unico studio di dimensioni significative (695 pazienti) che ha valutato questa combinazione è il DURATION-8 (20). Si tratta di uno studio randomizzato, in doppio cieco verso placebo (PLB) nel quale si confrontava, in bracci paralleli, l’effetto di 24 settimane di trattamento con exenatide (EXE) + PLB; dapagliflozin (DAPA) + PLB o e EXE+DAPA in pazienti con T2DM già trattati con MET, con un’estensione dello stesso studio a 52 settimane. Ci sono altri studi di dimensioni più ridotte e di iniziativa accademica. Lo studio di Lundkvist et al. (21) includeva 30 pazienti obesi non diabetici nei quali veniva confrontato il trattamento per 24 settimane di EXE+DAPA verso PLB, con una estensione in aperto dello studio a 52 settimane nel corso del quale tutti i pazienti sono stati trattati con EXE+DAPA. Un terzo studio, ancora in corso è EXENDA (22) con durata di 24 settimane, con un’estensione fino a 52 settimane, su 90 pazienti affetti da T2DM. Nel gruppo trattato EXE è somministrata come add-on alla terapia con DAPA+MET mentre il gruppo di controllo è stato trattato con la sola associazione DAPA+MET. Obiettivo dello studio è la valutazione degli effetti di tali farmaci sui lipidi intra-epatici. Infine, uno studio pilota, ha inizialmente valutato l’efficacia di DAPA verso PLB in 30 pazienti con diabete di tipo 1 (T1DM) già trattati con insulina e liraglutide (LIRA).

Nonostante il numero limitato degli studi, l’associazione GLP1-RA e SGLT2-i presenta motivo di interesse non solo per i diversi meccanismi d’azione ma anche perché queste due classi di antidiabetici si caratterizzano per i migliori risultati in termini di controllo glicemico oltre che per una riduzione degli eventi CV.

Il primo aspetto di interesse terapeutico della combinazione GLP1-RA e SGLT2-i riguarda il controllo della glicemia. Il meccanismo d’azione delle due classi di farmaci è del tutto diverso: gli SGLT2-i agiscono attraverso l’inibizione del riassorbimento tubulare del glucosio (3, 23) mentre i GLP1-RA, stimolano la secrezione dell’insulina e inibiscono quella del glucagone in modo glucosio-dipendente, oltre a ridurre la velocità di svuotamento gastrico (24), permettendo di ipotizzare se non effetto additivo almeno sinergico. In effetti, nello studio DURATION-8 si osserva una riduzione della HbA1c di circa due punti percentuali, superiore a quanto si ottiene con i singoli principi attivi. Con la combinazione dei due farmaci i valori di HbA1c scendevano da un valore basale di 9,2% a 7,2% dopo 28 settimane di trattamento.

La riduzione della HbA1c è stata inferiore alla somma della riduzione ottenuta da ciascun trattamento in monoterapia, ma è plausibile ipotizzare un “effetto trial” di massimizzazione dell’efficacia dei singoli trattamenti. A questo va aggiunto un “effetto pavimento”, ossia la difficoltà di ottenere un’ulteriore riduzione di HbA1c quando si raggiungono valori percentuali in pratica normali, effetto che penalizza il trattamento più efficace, limitando forse l’apprezzamento della piena efficacia dell’associazione.

Lo studio di Kuhadyia è particolare in quanto eseguito in pazienti con T1DM (25), ma interessante perché conferma l’efficacia della terapia di associazione, in quanto anche in questi soggetti il trattamento di combinazione comporta, in 12 settimane di terapia, una riduzione di HbA1c di 0,66% accompagnata da una piccola ma significativa riduzione della dose di insulina basale.

Il secondo aspetto di interesse terapeutico è la riduzione del peso corporeo. L’associazione GLP1-RA e SGLT2-i ha un solido razionale a favore dell’efficacia sul peso, considerando che queste due classi di farmaci riducono il peso corporeo con meccanismi indipendenti: i GLP1-RA esplicano questa azione agendo sul senso di sazietà, mentre gli SGLT2-i agiscono sul peso attraverso la deplezione di un substrato energetico quale il glucosio. Inoltre, l’effetto del GLP1-RA potrebbe bilanciare l’azione di stimolo dell’appetito che può associarsi all’uso di SGLT2-i. I risultati degli studi sono tuttavia meno brillanti di quanto atteso. Frias e al. (20) hanno riportato, dopo 28 settimane di trattamento, una riduzione media del peso di 3 kg, poco meno del 5% del peso corporeo. Questo risultato potrebbe essere spiegato con la forte riduzione della glicemia ottenuta in questi pazienti, con conseguente riduzione della glicosuria e, quindi, minore deplezione di substrato energetico. A tale proposito, sono interessanti i dati raccolti nello studio di Lundkvist et al. (21) su pazienti non diabetici, obesi, con peso medio al basale di 102 kg nel gruppo PLB e 106 kg nel gruppo trattato pari a un Indice di Massa Corporea (IMC) medio di 35,4 kg/m2. La perdita di peso dopo 24 settimane di terapia con EXE+DAPA era di 4 kg, modesta rispetto alle attese; tuttavia, nel follow-up il gruppo trattato continuava a perdere peso suggerendo che l’associazione più che amplificare il calo ponderale possa prolungare la perdita di peso.

Il terzo aspetto di interesse terapeutico è la riduzione della pressione arteriosa sistolica (PAS). Nello studio DURATION-8 l’effetto dell’associazione sulla PAS è superiore a quello ottenuto con il solo SGLT2-i. Nei pazienti obesi l’effetto è ancora più marcato, con una riduzione della PAS di circa 7 mmHg rispetto al PLB e di 9 mmHg rispetto al basale.

Ovviamente non sono disponibili dati riguardanti gli effetti di questa combinazione sul rischio CV ma alcune riflessioni possono essere fatte sulla scorta dei risultati dei recenti studi di outcome. I risultati degli studi ELIXA (26) e LEADER (27) e dello studio EMPA-REG (28) mostrano una tempistica diversa nella separazione delle curve della frequenza cumulativa degli eventi CV nel gruppo trattato e nel gruppo PLB. Nello studio LEADER le curve di incidenza cumulativa iniziano a separarsi dopo un anno, mentre nello studio EMPA-REG la differenza si osserva dopo tre-quattro mesi. Questo diverso comportamento potrebbe suggerire meccanismi diversi con potenziali effetti additivi in caso di una loro associazione. L’interpretazione è diventata peraltro più complessa con i risultati dello studio CANVAS (11) con CANA nel quale la separazione delle curve di incidenza cumulativa a 52 settimane ricalca quella riscontrata in LEADER.

Per quanto riguarda la sicurezza sono da evidenziare due aspetti. Il primo riguarda la protezione dall’ipoglicemia. Gli SGLT2-i hanno un basso rischio di ipoglicemia dato che il loro meccanismo d’azione non impatta, almeno non in modo diretto, sulla secrezione e azione dell’insulina. Inoltre, questi farmaci comportano un aumento della secrezione di glucagone che potrebbe contribuire alla protezione dall’ipoglicemia. Anche i GLP1-RA si associano a basso rischio di ipoglicemia per effetto della stimolazione della secrezione di insulina e inibizione di quella di glucagone glucosio-dipendente. Nello studio DURATION8, l’uso combinato di DAPA e EXE non si associava ad episodi di ipoglicemia severa anche se era più comune il riscontro di valori compresi tra 55 e 75 mg/dl. Gli eventi avversi più frequenti consistevano nella diarrea, nausea, infezioni delle vie urinarie e riscontro di noduli sottocutanei, cioè gli effetti collaterali tipici dei due farmaci combinati. Nello studio veniva registrato un solo episodio di chetoacidosi, tra l’altro nel gruppo in trattamento con la sola EXE. Relativamente più comune è risultata la comparsa di chetoacidosi nello studio di Kuhadiya et al. (29) in cui erano reclutati pazienti con T1DM per i quali sia l’uso di SGLT2-i che di GLP1-RA non hanno, almeno al momento, una indicazione riconosciuta. Quindi, per quanto la frequenza di questi episodi possa sembrare minima è opportuno che il medico sia consapevole del potenziale rischio chetogenico anche nei pazienti trattati con l’associazione GLP1-RA e SGLT2-i.

In conclusione, i pochi dati disponibili suggeriscono che l’associazione GLP1-RA e SGLT2-i è efficace sul controllo glicemico, con effetto additivo dei due principi attivi; tale effetto additivo si osserva anche per quanto riguarda la riduzione della PAS e, in minor misura, del peso corporeo. L’associazione GLP1-RA e SGLT2-i non aumenta il rischio di ipoglicemia e non dovrebbe essere utilizzata nel T1DM e, comunque, sempre usata con prudenza in tutte le condizioni di aumentato rischio di chetoacidosi. Occorre, infine, ricordare che in Italia quest’associazione non è rimborsata anche se possibile. Secondo le schede tecniche di prodotto, infatti, è prevista l’aggiunta di un SGLT2-i ad un paziente in trattamento con GLP1-RA ma non viceversa.

HIGHLIGHT

  • Esiste un forte razionale nella combinazione di un GLP1-RA con un SGLT2-i per il trattamento del T2DM perché questi farmaci hanno meccanismi d’azione diversi e complementari
  • La combinazione tra GLP1-RA e SGLT2-i può essere realizzata solo estemporaneamente, essendo il primo un farmaco iniettivo e il secondo un farmaco orale
  • Gli studi clinici relativi a questa terapia di combinazione sono ancora limitati
  • Nello studio DURATION 8 La combinazione di DAPA e exenatide QW ha dimostrato una riduzione di HbA1c pari a 2%, con il raggiungimento del target di HbA1c del 7% nel 45% dei pazienti trattati
  • Lo stesso studio ha dimostrato un potenziamento dell’effetto sulla PAS e una riduzione del peso corporeo inferiore a quanto ipotizzato
  • La frequenza di effetti collaterali non aumentava con la terapia combinata. Gli aventi avversi più frequenti erano: diarrea, nausea, noduli sottocutanei nella sede di iniezione e infezioni delle vie urinarie
  • Il rischio di ipoglicemia non aumenta con la combinazione di SGLT2-i e GLP1-RA rispetto ai singoli componenti
  • Rimane da verificare se i benefici cardiovascolari dimostrati per i singoli farmaci possono essere confermati anche con la terapia di combinazione
  • L’associazione, ammessa secondo scheda tecnica, è attualmente non rimborsata dal SSN

Efficacia e sicurezza delle combinazioni Insulina e DPP4-inibitori

L’impiego di insulina in combinazione con DPP4-i ha un solido razionale teorico. Nel T2DM, al caratteristico difetto di funzione beta-cellulare, si associa una progressiva riduzione della secrezione e un concomitante aumento della degradazione di GLP-1 (30-31). Questi difetti rappresentano il razionale fisiopatologico per la terapia di combinazione con DPP4-i e insulina. Inoltre, dati preclinici, non necessariamente confermati in ambito clinico, hanno postulato che i DPP4-i possano svolgere un certo effetto di preservazione della massa beta-cellulare tramite una riduzione dell’apoptosi e un incremento della proliferazione delle beta-cellule secondario alla maggior disponibilità di GLP-1. Di contro, l’insulina può ridurre la glucotossicità favorendo il “riposo della beta-cellula” (beta-cell rest) (32). Di particolare interesse è l’osservazione che la combinazione di insulina e DPP4-i non comporterebbe un aumento del rischio di ipoglicemia. Questo effetto sarebbe sostenuto da un’aumentata sensibilità al glucosio delle alfa-cellule che si tradurrebbe in un maggiore incremento della secrezione di glucagone in risposta all’ipoglicemia (24, 33), oltre che alla riduzione del fabbisogno di insulina.

Il quarto razionale della combinazione risiede nel miglior controllo dell’iperglicemia post-prandiale (PPG) offerto dalla combinazione di un DPP4-i a fronte di un effetto principale sulla glicemia a digiuno garantita della somministrazione di insulina basale. Infine, l’aggiunta di un DPP4-i permetterebbe un più efficiente controllo del peso corporeo. È noto, infatti che i DPP4-i sono neutri sul peso corporeo se non addirittura associati a una modesta riduzione del peso (da -0,70 a -1,50 kg) (34). Pertanto, qualora somministrati in associazione con insulina, potrebbero contrastare l’incremento ponderale indotto dalla stessa terapia insulinica.

Una serie di studi clinici ha direttamente verificato efficacia e sicurezza dell’associazione di insulina e DPP4-i in pazienti con T2DM. I risultati non sono completamente univoci ma è necessario considerare le diversità tra questi studi dovuti al tipo di insulina impiegato (insulina basale con o senza concomitate uso di insulina pronta ai pasti) oltre che al disegno dello studio che permetteva o meno la titolazione dell’insulina. Fonseca et al. (35) hanno valutato in uno studio multicentrico, in doppio-cieco, di 24 settimane, l’aggiunta di Vildagliptin (VILDA) 50 mg x2/die o PLB in pazienti non controllati dalla sola insulina, che presentavano valori di HbA1c al baseline tra 7,5% ed 11%. Il gruppo trattato con VILDA e insulina mostrava una riduzione significativa dei valori di HbA1c dopo 12 e 24 settimane con un numero di episodi di ipoglicemia inferiore rispetto ai pazienti del gruppo trattato con PLB. Il miglioramento della HbA1c era particolarmente evidente nei pazienti con età >65 anni. Questi risultati sono sostanzialmente confermati dallo studio di Kothny et al. (36), dove diversamente da quello di Fonseca, non vi erano differenze per quanto riguardava il rischio di ipoglicemia. Peraltro, il trattamento insulinico in entrambi i gruppi presentava, in questo studio, una maggiore omogeneità (90% trattati con analoghi ad azione lenta). Rosenstock et al. (37). hanno valutato Alogliptin (ALO) 12,5 o 25 mg verso PLB in uno studio in doppio cieco, in aggiunta a terapia insulinica con o senza MET. I pazienti, con valori di HbA1c di 9,3% al baseline, raggiungevano un migliore controllo metabolico rispetto a PLB, con entrambi i dosaggi di ALO, senza differenze per quanto riguarda gli eventi ipoglicemici e il peso corporeo.

Nello studio randomizzato della durata di 24 settimane di Vilsbøll et al. (38) l’aggiunta di Sitagliptin (SITA) 100 mg/die al pre-esistente trattamento insulinico senza successivi aggiustamenti comportava, rispetto a PLB, una maggiore riduzione della HbA1c, un miglioramento della PPG e un aumento dei livelli di C-peptide dopo il pasto. In questo studio, peraltro, il gruppo trattato con SITA presentava una frequenza maggiore di Eventi Avversi Seri (SEA) e di ipoglicemia.

Anche l’aggiunta di SAXA al trattamento insulinico con o senza MET si traduce, rispetto a PLB, in una maggiore riduzione della HbA1c senza differenze tra i due gruppi per quanto riguardava l’incidenza di ipoglicemia (39).

Lo studio di Yki-Jarvinen et al. (40) che ha valutato l’effetto di LINA 5 mg in aggiunta ad insulina e/o pioglitazone con o senza MET è il più ampio includendo 1.251 pazienti con T2DM e il più lungo essendo stato protratto per 52 settimane. Il dosaggio insulinico era mantenuto stabile per le prime 24 settimane dopo di che era ammesso un dosaggio flessibile. L’aggiunta di LINA si associava a una rapida discesa della HbA1c che rimaneva ben controllata fino a 52 settimane seppure con un certo incremento nel momento in cui la dose insulinica diveniva flessibile.

Recentemente, l’efficacia di SITA più insulina basale verso terapia insulinica basal-bolus (BB) è stata valutata in ambito ospedaliero in pazienti con T2DM (41) dimostrando nel gruppo SITA più insulina basale un controllo glicemico pressoché sovrapponibile a quello ottenuto con sola terapia insulinica BB. Peraltro, l’aggiunta di SITA comportava la riduzione del numero di somministrazioni e della dose totale di insulina, aprendo quindi nuove opportunità per il trattamento della persona con T2DM ospedalizzata.

L’efficacia e la sicurezza della terapia di combinazione con DPP4-i e insulina è stata recentemente oggetto di una meta-analisi (42) che ha valutato 3.384 pazienti arruolati in studi randomizzati e controllati (Fig. 2). I risultati della meta-analisi confermano la riduzione di HbA1c e PPG (quest’ultima valutata solo in quattro studi) mentre la riduzione della glicemia a digiuno non è risultata significativa. Questi risultati vengono raggiunti senza variazione del peso corporeo né aumento del rischio di eventi ipoglicemici anche nella sottopopolazione di pazienti con ridotta funzionalità renale (36).

L’uso della combinazione DPP4-i e insulina trova una particolare indicazione nel diabete autoimmune dell’adulto (LADA). Buzzetti et al. (43) hanno condotto un’analisi post-hoc su cinque studi con SAXA 2,5; 5 e 10 mg/die vs. PLB. Dopo 24 settimane di trattamento la riduzione della HbA1c corretta per PLB era pari a -0,62% nei pazienti GADA negativi e -0,64 in quelli GADA positivi. I livelli di C peptide post-prandiale erano significativamente aumentati sia nei pazienti GADA negativi (+ 137 ng/mL) che nei GADA positivi (+ 70 mg/mL), così come la funzione beta-cellulare valutata mediante HOMA2-% beta era migliorata (GADA negativi: +7.3%; GADA positivi: +11.1%). Nello studio di 12 mesi di Zhao et al. (44) il trattamento con SITA + insulina si associava, rispetto alla sola insulina, a un aumento dei valori di C peptide basale e post-prandiale.

In conclusione, la combinazione DPP4-i e insulina grazie ad un’azione sinergica e diretta a correggere distinti meccanismi fisiopatologici complementari offre l’opportunità di migliorare il controllo glicemico con minimo se non assente aumento del rischio di ipoglicemia.

HIGHLIGHT

  • L’uso di DPP4-i in combinazione con insulina è stata impiegata come alternativa terapeutica in pazienti con T2DM mal controllati con la sola insulina
  • La terapia di combinazione DPP4-i e insulina appare utile per correggere la diminuita secrezione e l’aumentata degradazione delle incretine associate al progressivo difetto di secrezione insulinica presenti nella storia naturale del T2DM.
  • La terapia di combinazione è associata a una moderata riduzione della HbA1c (-0.52%), una riduzione della PPG (-32 mg/dl), e un aumento della proporzione di soggetti che raggiungono un target HbA1c ≤7% senza aumento del rischio di ipoglicemia o di aumento del peso corporeo.
  • Il ridotto fabbisogno di insulina e l’incremento di sensibilità delle alfa-cellule al glucosio sono la probabile spiegazione del ridotto rischio di ipoglicemia.
  • Il trattamento combinato con insulina e DPP4-i trova una potenziale indicazione nei pazienti LADA

 

Efficacia e sicurezza delle combinazioni Insulina e SGLT2-inibitori

Nell’esaminare le combinazioni di insulina e SGLT2-i, vale la pena considerare non solo i dati disponibili sul T2DM ma anche alcuni dati relativi al T1DM, discutere le evidenze a sostegno degli effetti pleiotropici di questa combinazione e soffermarsi sulla sicurezza delle combinazioni insulina e SGLT2-i con particolare riguardo alla chetoacidosi.

L’efficacia sul controllo glicemico di questa combinazione è stata oggetto di studi clinici ad hoc. Neal et al. (45) hanno documentato l’efficacia terapeutica e la sicurezza d’uso della combinazione CANA (100 o 300 mg/die) e insulina in uno studio di 52 settimane che prevedeva tre gruppi di trattamento di 690 pazienti ciascuno. La terapia di combinazione comportava una riduzione dell’HbA1c corretta per PLB tra 0,6 e 0,7% con un numero maggiore di pazienti che raggiungevano il target di HbA1c (25 vs. 10%). Non è si osservava alcuna differenza degli eventi avversi se non per l’atteso aumento di infezioni micotiche genitali. Inagaki et al. (46) in uno studio randomizzato in doppio cieco con CANA 100 mg vs. PLB in pazienti non controllati con insulina, hanno osservato una riduzione di HbA1c di circa 1%, accompagnata da una riduzione del peso corporeo di circa 2 kg e da una riduzione del FPG (-30 mg/dl). Anche EMPA in aggiunta all’insulina, in pazienti con T2DM, si è dimostrata in grado di migliorare il controllo glicemico. Alla dose di 10 e 25 mg, dopo 18 settimane, è stata osservata una riduzione di HbA1c pari a 0,6 e 0,7% (4). Nei pazienti trattati con la combinazione CANA e insulina la percentuale di episodi ipoglicemici è stata maggiore (40%) rispetto al gruppo di controllo trattato con la sola insulina (30%). Comunque gli episodi ipoglicemici, che si sono verificati soprattutto tra le ore 6:00 e le ore 12:00, erano di lieve gravità e non diversi tra i vari regimi di insulina. Nei pazienti la cui dose di insulina era stata ridotta da parte dello sperimentatore in seguito alla comparsa di ipoglicemia, l’incidenza per soggetto/anno è risultata più bassa dopo riduzione della dose.

In una recente review di Woo et al. (47) sono stati valutati otto studi sulla terapia di combinazione SGLT2-i (CANA, DAPA o EMPA) e insulina. In tutti gli studi considerati, i valori percentuali di HbA1c si situavano tra 8,3 e 8,9 al basale, con una riduzione di circa lo 0,6% nei vari studi. Lo studio di Rosenstock et al. (48) (78 settimane EMPA, 10 mg e 25 mg+ insulina) che quello di Wilding et al. (49) (DAPA 2.5, 5 o 10 mg + insulina) confermavano il miglioramento del controllo glicemico mettendone in evidenza la persistenza, in assenza di variazioni significative del fabbisogno di insulina.

La combinazione SGLT2-i – insulina si associa ad una riduzione di circa 2 kg del peso corporeo, suggerendo un effetto favorevole degli SGLT2-i nel correggere la tendenza all’incremento ponderale indotta dalla terapia insulinica. Tutti gli studi, poi, riportano una riduzione della PAS di entità variabile da studio a studio e compresa tra -0,7 e -7,7 mmHg.

Mediamente la dose di insulina si riduce di 0,1-0,2 U/kg. È opportuno considerare che l’interpretazione di questi dati è resa complessa dal fatto che gli schemi insulinici, e gli eventuali aggiustamenti delle dosi, risultano alquanto eterogenei. La riduzione del dosaggio insulinico sembra un obiettivo degli sperimentatori, probabilmente perché gli studi sono stati disegnati prima che emergesse il problema del rischio di chetoacidosi con l’uso degli SGLT2-i in pazienti insulino-trattati.

L’associazione SGLT2-i e insulina è stata studiata anche nel T1DM (50). In uno studio pilota, 40 pazienti affetti da T1DM sono stati trattati con EMPA 25 mg + insulina, ottenendo una riduzione della HbA1c di circa lo 0,4%, una riduzione del 20% della glicemia capillare, una riduzione delle ipoglicemie sintomatiche (da 0,12 a 0,04 eventi/paziente/giorno) e una riduzione della dose totale di insulina. Henry et al. (25) hanno randomizzato 351 pazienti a CANA (100 o 300 mg/die) + insulina o sola insulina per un periodo di 18 settimane. Gli Autori riportano una riduzione di HbA1c di circa 0.3%, una riduzione del FPG di circa 0,6 mmol/L ed una riduzione importante della dose di insulina (-6 UI nel bolo prandiale). Pieber et al. (51) in uno studio che ha coinvolto 78 pazienti (EMPA 2,5; 10 o 25 mg/die + insulina verso PLB + insulina) hanno osservato una riduzione corretta per PLB della HbA1c pari a 0.5% e una riduzione della dose di insulina (-0,07 /-0,09 U/kg).

Lo studio di Henry et al. (52) condotto con DAPA su 70 pazienti affetti da T1DM e con una durata di 14 giorni conferma una perdita di glucosio urinario di 80-90 g/24 h, paragonabile a quanto riscontrato nel T2DM. Più recentemente, Sands et al (53) hanno studiato efficacia e sicurezza della combinazione insulina e sotagliflozin (SOTA), un inibitore di SGLT2 e SGLT1, in 33 pazienti trattati per un mese con, i risultati clinici simili a quelli ottenuti con altri SGLT2-i.

Il rischio di chetoacidosi ha drasticamente influenzato i piani di sviluppo per un potenziale utilizzo di queste molecole nel T1DM. Sono tuttora in corso alcuni studi sull’associazione di SGLT2-i e insulina nel T1DM e due importanti studi di fase III sono stati pubblicati recentemente (54-55). Questi studi confermano i benefici clinici degli SGLT2-i, evidenziando come un atteggiamento prudente (monitoraggio accorto del profilo glicemico, riduzione ponderata della dose insulina) permetta di ridurre il rischio di chetoacidosi. Gli studi BETWEEN e ATIRMA hanno come obiettivo di valutare l’effetto della combinazione sulla funzione renale. In corso è pure uno studio di add-on di LIRA a DAPA e insulina, oltre ad un altro studio disegnato per valutare l’effetto di singole dosi di LIRA e DAPA sulla sintesi di corpi chetonici e citochine (https://clinicaltrials.gov/ accessed on July 16, 2017).

La combinazione SGLT2-i + insulina si caratterizza non solo per l’efficacia in termini di controllo della glicemia, ma anche per interessanti effetti pleiotropici. In un modello di ratto reso diabetico con streptozotocina trattato con EMPA (56), si è osservato un aumento della massa beta-cellulare e una tendenza verso la riduzione del rapporto percentuale dell’area alfa-cellule/area pancreatica totale oltre a segni di aumentata differenziazione beta-cellulare come indicato dall’aumento della positività delle cellule al Ki67, un marcatore di replicazione beta-cellulare e una riduzione significativa dei fenomeni apoptotici. Rimane comunque da valutare quanto questi effetti siano il risultato di un’azione diretta di EMPA o quanto dipendano da una riduzione della glucotossicità.

Nello stesso modello murino, EMPA sembra ridurre la disfunzione endoteliale, come dimostrato dal miglioramento della risposta vasodilatatoria endotelio-mediata. Piccoli studi sembrano confermare simili risultati anche nell’uomo. In 40 pazienti T1DM normotesi il trattamento per 8 settimane con EMPA 25 mg/die in aggiunta alla terapia insulinica si associava alla riduzione dello spessore della parete arteriosa con un aumento della compliance arteriosa, dimostrata dalla riduzione dell’Augmentation Index (AI) sia a livello aortico che a livello carotideo (57). Infine, dati preliminari documenterebbero anche un effetto anti-aterogeno degli SGLT2-i, anche se si tratta di evidenze meno solide di quanto disponibile per DPP4-i e GLP1-RA. In conclusione, si può ipotizzare che la combinazione SGLT2-i+insulina possa esercitare effetti benefici a livello beta-cellulare, della funzione endoteliale e della compliance vascolare.

Riguardo alla sicurezza dell’associazione SGLT2-i e insulina, una recente analisi (58) sui rapporti tra SGLT2-i e chetoacidosi, basata sui dati di farmacovigilanza presenti sul sito FDA, ha evidenziato un aumento esponenziale delle segnalazioni di casi di chetoacidosi a partire dal 2015, con oltre 2.500 casi riportati. La maggioranza di questi casi, contrariamente a quanto descritto nelle prime analisi, riguarda pazienti con T2DM; va tuttavia precisato che, normalizzando il numero di casi per il numero di pazienti esposti al trattamento con SGLT2-i, l’incidenza di chetoacidosi rimane più alta nei pazienti con T1DM. Gli episodi sono più frequenti nelle donne e, per CANA e DAPA, circa il 20% degli eventi riportati sono occorsi in pazienti che ne facevano uso per indicazioni non correlate al DM, come ad esempio il controllo della PA. Sebbene i decessi per chetoacidosi rappresentino circa l’1.5% dei casi, il 70% delle chetoacidosi ha richiesto l’ospedalizzazione del paziente. Nel complesso degli studi effettuati in pazienti con T2DM trattati con SGLT2-i, l’incidenza di chetoacidosi è comunque bassa (0,08% annuo contro lo 0,05% annuo registrato nei gruppi di controllo).

In merito ai meccanismi alla base della chetoacidosi, diversi autori identificano quale principale responsabile la riduzione dell’insulinemia in associazione con il concomitante aumento del glucagone, l’attivazione della lipolisi con aumentato flusso di substrati chetogenici al fegato (59-60). L’aumentata glicosuria comporta una riduzione del riassorbimento del sodio con un correlato aumento del riassorbimento tubulare di corpi chetonici e conseguente aumento dei loro livelli plasmatici. Questa ipotesi, peraltro, rimane da dimostrare in quanto, a oggi, non è stato documentato con certezza un aumento assoluto della natriuresi in corso di trattamento con SGLT2-i.

Dal punto di vista clinico è di primaria importanza che venga fornita un’adeguata informazione al medico e al paziente sui vantaggi e rischi della terapia con SGLT2-i, soprattutto quando usati in combinazione con insulina. Il miglioramento della glicemia indotto dall’SGLT2-i può trarre in inganno il paziente e il medico, inducendo un’inappropriata riduzione della dose di insulina a livelli che possono favorire l’insorgenza della chetoacidosi, soprattutto in concomitanza di condizioni favorenti ancor più fuorvianti dato che possono dare adito ad un aumento della chetogenesi pur in presenza di livelli glicemici non elevati (chetoacidosi euglicemica). Nella pratica clinica, può essere utile tener presente come ogni riduzione del dosaggio di insulina superiore al 20% induca forti incrementi dei livelli di corpi chetonici, per cui è consigliabile effettuare aggiustamenti della dose di insulina di entità inferiore al 20% del fabbisogno totale (61). È comunque buona norma sospendere o ridurre gli SGLT2-i, in occasione di circostanze critiche come gli eventi cardiovascolari acuti, la chirurgia, la preparazione a esami diagnostici invasivi o che richiedano il digiuno, salvo riprenderne l’uso una volta ripristinata la situazione di normalità. Cautela dovrebbe anche essere usata con l’uso di questi farmaci in soggetti che fanno uso di diete a basso contenuto di carboidrati, che si sottopongano a esercizio fisico estremo, o che abbiano un’eccessiva assunzione di alcool. Va infine ricordato che al momento non vi è indicazione per l’uso degli SGLT2-i in pazienti con T1DM o LADA (61) e come tale non dovrebbero essere usati in questi individui.

In conclusione, ci sono buoni motivi a sostegno della combinazione SGLT2-i e insulina: migliore controllo glicemico, riduzione del peso corporeo e della PA e, probabilmente, migliore profilo di rischio CV. Nel T2DM questa terapia può anche aiutare sia a ridurre il numero delle somministrazioni di insulina, per esempio sostituendo l’insulina prandiale, sia il rischio di ipoglicemia. Il rischio di chetoacidosi va sempre considerato: esso è più alto nel T1DM, ma è presente anche nel T2DM, specie in presenza di incongrue riduzioni della posologia dell’insulina o di situazioni di stress. La chetoacidosi è, comunque, una condizione che può essere prevenuta con un’adeguata educazione sia del medico sia del paziente e non dovrebbe scoraggiare l’uso di questa combinazione nel T2DM.

HIGHLIGHT

  • L’associazione SGLT2-i con insulina è stata valutata sia nel T1DM che nel T2DM
  • Nel T2DM impiegando diversi schemi di terapia insulinica, è stata osservata una riduzione media di HbA1c pari allo 0,6%, del peso (-2 kg), della pressione arteriosa e della dose di insulina
  • Nel T1DM è stata riportata una riduzione della glicemia a digiuno e del fabbisogno insulinico senza aumento del rischio di ipoglicemia o infezioni delle vie urinarie e genitali né della chetoacidosi
  • In ogni caso, la riduzione della dose di insulina deve essere effettuata sempre con cautela per il potenziale rischio di chetoacidosi
  • Per lo stesso motivo cautela con eventuale sospensione dello SGLT2-i dovrebbe essere utilizzata in tutte le condizioni di stress o favorenti la chetogenesi
  • Sia il medico sia il paziente devono essere allertati di questo possibile rischio

 

Efficacia e sicurezza delle combinazioni Insulina e GLP1-RA

È un dato acquisito che la sola terapia insulinica basale non riesca a raggiungere i valori target di HbA1c in una percentuale significativa di casi. Questa percentuale si attesta intorno al 30% in ambito di sperimentazione clinica (62-65), mentre, negli studi di coorte raggiunge circa il 40% (66-67). Dati preliminari raccolti da un gruppo internazionale di ricercatori ed estratti da diversi database dimostrano, in pazienti seguiti per almeno quattro anni, che, nonostante i pazienti presentino un valore medio di HbA1c ≥8%, raramente viene intrapresa un’intensificazione della terapia insulinica. La riluttanza all’intensificazione della terapia insulinica trova una parziale spiegazione nel fatto che, come descritto da Monnier et al. (68), per dosi di insulina superiori a 0,5 U/kg, si osserva, a fronte del progressivo aumento della dose, una riduzione del guadagno in termini di valori di HbA1c mentre il peso corporeo continua ad aumentare quasi in modo lineare.

A fronte di questi dati, il documento di consenso EASD-ADA (69) considera la possibilità di intensificare la terapia insulinica attraverso l’associazione di un GLP1-RA alla terapia insulinica basale. Il razionale della combinazione insulina e GLP1-RAs, come descritto tra gli altri da Nauck et al. (70) è solido dal punto di vista teorico. I GLP1-RA hanno probabilmente un’azione di protezione della beta-cellula, aumentano la biosintesi e la secrezione insulinica glucosio-mediata, riducono la secrezione glucosio-dipendente di glucagone e, quindi, la gluconeogenesi epatica. Inoltre, attraverso la riduzione della glucotossicità periferica, contribuiscono a migliorare la captazione tessutale di glucosio. Questi effetti potrebbero rappresentare il complemento ideale all’azione dell’insulina basale, che si manifesta principalmente sulla glicemia a digiuno attraverso la riduzione della sovrapproduzione epatica di glucosio, mentre l’intensificazione con GLP1-RA, migliorando la risposta insulinica all’iperglicemia e limitando ulteriormente la produzione di glucagone, avrebbe un effetto più diretto sulla componente post-prandiale dell’iperglicemia (71-73). La combinazione di insulina e GLP1-RA rispetto alla sola terapia insulinica potrebbe quindi risultare in un migliore controllo della glicemia a digiuno e postprandiale, in una più spiccata riduzione della HbA1c insieme a un minore incremento del peso corporeo e una minore frequenza di episodi di ipoglicemia. D’altra parte occorre considerare che tale combinazione può comportare alcuni effetti collaterali a carico dell’apparato gastro-intestinale, come nausea e, in casi molto rari, vomito, anche se la frequenza di questi effetti collaterali sembra essere inferiore rispetto a quella osservata con l’uso dei soli GLP-RA e sono, comunque, raramente di entità tale da rendere necessaria la sospensione del trattamento.

Queste considerazioni sono ben supportate da dati clinici. Eng et al. (74) hanno pubblicato una meta-analisi su 15 studi condotti fino al 2014 per un totale di 4.348 soggetti con T2DM nei quali l’aggiunta di un GLP1-RA alla terapia insulinica basale veniva confrontata contro PLB o terapia insulinica basal-bolus. I risultati hanno mostrato una maggiore efficacia della combinazione insulina e GLP-RA per quanto riguarda la riduzione di HbA1c, dato non sorprendente dal momento che alcuni degli studi considerati prevedevano il confronto con PLB. Si è osservato, inoltre, un vantaggio in termini di peso corporeo e una neutralità per quanto riguarda la comparsa di ipoglicemia, dato ancora più interessante se si considera che è stato ottenuto in concomitanza alla riduzione dei livelli di HbA1c e del peso corporeo. Ahman et al. (75) in 451 pazienti trattati per 26 settimane con LIRA 1,8 mg o PLB in aggiunta a insulina basale con o senza MET hanno riportato una riduzione tra 1 e 1,5 punti percentuali di HbA1c ed una riduzione di circa 3 kg del peso corporeo. Lo studio AWARD-9 (76) condotto su 300 pazienti trattati con dulaglutide (DULA) 1,5 mg o PLB in aggiunta a terapia insulinica basale e seguiti per 28 settimane, ha evidenziato una riduzione della concentrazione di HbA1c di 0,77 punti percentuali ed una riduzione del peso corporeo di 2,41 kg. Infine, nel corso del più recente congresso della American Diabetes Association, Frias et al. (77) hanno presentato i dati dello studio DURATION-7 che in 440 pazienti ha confrontato per 28 settimane Exenatide (EXE) 2mg sc 1 volta a settimana o PLB in aggiunta al trattamento basale con insulina glargine titolata. In questo caso la riduzione di HbA1c è stata pari a 0,77 punti percentuali e il calo ponderale a 1,5 kg. Tali effetti, meno spiccati rispetto ai precedenti studi, sono da attribuirsi con tutta probabilità alla maggiore efficienza della titolazione della terapia insulinica.

Di particolare interesse sono gli studi che confrontano i GLP1-RA con la terapia insulinica basal-bolus. La meta-analisi di Eng et al. basata su tre studi (15-17), ha evidenziato che rispetto alla terapia multi-iniettiva, la combinazione GLP1-RA e insulina si associa ad una più marcata riduzione della HbA1c e del peso corporeo in assenza di incremento del rischio di ipoglicemia.

È interessante anche osservare che Blonde et al. (78) nello studio AWARD-4, nel quale DULA veniva utilizzata come trattamento basale vs. insulina glargine di base con l’aggiunta in entrambi i gruppi di insulina lispro prandiale, hanno osservato che i pazienti trattati con DULA (0,75 mg o 1,5 mg) mostravano una riduzione dei livelli di HbA1c maggiore rispetto ai pazienti trattati con insulina glargine sia a 26 (-1,64% e -1,59% vs. -1,41%) che a 52 settimane (-1,48% e -1,42% verso glargine -1,23%). La misurazione della glicemia domiciliare su otto punti effettuata dopo 26 settimane mostrava un miglior controllo del FPG nel gruppo trattato con insulina glargine, mentre il gruppo trattato con DULA presentava un miglior controllo della PPG. Il peso corporeo risultava meglio controllato nel gruppo con DULA, mentre il gruppo con insulina glargine mostrava un aumento di 3,65 kg. Non si osservava differenza tra i trattamenti riguardo agli eventi ipoglicemici. Lo schema terapeutico impiegato nel trial AWARD-4 (GLP-1 RA a somministrazione settimanale + insulina rapida ai pasti) pur essendo debole dal punto di vista del razionale clinico, dimostra che, anche in associazione con la terapia insulinica prandiale, i farmaci GLP1-RA a lunga durata d’azione non sono inferiori, in termini di sicurezza ed efficacia terapeutica, ad una insulina basale.

Dato che efficacia e sicurezza della terapia di combinazione GLP-1-RA + insulina sono ben supportate dai dati degli studi clinici, diventa interessante considerare se la somministrazione dei 2 principi attivi in combinazione fissa (e quindi in una unica somministrazione, con un ovvio vantaggio per la compliance alla terapia) produca effetti simili. Le combinazioni fisse precostituite attualmente disponibili sono IdegLira (insulina degludec 5U/Liraglutide 0,18 mg) e LixiLan (insulina glargine 2U/Lixisenatide 1 mcg o insulina glargine 3U/Lixisenatide 1 mcg). Per quanto riguarda IdegLira, il rapporto GLP1-RA/insulina è tale da permettere la titolazione dell’insulina fino a 50 UI, dose che corrisponde a 1,8 mg di LIRA, cioè quello massimo approvato. I dati degli studi pre-registrativi mostrano che i due principi attivi non influenzano le rispettive cinetiche; la cinetica di insulina degludec non è modificata quando somministrata insieme a LIRA, e la cinetica di LIRA presenta solo minori ed ininfluenti cambiamenti quando somministrata insieme all’insulina degludec. Tra gli studi che compongono l’ampio programma di sviluppo clinico di IdegLira, certamente tra i più rilevanti è lo studio DUAL-I (79) di Gough et al., condotto su 1.663 pazienti in una fase relativamente precoce del T2DM, mai trattati con insulina. I pazienti sono stati trattati per 26 settimane con insulina degludec, LIRA o IdegLira con o senza pioglitazone. Il gruppo trattato con IdegLira ha mostrato, a 26 settimane, una riduzione dei livelli di HbA1c di -1,91 punti percentuali, statisticamente significativa rispetto alla riduzione ottenuta con insulina degludec (-1,44%) e con LIRA (-1,28%). Il peso corporeo è rimasto praticamente invariato nel gruppo trattato con IdegLira (-0,5 kg), mentre è aumentato nel gruppo trattato con insulina degludec (+1,6 kg) ed è invece diminuito nel gruppo trattato con LIRA (-3,0 kg). Per quello che riguarda gli episodi di ipoglicemia, il gruppo trattato con IdegLira registrava una significativa riduzione degli episodi di ipoglicemia rispetto a quello trattato con insulina degludec, pur presentando livelli di HbA1c più bassi, mentre nel gruppo trattato con LIRA si registrava, come atteso, un numero minimo di ipoglicemie. Buse et al. (80) hanno riportato i risultati dello studio DUAL II, condotto su soggetti in una fase della malattia più avanzata rispetto a quelli reclutati nello studio DUAL I, già in trattamento con insulina basale, ma con controllo non ottimale. Lo studio prevedeva il confronto tra la combinazione IdegLira in sostituzione dell’insulina basale già impiegata: entrambi i farmaci venivano titolati, ma in nessuno dei 2 gruppi era consentito raggiungere dosaggi di insulina degludec superiori alle 50 UI/die. Il gruppo trattato con IdegLira ha mostrato una riduzione di HbA1c da valori basali pari a 9% a valori di 6,9% a 26 settimane, mentre il gruppo con insulina degludec, a parità di valori basali di HbA1c, il livello di HbA1c al termine del follow-up non scendeva al di sotto dell’8%. Sebbene tale risultato possa aver risentito del “tetto” imposto alla titolazione dell’insulina, si dimostra una chiara superiorità di IdegLira rispetto a degludec in questa tipologia di pazienti relativamente al controllo glicemico. Inoltre il peso corporeo, che rimaneva sostanzialmente invariato nel gruppo trattato con insulina degludec, si riduceva di 2,5 kg nel gruppo trattato con IdegLira. Infine, non si osservavano differenze tra i due gruppi relativamente alla frequenza di ipoglicemie, pur in presenza di HbA1c media considerevolmente più bassa nel gruppo IdegLira. Il confronto tra il passaggio a IdegLira ed una titolazione più aggressiva dell’insulina basale in pazienti nei quali era richiesta una intensificazione della terapia insulinica è stato esplorato nel lavoro di Lingvay et al. (81) (DUAL), dove IdegLira veniva confrontata con insulina glargine a più intensa titolazione, in pazienti con insufficiente controllo metabolico già trattati con insulina basale. Partendo da un valore iniziale di HbA1c tra 8,2% e 8,4%, i pazienti del gruppo IdegLira raggiungevano un valore medio di HbA1c di 6,6% dopo 26 settimane, mentre i pazienti del gruppo insulina glargine si attestavano su un valore di 7,1%. In termini di percentuale di pazienti che raggiungevano valori target di HbA1c, tuttavia, lo studio mostra che il 71,6% dei pazienti nel gruppo IdegLira raggiungeva un valore di HbA1c di 7,5% ed il 55% il valore di 6,5%, mentre nel gruppo trattato con insulina glargine gli stessi target venivano raggiunti solo nel 47% e nel 30,8% dei pazienti rispettivamente. Questi risultati sono tanto più significativi in quanto il dosaggio medio di insulina, nel gruppo insulina glargine, è risultato sensibilmente più alto rispetto al gruppo IdegLira (66 vs. 41 U). Per quanto riguarda il peso corporeo, il gruppo trattato con insulina glargine andava incontro ad aumento ponderale, mentre nel gruppo trattato con IdegLira si osservava una riduzione del peso. Infine, nel gruppo trattato con IdegLira si registrava un minor numero di episodi di ipoglicemia in totale ed un minor numero di episodi di ipoglicemia notturna. I dati appena discussi vengono riassunti bene nell’analisi del numero di pazienti che raggiungevano i diversi obiettivi compositi. Da questa analisi si evince che quasi il 40% dei pazienti trattati con IdegLira raggiungeva un livello di HbA1c inferiore a 7% senza aumento ponderale e senza episodi di ipoglicemia, mentre questo si verificava appena nel 12% dei pazienti in trattamento con insulina glargine.

La seconda combinazione fissa di GLP-1 RA e insulina è, come sopra menzionato, LixiLan (insulina glargine 2U/lixisenatide 1 mcg o insulina glargine 3U/lixisenatide 1 mcg). La combinazione fissa verso insulina glargine è stata studiata in due studi, LixiLan-O in pazienti trattati con MET e/o altri antidiabetici orali e Lixilan-L in pazienti precedentemente trattati con insulina glargine, (tabella 4). Nello studio Lixilan-O, pubblicato da Rosenstock et al. (82), 1.170 pazienti con T2DM non controllati con MET da sola o in associazione ad altri farmaci sono stati trattati per 30 settimane con lixilan, insulina glargine o sola lixisenatide. Partendo da un livello di HbA1c basale di circa 8% in tutti e 3 i gruppi, il gruppo trattato con LixiLan ha raggiunto una concentrazione di HbA1c pari a 6.5% rispetto a 6.8% e 7.3% osservati con insulina glargine e lixisenatide, rispettivamente (p <0,0001). Da segnalare che la percentuale di pazienti che nel gruppo LixiLan raggiungeva l’obiettivo di HbA1c <7% era maggiore (74%) rispetto a quella dei trattati solo con insulina glargine o lixisenatide (rispettivamente 59% e 33%, p=0,0001). Il trattamento con LixiLan non era accompagnato da modificazioni del peso corporeo che invece aumentava leggermente nel gruppo trattato con glargine mentre diminuiva significativamente nel gruppo trattato con sola lixisenatide. Nessuna differenza si registrava tra LixiLan e insulina glargine per quello che riguardava il rischio di ipoglicemia che era invece, come previsto, più basso nei pazienti trattati con sola lixisenatide. Lo studio LixiLan-L descritto da Aroda et al. (83) è stato invece condotto su 736 pazienti che non presentavano un controllo glicemico adeguato pur essendo in trattamento con insulina basale. I pazienti sono stati randomizzati a LixiLan o insulina glargine. A 30 settimane, sia la riduzione della HbA1c (LixiLan -1,1 %; insulina glargine -0,6 %), sia la percentuale di pazienti a target con HbA1c <7% (LixiLan 55%; insulina glargine 39%), sia la variazione di peso corporeo (LixiLan -0,7 Kg; insulina glargine +0,7 Kg) risultavano significativamente migliori nei pazienti trattati con LixiLan rispetto agli altri gruppi. Non emergevano invece differenze significative tra i 2 gruppi per quanto riguarda gli episodi di ipoglicemia.

Gli studi appena descritti suggeriscono la possibilità di offrire dei vantaggi ai pazienti in controllo metabolico non ottimale anche rispetto alla sola insulina basale impiegata con la migliore titolazione possibile.

Nel giugno 2017 Billings et al. (84) hanno presentato al congresso della American Diabetes Association i risultati ancora preliminari dello studio DUAL-VII, dove IdegLira era messo a confronto non con insulina basale attentamente titolata, ma con la terapia insulinica multi-iniettiva (insulina glargine + insulina aspar da 1 a 4 volte/die) in 526 pazienti valutati in 30 settimane di osservazione. I risultati a 26 settimane mostrano livelli di HbA1c simili nei 2 gruppi (circa 6,7%) accompagnati però da una lieve riduzione (-0,93 Kg), del peso corporeo nel gruppo trattato con IdegLira e da un aumento significativo del peso (+2,64 Kg) nel gruppo trattato con insulina multi-iniettiva. Da notare che, mentre la percentuale di soggetti che raggiungeva valori percentuali di HbA1c <7% era simile per i due trattamenti (66% IdegLira; 67% insulina), il gruppo trattato con IdegLira rispetto al gruppo trattato con insulina presentava una maggiore percentuale di soggetti che raggiungono l’obiettivo di HbA1c <7% senza aumento di peso (43,3% vs. 15,5%); senza episodi di ipoglicemia (52,9% vs. 23,2%) e senza aumento di peso in combinazione né ipoglicemia (34,9% vs. 4,7%). Sebbene si tratti di dati preliminari, è interessante osservare che la intensificazione della terapia insulinica basale attraverso il passaggio a una combinazione fissa GLP-1 RA + insulina basale dimostra un’efficacia in termini di HbA1c paragonabile a quella della terapia insulinica basal-bolus (molto più “invasiva” dal punto di vista del numero e della tempistica delle somministrazioni e del numero di controlli glicemici giornalieri) consentendo al tempo stesso significativi vantaggi sul peso e sul rischio di ipoglicemia.

HIGHLIGHT

  • La terapia di combinazione insulina e GLP1-RA si è dimostrata efficace e sicura
  • L’intensificazione del trattamento insulinico basale mediante l’aggiunta di un GLP1-RA ha dimostrato di essere non inferiore alla terapia multi iniettiva con insulina in termini di riduzione della HbA1c, con un minor rischio di episodi di ipoglicemia e di aumento ponderale
  • Le combinazioni precostituite di insulina basale più un GLP1-RA sembrano essere altrettanto sicure ed efficaci rispetto alle combinazioni estemporanee e sono superiori alla sola insulina basale titolata sia nei soggetti mai trattati con insulina sia nei soggetti non controllati con l’insulina basale
  • Risultati preliminari suggeriscono che in pazienti non controllati con la terapia insulinica basale la combinazione precostituita LIRA + insulina degludec sia non inferiore alla terapia multi-iniettiva in termini di riduzione della HbA1c, con risultati migliori in termini di rischio di ipoglicemia e di aumento del peso

 

Aspetti economici della gestione del diabete in Italia

La terapia di combinazione offre, come discusso sinora, potenziali vantaggi. Questi vantaggi vanno sempre commisurati ai possibili effetti collaterali così come al loro impatto in termini di spesa e di costi. Pertanto è importante capire come queste soluzioni terapeutiche si inseriscono nell’attuale scenario farmaco-economico del diabete nel nostro paese. Nel 2014 è stato pubblicato il primo studio (85) dello Economic Evaluation and HTA (EEHTA) CEIS, dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata che ha valutato l’impatto del diabete in Italia. Lo studio ha utilizzato dati provenienti dalla letteratura per valutare il peso economico della patologia “diabete” (DM), sia per quanto riguarda i costi diretti (visite mediche, esami di laboratorio, farmaci, ricoveri), sia per i costi indiretti (perdita di produttività, pensionamento anticipato ecc.). Impiegando un solido modello economico, il costo annuo totale del DM è stato stimato in € 20,3 miliardi (mld), del quale il 47% (€ 9,58 mld) dovuto ai costi diretti e il 53% (€ 10,68 mld) ai costi indiretti. L’analisi dei costi diretti sanitari ha confermato che oltre la metà dei costi diretti annui del DM sono dovuti alle ospedalizzazioni (€ 5,05 mld; 52,7%) seguiti dai costi per farmaci con un valore più che dimezzato rispetto a quello delle ospedalizzazioni (€ 2,09 mld; 21,81%) e dai costi diretti per controlli laboratoristici (€ 1,31 mld; 13,67%) e per visite specialistiche (€ 1,11 mld; 11,58%).

In un successivo studio, sempre del CEIS, è stata condotta un’ulteriore analisi economica basata, questa volta, su dati di real life (86). Lo studio aveva l’obiettivo di definire il numero, il profilo e il costo dei pazienti affetti da DM esaminando i dati di un campione di popolazione. A tal fine è stato analizzato il database amministrativo della Regione Marche che offre la possibilità di esaminare i dati della totalità dei pazienti affetti da DM residenti nella Regione. Precedenti analisi hanno mostrato che il database amministrativo della Regione Marche è un campione rappresentativo, con uno scostamento rispetto al campione nazionale di circa ±4%. La Regione Marche è inoltre rapportabile al Paese nella sua interezza sia per quanto riguarda le spese sia per le tariffe applicate dal SSN che per la prevalenza della malattia (5,5%). Nello studio sono state individuate 86.155 persone affette da DM con un’età media di 62 anni (41% donne). Da notare che circa il 70% del campione presentava una o due co-morbilità e che la percentuale di donne si riduceva all’aumentare del numero delle co-morbilità, il 55% era senza co-morbilità, il 48% dei pazienti aveva una sola co-morbilità, il 27% dei pazienti ne aveva quattro. Il dato relativo al genere, ancorché correttamente trattato dal punto di vista statistico, potrebbe essere stato influenzato dalla dimensione della popolazione. Si tratta in ogni caso di un dato meritevole di approfondimento soprattutto alla luce del fatto che, come mostrato dai dati di Penno et al. (87) tratti dallo studio RIACE, le donne presentano un peggior controllo dei fattori di rischio più comuni. Le co-morbilità più frequenti sono rappresentate da neuropatie (42,3%) e patologie cardiache (34,9%) seguite da patologie renali (9,1%) e retinopatie (0,4%). I dati di Pugliese et al. (88-89) sempre basati sullo studio RIACE, riportano una prevalenza delle patologie renali del 17% circa, una differenza probabilmente imputabile alle diverse fonti utilizzate, le SDO nell’analisi del database regionale e le cartelle cliniche nello studio RIACE. Per quanto riguarda i costi, la proiezione al livello nazionale fornisce una stima dei costi diretti sostenuti per il DM in Italia di € 8,1 mld/anno, prossima a quanto stimato negli studi presenti in letteratura. Nell’analisi del costo annuo per paziente, si è osservato che la presenza di comorbidità fa crescere i costi in maniera esponenziale, da € 341/anno per un paziente con DM senza comorbilità a € 2.287/anno per un paziente con due co-morbilità fino a € 7.085/anno per un paziente con quattro co-morbilità. Nei pazienti con co-morbilità le ospedalizzazioni, incluse quelle dovute alle co-morbilità contribuiscono in maniera determinante al costo/anno/paziente, rappresentando il 59% dei costi per pazienti senza co-morbilità, fino a raggiungere il 79% dei costi nei pazienti con quattro co-morbilità, con una media del 74%. La quota di costi dovuta ai farmaci, passa dal 32% per i pazienti senza co-morbilità al 19% nei pazienti con quattro co-morbidità, con una media del 22%. Il contributo dei costi per visite specialistiche e controlli si attesta in media al 4%. Le stime dei costi indiretti, quali la perdita di produttività, sono meno precise. Un dato ISTAT stima il costo di pensionamenti anticipati per DM pari a circa € 9,0 mld/anno. Un’ulteriore analisi eseguita coinvolgendo anche un panel di esperti clinici, ha poi sottolineato l’importanza di una precoce identificazione del DM, di una precoce presa in carico del paziente e opportuno inizio della terapia, del regolare controllo ai fini della prevenzione dell’insorgenza di possibili co-morbilità. L’incremento di costi associato a una più intensa attività di controllo e cura è più che bilanciato dalla riduzione dei costi ottenuta con la prevenzione delle co-morbilità. La stima della riduzione dei costi ottenibile con il controllo medico e una terapia intensificata poteva, quindi, essere quantificata in 980 milioni di euro in 12 mesi. Pertanto un modello di gestione moderno che includa anche il ricorso alla terapia di combinazione precoce può portare, a fronte di un aumento della spesa per i farmaci inizialmente più alta, a un risparmio in termini di riduzione dei costi associati alle complicanze nel medio-lungo termine. Peraltro per realizzare una simile situazione sarà necessario un cambiamento dell’attuale gestione delle risorse con il superamento della logica delle contabilità separate (logica dei silos). Questa logica, come ampiamente dimostrato da numerosi studi e dalla teoria economica generale, non consente di aumentare la spesa di una voce di costo per ottenere un risparmio molto maggiore dell’insieme delle voci; ciò provoca, in definitiva, anche uno spreco di risorse disponibili.

HIGHLIGHT

  • La spesa per il diabete è largamente rappresentata dai costi delle ospedalizzazioni e delle complicanze
  • La gestione integrata dei pazienti con DM potrebbe consentire una riduzione dei costi della malattia
  • Da valutare se l’uso precoce delle combinazioni con nuovi farmaci può indurre un risparmio nelle fasi successive della malattia
  • La riallocazione di risorse nelle fasi precoci della malattia potrebbe comportare una riduzione dei costi nelle fasi successive della storia clinica
  • Un simile cambio di prospettiva richiede il superamento della logica economica dei silos e l’applicazione di una gestione integrata del paziente

 

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Si ringrazia il dott. Salvatore Bianco di AKROS BioScience S.r.l. Pomezia (RM) per il servizio di Medical Writing.

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