Giorgio Sesti
Dipartimento Scienze Mediche e Chirurgiche, Università di Catanzaro “Magna Graecia”
Come già accaduto recentemente, anche in questo numero de il Diabete la classica “Opinione a Confronto”, che obbliga gli autori a dare vita ad un contenzioso talvolta forzato e pretestuoso, è stata sostituita con qualcosa di leggermente diverso: si pone un problema clinico di frequente riscontro e di ampio interesse e si offrono due soluzioni possibili, in una posizione di totale neutralità da parte dell’autore.
Il Prof. Giorgio Sesti risponde al quesito su quale farmaco, tra i nuovi agenti ipoglicemizzanti orali, possa essere associato all’insulina nel paziente con diabete tipo 2, e lo fa schematizzando il razionale fisiopatologico che giustifica entrambe le terapie di associazione, per poi rivedere in modo puntuale gli studi clinici a favore dei DPP-IV inibitori e degli SGLT2 inibitori. Le due combinazioni di farmaci appaiono efficaci e ben tollerate, con la interessante opportunità di sfruttare alcune caratteristiche dei due composti orali per ridurre alcuni potenziali effetti indesiderati della terapia insulinica.
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Il principale obiettivo terapeutico del paziente affetto da diabete mellito tipo 2 è garantire un buon compenso gluco-metabolico al fine di ridurre il rischio di complicanze micro- e cardio-vascolari (1-8). Tuttavia nello sviluppo di una strategia terapeutica volta a ridurre il rischio cardio-metabolico va rammentato che l’iperglicemia non si presenta isolata ma fa parte integrante di un cluster di alterazioni cardio-metaboliche tra cui dislipidemia, ipertesione e obesità, che tendono a manifestarsi nello stesso paziente e concorrono a incrementare il rischio cardiovascolare (9-11). In particolare l’obesità è un importante fattore di rischio per lo sviluppo di diabete mellito tipo 2 e di malattie cardiovascolari (12-14). Circa l’80% dei pazienti con diabete tipo 2 sono obesi e molti farmaci ipoglicemizzanti “tradizionali” promuovono un incremento ponderale (15-16). L’incremento di peso causato dalla terapia farmacologica, oltre a rappresentare un evento indesiderato in considerazione dei rischi cardiovascolari che l’adiposità comporta, rappresenta una barriera a una più efficace gestione del diabete, in quanto da una parte limita il medico ad intensificare la terapia ai fini di un ottimale compenso gluco-metabolico e dall’altra diminuisce l’aderenza dei pazienti al trattamento farmacologico. Un’altra conseguenza dell’intensificazione della terapia, soprattutto quando si utilizzano sulfoniluree e/o insulina, è il rischio di una maggiore incidenza di ipoglicemia, un problema spesso sottovalutato che può avere ripercussioni negative sull’aderenza della persona con diabete alla terapia e portare a un significativo incremento di morbilità e mortalità (17).
Nel diabete mellito tipo 2 la compromissione dell’omeostasi glucidica è determinata da multiple alterazioni fisiopatologiche la cui correzione rappresenta il target della terapia ipoglicemizzante. I difetti patogenesi che sottendono la malattia includono sia una ridotta sensibilità all’azione insulinica da parte del fegato, muscolo scheletrico e tessuto adiposo sia alterazioni della secrezione insulinica da parte delle β-cellule pancreatiche. Oltre questi due difetti fisiopatologici fondamentali, i soggetti con diabete di tipo 2 manifestano almeno altre cinque alterazioni fisiopatologiche: 1) disfunzione del tessuto adiposo che determina un aumento della lipolisi con elevati livelli circolanti di acidi grassi liberi (FFA) e di rilascio di adipochine. L’incremento degli acidi grassi liberi, insieme alla deposizione di metaboliti lipidici (lipotossicità) nel fegato, muscolo e β-cellule pancreatiche aggravano la condizione di insulino-resistenza epatica e muscolare e la capacità secretiva delle β-cellule pancreatiche; 2) compromissione dell’effetto incretinico, dovuto principalmente a una resistenza delle β-cellule pancreatiche agli effetti insulino-stimolatori degli entero-ormoni glucagon-like peptide-1 (GLP-1) and glucose-dependent insulinotropic polypeptide (GIP); 3) aumento della secrezione di glucagone con conseguente aumento della produzione epatica di glucosio; 4) aumentato riassorbimento renale del glucosio; 5) insulino-resistenza a livello cerebrale e alterata funzione di neurotrasmettitore che determina una disregolazione dei meccanismi di controllo dell’appetito e conseguente aumento di peso (18).
La dieta e l’esercizio fisico sono elementi fondamentali nel trattamento del diabete tipo 2 e fanno parte integrante della strategia terapeutica della malattia (19). Quando gli interventi sullo stile di vita non sono in grado di mantenere un accettabile compenso gluco-metabolico, è unanimemente riconosciuto che il trattamento con metformina costituisca l’intervento farmacologico di prima scelta (19). Quando la metformina in monoterapia non riesce a mantenere un buon controllo gluco-metabolico, è necessario aggiungere un secondo farmaco orale quale una sulfonilurea, la repaglinide, il pioglitazione, gli inibitori dell’enzima Dipeptidil Peptidasi 4 (DPP-4), gli inibitori del co-trasportatore sodio-glucosio (SGTL2) o farmaci somministrati per via iniettiva quali gli analoghi del GLP1 (19). Qualora non si raggiunga un adeguato controllo gluco-metabolico con due farmaci, è possibile trattare i pazienti con tre farmaci prima di passare alla terapia con insulina basale (glargine, detemir, degludec). Tuttavia, sia i pazienti sia i medici sono spesso riluttanti ad avviare o intensificare il trattamento con insulina in modo tempestivo per il timore dell’aumento di peso e degli eventi ipoglicemici. Le proprietà farmacologiche degli inibitori di DPP-4, degli inibitori di SGTL2 e degli analoghi del GLP-1 che combinano effetti ipoglicemizzanti con altri effetti benefici sul profilo di rischio cardio-vascolare (16, 20-22) hanno aperto la strada verso un nuovo approccio basato sulla loro combinazione insieme alla terapia insulinica.
In questa rassegna, illustreremo il razionale fisio-patologico per l’utilizzo combinato degli inibitori di DPP-4, e degli inibitori di SGTL2 con l’insulina ed esamineremo i dati di studi clinici allo scopo di valutare se i benefici teorici di questi regimi si traducono in miglioramenti significativi in ambito clinico.
Terapia di combinazione con inibitori di DPP-4 e insulina
La combinazione della terapia insulinica basale con gli inibitori di DPP-4 ha un valido supporto logico. Mentre l’insulina basale agisce prevalentemente sulla produzione epatica di glucosio e di conseguenza migliora principalmente la glicemia a digiuno e nei periodi inter-prandiali, gli effetti degli inibitori di DPP-4 sulla secrezione glucosio-dipendente determinano un beneficio sui livelli glicemici plasmatici postprandiali. Ciò si dovrebbe tradurre in un migliore controllo dei livelli di HbA1c con concentrazioni di glucosio stabili nel corso della giornata associato a basso rischio di ipoglicemia e riduzione del fabbisogno di insulina e, di conseguenza, nessun incremento ponderale. Gli effetti della terapia con inibitori di DPP-4 e insulina è stata analizzata in sette trial clinici randomizzati controllati riportati nella tabella 1.
In uno studio condotto su 641 soggetti affetti da diabete tipo 2, inadeguatamente controllati (HbA1c ≥7,5% and ≤11%) dalla terapia con insulina (≥15 IU/die; long-acting, intermedia o premiscelata) da sola o in combinazione con metformina (alla dose di 1500 mg/die), l’efficacia e la sicurezza dell’aggiunta dell’inibitore di DDP-4 sitagliptin è stata confrontata con il placebo (23). Il trattamento con metformina e con insulina è stato mantenuto costante durante il periodo di osservazione a meno che non fosse necessaria una correzione dell’ipoglicemia o dell’iperglicemia (glicemia a digiuno maggiore di 240/mg/dl). L’endpoint primario era la variazione dei livelli di HbA1c dal basale dopo 24 settimane di trattamento. Il trattamento con sitagliptin, rispetto a quello con placebo, si associava a una maggiore riduzione dei livelli di HbA1c (-0,6% vs 0,0% con una differenza tra i due trattamenti di -0,6% [95% IC da -0,7 a -0,4], P<0,001) e una maggiore percentuale di pazienti che raggiungevano un valore di HbA1c <7% (13% vs 5%; P<0,001). Il trattamento con sitagliptin, rispetto a quello con placebo, si associava a una maggiore riduzione dei livelli di glicemia a digiuno (-15 mg/dl) e di glicemia due ore dopo i pasti (-36,1 mg/dl). Non è stata osservata alcuna variazione del peso iniziale tra i due gruppi e gli episodi d’ipoglicemia severa non differivano tra i due gruppi. Al termine dello studio le variazioni della dose d’insulina sono state 0 UI nel gruppo in trattamento con sitagliptin e 1,6 UI nel gruppo placebo.
In uno studio condotto su 217 soggetti affetti da diabete tipo 2 naive per il trattamento insulinico, inadeguatamente controllati dalla terapia con metformina ± sulfonilurea (HbA1c ≥7,5% and ≤10%), l’efficacia e la sicurezza del trattamento combinato con insulina detemir + sitagliptin + metformina è stata confrontata con il trattamento sitagliptin + metformina ± sulfonilurea (24). Il trattamento con insulina detemir è stato titolato durante il periodo di osservazione con un approccio treat-to-target basato sui livelli di glicemia a digiuno. L’endpoint primario era la variazione dei livelli di HbA1c dal basale dopo 26 settimane di trattamento. Il trattamento con insulina detemir + sitagliptin + metformina, rispetto a quello con sitagliptin + metformina ± sulfonilurea, si associava a una maggiore riduzione dei livelli di HbA1c (-1,44% vs -0,89% con una differenza tra i due trattamenti di -0,55% [95% IC da -0,77 a -0,33], P<0,001) e una maggiore percentuale di pazienti che raggiungevano un valore di HbA1c <7% (45% vs 24%; +<0,001). Il trattamento con insulina detemir + sitagliptin + metformina si associava a migliore profilo glicemico durante la giornata. Il trattamento con detemir + sitagliptin + metformina si associava a una riduzione del peso corporeo (-1,7 Kg) che non differiva rispetto a quello con sitagliptin + metformina ± sulfonilurea (-0,8 Kg). Gli episodi d’ipoglicemia severa non differivano tra i due gruppi. Al termine dello studio la dose media di insulina detemir era aumentata da 0,1 a 0,59 UI/kg.
In uno studio condotto su 140 soggetti affetti da diabete tipo 2 inadeguatamente controllati (HbA1c ≥7,5% and ≤11%) dalla terapia con insulina da sola o in combinazione con altri farmaci, l’efficacia e la sicurezza dell’aggiunta dell’inibitore di DDP-4 sitagliptin è stata confrontata con un gruppo in cui il trattamento insulinico era intensificato di almeno il 10% alla randomizzazione e di un ulteriore 10% alla 12 settimana (25). In aggiunta a questo aumento del 20%, i partecipati potevano aumentare la dose di insulina di 2 UI alla settimana in base ai valori della glicemia determinati dall’auto-monitoraggio. L’endpoint primario era la variazione dei livelli di HbA1c dal basale dopo 24 settimane di trattamento. Il trattamento con insulina + sitagliptin, rispetto a quello con dosi crescenti d’insulina, si associava a una maggiore riduzione dei livelli di HbA1c (-0,6% vs -0,2%, P<0,01) e una maggiore percentuale di pazienti che raggiungevano un valore di HbA1c <7% senza episodi d’ipoglicemia (18,3% vs 11,5%; P=0,021). Il trattamento con insulina + sitagliptin si associava a una riduzione del peso corporeo (-0,7 Kg) mentre il trattamento con dosi crescenti d’insulina si associava a un incremento del peso corporeo (+1,1 Kg; P<0,05). Gli episodi d’ipoglicemia severa erano più frequenti nel gruppo in trattamento con dosi crescenti d’insulina (4,8%) rispetto al trattamento con insulina + sitagliptin (1,6%; P<0,05). La dose media giornaliera d’insulina è lievemente diminuita nei soggetti trattati con sitagliptin (da 39,6 a 37,1 UI/die), mentre la dose giornaliera d’insulina è significativamente aumentata nel gruppo trattato con dosi crescenti d’insulina (da 35,4 a 44,2 UI/die alla 24° settimana 24 (+25%; P<0,05).
In uno studio condotto su 296 soggetti affetti da diabete tipo 2 inadeguatamente controllati (HbA1c ≥7,5% and ≤11%) dalla terapia con insulina (≥30 IU/die), l’efficacia e la sicurezza dell’aggiunta dell’inibitore di DDP-4 vildagliptin stata confrontata con insulina + placebo (26). L’endpoint primario era la variazione dei livelli di HbA1c dal basale dopo 24 settimane di trattamento. Il trattamento con insulina + vildagliptin, rispetto a quello con insulina + placebo, si associava a una maggiore riduzione dei livelli di HbA1c (-0,5% vs -0,2%, P<0,01). Il trattamento con insulina + vildagliptin si associava a un modesto incremento del peso corporeo (1,3 Kg) che non differiva da quello osservato nei soggetti in trattamento con insulina (0,7 Kg). Gli episodi d’ipoglicemia severa erano più frequenti nel gruppo in trattamento con insulina + placebo (0.1 eventi/paziente/anno) rispetto al trattamento con insulina + vildagliptin (0 eventi/paziente/anno; P<0,001). La dose media giornaliera d’insulina è lievemente aumentata sia nei soggetti trattati con insulina + vildagliptin (+ 1,2 UI/die) sia in quelli trattati con placebo + insulina (+4,1 UI/die).
In uno studio condotto su 390 soggetti affetti da diabete tipo 2 inadeguatamente controllati (HbA1c ≥8%) dalla terapia con insulina (≥15 IU/die), l’efficacia e la sicurezza dell’aggiunta dell’inibitore di DDP-4 alogliptin ai dosaggi di 12,5 mg/ o 25 mg/die stata confrontata con insulina da sola o in combinazione con metformina (27). L’endpoint primario era la variazione dei livelli di HbA1c dal basale dopo 26 settimane di trattamento. Il trattamento con insulina + alogliptin (12,5 mg o 25 mg), rispetto a quello con insulina + placebo, si associava a una maggiore riduzione dei livelli di HbA1c (-0,63 e -0,71%, rispettivamente vs -0,13%, P<0,001). Il trattamento con insulina + alogliptin si associava a un modesto incremento del peso corporeo (0,7 e 0,6 Kg per alogliptin 12,5 mg e 25 mg, rispettivamente) che non differiva da quello osservato nei soggetti in trattamento con insulina (0,6 Kg). Sei episodi di grave ipoglicemia si sono verificati in due pazienti nel gruppo trattato con placebo, e un evento grave si è verificato nel gruppo in trattamento con insulina + alogliptin 25 mg. La dose media giornaliera d’insulina è lievemente aumentata nei soggetti trattati con insulina + alogliptin 12,5 mg (+0,4 UI/die) e in quelli trattati con placebo + insulina (+0,6 UI/die) mentre era lievemente ridotta i soggetti trattati con insulina + alogliptin 25 mg (-0,2 UI/die). Tali differenze non erano significative.
In uno studio condotto su 1261 soggetti affetti da diabete tipo 2 inadeguatamente controllati (HbA1c ≥7,0% and ≤10,0%) dalla terapia con insulina basale (glargine, detemir o NPH) da sola o in combinazione con metformina ± pioglitazone, l’efficacia e la sicurezza dell’aggiunta dell’inibitore di DDP-4 linagliptin è stata confrontata con quella del trattamento con insulina + placebo (28). L’endpoint primario era la variazione dei livelli di HbA1c dal basale dopo 24 settimane di trattamento. Il trattamento con insulina + linagliptin, rispetto a quello con insulina + placebo, si associava a una maggiore riduzione dei livelli di HbA1c (-0,58% vs 0,07%, P<0,001). Il trattamento con insulina + linaliptin si associava a una modesta riduzione del peso corporeo (-0,16 Kg) che non differiva da quello osservato nei soggetti in trattamento con insulina (0,12 Kg). L’incidenza di episodi di grave ipoglicemia erano simili nei due gruppi (linagliptin 0,3% vs placebo 0,6%). La dose media giornaliera d’insulina è lievemente aumentata sia nei soggetti trattati con insulina + linagliptin (+0,1 UI/die) sia in quelli trattati con placebo + insulina (+0,4 UI/die).
In uno studio condotto su 455 soggetti affetti da diabete tipo 2 inadeguatamente controllati (HbA1c ≥7,5% and ≤11,0%) dalla terapia con insulina (>30 UI/die) da sola o in combinazione con metformina, l’efficacia e la sicurezza dell’aggiunta dell’inibitore di DDP-4 saxagliptin è stata confrontata con quella del trattamento con insulina + placebo (29). L’endpoint primario era la variazione dei livelli di HbA1c dal basale dopo 24 settimane di trattamento. Il trattamento con insulina + saxagliptin, rispetto a quello con insulina + placebo, si associava a una maggiore riduzione dei livelli di HbA1c (-0,73% vs -0,32%, P<0,001). Il trattamento con saxagliptin + insulina si associava a migliore profilo glicemico post-prandiale. Il trattamento con insulina + saxaliptin si associava a un modesto incremento del peso corporeo (+0,39 Kg) che non differiva da quello osservato nei soggetti in trattamento con insulina + placebo (+0,18 Kg). L’incidenza di episodi di grave ipoglicemia erano simili nei due gruppi (saxagliptin 1,0% vs placebo 1,3%). La dose media giornaliera d’insulina è lievemente aumentata sia nei soggetti trattati con insulina + saxagliptin (+1,7 UI/die) sia in quelli trattati con insulina + placebo (+5,0 UI/die).
Terapia di combinazione con inibitori di SGTL2 e insulina
La combinazione della terapia insulinica con gli inibitori di SGTL2 o gliflozine ha un valido razionale fisiopatologico. Il cotrasportatore di sodio-glucosio 2 (SGLT2) è una proteina espressa principalmente nel rene ed è responsabile sino al 90% del riassorbimento del glucosio nel filtrato urinario. Gli inibitori di SGLT2 (dapaglifozin, canagliflozin, empagliflozin) sono una classe di farmaci ipoglicemizzanti di recente sviluppo che bloccano il riassorbimento di glucosio consentendo che circa il 40% del glucosio filtrato venga eliminato con le urine. Il loro meccanismo d’azione è indipendente dalla secrezione insulinica, non è associato a ipoglicemia e determina una riduzione del peso corporeo e della pressione arteriosa (Fig. 1).
Ciò si dovrebbe tradurre in un migliore controllo dei livelli di HbA1c con concentrazioni di glucosio stabili nel corso della giornata associato a basso rischio di ipoglicemia e riduzione del fabbisogno di insulina e, di conseguenza, nessun incremento ponderale. Gli effetti della terapia con inibitori di SGTL2 e insulina è stata analizzata in diversi trial clinici randomizzati controllati riportati nella tabella 2.
In uno studio condotto su 808 soggetti affetti da diabete tipo 2 inadeguatamente controllati (HbA1c ≥7,5% and ≤10,5%) dalla terapia con insulina (>30 UI/die) da sola o in combinazione con altri ipoglicemizzanti orali, l’efficacia e la sicurezza dell’aggiunta dell’inibitore di SGTL2 dapagliflozin (2,5, 5 e 10 mg) è stata confrontata con quella del trattamento con insulina + placebo (30). Il trattamento con insulina è stato mantenuto costante durante il periodo di osservazione a meno che non fosse necessaria una correzione dell’ipoglicemia o dell’iperglicemia (glicemia a digiuno maggiore di 240/mg/dl). L’endpoint primario era la variazione dei livelli di HbA1c dal basale dopo 24 settimane di trattamento. Il trattamento con dapagliflozin + insulina, rispetto a quello con insulina + placebo, si associava a una maggiore riduzione dei livelli di HbA1c (-0,79, -0,89 e -0,96% per dapagliflozin 2,5, 5 e 10 mg, rispettivamente, vs -0,39% per il placebo, P<0,001). Il trattamento con dapagliflozin + insulina si associava a una riduzione del peso corporeo (-0,92, -1,00 e -1,61% per dapagliflozin 2,5, 5 e 10 mg, rispettivamente) che differiva significativamente dall’incremento ponderale osservato nei soggetti in trattamento con insulina + placebo (+0,43 Kg). Il trattamento con dapagliflozin + insulina si associava a una riduzione della pressione arteriosa (-3,56, -4,21, 5,93 e -6,66 mmHg per placebo, dapagliflozin 2,5, 5 e 10 mg, rispettivamente). Gli episodi di grave ipoglicemia erano simili nei quattro gruppi (2, 3, 2 e 3 per placebo, dapagliflozin 2.5, 5 e 10 mg, rispettivamente). La dose media giornaliera d’insulina è aumentata nei soggetti trattati con insulina + placebo (+5,65 UI/die) mentre si riduceva in quelli trattati con dapagliflozin + insulina (-1,95, -0,63 e -1,17 UI/die per dapagliflozin 2,5, 5 e 10 mg, rispettivamente).
In un sottogruppo dello studio CANVAS (CANagliflozin CardioVascular Assessment Study) comprendente 2072 soggetti affetti da diabete tipo 2 inadeguatamente controllati (HbA1c ≥7,0% and ≤10,5%) dalla terapia con insulina (>20 UI/die) da sola o in combinazione con altri ipoglicemizzanti orali, l’efficacia e la sicurezza dell’aggiunta dell’inibitore di SGTL2 canagliflozin (100 e 300 mg) è stata confrontata con quella del trattamento con insulina + placebo (31). Il trattamento con insulina è stato mantenuto costante durante le prime 18 settimane di osservazione e, successivamente, lasciato a discrezione dello sperimentatore. L’endpoint primario era la variazione dei livelli di HbA1c dal basale dopo 52 settimane di trattamento. Il trattamento con canagliflozin + insulina, rispetto a quello con insulina + placebo, si associava a una maggiore riduzione dei livelli di HbA1c (-0,55 e -0,69% per canagliflozin 100 e 300 mg, rispettivamente, vs -0,03% per il placebo, P<0,001). Il trattamento con dapaglifozin + insulina si associava a una significativa riduzione del peso corporeo (-2,8 e -3,5% per canaglifozin 100 e 300 mg, rispettivamente) e della pressione arteriosa (-3,1 e -6,2 mmHg per canaglifozin 100 e 300 mg, rispettivamente). Gli episodi di grave ipoglicemia erano simili nei tre gruppi (4, 5 e 6% per placebo, canaglifozin 100 e 300 mg, rispettivamente). La dose media giornaliera d’insulina è aumentata nei soggetti trattati con insulina + placebo (+4,4 UI/die) mentre si riduceva in quelli trattati con canagliflozin + insulina (-2,0 e -4,3 UI/die per canagliflozin 100 e 300 mg, rispettivamente).
In uno studio condotto su 494 soggetti affetti da diabete tipo 2 inadeguatamente controllati (HbA1c ≥7,0% and ≤10,0%) dalla terapia con insulina basale (glargine, detemir o NPH; >20 UI/die) da sola o in combinazione con metformina ± sulfonilurea, l’efficacia e la sicurezza dell’aggiunta dell’inibitore di SGTL2 empagliflozin (10 e 25 mg) è stata confrontata con quella del trattamento con insulina + placebo (32). Il trattamento con insulina è stato mantenuto costante durante le prime 18 settimane di osservazione e, successivamente, lasciato a discrezione dello sperimentatore. L’endpoint primario era la variazione dei livelli di HbA1c dal basale dopo 78 settimane di trattamento. Il trattamento con empagliflozin + insulina, rispetto a quello con insulina + placebo, si associava a una maggiore riduzione dei livelli di HbA1c (-0,5 e -0,6% per empagliflozin 10 e 20 mg, rispettivamente, vs -0,00% per il placebo, P<0,001). Il trattamento con empagliflozin + insulina si associava a una riduzione del peso corporeo (-2,2 e -2,0 Kg per empagliflozin 10 e 25 mg, rispettivamente) che differiva significativamente dall’incremento ponderale osservato nei soggetti in trattamento con insulina + placebo (+0,7 Kg). Il trattamento con empagliflozin + insulina si associava a una riduzione della pressione arteriosa (+0,1, -4,1 e -2,4 mmHg per placebo, empagliflozin 10 e 25 mg, rispettivamente). Gli episodi di grave ipoglicemia erano simili nei tre gruppi (0, 0 e 2 per placebo, empagliflozin 10 e 25 mg, rispettivamente). La dose media giornaliera d’insulina è aumentata nei soggetti trattati con insulina + placebo (+5,5 UI/die) mentre si riduceva in quelli trattati con empagliflozin + insulina (-1,2 e -0,5 UI/die per empagliflozin 10 e 25 mg, rispettivamente; P= 0,009).
Conclusioni
Nel loro insieme, i dati dei trial clinici ottenuti fino ad oggi supportano il razionale fisio-patologico e farmacologico per una terapia di combinazione con inibitori di DPP-4 o di SGTL2 ed insulina. La combinazione di inibitori di DPP-4 o di SGTL2 con la terapia con insulina risulta in una razionale azione complementare che determina un miglioramento del controllo gluco-metabolico senza incremento di peso e rischio d’ipoglicemia. Queste combinazioni possono essere utili per ridurre la dose d’insulina in particolare nei soggetti che richiedono terapie multi-iniettive. Nella pratica clinica, la terapia di combinazione con inibitori di DPP-4 o di SGTL2 e insulina potrebbe contribuire ad alleviare le preoccupazioni dei pazienti e dei medici circa gli effetti negativi associati alla terapia insulinica e a vincere la ritrosia ad intensificare il trattamento per raggiungere gli obiettivi terapeutici.
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Bibliografia
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