Terapia antiaggregante in prevenzione primaria e secondaria nel diabete
Francesca Santilli, Paola Simeone, Giovanni Davì †
Dipartimento di Medicina e Scienze dell’Invecchiamento e Centro di Eccellenza sull’invecchiamento e Medicina Traslazionale (CESI-Met), Chieti
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Diabete mellito ed attivazione piastrinica
Il diabete mellito è un forte predittore di mortalità e morbidità cardiovascolare, e si associa a complicanze micro- e macrovascolari (1). Le malattie cardiovascolari sono la causa di circa il 70% di tutte le morti in pazienti diabetici. Il numero di pazienti affetti da diabete mellito di tipo 2 (DMT2), aumenta con l’aumentare dell’età della popolazione, in parte a causa dell’aumentata prevalenza dell’obesità e dello stile di vita sedentario. Il DM è inoltre un fattore di rischio indipendente per scompenso cardiaco. Lo scompenso cardiaco è strettamente correlato alla cardiomiopatia diabetica, la quale è clinicamente caratterizzata da un iniziale aumento della compliance del ventricolo sinistro e da una disfunzione diastolica subclinica, che compromette gradualmente la funzione sistolica del ventricolo sinistro, con perdita della funzione contrattile e progressivo scompenso cardiaco congestizio. L’1% di incremento dell’emoglobina glicata (HbA1c) correla con un incremento dell’8% dell’incidenza di scompenso cardiaco (2). In diversi studi epidemiologici come il Framingham Study e lo UK Prospective Diabetes Study (UKPDS) (3), tra i pazienti diabetici una percentuale significativa presentava una diagnosi di scompenso cardiaco.
L’aterosclerosi accelerata è il principale fattore sottostante che contribuisce all’elevato rischio di eventi nei pazienti diabetici. Le principali complicanze macrovascolari sono la malattia coronarica, l’arteriopatia obliterante degli arti inferiori, l’ictus, preceduti spesso da un incremento dell’intima-media thickness (IMT) carotidea o dall’alterazione dell’Ankle-Brachial Index (ABI), marcatori precoci di aterosclerosi polidistrettuale. I pazienti diabetici hanno una probabilità più elevata di 2-4 volte di sviluppare ictus (3). Le malattie cardiovascolari, in particolar modo la malattia coronarica, sono la principale causa di morbidità e mortalità nei pazienti diabetici (4). È stato stimato come un paziente diabetico con precedente malattia cardiovascolare abbia un’aspettativa di vita ridotta di sei anni rispetto ad un diabetico senza malattia cardiovascolare, e di 12 anni rispetto ad un paziente non diabetico (5). Il diabete è un predittore indipendente di eventi ischemici ricorrenti, compresa la mortalità, nelle sindromi coronariche acute (SCA) (6-7), quali l’angina instabile, l’infarto del miocardio non ST sopraslivellato (NSTEMI) (8), l’infarto del miocardio ST sopraslivellato (STEMI) (9), e SCA rivascolarizzate (10-11).
Lo stato metabolico che accompagna il DM è responsabile delle anomalie endoteliali e della funzione piastrinica, che possono contribuire agli eventi cellulari che promuovono l’aterosclerosi e di conseguenza innalzano il rischio di eventi avversi cardiovascolari. Le alterazioni piastriniche e il danno endoteliale possono insorgere in fase precoce nel diabete, come suggerito da studi animali che mostrano un’aumentata aggregazione piastrinica in risposta a diversi agonisti, che si verifica prima dello sviluppo della malattia vascolare (12). Inoltre, l’aumentata attivazione piastrinica e la sintesi del trombossano (TX) A2 sono riscontrabili in topi resi diabetici con streptozocina (13). Alterazioni funzionali delle piastrine sono state descritte nel DM. In generale, le piastrine sono in grado di rispondere ad uno stimolo sottosoglia, consumandosi più rapidamente, il che esita quindi in una accelerata trombopoiesi di più piastrine reattive. Pertanto, le piastrine dei pazienti diabetici sono caratterizzate da una disregolazione di diverse vie di segnale, promuovendo un fenotipo iperreattivo con un’aumentata adesione, aggregazione e attivazione (14-15). L’iperaggregazione piastrinica nel diabete è stata riconosciuta sin dal 1965 (16). Da allora, diversi studi hanno dimostrato che la degranulazione piastrinica e la sintesi di metaboliti del TX che mediano e riflettono l’attivazione piastrinica sono aumentati nel diabete (17-18), e la vasodilatazione piastrino-mediata è compromessa (19). Inoltre, le piastrine dei pazienti diabetici presentano una diminuita sensibilità agli antiaggreganti naturali, come l’ossido nitrico e la prostaciclina (PGI2) (20). I soggetti diabetici con un’angiopatia clinicamente apprezzabile, presentano un numero più elevato di piastrine P-selectina (CD62P)- e CD63-positive rispetto a controlli sani (21). Il recettore dell’ADP piastrinico P2Y12 è iperespresso nelle piastrine dei pazienti diabetici (22), con conseguente riduzione della concentrazione di AMPc che, in aggiunta ad una minore risposta all’insulina, induce aumentata adesione, aggregazione e attività procoagulante (23). Nei pazienti diabetici è stata riportata anche un’aumentata espressione della glicoproteina di superficie (GP) Ib e della GPIIb/IIIa (24). L’evidenza biochimica in vivo di aumentata e persistente attivazione piastrinica trombossano-dipendente può essere ottenuta attraverso la misurazione non invasiva dell’escrezione urinaria dei metaboliti del trombossano (25). Il nostro gruppo ha dimostrato per la prima volta che la biosintesi di trombossano A2, valutato in vivo attraverso l’escrezione urinaria di 11-dehydro-TXB2, è aumentata e persistente nei pazienti diabetici (18). Un problema importante è se l’aumentata attivazione piastrinica nel diabete è meramente una conseguenza della malattia vascolare sottostante o se riflette l’influenza dei disturbi metabolici che caratterizzano lo status diabetico sulla biochimica e sulla funzione piastrinica (26). I pazienti con diabete e malattia arteriosa periferica presentano livelli più elevati di biosintesi di trombossano rispetto ai controlli sovrapponibili per età e sesso (18). Tuttavia, è stato dimostrato che l’attivazione piastrinica è correlata alla presenza del DM di per sé, indipendentemente dalla malattia macrovascolare (18). L’evidenza biochimica di attivazione piastrinica TX-dipendente in pazienti con nuova diagnosi di diabete, senza complicanze vascolari, supporta l’ipotesi di un ruolo primario delle anomalie metaboliche sul fenotipo piastrinico (27). La comprensione del concetto che attivazione piastrinica non è solo uno step finale dell’aterotrombosi, ma prende parte negli stadi precoci delle malattie metaboliche, tra cui il DM, si è affiancata al concetto relativamente recente delle piastrine come cellule infiammatorie, in grado di attivare ed amplificare segnali infiammatori ed indurre ulteriore attivazione piastrinica. I livelli circolanti di mediatori dell’infiammazione di origine almeno in parte piastrinica, come CD40 ligando solubile, CD36 solubile, Dickkopf-1 e il recettore solubile dei prodotti finali di glicazione avanzata (sRAGE), sono più elevati nei pazienti diabetici rispetto ai non diabetici e sono in grado di stimolare il rilascio di citochine, chemochine, attivazione cellulare e interazioni cellula-cellula. Questi mediatori solubili, grazie alle loro proprietà potrebbero essere dei potenziali biomarkers di uno stato pro-infiammatorio e così predire futuri eventi aterotrombotici (28).
Un turnover piastrinico accelerato, dimostrato dall’elevato numero di piastrine reticolate, è stato osservato in pazienti diabetici. Le piastrine reticolate rappresentano piastrine giovani, ricche di mRNA, con un elevato potenziale proaggregante ed emostatico. Le piastrine reticolate sono grandi e più reattive, e le dimensioni piastriniche correlano con l’elevata reattività, misurata con l’aggregazione e la degranulazione del contenuto (29). Le piastrine di grandi dimensioni sono pertanto più reattive e proaggreganti; contengono più granuli densi, secernono più serotonina e beta-tromboglobulina e producono più TXA2 rispetto alle piastrine più piccole (28). Pertanto, l’elevato potenziale per l’aggregazione ne riduce la soglia di attivazione. Inoltre la presenza di queste piastrine più grandi in pazienti diabetici, si associa una risposta subottimale alle terapie antiaggreganti, quali aspirina (ASA) e clopidogrel (30), contribuendo probabilmente all’eccesso di eventi acuti cardiovascolari nonostante la terapia in atto. Di conseguenza, l’MPV (il volume piastrinico medio), un parametro che, in parte, rispecchia il turnover piastrinico in vivo, è un predittore indipendente di eventi vascolari, è aumentato nei diabetici rispetto ai non diabetici, ma non sembra correlare con variabili cliniche quali età dei pazienti, HbA1c, glicemia a digiuno, e durata della malattia (31). Ciò ci suggerisce che l’aumento dell’MPV potrebbe essere dovuto allo stato diabetico di per sé. Se un elevato volume possa anche rispecchiare differenze funzionali tra le piastrine rilasciate dai megacariociti è ancora oggetto di studio. Le piastrine più grandi sono dotate di un più elevato contenuto di proteine rilevanti per l’emostasi e la trombosi. Tra queste, il fattore tissutale, una glicoproteina di 47 kDa, è l’attivatore principale della cascata della coagulazione che è presente in condizioni patologiche e fisiologiche (32).
Le piastrine possono essere una fonte di fattore tissutale attivo, il così denominato fattore tissutale piastrinico, o “blood-borne” o fattore tissutale “circolante” che può sostenere l’attivazione della cascata della coagulazione all’acme della crescita del trombo (33). I megacariociti sono impegnati a rilasciare in circolo un certo numero di piastrine contenenti fattore tissutale, che rappresentano una frazione della popolazione piastrinica totale (34). Se questa frazione coincidesse con le piastrine con un volume maggiore, l’MPV potrebbe ulteriormente riflettere il grado di iperreattività piastrinica e probabilmente l’aterotrombosi. Se le piastrine contenenti fattore tissutale siano più rappresentate nel caso del DM, è ancora oggetto di studio.
Terapia antiaggregante nel paziente diabetico
Prevenzione secondaria
Una metanalisi di 102 studi prospettici che includevano 700.000 persone ha stimato un rischio di malattie cardiovascolari circa doppio per i pazienti diabetici (35). Pertanto, come si è detto, sebbene il dogma del DM come equivalente di malattia cardiovascolare sia gradualmente andato scemando, anche grazie alla riduzione del rischio assoluto ottenuta con l’avvento di trattamenti farmacologici concomitanti che modificano la storia naturale della malattia, come antidiabetici, antipertensivi, ipolipemizzanti, il DM rimane un fattore di rischio cardiovascolare maggiore (36). Considerando che il DM è caratterizzato da un persistente stato di attivazione piastrinica TX-dipendente, l’aspirina a basse dosi, che induce nelle piastrine una inattivazione permanente della ciclossigenasi (COX)-1, inibendo quindi la biosintesi del trombossano, dovrebbe essere considerata il farmaco di scelta. L’acido acetil-salicilico (ASA), anche conosciuto semplicemente con il nome aspirina, è stato prodotto e commercializzato dal 1899, ma ci sono voluti sessant’anni per apprezzare il suo potenziale antitrombotico come agente antipiastrinico (37). Dopo la sua somministrazione, l’aspirina è rilasciata completamente e rapidamente assorbita per mezzo della diffusione passiva attraverso lo stomaco e il piccolo intestino; l’assorbimento dipende dal dosaggio, dalla presenza o assenza di cibo e dal pH gastrico (38). Il picco plasmatico si presenta dopo 30-40 minuti dalla somministrazione (nella formulazione non gastroresistente), e dopo 3-4 ore (nella formulazione gastroresistente). L’emivita dell’ASA è di soli 15-20 minuti, ma l’effetto antipiastrinico dura a lungo a causa del meccanismo d’azione che blocca le piastrine per tutta la loro vita (7-10 giorni). L’ASA a basse dosi rappresenta il farmaco antipiastrinico d’elezione per una strategia di prevenzione secondaria in pazienti diabetici con una storia di malattia cardiovascolare (38). L’ASA acetila selettivamente il gruppo idrossilico di un residuo di serina in posizione 529 dell’enzima COX-1, bloccando in questo modo la formazione di TXA2 (38). Questo effetto è irreversibile perché le piastrine sono anucleate e incapaci di sintetizzare COX-1 nuovamente. L’efficacia massima antitrombotica dell’ASA con il più basso rischio di sanguinamento si realizza alla posologia di 75-100 mg al giorno (38). Tra i pazienti con malattia vascolare occlusiva (incluso il DM), la terapia antipiastrinica riduce il rischio di eventi seri vascolari (infarto del miocardio non fatale, ictus non fatale, o morte per cause cardiovascolari) di circa il 20-25% (39). Sebbene l’incidenza globale di eventi sia più elevata nei pazienti diabetici, il beneficio della terapia antipiastrinica è consistente indipendentemente dal diabete (40). In una grande metanalisi di prevenzione secondaria condotta dall’Antithrombotic Trialists’ Collaboration (40) l’incidenza degli eventi cardiovascolari era ridotta dal 22.3 % al 18.5 % nella corte dei pazienti diabetici (p<0.002) e dal 16.4 % al 12.8 % (p<0.00001) nei non diabetici. Pertanto, non vi è evidenza per trattare i pazienti con diabete e malattia cardiovascolare differentemente dai pazienti non diabetici, e basse dosi di ASA sono raccomandate per la prevenzione secondaria delle sindromi ischemiche (40).
Il beneficio della terapia con ASA nella gestione precoce delle sindromi coronariche acute è stato dimostrato in diversi studi, che hanno incluso la valutazione dell’angina instabile/NSTEMI e STEMI nel paziente diabetico (41). Poiché il paziente diabetico con SCA ha un rischio elevato di eventi ischemici ricorrenti, e presenta un’aumentata probabilità di avere una trombosi dello stent (42), l’American Heart Association (AHA) raccomanda la doppia terapia antiaggregante con ASA e Clopidogrel come trattamento di scelta nel paziente diabetico con SCA, inclusi i pazienti con angina instabile o NSTEMI, coloro con STEMI e chi ha effettuato una rivascolarizzazione percutanea (PCI) (43). La dose raccomandata di Clopidogrel è 300 mg come dose di carico (fino a 600 mg nel caso della PCI) seguita da una terapia di mantenimento di 75 mg al giorno. Tuttavia, una ridotta risposta al Clopidogrel è stata riscontrata in pazienti diabetici rispetto ai non diabetici sia nell’immediato che nella fase di mantenimento della terapia (44).
Anche l’ADA (American Diabetes Association) raccomanda l’uso dell’ASA (75-162 mg/die) come strategia di prevenzione secondaria in pazienti diabetici e con una storia di malattia aterosclerotica cardiovascolare (Tab. 1); per i pazienti che presentano un’allergia documentata all’aspirina, si raccomanda il Clopidogrel (75 mg); la doppia terapia antiaggregante è consigliata per un anno dopo una sindrome coronarica acuta e può avere benefici oltre questo periodo (45).
La persistenza di una elevata reattività piastrinica nel paziente diabetico nonostante l’uso del trattamento antipiastrinico raccomandato ha sollevato interesse nell’individuazione di strategie in grado di ottimizzare l’effetto antiaggregante in questi soggetti a rischio elevato. L’utilizzo di una dose elevata di mantenimento di Clopidogrel (150 mg/die) si associa ad un marcato miglioramento nell’inibizione piastrinica, anche se un numero significativo di pazienti persiste nel presentare un’elevata reattività piastrinica (46). Risultati incoraggianti sono emersi da trials clinici che valutavano inibitori nuovi e più potenti del recettore P2Y12, che rappresentano un trattamento alternativo in questi pazienti a rischio elevato come i soggetti con diabete. Prasugrel riduce il rischio di trombosi dello stent nel paziente diabetico, e si associa ad un maggiore beneficio clinico, grazie ad una più profonda inibizione piastrinica (47). Ticagrelor, un inibitore potente, reversibile del recettore P2Y12, conferisce una maggiore inibizione delle piastrine rispetto al Clopidogrel in pazienti con SCA. Nei pazienti diabetici che ricevono ticagrelor, la riduzione dell’endpoint primario composito, mortalità per tutte le cause e trombosi dello stent, è consistente in tutta la popolazione diabetica, senza incremento del rischio emorragico e senza interazioni significative (48).
In un’analisi post-hoc non randomizzata dallo studio FREEDOM (Future REvascularization Evaluation in patients with Diabetes mellitus: Optimal management of Multivessel disease) sono stati comparati pazienti che ricevevano una doppia terapia antipiastrinica (ASA più tienopiridina) e un gruppo in trattamento con ASA in monosomministrazione a trenta giorni dall’intervento di bypass aorto-coronarico. Non si è verificata alcuna differenza nell’endpoint composito primario a 5 anni tra la doppia antiaggregazione e l’ASA (12.6%vs. 16.0%; [HR]: 0.83; 95% confidence interval [CI]: 0.54- 1.27; p . 0.39) (49).
Sebbene l’utilizzo di farmaci antipiastrinici più potenti o il prolungamento della terapia intensiva riduca gli eventi ischemici, l’incremento delle complicanze emorragiche rappresenta il più importante inconveniente. Questo dato sottolinea la necessità di strategie per ridurre il rischio di complicanze emorragiche preservando l’efficacia nella riduzione degli eventi ischemici. Un’area emergente di ricerca clinica, tutta da dimostrare, prevede una strategia basata sull’abbandono della terapia con aspirina ed un trattamento prolungato con un inibitore del recettore P2Y12 (50).
Prevenzione primaria
Per quanto riguarda la prevenzione primaria della malattia cardiovascolare, senza un precedente evento, l’utilizzo dell’ASA è di valore incerto (Tab. 2), in termini di riduzione di eventi occlusivi rispetto all’incremento dei sanguinamenti maggiori (51). Mentre il beneficio dell’ASA eccede il rischio di sanguinamenti nella maggior parte dei pazienti con malattia cardiovascolare definita, il rapporto rischio-beneficio è marginale nella popolazione a basso rischio, con un rischio medio annuale inferiore all’1% annuo. Nel 2010, l’American Heart Association (AHA) ha redatto uno Scientific Statement (52), poi aggiornato nel 2015 (53), basato su una stima accurata del rischio cardiovascolare, suggerendo così l’utilizzo di ASA come strategia di prevenzione primaria solo nei pazienti con DMT2 o tipo 1 con un elevato rischio cardiovascolare (rischio a 10 anni stimato superiore al 10%); al contrario, non vi è un’evidenza sufficiente per raccomandare l’ASA in prevenzione primaria negli individui a basso rischio, come uomini con età inferiore a 50 anni, o donne con età inferiore a 60 anni senza altri fattori di rischio maggiori, a causa dello sfavorevole bilancio di rischio trombo-emorragico in favore delle emorragie maggiori. Anche l’ADA raccomanda la terapia con ASA (75-162 mg/die) come prevenzione primaria nei pazienti con DMT2 o 1 che sono ad elevato rischio cardiovascolare [ciò include uomini con età maggiore/uguale a 50 anni, che abbiano almeno un fattore di rischio maggiore (storia familiare di malattia aterosclerotica prematura, ipertensione, dislipidemia, fumo, insufficienza renale cronica e albuminuria) e che non siano a rischio di sanguinamento (45)]; infine, quando si considera la terapia antiaggregante con ASA in pazienti diabetici a rischio intermedio, ad esempio con età inferiore a 50 anni, con multipli fattori di rischio, è raccomandata la scelta secondo giudizio clinico (45). Dovrebbe sempre essere presa in considerazione la disponibilità dei pazienti a sottoporsi alla terapia antipiastrinica per un lungo periodo (54). Tuttavia, un’evidenza diretta della sua efficacia e sicurezza nei pazienti diabetici è carente, o non univoca. Precedenti trial randomizzati, controllati, in pazienti diabetici, si rivelarono fallimentari nel dimostrare una riduzione degli endpoint cardiovascolari, suscitando dubbi riguardo l’efficacia dell’ASA in prevenzione primaria, e suggerendo presunte differenze di genere (55). Questi trial erano tuttavia evidentemente sottodimensionati.
L’ETDRS è il più grande studio sulla profilassi con ASA in pazienti diabetici (n=3711; 49% con storia di malattia cardiovascolare) (56). Sebbene lo studio era stato disegnato per esaminare l’impatto potenziale della terapia antipiastrinica sulla progressione della retinopatia diabetica, esso ha offerto l’opportunità di valutare gli effetti della somministrazione di ASA a lungo termine sulle complicanze cardiovascolari. Dopo 5 anni di follow-up, sono stati osservati una significativa riduzione del 28% del rischio relativo di infarto del miocardio, un non significativo incremento del 16% di ictus, e una significativa riduzione del 18% di eventi vascolari.
Una metanalisi sui dati individuali di 6 grandi trials sull’aspirina in prevenzione primaria dell’Antithrombotic Trialists’ (ATT) Collaboration (51), che hanno arruolato collettivamente 95.000 partecipanti, di cui 4.000 diabetici, ha documentato che l’ASA riduce il rischio di eventi vascolari del 12% (RR 0.88 [95% CI 0.82-0.95]). La maggiore riduzione si è osservata nei confronti dell’infarto del miocardio non fatale, con un piccolo effetto sulla morte cardiaca (RR 0.95 [95% CI 0.78-1.15]) o la morte per ictus. Nei sei studi esaminati l’effetto dell’aspirina sugli eventi vascolari maggiori era simile per i pazienti con o senza diabete: RR 0.88 (95% CI 0.67-1.15) e RR 0.87 (95% CI 0.79-0.96), rispettivamente. L’intervallo di confidenza era ampio per i pazienti diabetici a causa delle ridotte dimensioni del campione. L’ASA sembrava avere un effetto modesto sugli eventi vascolari ischemici, con riduzione assoluta del rischio di eventi a seconda del rischio cardiovascolare sottostante. L’effetto avverso principale è stato un incremento del rischio di emorragie gastrointestinali. Il rischio potrebbe essere elevato a 1-5 per 1.000 pazienti trattati nel setting del mondo reale. Negli adulti con un rischio cardiovascolare maggiore dell’1% per anno, il numero di eventi prevenuti potrebbe essere simile o maggiore rispetto al numero di episodi di sanguinamento indotti, sebbene queste complicanze non abbiano lo stesso impatto sulla salute a lungo termine (51).
Infine, la più grande metanalisi sull’ASA di prevenzione cardiovascolare include tre trial condotti specificamente su pazienti diabetici (JPAD, POPADAD, e ETDRS) e sei altri trial in cui i pazienti diabetici costituiscono un sottogruppo più ampio (quelli inclusi nella metanalisi ATT) (57). In questa metanalisi l’ASA si associava ad una riduzione non significativa del 9% del rischio di eventi cardiovascolari (infarto del miocardio fatale e non fatale) (RR 0.91, 95% CI 0.79-1.0). Perfino questi risultati non sono considerabili come conclusivi perché vi sono troppi pochi casi nei trial disponibili per stimare precisamente gli effetti dell’ASA e perché questi dati sono stati ricavati da analisi di sottogruppi all’interno di grandi trial, che presentano diversi bias potenziali. Questi possibili errori includono: l’eterogeneità del dosaggio dell’ASA (650 mg/die nel ETDRS), eterogeneità del rischio cardiovascolare dei pazienti inclusi e degli endpoint considerati; il basso numero di eventi, che fanno si che lo studio sia sottodimensionato; un alto tasso di interruzione della terapia con ASA durante il follow-up, una mancata stima della prevalenza del trattamento con statine, che è noto impattare, dimezzandolo, sul rischio assoluto trombotico in prevenzione primaria (52).
Nonostante le evidenze basate sui dati fruibili non siano definitive, si stima che dall’85 al 98% di individui diabetici sarebbero eleggibili per terapia con ASA sulle basi delle diverse linee guida (58).
In prospettiva, tecniche di imaging non invasive come la coronaro-tac potrebbero essere d’aiuto per stimare il rischio intrinseco di ciascun paziente ai fini di una terapia antipiastrinica mirata e personalizzata (59). Un tale approccio tuttavia non è stato ancora dimostrato da adeguati studi.
Quattro studi sono ancora in corso per valutare il beneficio dell’ASA nella prevenzione primaria delle malattie cardiovascolari. Tre di questi sono in doppio cieco (ARRIVE [Aspirin to reduce risk of initial vascular events], NCT00501059; ASPREE [Aspirin in reducing events in the elderly], NCT01038583; ASCEND (60) [A study of cardiovascular events in diabetes], NCT00135226), mentre ACCEPT-D (61) [Aspirin and simvastatin combination for cardiovascular event prevention trial in diabetes] ISRCTN48110081 è open label. In questi studi i pazienti hanno tutti alcuni fattori di rischio per eventi cardiovascolari, nell’ARRIVE multipli fattori di rischio coronarico, nell’ASPREE (di cui è stata recentemente interrotta la fase di trattamento randomizzato per futilità) i pazienti hanno tutti età maggiore di 65 anni, nell’ASCEND e nell’ACCEPT-D hanno tutti DMT2 o tipo 1. Questi studi dovrebbero contribuire a far luce sulla prevenzione primaria cardiovascolare con ASA per i pazienti diabetici.
Infine, vogliamo enfatizzare che il DM si associa ad un incremento del rischio di alcuni tumori (in particolar modo pancreas e colon) (62). Alcuni follow-up di studi a lungo termine sull’ASA in prevenzione primaria cardiovascolare hanno dimostrato che basse dosi di ASA riducono l’incidenza del cancro colorettale e la mortalità, dopo almeno 5 anni di assunzione (63-64). Tuttavia nella metanalisi di Rothwell i dati sulla prevenzione del cancro da parte dell’ASA in pazienti diabetici sono ancora carenti. Chiaramente, una riduzione dell’incidenza per tutti i tumori grazie alla profilassi con ASA nel diabete mellito, sposterebbe la bilancia del rapporto rischio-beneficio verso il beneficio, ampliando l’indicazione al trattamento in questa popolazione.
Efficacia inferiore e sicurezza superiore rispetto all’atteso dell’aspirina nel diabete: riflettono entrambi l’inabilità dell’aspirina a sopprimere la funzione piastrinica?
L’inattivazione permanente della COX-1 incrementa il rischio di emorragie gastrointestinali superiori attraverso due meccanismi distinti: l’inibizione dell’aggregazione piastrinica mediata dal TXA2 e l’indebolimento della citoprotezione mediata dalla prostaciclina nella mucosa gastrointestinale. Quest’ultima, quando l’ASA è impiegata a dosi analgesiche, incrementa il rischio di sanguinamento e di perforazione promuovendo nuove lesioni mucosali e peggiorando quelle già esistenti da 4 a 10 volte (38). La terapia antisecretoria (uso di inibitori di pompa protonica) riduce il rischio di emorragie gastrointestinali (65).
Uno studio di popolazione che ha analizzato i dati di 4.1 milioni di individui in Italia, con o senza DM, ha concluso che la terapia con ASA era associata con un eccesso di sanguinamenti sia gastrointestinali che intracranici in soggetti non diabetici, ma aumentava solo parzialmente il rischio di sanguinamento in pazienti diabetici (RR 1.09, 95% CI 0.97-1.22); questi dati fornirebbero un’evidenza indiretta di una ridotta efficacia dell’aspirina nel bloccare la funzionalità piastrinica in questi pazienti (66). Le evidenze tratte da studi sia osservazionali sia randomizzati circa la sicurezza dell’aspirina nei pazienti diabetici non sono conclusive. Peraltro nell’ampia metanalisi di Pignone et al. (57) il rischio del sanguinamento non era riportato, e nella metanalisi ATT si erano verificati troppo pochi eventi emorragici maggiori nei pazienti diabetici per trarre adeguate conclusioni (51). Data l’insufficienza di dati ad oggi disponibili, dovremmo considerare il rischio emorragico nei pazienti diabetici in aspirina alla stregua dei pazienti non diabetici, fino a quando non saranno disponibili studi adeguatamente dimensionati per valutare l’endpoint sicurezza in questa popolazione.
Nonostante gli evidenti bias metodologici di cui si è accennato nei trial di prevenzione primaria, che rendono non conclusiva l’evidenza di una ridotta efficacia dell’ASA, diverse evidenze supportano il concetto che una risposta subottimale all’ASA in termini di ridotta efficacia e presunta maggiore sicurezza possano essere sottese a meccanismi fisiopatologici collegati alla iperreattività piastrinica nonostante il trattamento antipiastrinico, almeno in una parte della popolazione diabetica. La prima domanda da porsi è se esista evidenza che l’effetto inibitorio dell’ASA a basse dosi sulla funzione piastrinica sia modificato dalla presenza del DM, e se questa riguarda tutti i pazienti diabetici. La seconda domanda fondamentale è se i metodi utilizzati per valutare l’inibizione piastrinica da ASA siano accurati ed affidabili. La terza e consequenziale domanda è come identificare, in termini di caratteristiche cliniche o biochimiche, individui con inadeguata risposta all’ASA, meritevoli pertanto di strategie terapeutiche alternative.
Determinanti della variabilità della risposta all’aspirina nel paziente diabetico
La possibilità di eventi ricorrenti nonostante il trattamento con ASA a basse dosi (fallimento terapeutico), correlati evidentemente alla natura multifattoriale dell’aterotrombosi, insieme all’evidenza laboratoristica di percentuali variabili ed elevate di mancata risposta all’ASA ai test funzionali, hanno favorito il fiorire del fenomeno impropriamente definito “resistenza all’aspirina”, che negli anni è stato progressivamente rimpiazzato dal concetto più corretto e plausibile di “variabilità della risposta all’aspirina”. Questo passaggio è stato favorito dalla comprensione della inaffidabilità e scarsa riproducibilità degli esami funzionali con cui la risposta all’ASA veniva definita. La maggior parte degli studi ha documentato la “resistenza all’aspirina” in diversi setting clinici compreso il DM, utilizzando metodi che riflettono scarsamente il pathway biochimico influenzato dall’ASA, ovvero l’attività della COX-1 piastrinica (67) e che riflettono in modo variabile la componente trombossano-dipendente dell’aggregazione piastrinica (14), mentre l’impatto di potenziali effetti COX-1 indipendenti resta ancora incerto (68).
Peraltro, i diversi test funzionali mostrano una scarsa correlazione fra di loro (69). Infine, la caratterizzazione dello stato di “responder” o “resistente” si basa tipicamente, nei vari studi, su una singola misurazione della funzione piastrinica, assumendo che questa determinazione rappresenti un fenotipo stabile. Il nostro gruppo ha chiaramente dimostrato la scarsa riproducibilità per misure ripetute dei metodi funzionali (67). Al contrario, il TXB2 sierico e l’11-dehydro-TXB2 urinario forniscono informazioni affidabili sulla massima capacità biosintetica delle piastrine circolanti ex vivo e sull’effettiva biosintesi di TXA2 in vivo, rispettivamente (70). Una inibizione subottimale della produzione di TXA2 piastrinico è pertanto uno strumento affidabile, basato sul meccanismo d’azione del farmaco, per attestarne la risposta.
Diversi meccanismi sono stati ipotizzati per spiegare la variabilità interindividuale nella risposta all’ASA, diversi dei quali rimangono speculativi, o non ancora testati nella pratica clinica. A parte i polimorfismi della COX-1 come determinante della ridotta risposta all’ASA, il cui ruolo è incerto (71), tutti questi meccanismi appaiono potenzialmente modificabili. Prima di ogni altra cosa dovrebbe essere valutata la compliance al trattamento, anche attraverso la conta delle compresse, per escludere che una mancata aderenza terapeutica, così come per altre farmaci, possa essere non correttamente diagnosticata come risposta subottimale in pazienti in terapia polifarmacologica (72). In secondo luogo, la farmacocinetica dell’ASA potrebbe risentire del maggior volume di distribuzione, dovuto ad un eccesso di tessuto adiposo. In questi termini, la formulazione di ASA (gastroprotetta) e il dosaggio sono punti critici per la biodisponibilità dell’ASA (73). Coerentemente, la perdita di peso e l’evitamento di formulazioni gastroprotette potrebbero ripristinare una biodisponibilità adeguata e migliorare l’efficacia dell’ASA. D’altra parte, l’utilizzo delle formulazioni gastroprotette è stato introdotto per preservare la biosintesi di prostaciclina e ridurre gli effetti collaterali gastrointestinali, poiché è stato dimostrato che l’impiego a lungo termine di basse dosi di ASA deprime la biosintesi di prostaciclina (74) e l’incremento omeostatico dei livelli di prostaciclina in risposta all’inibizione del TXA2, un noto meccanismo di tromboresistenza (75).
Aumentato turnover piastrinico
L’incremento del turnover piastrinico potrebbe contribuire alla ridotta risposta all’ASA attraverso iperreattività delle piastrine giovani, un’aumentata espressione della COX-2, o un’incompleta inibizione della COX-1. La rigenerazione della COX-1 e della COX-2 avvengono in condizioni associate con un elevato turnover piastrinico e potrebbero eludere la risposta inibitoria dell’ASA (76). In stati patologici caratterizzati da una rapida rigenerazione piastrinica (dimostrata da un elevato numero di piastrine reticolate) come la policitemia vera (77) e la trombocitemia essenziale (78), una più veloce rigenerazione piastrinica, come suggerito da livelli anomali di TXB2 sierico, è accompagnata dall’espressione di COX-1 e COX-2 non acetilate nelle piastrine neoformate. In condizioni normali meno del 10% delle piastrine normali hanno la COX-2 espressa. Questo enzima è presente nei megacariociti e nelle piastrine giovani. L’iperespressione della COX-2 piastrinica è stata descritta nei diabetici (79). Pertanto, una consistente produzione di trombossano può essere prodotta da questo pathway enzimatico, relativamente non sensibile alla cardioaspirina. La presenza in circolo di piastrine con la COX-1 e la COX-2 non acetilate potrebbe fornire una spiegazione plausibile per la biosintesi di trombossano non sensibile all’ASA: una singola dose di ASA potrebbe non essere sufficiente a causa della capacità del midollo osseo di accelerare la produzione piastrinica, fino a 10 volte la velocità basale. A causa della relativa breve emivita dell’ASA, una proporzione di piastrine circolanti, immesse in circolo successivamente al passaggio pre-epatico dell’aspirina, pertanto potrebbero essere responsabile di un accelerato recupero della produzione di trombossano nell’intervallo posologico tra 12 e 24h. Recentemente diversi gruppi, incluso in nostro, hanno dimostrato come una doppia somministrazione di ASA in pazienti diabetici, ogni 12 ore, possa normalizzare nei diabetici la cinetica di recupero di COX-1 a livelli simili ai soggetti sani (80).
Nella nostra popolazione di soggetti con diabete (80), la più breve durata dell’inibizione della COX-1 in circa un terzo della popolazione studiata, si associa in modo indipendente con un BMI ed un MPV più elevati e con aumentati livelli di piastrine reticolate, che rispecchiano il turnover piastrinico, ed è reversibile con una doppia somministrazione di ASA ogni 12 ore, suggerendo un accelerato rinnovo del target farmacologico nell’intervallo tra 2 somministrazioni giornaliere nel paziente diabetico. Questi risultati suggerirebbero che nei trial clinici possa esserci una diluizione dell’effetto massimo teorico dell’ASA come agente antitrombotico, in base alla prevalenza dei fattori che influenzano la farmacocinetica dell’ASA (obesità) o la farmacodinamica (diabete). Ciò potrebbe avere implicazioni cliniche importanti in quanto il problema della farmacocinetica potrebbe essere superato evitando le formulazioni gastroprotette ampiamente impiegate, che possono ridurre la biodisponibilità del farmaco (81) mentre quello della farmacodinamica potrebbe stimolare la validazione di regimi posologici personalizzati per superare la variabilità interindividuale.
Fonti extrapiastriniche di produzione di trombossano in condizioni di infiammazione “low-grade”
Una residua produzione di TXA2 può anche derivare da fonti extrapiastriniche. Monociti e macrofagi sono la seconda più importante fonte di TXA2 e sono in grado di sintetizzare nuovamente TXA2 attraverso il loro pathway COX-2-mediato con una più alta soglia di inibizione da parte dell’ASA rispetto alla COX-1 piastrinica. Le fonti di biosintesi di trombossano extrapiastrinico sono indotte da stimoli infiammatori, che si realizzano in malattie metaboliche quali il diabete, l’obesità, l’ipercolesterolemia.
Meccanismi mediati dallo stress ossidativo associati ad una risposta subottimale all’aspirina
Lo stress ossidativo è il mediatore di alcuni meccanismi che potrebbero giustificare una risposta subottimale all’ASA (82). Questi includono:
• meccanismi che contrastano l’effetto antipiastrinico dell’ASA, come la ridotta sensibilità all’effetto antiaggregante dell’ossido nitrico, legata all’elevato stress ossidativo mediato dal glucosio;
• meccanismi che interferiscono con l’acetilazione della COX-1 specialmente a livello piastrinico, ad esempio gli idroperossidi lipidici che diminuiscono l’effetto acetilante dell’aspirina;
• meccanismi che favoriscono il priming piastrinico (idroperossidi lipidici) o l’attivazione piastrinica (F2-isoprostani che agiscono da parziali agonisti del recettore del trombossano), che inducono una aumentata produzione piastrinica di TXA2 o l’attivazione del suo recettore;
• meccanismi che favoriscono il reclutamento piastrinico come la formazione di isoprostani piastrinici indotta dall’ASA.
Tra questi, la produzione aumentata di isoprostani piastrinici, come osservato nei diabetici, è emersa come fattore potenzialmente importante che potrebbe controbilanciare l’inibizione del TXA2, ostacolando l’effetto dell’ASA (83).
Conclusioni
Un’accelerata aterotrombosi caratterizza il paziente diabetico. Le alterazioni funzionali dell’attività piastrinica con disregolazione di diversi pathway, risultano in un fenotipo piastrinico iperreattivo denominato “piastrina diabetica”. L’iperreattività piastrinica gioca un ruolo nello stato protrombotico del paziente diabetico. Diversi meccanismi contribuiscono alla disregolaizione piastrinica, quali alterazioni metaboliche, infiammazione di basso grado, stress ossidativo e disfunzione endoteliale, che possono rappresentare il collegamento tra il controllo glicemico e l’attivazione piastrinica generando così un circolo vizioso che predispone ad uno stato protrombotico. L’attivazione piastrinica persistente TX-dipendente caratterizza i pazienti diabetici con o senza aventi macrovascolari. In quest’ottica, l’ASA potrebbe essere il potenziale farmaco di scelta.
Il beneficio dell’ASA per i pazienti con malattia cardiovascolare eccede chiaramente rispetto al rischio di sanguinamento, facendo si che il ruolo dell’ASA nella prevenzione secondaria sia indiscutibile. Un modesto beneficio è stato invece dimostrato in prevenzione primaria. Pertanto quando si sceglie l’ASA in prevenzione primaria, deve essere prescritta alla più bassa dose efficace (75-100 mg), preferendo formulazioni non gastroresistenti con elevata biodisponibilità (associando inibitori di pompa protonica nei pazienti ad elevato rischio di sanguinamento gastrointestinale), evitando somministrazioni contemporanee di FANS. Contemporaneamente le linee guida e i position statement raccomandano un approccio basato su algoritmi di rischio per gli individui che potrebbero beneficiare dell’uso dell’ASA in prevenzione primaria. I pazienti diabetici sono a rischio elevato di malattia cardiovascolare, ma allo stesso tempo la presenza del DM non sembra essere sufficiente per conferire chiaramente un beneficio dell’ASA rispetto al rischio di sanguinamento. Infatti, per le persone senza malattia vascolare preesistente, compresi i pazienti diabetici, il beneficio cardiovascolare associato all’introduzione del trattamento a lungo termine di ASA in aggiunta alle altre strategie di prevenzione primaria (statine e farmaci antipertensivi) è della stessa unità di grandezza del rischio (39). La dimensione del beneficio assoluto dell’ASA potrebbe essere dimezzata dalla riduzione del rischio cardiovascolare conferita dalla terapia con statine (39), abolendo così le differenze tra il numero di eventi vascolari evitati e i sanguinamenti maggiori causati dall’ASA. Tuttavia, lo stesso dimezzamento dell’eccesso di complicanze emorragiche potrebbe essere ottenuto con l’utilizzo di strategie citoprotettive (come inibitori di pompa protonica o l’eradicazione dell’Helicobacter Pylori) (84).
Inoltre, un fenotipo piastrinico iperreattivo potrebbe contribuire all’inadeguata risposta all’ASA che caratterizza una frazione di pazienti diabetici rispetto ai non diabetici. La variabilità della risposta all’ASA nel caso del diabete potrebbe essere superata o mitigata da una duplice somministrazione di ASA, ogni 12 ore. Nonostante gli studi meccanicistici ne dimostrino il razionale sul piano biochimico, l’efficacia e la sicurezza di una tale strategia non sono ancora state esplorate in trial clinici ad hoc.
In prospettiva, l’indicazione alla prescrizione di basse dosi di ASA in prevenzione primaria dovrebbe gradualmente shiftare da una mera stima del rischio cardiovascolare a dieci anni, ad una precisa caratterizzazione o fenotipizzazione degli individui che potrebbero esprimere una inadeguata protezione da parte dell’ASA. In questo contesto, il valore predittivo di un elevato BMI, o MPV, o delle concentrazioni piastriniche o sistemiche di isoprostani, come biomarker di una ridotta risposta all’ASA, dovrebbero essere adeguatamente testati, anche se la conduzione di trial clinici basata sui biomarcatori risulta estremamente complessa.
I trials in corso sulla prevenzione primaria (in particolare ASCEND e ACCEPT-D) (60-61), se raggiungeranno il loro obiettivo di reclutamento, mantenendo elevati aderenza e follow-up e maturando un numero sufficiente di eventi, potrebbero aiutare nella valutazione del profilo di rischio/beneficio dell’ASA nella prevenzione di eventi vascolari. Nel frattempo, sarebbe auspicabile una scelta personalizzata che prenda in considerazione anche le preferenze del paziente e basata su una valutazione clinica accurata.
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