a cura di Anna Solini1, Agostino Consoli2
1Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università degli Studi di Pisa; 2Dipartimento di Medicina e Scienze dell’Invecchiamento, Università degli Studi di Chieti-Pescara “G. D’Annunzio”
In questo numero de il Diabete, l’ultimo del 2015, la rubrica “Opinioni a Confronto” è rimpiazzata da una sorta di “urgenza clinico-scientifica”. Tre mesi fa è stato presentato al meeting annuale dell’EASD, e contestualmente pubblicato sul New England Journal of Medicine, lo studio Empa-Reg Outcome, condotto con Empagliflozin, inibitore selettivo del cotrasportatore SGLT2. I risultati di questo studio permettono, per la prima volta, di guardare con convinzione e fiducia all’effetto protettivo esercitato sull’apparato cardiovascolare da un farmaco che nasce per abbassare la glicemia.
Gianluca Perseghin, grande esperto dei complessi rapporti tra metabolismo ed apparato cardiovascolare, offre una personale ed acuta visione del posto che questo trial va ad occupare nello scenario degli studi di sicurezza cardiovascolare condotti con i nuovi farmaci per il trattamento del diabete, speculando sugli interessanti effetti ancillari di Empagliflozin che potrebbero aver contribuito agli straordinari risultati raggiunti in termini di riduzione della morbidità e mortalità osservati nell’Empa-Reg Outcome nei bracci in trattamento rispetto al placebo.
Speriamo che i lettori apprezzino questo articolato commento, e che la disseminazione dei risultati di Empa-Reg Outcome, associati ad una interpretazione indipendente ed intelligente quale è quella offertaci dal Prof. Perseghin, possa stimolare la curiosità intellettuale di molti colleghi, soprattutto dei più giovani.
DISCUSSANT
Gianluca Perseghin
Medicina Metabolica, Policlinico di Monza &
Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute, Università degli Studi di Milano
La cronaca dello studio EMPA-REG Outcome
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Disegno sperimentale e caratteristiche dei pazienti
Le caratteristiche del disegno dello studio Empa-Reg Outcome (1) sono riassunte in Tabella 1. È importante evidenziare come i pazienti arruolati dovessero avere una storia di malattia cardiovascolare pregressa.
I pazienti sono stati allocati ai seguenti 3 trattamenti in add-on alla terapia già in corso:
1. placebo
2. empagliflozin 10 mg die
3. empagliflozin 25 mg die
La terapia anti iperglicemica background non poteva essere modificata dall’investigatore per le prime 12 settimane (a meno di glicemia a digiuno del paziente >240 mg/dL). Dopo questo periodo iniziale, gli investigatori erano incoraggiati ad ottenere il controllo glicemico ideale utilizzando le strategie terapeutiche raccomandate dalle linee guida locali.
La cessazione precoce del trattamento previsto è stata rispettivamente del 29%, 24% e 23% nei tre bracci. Hanno completato lo studio il 96-97% dei partecipanti; a fine studio era noto lo stato vitale di >99%.
Gli end-points dello studio sono riportati in Tabella 2: si tratta dei classici end-points cardiovascolari compositi dei RCTs degli ultimi anni.
L’analisi statistica ha previsto il confronto della risposta a Empagliflozin 10 mg e 25 mg/die vs placebo secondo “intention-to-treat”, includendo i pazienti che avevano assunto almeno una dose del trattamento previsto. L’analisi ha testato l’ipotesi di non inferiorità, cioè un margine di 1.3 dell’Hazard Ratio rispetto a placebo per end-point primario e secondario chiave, e poi di eventuale superiorità.
I pazienti allocati ai tre bracci erano comparabili: età media 63 anni, 70% di sesso maschile, BMI compreso tra 30-31 kg/m2, HbA1c basale 8.0-8.1%. Oltre il 50% dei pazienti aveva una durata di malattia >10 anni.
I pazienti in metformina erano il 73-74%, in sulfanilurea il 42-44%, in tiazolidinedione il 4.1-4.4% ed in insulina il 47-49% (dose giornaliera media 48-51 UI).
In relazione al fatto che la popolazione selezionata doveva essere per definizione in prevenzione cardiovascolare secondaria, la pressione arteriosa sistolica e diastolica erano rispettivamente 135 e 77 mmHg, e il col-LDL 85-86 mg/dL; il 95% dei pazienti arruolati era in terapia anti-ipertensiva, l’80% in terapia ipolipemizzante e l’83% in terapia anti-aggregante.
La durata di esposizione al trattamento è stata di 2.6 anni e la durata del periodo di osservazione di 3.2 anni.
Risultati – parametri intermedi
Compenso glicemico. Durante le prime 12 settimane di trattamento si è osservata una riduzione di HbA1c (-0.54% con Empagliflozin 10 mg e -0.60% con Empagliflozin 25) vs placebo. Questa differenza si è gradualmente ridotta nel tempo a partire dalla settimana 12 per arrivare, a fine studio, ad una differenza rispetto al placebo di 0.24% con 10 mg e 0.36% con 25 mg. In una percentuale più alta di pazienti nel gruppo in placebo è stato necessario inserire una terapia anti-iperglicemica più robusta, che ha incluso sulfanilurea e insulina.
Massa corporea. I pazienti randomizzati a farmaco hanno presentato una significativa riduzione del peso rispetto a placebo (-2-3 kg al dosaggio maggiore di Empagliflozin).
Pressione arteriosa e frequenza cardiaca. Empagliflozin ha indotto un immediato calo della pressione arteriosa sistolica di 4-6 mmHg che è progressivamente ridotto, pur mantenendosi sempre diverso dal gruppo in placebo. La pressione arteriosa diastolica, inizialmente più bassa nei bracci in trattamento, alla fine del trial era sostanzialmente la stessa del braccio in placebo. Non si è osservata una differenza nella frequenza cardiaca tra i gruppi. In una percentuale più alta di pazienti nel gruppo in placebo si è dovuto provvedere a irrobustire la terapia anti-ipertensiva (compresi i diuretici) e antiaggregante.
Profilo lipidico e uricemia. Il trattamento farmacologico sembra associarsi ad un incremento iniziale del colesterolo LDL rispetto a placebo (+3-4 mg/dL); la differenza diventa difficilmente distinguibile nelle settimane successive al primo anno. Il col-HDL ha un andamento simile nei tre gruppi di trattamento, anche se il profilo sembra suggerire che il farmaco determini un piccolo rialzo (+2 mg/dL vs placebo). Il noto effetto uricosurico è confermato, con un profilo nettamente diverso dell’uricemia nei gruppi in terapia comparato a placebo, ed una riduzione stabile e continua nel tempo di circa 0.5 mg/dL (6.0 vs 6.5 mg/dL). Non si è osservata una differenza tra gruppi nella necessità di potenziare la terapia ipolipemizzante.
Risultati cardiovascolari
I risultati cardiovascolari del trial sono riassunti in Tabella 3 dove i dati relativi ai due dosaggi di Empagliflozin sono accorpati. End-point primario è risultato significativo per superiorità rispetto a placebo e l’effetto delle diverse variabili che hanno costituito questo end-point composito è stato trainato dalla mortalità cardiovascolare mentre infarto e ictus cerebri non fatali non sono stati diversi rispetto a placebo.
Il dato eclatante per un RCT di prevenzione cardiovascolare è stato il risultato relativo alla mortalità per tutte le cause, nonché l’effetto praticamente immediato nel tempo sul ricovero per scompenso cardiaco.
È importante sottolineare che gli effetti sugli end-points sopra elencati non differivano ai due diversi dosaggi di Empagliflozin testati nel trial.
Un successo fuori dall’ordinario
È sempre difficile comparare studi con obiettivi diversi, eseguiti in momenti storici diversi, con motivazioni diverse, in popolazioni con caratteristiche e trattamenti concomitanti diversi; tuttavia, un tentativo di confronto tra Empa-Reg Outcome e i diversi studi post-registrativi con end-points di tipo cardiovascolare che sono stati recentemente condotti con altri farmaci antidiabetici è necessario.
Confronto con altri RCTs di efficacia/sicurezza cardiovascolare di un farmaco in ambito diabetologico
Lo studio PROactive (Prospective pioglitAzone Clinical Trial In macroVascular Events) ha testato l’ipotesi secondo la quale il Pioglitazone riducesse mortalità e morbidità macrovascolari quando somministrato on-top alla terapia e comparato a placebo in pazienti affetti da diabete di tipo 2 ad alto rischio vascolare (2) che al basale avevano caratteristiche (età, BMI storia pregressa di malattia cardiovascolare) non dissimili da quelli di Empa-Reg Outcome, ma una durata di malattia lievemente maggiore. Il risultato del trial è stato negativo/ai limiti per end-point primario (mortalità per tutte le cause, infarto non fatale, ictus cerebri non fatale, sindrome coronarica acuta, procedure di rivascolarizzazione e amputazione sopra la caviglia) e positivo per l’end-point secondario (HR=0·84 CI95%: 0.72-0.98; p=0·027) definito come mortalità per tutte le cause, infarto non fatale, ictus cerebri non fatale. Lo studio PROactive era però gravato da un eccesso di scompenso cardiaco non fatale tale da determinare la nota controindicazione all’utilizzo di Pioglitazone nei pazienti con scompenso.
Lo studio Origin ha invece testato l’ipotesi secondo la quale l’insulina glargine riducesse la morbidità macrovascolare quando somministrato a pazienti diabetici o con disglicemia rispetto alla loro terapia standard (che poteva comprendere l’insulina ma non glargine) (3). Al basale i pazienti di Origin avevano caratteristiche antropometriche non dissimili da quelli di Empa-Reg Outcome, ma la durata di malattia era più breve (5 anni). Il risultato del trial è stato neutro per il co- end-point primario (infarto e ictus cerebri non fatali e morte per causa cardiovascolare: HR aggiustata: 1.02 CI95%: 0.94-1.11; P=0.63).
Gli studi SAVOR-TIMI (4), Examine (5) e Tecos (6) sono invece stati studi di “safety” cardiovascolare simili per concezione allo studio Empa-Reg Outcome che hanno analizzato gli effetti dei DPP4-inibitori saxagliptin, alogliptin e sitagliptin. Gli studi hanno reclutato pazienti con diverse caratteristiche: nel SAVOR-TIMI pazienti ad alto rischio cardiovascolare in condizioni stabili, nell’Examine, i pazienti con recente sindrome coronarica acuta; nel Tecos pazienti stabili a rischio cardiovascolare non elevato. Tutti gli studi avevano l’obiettivo di dimostrare la neutralità cardiovascolare del trattamento attivo rispetto al placebo, per confermare un adeguato profilo di sicurezza delle molecole, come richiesto dalle agenzie regolatorie internazionali, soprattutto dopo l’esperienza del Rosiglitazone (7), ancora oggi dibattuta. Questi studi, seppure molto diversi tra loro, hanno dimostrato una inequivocabile neutralità sul rischio cardiovascolare con un rischio più alto di ricoveri per scompenso cardiaco nel SAVOR-TIMI non riscontrato però nello studio Examine e nello studio Tecos ma che ha contribuito a focalizzare l’attenzione del diabetologo sul fatto che la terapia anti-iperglicemica si può associare al rischio di scompenso cardiaco, e che l’incremento di peso associato alla terapia può spiegare almeno in parte questo rischio (8).
Gli studi ritenuti più promettenti dovevano essere quelli nei quali si testavano i farmaci agonisti del recettore di GLP1. Lo studio Elixa, presentato dall’ADA di Boston nel giugno 2015, ma non ancora pubblicato, è stato eseguito in una popolazione con caratteristiche simili a quella dello studio Examine (pazienti con recente sindrome coronarica acuta), verificando l’ipotesi che Lixisenatide avesse un profilo di sicurezza cardiovascolare simile a quello del placebo. Lo studio ha documentato assoluta neutralità sui markers intermedi di malattia cardiovascolare e sugli end-point più robusti ma una valutazione dettagliata dello studio si potrà fare solo dopo la sua pubblicazione.
Rispetto agli altri trials di confronto di uno specifico intervento farmacologico vs placebo con end-points cardiovascolari in ambito diabetologico, Empa-Reg Outcome rappresenta uno studio di successo senza precedenti.
Confronto con altri RCTs di efficacia cardiovascolare di una strategia di intervento
Il mondo diabetologico si è interrogato per anni, sin dalla pubblicazione dello studio UKPDS (9), se il controllo glicemico si associ ad una riduzione del rischio cardiovascolare di entità probabilmente non paragonabile a quella che si può ottenere con il controllo del colesterolo-LDL e della pressione arteriosa, ma comunque significativa. Sono stai quindi progettati ed eseguiti almeno tre grandi RCTs che si sono preoccupati di verificare l’ipotesi secondo la quale un miglioramento del controllo glicemico (indipendentemente dallo strumento utilizzato per ottenere questo risultato) si associasse o meno ad un miglior outcome cardiovascolare: gli studi ACCORD (10), Advance (11) e VADT (12). Senza entrare nel dettaglio delle caratteristiche degli studi, i risultati hanno generato un grande senso di frustrazione, anche se utili nell’indurre a rivoluzionare le linee guida in tutti i paesi del mondo, enfatizzando la necessità di una terapia personalizzata e adattata alle caratteristiche del singolo paziente e che, soprattutto, non deve prevedere lo stesso obiettivo terapeutico per tutti. I risultati negativi di questi studi sono stati probabilmente determinati dal fatto che la terapia anti-iperglicemizzante intensiva può avere effetti deleteri sulla mortalità di pazienti particolarmente fragili, tali da attenuare i benefici cardiovascolari (13-15). Anche quando la strategia scelta per migliorare il compenso glicemico è stata l’esercizio fisico (studio Look Ahead), a dispetto dei numerosi effetti positivi sugli end-points intermedi, il beneficio prognostico nella popolazione dei pazienti diabetici non è risultato significativo (16). Solo lo studio PREDIMED (17), che ha incluso anche soggetti diabetici, ha documentato un chiaro effetto positivo di una strategia di intervento sullo stile di vita, la dieta Mediterranea, sull’outcome cardiovascolare che può avvicinarsi in termini prognostici a quello osservato in Empa-Reg Outcome (anche se nel PREDIMED non si è osservato un effetto sulla mortalità).
Empa-Reg Outcome è uno studio dal successo senza precedenti anche rispetto ai trials di confronto tra una strategia intensiva vs standard del compenso glicemico sugli end-points cardiovascolari.
Come si possono spiegare i risultati di protezione cardiovascolare di Empa-Reg Outcome?
Empa-Reg Outcome è senza dubbio uno studio clinico di grande successo, e come tale apre nuovi scenari anche se lascia irrisolte diverse questioni. In primo luogo, non è chiaro per mezzo di quale effetto il trattamento con Empagliflozin abbia determinato questo beneficio senza precedenti. I possibili candidati sono numerosi.
Effetto anti-iperglicemico. È difficile, anche se non può essere completamente escluso, invocare l’efficacia anti-iperglicemica per la piccola differenza osservata tra la riduzione della HbA1c tra un gruppo in terapia e gruppo in placebo, e per la rapidità temporale con la quale l’effetto protettivo si è manifestato. Gli studi di valutazione di strategia hanno sì dimostrato un effetto benefico del controllo glicemico sul rischio cardiovascolare, ma in tutti i casi ciò si è verificato solo dopo molti anni dalla fine del RCT, nel periodo osservazionale di follow-up della popolazione, una volta che questa è uscita dal trial interventistico (13-15). Questo effetto è stato spiegato con il concetto di “memoria metabolica”, che si rende palese diversi anni dopo che l’intervento preventivo è stato somministrato, e non dopo pochi mesi, come osservato in Empa-Reg Outcome.
Riduzione ponderale. Una spiegazione simile potrebbe essere utilizzata per minimizzare la possibilità che l’effetto positivo possa essere stato determinato dalla riduzione ponderale, proprio a causa dell’esigua differenza, in termini quantitativi, tra i gruppi; non deve però essere dimenticato che è proprio il peso del paziente che può essere considerato un “proxy” del rischio di scompenso cardiaco (8).
Riduzione della pressione arteriosa. La riduzione della pressione arteriosa sistolica che in termini quantitativi era significativamente diversa, potrebbe aver contribuito al risultato. Contro questa ipotesi si è però osservato un aumento non significativo del rischio di ictus cerebri che, al contrario, beneficia chiaramente dell’effetto della terapia anti-ipertensiva, generando quindi incertezza anche su questo candidato.
Effetto uricosurico. Alcuni autori ipotizzano che il ruolo dell’acido urico nella patogenesi della malattia cardiovascolare sia più importante di quanto sinora ritenuto (18), anche in relazione alla osservazione recente di una associazione con lo scompenso cardiaco (19); se l’effetto uricosurico dell’SGLT2-inibitore potrebbe quindi esser un candidato per spiegare i favorevoli effetti cardiovascolari.
Infiammazione. Un aspetto evidente della risposta alla terapia con Empagliflozin osservata nel trial è che questa si manifesta molto presto nel tempo, rendendo improbabile che i benefici possano dipendere da un impatto sull’evoluzione della malattia aterosclerotica, e quindi sulle sue manifestazione acute (visione peraltro supportata dal relativamente modesto impatto su infarto del miocardio e ictus cerebri). In questo senso deve essere osservato che ad oggi non è chiarito l’effetto degli SGLT2-inibitori sulla infiammazione sistemica, e lo studio PREDIMED potrebbe suggerire un precoce effetto di protezione cardiovascolare (simile a quello osservato in Empa-Reg Outcome) proprio grazie ad un’azione sull’infiammazione mediata dalla dieta mediterranea.
Diuresi osmotica. L’effetto prognostico positivo potrebbe spiegarsi anche con la capacità di migliorare la funzione ventricolare (ipotesi supportata dalla marcata riduzione del 35% del rischio di ricovero per scompenso cardiaco). In questo caso l’effetto potrebbe essere mediato sia dalla mera riduzione della volemia che da un effetto diretto sul miocardio, mediato dall’interazione con il recettore che viene espresso anche in questa sede.
Effetto anti-aritmico. Un altro fattore che potrebbe spiegare la rapida insorgenza temporale della protezione indotta da Empagliflozin è un potenziale effetto anti-aritmico del farmaco. L’effetto sarebbe indiretto e mediato dal glucagone, la cui secrezione è aumentata dalla somministrazione degli SGLT2-inibitori (20-21), e che è noto esercitare a livello miocardico un effetto anti-aritmico (22). Inoltre il glucagone sembra essere coinvolto nella regolazione del metabolismo energetico del miocardio, ed è stata suggerita anche una sua azione inotropa positiva (23). Da ultimo non può essere escluso un effetto mediato dal sistema renina-angiotensina e dal sistema nervoso autonomico.
Il meccanismo per mezzo del quale Empagliflozin ha generato la protezione cardiovascolare nello studio Empa-Reg Outcome rimane largamente oscuro; si impongono studi volti a ottenere la comprensione meccanicistica dell’effetto.
Cosa possiamo dire degli eventi avversi e degli effetti collaterali attesi?
La proporzione di pazienti che ha manifestato eventi avversi tali da provocare la sospensione della partecipazione allo studio non è stata differente tra i pazienti in Empagliflozin e placebo.
Chetoacidosi diabetica euglicemica. Nell’estate 2015 l’FDA prima e l’EMA poi hanno segnalato, in corso di trattamento con inibitori di SGLT2, alcuni casi di chetoacidosi, ad insorgenza subdola dal punto di vista clinico, perché caratterizzata da iperglicemia modesta/moderata, tale da non innescare il sospetto diagnostico. Non sono a tutt’oggi chiare le caratteristiche dei pazienti che hanno avuto questo evento avverso, ma il rischio sembra essere più alto nei pazienti con diabete di tipo 1 (24) e nei pazienti che abbiano una riserva di secrezione insulinica particolarmente ridotta come nelle forme auto-immuni dell’adulto, nelle forme di diabete tipo 3c (associato a malattie del pancreas esocrino come pancreatiti, acute e croniche, celiachia, patologie tumorali del pancreas) (25), e verosimilmente nei pazienti con diabete di tipo 2 di lunga durata in terapia insulinica nei quali la dose insulinica è stata marcatamente ridotta o sospesa quando è iniziata la somministrazione dell’SGLT2-inibitore. In molti di questi soggetti è stata anche segnalata l’abitudine ad un eccessivo consumo di alcool. Alla base di questo rischio ci sarebbe ancora la capacità di questa classe di farmaci di aumentare la secrezione di glucagone in sede portale che, in soggetti caratterizzati da scarsa funzione residua beta-cellulare e con ridotti livelli di insulina portale, potrebbe facilitare un utilizzo ossidativo preferenziale degli acidi grassi a livello epatico a discapito dell’utilizzo del glucosio, con formazione di corpi chetonici e insorgenza di acidosi a dispetto di una glicemia ben controllata dalla terapia farmacologica.
Infezione vie urinarie (IVU) e infezioni genitali. Le IVU sono state originariamente materia di preoccupazione per questa classe di farmaci. I dati più recenti sono rassicuranti in questo senso, ed Empa-Reg Outcome conferma l’assenza di differenza nell’incidenza delle IVU o pielonefriti nei pazienti in Empagliflozin rispetto a placebo (0.6% vs 0.7%). Come atteso, le infezioni del tratto genitale si sono invece osservate in una percentuale di pazienti in Empagliflozin più alta rispetto aipazienti in placebo (6.4% vs 1.8%).
Disidratazione ed anziano. L’uso degli SGLT2-inibitori nel paziente anziano ha sollevato alcune perplessità a causa della deplezione di volume che, in soggetti con ridotto stimolo della sete, potrebbe favorire il rischio di disidratazione. A livello ematico la deplezione di liquidi potrebbe associarsi ad alterazioni elettrolitiche e ad aumento della crasi. Nello studio Empa-Reg Outcome queste preoccupazioni sono state in parte mitigate dal fatto che gli eventi potenzialmente associati alla deplezione di liquidi (esempio ipotensione ortostatica) non erano diversi tra i gruppi di intervento, né sono state riscontrate alterazioni elettrolitiche. È stato confermato un aumento dell’ematocrito nel gruppo in Empagliflozin (+4.8±5.5% rispetto al basale in coloro che hanno assunto 10 mg die e di +5.0±5.3% in coloro che hanno assunto 25 mg die; +0.9±4.7% nel gruppo di controllo). È interessante osservare come, nell’analisi per sotto-gruppi, proprio nei soggetti anziani sia stato osservato il maggior beneficio in termini di rapidità della riduzione dell’end-point primario, suggerendo sorprendentemente che è in questa particolare categoria di pazienti che si potrebbe ottenere il maggior beneficio prognostico.
Fratture. Ancora una volta si fa riferimento ad osservazioni suggerite dagli enti regolatori per ricordare che, con un farmaco della classe degli SGLT2-inibitori, è stato segnalato un potenziale aumento del rischio di frattura. Anche in questo caso Empa-Reg Outcome ha documentato l’assenza di segnale in questo senso, visto che l’incidenza di tali eventi non differiva tra coloro che assumevano Empagliflozin rispetto a placebo (3.9 vs 3.9%).
Insufficienza renale cronica. L’efficacia degli SGLT2-inibitori dipende dal grado di funzionalità renale; il meccanismo d’azione anti-iperglicemico del farmaco è sfruttabile solo per pazienti con filtrato glomerulare conservato. A dispetto di questa nota limitazione all’uso di questa classe di farmaci, un terzo dei pazienti arruolati in Empa-Reg Outcome era caratterizzato da un eGFR <60 mL/min. È interessante notare come non esistano differenze sull’end-point primario tra le diverse categorie di eGFR (>60, 30-60, <30 mL/min) e diverse categorie di proteinuria (< 30, 30-300, >300 mg/g), a sostenere ancora una volta che la protezione cardiovascolare non dipende dall’effetto iperglicemico ma, più probabilmente, da un effetto extraglicemico per cui il beneficio si osserva anche nei pazienti con compromissione della funzione renale e/o con nefropatia. Sarà lo studio Empa-Reg Renal che, nel 2016, risponderà specificatamente a questo interrogativo.
Lo studio Empa-Reg Outcome è stato quindi sorprendentemente rassicurante su tutta la linea dei potenziali eventi avversi ed effetti collaterali. La più insidiosa, la chetoacidosi diabetica è occorsa molto raramente (0.1%) e senza differenze di frequenza rispetto al gruppo in placebo. In modo simile, il soggetto anziano che sembrava essere il paziente per il quale l’indicazione alla terapia con SGLT2-inibitore fosse meno appropriata, ha beneficiato della migliore prognosi, anche se sarà importante definire con maggior accuratezza l’eventuale relazione tra l’incremento dell’ematocrito e il seppure piccolo e non significativo segnale di rischio di evento cerebrovascolare. In parallelo, anche il paziente con nefropatia, ha goduto di un documentato beneficio prognostico, non differente da quello del paziente con funzione renale preservata.
I nuovi studi con SGLT2-inibitori all’orizzonte
Lo studio Empa-Reg Outcome è il primo studio di sicurezza cardiovascolare i cui risultati si sono resi disponibili.
Necessità di confermare i dati generati da Empa-Reg Outcome. Nei prossimi anni avremo i dati dello studio DECLARE condotto con Dapagliflozin, che è focalizzato su pazienti con un profilo di rischio cardiovascolare più basso e più assimilabile al modello del paziente in prevenzione cardiovascolare primaria. Lo studio CANVAS (26) con Canagliflozin viene invece condotto nuovamente su una popolazione di soggetti ad elevato rischio cardiovascolare. Questi studi potranno quindi rafforzare o smentire il ruolo degli SGLT2-inibitori come prima classe di farmaco anti diabetico per la quale è dimostrata un’azione di prevenzione cardiovascolare (e di riduzione del rischio residuo) tale da ridurre la mortalità in modo verosimilmente indipendente dall’effetto anti-iperglicemico. Potranno inoltre rispondere alla domanda secondo cui l’efficacia di prevenzione cardiovascolare osservata con Empagliflozin debba essere considerata come un effetto di classe o sia specifica di questo farmaco.
Quale impatto sulle complicanze micro vascolari? Gli studi futuri con questa classe di farmaci dovranno inoltre rispondere agli interrogativi tuttora aperti nell’ambito della prevenzione delle complicanze micro-vascolari. L’effetto anti-iperglicemico infatti, anche se comparabile a quello di una sulfanilurea e probabilmente lievemente superiore a quello di un DPP4 inibitore, potrebbe essere insoddisfacente per molti pazienti nella pratica clinica quotidiana. Nello studio Empa-Reg Outcome i pazienti sono partiti da una HbA1c di circa 8.1% per arrivare ad una riduzione di 0.3-0.4% a fine trial, mantenendosi quindi al di sopra del generale target terapeutico. Quale sarà l’impatto sul rischio delle complicanze microvascolari, che dipendono notoriamente dal compenso glicemico? Lo studio Empa-Reg Outcome molto presto potrà rispondere al quesito relativo alla nefropatia nel paziente diabetico, immaginando però che qualsiasi risultato relativo ad un organo bersaglio come il rene potrebbe essere fortemente influenzato dal meccanismo d’azione locale del farmaco, e potrebbe differenziarsi da quello che potrà essere osservato in relazione alla retinopatia e alla neuropatia.
Quale terapia di associazione potrebbe essere vincente? I prossimi studi dovranno inoltre stabilire quale potrà essere la migliore combinazione di farmaci anti-diabetici da associare agli SGLT2-inibitori. Potrebbe essere facile immaginare che tale trattamento in associazione a DPP4-inibitore (27) o agonista del recettore di GLP1 potrebbe garantire una maggior efficacia terapeutica grazie ad un presumibile effetto di inibizione della concentrazione di glucagone circolante indotta dal DPP4 inibitore. Allo stesso tempo, questa combinazione potrebbe nascondere delle insidie se il glucagone fosse, per i suoi effetti diretti ed indiretti, la miglior spiegazione della riduzione del rischio cardiovascolare, grazie ad un effetto inotropo positivo sul ventricolo sinistro o ad una azione anti-aritmica diretta.
Il paradigma è cambiato
Possiamo immaginare una diversa prospettiva di utilizzo degli SGLT2-inibitori sulla base dei risultati di Empa-Reg Outcome?
È evidente che, sulla base del confronto con gli altri clinical trials farmacologici o di strategia terapeutica, ci troviamo per la prima volta di fronte ad uno strumento terapeutico che riduce il rischio di morte, morte cardiovascolare e scompenso cardiaco, con un NNT di 40, molto favorevole. Questo è un riscontro che non ha precedenti e il diabetologo non può ignorarlo.
Il paradigma, con questo studio, è cambiato
Quando immaginiamo un paziente diabetico in prevenzione cardiovascolare secondaria che accede al nostro ambulatorio, se prima ci saremmo domandati quale fosse l’intervento terapeutico più adatto, attagliato alle caratteristiche individuali del paziente (obiettivo terapeutico glicemico, storia pregressa del paziente e della malattia, complicanze e co-morbidità, caratteristiche fenotipiche, abitudini di vita), ora la domanda che dobbiamo porci è stabilire quale sia il motivo per non considerare la possibilità di utilizzo di farmaco anti-iperglicemico che migliora la prognosi del paziente con un effetto indipendente dall’azione anti-iperglicemica, se non in presenza di precise controindicazioni all’uso.
L’osservazione documentata da Empa-Reg Outcome rimane, per ora, enigmatica, perché sembra difficile immaginare di utilizzare uno strumento terapeutico di cui non si conosce il meccanismo capace di prevenire la mortalità cardiovascolare, anche perché la protezione cardiovascolare non sembra essere mediata da meccanismi relativi all’aterosclerosi.
Siamo di fronte, inoltre, ad un singolo trial clinico, anche se robusto, ben disegnato e ben condotto. Molti nuovi dati saranno necessari per confermare l’effetto positivo e per riuscire, forse, a comprendere che cosa sia successo esattamente ai pazienti in Empa-Reg Outcome.
Altro aspetto che ci deve indurre a considerare seriamente questa ipotesi terapeutica è che in Empa-Reg Outcome, il peso, la pressione arteriosa, il rischio di ipoglicemia sono andati tutti nella direzione desiderata. Lo studio ha documentato, inoltre, un sorprendente profilo di sicurezza, tale per cui l’unica perplessità rimasta al clinico nel contesto di questo studio è il rischio di infezioni genitali. Le apprensioni per la chetoacidosi diabetica euglicemica, le conseguenze dell’ipovolemia nell’anziano, le infezioni delle vie urinarie, le fratture e l’utilizzo anche nei pazienti con contrazione del filtrato glomerulare sono svanite, in assenza di un anche minimo “segnale”. Questa differenza stride con gli allarmi riportati da FDA ed EMA, e dovrà essere chiarita negli studi futuri.
Molti saranno gli argomenti a favore di una cauta valutazione dei risultati di Empa-Reg Outcome, e molti altri potrebbero essere quelli a favore di una entusiastica accoglienza a questo nuovo approccio terapeutico. È ancora presto, a distanza di tre mesi dalla sua presentazione all’EASD di Stoccolma e dalla pubblicazione del lavoro, per pretendere di rispondere a tutti i quesiti che questo studio ha generato.
Cercando di fare un parallelismo, così come i risultati degli studi di valutazione della strategia terapeutica intensiva vs standard (ACCORD, VADT, ADVANCE) hanno imposto al diabetologo un radicale cambiamento dell’approccio terapeutico (la personalizzazione terapeutica), Empa-Reg Outcome ci sfida e ci costringe a cambiare ancora il ragionamento clinico che eravamo abituati a fare negli ultimi anni. In aggiunta, volendo essere provocatorio, si potrebbe prefigurare un ritorno a schemi terapeutici più rigidi e semplici con una potenziale nuova gerarchia di scelta del farmaco da associare a metformina in una larga percentuale di pazienti affetti da diabete di tipo 2.
Qualunque sia lo scenario futuro, credo che sia innegabile che Empa-Reg Outcome, con la forza dei suoi risultati, sfidi la modalità con cui, negli ultimi anni, abbiamo considerato le opzioni terapeutiche a nostra disposizione.
Bibliografia
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