Giovanni Sartore, Enzo Manzato
Dipartimento di Medicina, Università degli Studi di Padova
DOI: 10.30682/ildia1903c
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Drugs don’t work in patients who don’t take them
C. Everett Koop, MD, US Surgeon General, 1985.
Introduzione
L’uso delle statine ha rivoluzionato il trattamento dell’ipercolesterolemia e la prevenzione cardiovascolare. Come per tutti i farmaci anche per le statine vi sono effetti collaterali da tenere in considerazione. Basandosi sui dati epidemiologici presenti in letteratura si può affermare che le statine sono tra i farmaci di uso cronico meglio tollerati (1-3). Pur tuttavia nelle informazioni presenti nelle confezioni delle statine sono elencati diversi effetti collaterali, che però, data la loro scarsa frequenza non sono sicuramente attribuibili all’uso del farmaco, anche perché molti di questi sintomi non sono mai stai segnalati in studi randomizzati e controllati. I due effetti collaterali derivanti dall’uso delle statine documentati in letteratura sono quelli riguardanti il metabolismo glucidico e l’apparto muscolare.
Statine e metabolismo glucidico
Per quanto attiene al metabolismo glucidico sono stati segnalati incrementi della glicemia nei soggetti trattati con statine così da aversi un incremento delle diagnosi di diabete di circa il 10%, incremento che si verifica abbastanza presto dopo l’inizio della terapia con statine, in particolare tra i pazienti portatori di fattori di rischio per il diabete, come un aumentato peso corporeo, elevata emoglobina glicata o alterata glicemia a digiuno (4). I meccanismi che portano a questo effetto collaterale non sono del tutto noti, anche se probabilmente hanno dei determinanti genetici e sono legati direttamente al meccanismo di azione delle statine (5). L’incremento della glicemia associato all’uso delle statine non compromette comunque i vantaggi in termini di prevenzione cardiovascolare associati all’uso di tali farmaci, dal momento che, dai calcoli fatti, l’eventuale aumento di eventi avversi cardiovascolari provocati dall’incremento della glicemia è di gran lunga inferiore al numero di nuovi eventi prevenuti dalla terapia con statine (6).
Statine e muscolo: sintomi
Per quanto riguarda gli effetti collaterali delle statine a carico dei muscoli occorre anzitutto essere consapevoli che questo tipo di effetti collaterali sono ben descritti nei foglietti illustrativi che arrivano nelle mani dei pazienti e si tratta di effetti collaterali nella stragrande maggioranza dei casi di tipo soggettivo, sono cioè sintomi che il paziente riferisce e che facilmente possono essere provocati da preconcetti o false sensazioni. A tal proposito è particolarmente significativo quanto riportato nel corso di uno studio randomizzato e controllato, l’“Anglo-Scandinavian Cardiac Outcomes Trial – Lipid-Lowering Arm” (ASCOT-LLA) (7). Nel corso di questo studio 10.180 pazienti ipertesi in prevenzione primaria cardiovascolare sono stati randomizzati in cieco al trattamento con atorvastatina 10 mg al giorno o a placebo. Al termine dello studio (prematuramente concluso per la chiara efficacia della atorvastatina nei confronti del placebo) venne offerta la terapia con atorvastatina in aperto a tutti i 9.899 pazienti ancora seguiti; di questi pazienti 6.409 assunsero la statina mentre altri 3.490 rinunciarono a questo trattamento. Durante la fase in cieco sono stati riportati eventi avversi correlati ai muscoli in 298 pazienti trattati con statina (2,03% per anno) e in 283 pazienti trattati con placebo (2,00% per anno) con una hazard ratio di 1,03 per un intervallo di confidenza al 95% compreso tra 0,88 e 1,21 per una p=0,72. Durante la fase in aperto non randomizzata gli eventi avversi correlati ai muscoli sono stati 161 tra i pazienti che assumevano statina e 124 tra quelli non in terapia con questo tipo di farmaco, per una frequenza annua rispettivamente di 1,26% e di 1,00%, con una hazard ratio di 1,41 per un intervallo di confidenza al 95% compreso tra 1,10 e 1,79 per una p=0,006. Queste statistiche dimostrano per la prima volta cosa si debba intendere per effetto “nocebo” da parte di una statina e cioè che la consapevolezza di assumere questo tipo di farmaco porta ad un significativo incremento della frequenza di eventi avversi muscolari riferiti dai pazienti.
Statine e muscolo: gestione clinica
Sgomberato il campo da questo tipo di effetti avversi, che sono spesso frutto di disinformazione, restano i veri effetti collaterali. Nel caso delle statine e dei loro possibili effetti avversi a carico dei muscoli occorre tenere in considerazione che solo una piccola parte di tali effetti avversi sono documentabili per mezzo di un dato di laboratorio (essenzialmente il dosaggio della creatinfosfochinasi, CPK) mentre larga parte di questi effetti si limitano ad una sintomatologia che non trova riscontro in misure strumentali obiettivabili (8-9).
L’uso di CPK come dosaggio di laboratorio di un parametro biochimico che riguarda la presenza di danni muscolari risale ormai a diversi decenni fa. La presenza di questo enzima nei miociti lo rende un utile marcatore di danno di questo tipo di cellule. Peraltro la sua utilità è molto limitata dal fatto che un aumento della concentrazione plasmatica di questo enzima può essere dovuto a cause molto diverse e può riguardare distretti muscolari differenti. Tra le cause di danno miocitario che fanno aumentare CPK nel plasma vi sono i danni ischemici ed i danni traumatici a carico di queste cellule. Un esempio classico e molto sfruttato in passato nella diagnostica differenziale delle cardiomiopatie è il danno ischemico dei cardiomiociti. A seguito di una ischemia miocardica acuta è ben noto ed è stato ampiamente descritto un preciso andamento temporale di crescita/riduzione delle concentrazioni di CPK nel plasma. Altro caso di aumento di CPK nel plasma è quello legato ad un danno traumatico di masse muscolari periferiche. In entrambi i casi vi è proporzione tra l’entità dell’aumento di CPK nel plasma e gravità del danno miocitario. Ancora in entrambi i casi sono oggi disponibili altri parametri biochimici che confermano in modo più o meno specifico il danno miocitario. Mentre per la diagnostica cardiologica sono oggi utilizzati marcatori molto specifici per il danno cardiomiocitario altrettanto non si può dire per un’eventuale diagnostica di altri distretti muscolari. In tutto questo mai il dosaggio di CPK è stato correlato in modo specifico al danno miocitario da statine. Questa ultima considerazione dovrebbe far ben comprendere quanto aspecifico sia un eventuale aumento di CPK in pazienti in terapia con statine.
D’altra parte il fatto che ad oggi non sia assolutamente chiarito il meccanismo responsabile sia della mialgia che della miocitolisi da statine può facilmente far comprendere come si sia ancora alla ricerca di un parametro obiettivabile di danno muscolare da statine. In assenza di un simile dato ci si trova tuttora nella condizione di doversi basare sul sintomo riferito dal paziente nel caso della mialgia e sul dosaggio di CPK per individuare una eventuale miocitolisi da statine.
Statine e muscolo: fattori di rischio
L’esperienza clinica con le statine ha fatto peraltro individuare diverse situazioni nelle quali aumenta la probabilità che ci si trovi di fronte ad una mialgia/miolisi da statine, queste condizioni sono elencate nella tabella.
Alla luce di questa lunga serie di fattori di rischio di danno muscolare da statine il comportamento del medico di fronte ad una mialgia deve anzitutto considerare la eventuale presenza di uno (o più) di questi fattori (10). Nel caso ci si trovi di fronte a fattori di rischio modificabili è necessario provvedere alla loro correzione, consapevoli però che anche questo provvedimento non sempre è sufficiente per risolvere il problema.
In presenza di sintomi imputabili all’uso della statina diverse sono le possibilità per ovviare a questo tipo di effetti avversi: ridurre la dose di statine, utilizzare una statina differente o con diversa farmacocinetica o con minore potenza terapeutica (10).
Quanto appena descritto può essere utile per ovviare al problema “mialgia” che, ripetiamo, trattandosi di un sintomo soggettivo richiede tutte le capacità cliniche del medico per essere correttamente individuato e trattato. Diverso è il discorso di fronte al sintomo mialgia associato ad aumento del CPK o, terzo caso, aumento di CPK senza mialgia.
Se il sintomo mialgia si associa ad un aumento di CPK diviene necessario ricercare eventuali dosaggi di CPK fatti in assenza del trattamento con statine, è infatti buona pratica controllare prima dell’inizio di una terapia con statine sia le transaminasi che CPK. Abbastanza spesso si trovano pazienti nei quali una sofferenza muscolare, anche la più banale, comporta un aumento di CPK. I casi nei quali il valore di CPK può risultare aumentato sono molto numerosi, anche perché il limite massimo di normalità previsto dai laboratori di chimica clinica per il valore del CPK tiene conto della opportunità di poter individuare con questo valore tutti i casi di sofferenza miocardica, quindi con una alta possibilità di falsi positivi piuttosto che di falsi negativi. Questo tipo di diagnostica riguarda però i casi di pazienti con una specifica sintomatologia ischemica miocardica, come a dire che in caso di dolore precordiale il dosaggio di CPK deve essere abbastanza sensibile da individuare anche un minimo danno miocardico, lasciando ad ulteriori approfondimenti clinico-strumentali la conferma o meno di tale diagnosi. Occorre in definitiva che il medico sia consapevole che il valore massimo normale di CPK così come riportato nelle risposte del laboratorio è un valore calcolato per uno scopo clinico (la diagnosi di danno ischemico miocardico) ben diverso da quello relativo alla valutazione del danno muscolare da statina. Molto frequenti sono peraltro le situazioni nelle quali un paziente può esser portatore di una sofferenza muscolare per cause del tutto indipendenti dall’uso di farmaci, basti pensare alla possibilità di traumi muscolari, di esercizio fisico intenso, di patologie primitive del muscolo o più semplicemente anche di una contrattura muscolare conseguenza di patologie articolari (dall’artrosi alle protesi articolari) (Fig. 1).
Una volta escluse cause secondarie (non correlate alle statine) di aumento di CPK è opportuno considerare la entità dell’aumento del valore di CPK. Le schede tecniche di tutte le statine sono concordi nel suggerire l’interruzione della terapia con questi farmaci solo in presenza di aumenti consistenti del valore di questo enzima, in genere 5 volte oltre il valore massimo considerato normale. In tali casi l’aumento di CPK indica una sofferenza muscolare grave che è la possibile causa di un danno renale e pertanto oltre alla sospensione dell’agente miotossico (statina) sarà necessario provvedere a preservare la funzionalità renale con le misure più opportune, per esempio con una adeguata idratazione ed il monitoraggio anche degli indici di funzionalità renale.
Statine e muscolo: gestione della terapia con statine
Il problema di fondo resta però il fatto che la reale o supposta mialgia/miotossicità induce il paziente alla scarsa aderenza terapeutica, cosa che, per il bene del paziente, va evitata in ogni modo (11-13).
Per continuare la terapia in questi pazienti le linee guida e i documenti delle società scientifiche sono ricchi di suggerimenti che sostanzialmente si possono riassumere in un concetto: cercare di usare nel paziente intollerante la dose massima possibile di statina, eventualmente associata ad ezetimibe o, nel peggiore dei casi, ezetimibe da solo, o ancora passare ad un anticorpo monoclonale anti PCSK9 se ne ricorrono i criteri di rimborsabilità (10).
La statina va scelta passando possibilmente da una statina a più alta potenza di riduzione delle LDL ad una di minore potenza rispetto a quella in uso dal paziente e che ha dato problemi (in ordine decrescente di potenza le statine sono: rosuvastatina, atorvastatina, simvastatina, pravastatina e lovastatina).
Ancora, la nuova statina va comunque iniziata alla dose più bassa, talora così bassa da ricorrere ad una eventuale somministrazione di statina a giorni alterni (occorre ricordare che la emivita di una LDL è comunque superiore ad alcuni giorni ed è tanto più lunga quanto maggiore è l’ipercolesterolemia).
Conclusioni
Lo scopo di questa paziente opera di ricostruzione della aderenza terapeutica alla statina non deve mai dimenticare la utilità di questi farmaci ai fini della prevenzione cardiovascolare. Questa prevenzione non è mai un fenomeno tutto o nulla: se non raggiungi il tuo target terapeutico il beneficio che ottieni dalla riduzione parziale delle LDL è nullo. Le meta-analisi della letteratura ed i dati di singoli recenti trial con farmaci ipolipidemizzanti ben documentano infatti che vi è un rapporto graduale e progressivo tra entità di riduzione delle LDL e grado di prevenzione cardiovascolare (14). In questa ottica una ottimale aderenza terapeutica alle statine attraverso una consapevole e ragionata gestione dell’effetto collaterale muscolare connesso a questi farmaci è di estrema utilità per i pazienti.
Messaggi chiave
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Talora la mialgia da statine è solo un effetto nocebo
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La statina va sospesa solo in caso di reale necessità
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Gestire la mialgia è importante per migliorare l’aderenza alla terapia con statine
Bibliografia
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