a cura di Francesco Purrello
Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università degli Studi di Catania
Ruolo della proteina p66Shc nel danno epatico, pancreatico e cardiovascolare
Annalisa Natalicchio, Giuseppina Biondi, Francesco Giorgino
Dipartimento dell’Emergenza e dei Trapianti di Organi, Sezione di Medicina Interna, Endocrinologia, Andrologia e Malattie Metaboliche, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”
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Introduzione
La proteina p66Shc è la più grande di tre isoforme proteiche (p66Shc, p52Shc e p46Shc) codificate a partire dal proto-oncogene ShcA (Src collagen homologue A) (1-2). A differenza delle altre due isoforme, p66Shc possiede un dominio CH2 (collagen homologue) caratterizzato dalla presenza di un residuo di serina in posizione 36 (Ser36), la cui fosforilazione è determinante per la funzionalità della proteina. Infatti, proprio attraverso tale dominio, p66Shc, a differenza di p46Shc e p52Shc, regola negativamente la via delle MAP chinasi, interferendo nel metabolismo del glucosio, e modula lo stress ossidativo favorendo l’apoptosi in diversi tipi cellulari (3-5).
La produzione aberrante di radicali liberi dell’ossigeno (ROS) è determinante nei processi di invecchiamento, nel danno cellulare e nella disfunzione d’organo, ed è alla base dell’insorgenza di disturbi cronici degenerativi. Molti studi dimostrano il ruolo dello stress ossidativo anche nella patogenesi del diabete e delle sue complicanze (6-8). Essendo la proteina p66Shc ampiamente coinvolta nella regolazione dello stress ossidativo, nell’apoptosi cellulare e nella regolazione della longevità (9), il ruolo biochimico e fisiopatologico di questa proteina è stato studiato in diversi sistemi cellulari, in relazione alle patologie correlate all’aumentata produzione di ROS e all’età. p66Shc è risultata determinante nella disfunzione cellulare, indotta da vari stimoli, in diversi organi e tessuti (10-11), inclusi pancreas, fegato, sistema cardiovascolare, tessuto adiposo e muscolo scheletrico e ha destato, pertanto, l’interesse della comunità scientifica come possibile target farmacologico per la prevenzione dell’insorgenza e dello sviluppo di patologie correlate allo stress ossidativo e all’invecchiamento, tra cui il diabete. Infatti, sebbene i dati sugli effetti metabolici di p66Shc (insulino-sensibilità e tolleranza al glucosio) siano discordanti (12-13), numerosi studi hanno dimostrato che topi diabetici knockout per p66Shc (p66Shc-/-) sono protetti dallo sviluppo di complicanze epatiche, renali e cardiovascolari rispetto alla controparte wild-type (14-18).
In questa rassegna, abbiamo focalizzato la nostra attenzione sul ruolo della proteina p66Shc nel danno a carico del fegato, del pancreas endocrino e del sistema cardiovascolare, con particolare attenzione a quanto si verifica nella condizione diabetica.
Ruolo della proteina p66Shc nel danno epatico
Il ruolo della proteina p66Shc nel mediare lo stress ossidativo nel fegato e nel produrre danni funzionali in questo organo è stato valutato in numerosi lavori scientifici mediante esperimenti condotti in sistemi cellulari e in modelli animali (in vitro, ex vivo ed in vivo).
L’ablazione di p66Shc in epatociti di topo è risultata citoprotettiva nei confronti dell’apoptosi cellulare indotta da stress ossidativo a seguito di ipossia/riossigenazione, grazie alla aumentata attività antiossidante della Mn superossido dismutasi (MnSOD) e del fattore-I redox (Ref-I) (19). Inoltre, in epatociti di ratto, l’inibizione di p66Shc riduce il danno epatico da ischemia/riperfusione (20).
In epatociti umani HepG2, è stato anche dimostrato che l’iperespressione di p66Shc, ma non di una forma mutante mancante della Ser36, aumenta i livelli intracellulari di ROS e riduce l’espressione del gene antiossidante Nrf2 (NF-E2-related factor 2), inducendo un danno ossidativo del DNA (21). La conferma del ruolo di p66Shc nel danno epatico indotto da ROS viene dall’osservazione di un aumento dei livelli proteici di p66Shc in biopsie epatiche provenienti da soggetti con steatoepatite alcolica (ASH), patologia notoriamente correlata allo stress ossidativo, rispetto ai soggetti sani (22). Nelle stesse biopsie, l’aumento dei livelli proteici di p66Shc è risultato correlato in entità al grado di severità della ASH, suggerendo che p66Shc potrebbe avere nel fegato sia un ruolo di sensore che di enhancer dello stress ossidativo e del conseguente danno epatico. In vivo, a conferma di quanto dimostrato in sistemi cellulari, topi iperesprimenti p66Shc, dopo 6 settimane di abbeveramento con acqua ed etanolo, rispetto a topi wild-type, hanno mostrato elevati livelli sierici di alanina aminotransferasi (ALT), rigonfiamento epatico e steatosi epatica, e queste alterazioni erano tutte significativamente attenuate nei topi p66Shc-/- (23). Le analisi biochimiche del tessuto epatico murino hanno evidenziato, inoltre, l’induzione della proteina p66Shc da parte dell’etanolo, mentre i topi p66Shc-/- mostravano un aumento dell’enzima antiossidante MnSOD in risposta all’etanolo, quasi assente nei topi wild-type. La correlazione inversa tra i livelli di espressione di p66Shc e la protezione dal danno ossidativo indotto dall’alcol è stata anche confermata in vitro in epatociti primari e in cellule HepG2-E47, una linea cellulare di epatoma responsiva all’etanolo. Infatti, in cellule epatiche isolate da topi p66Shc-/-, l’attivazione della MnSOD, in seguito all’esposizione a etanolo, era maggiore rispetto a cellule epatiche isolate da topi wild-type, mentre era del tutto soppressa in cellule HepG2 iperesprimenti p66Shc. In queste ultime, inoltre, p66Shc induceva la generazione di ROS, potenziando lo stress ossidativo e la depolarizzazione mitocondriale indotte dall’etanolo (23). A conferma di questi risultati, è stato dimostrato che l’acido carnosico, un estratto della pianta di rosmarino, allevia il danno alcolico epatico inibendo p66Shc tramite l’attivazione della deacetilasi NAD-dipendente SIRT1 con effetti antiossidanti, anti-apoptotici ed anti-steatosi (24).
In studi successivi, è stato dimostrato che la proteina p66Shc media il danno epatico indotto da ischemia/riperfusione intestinale: nel fegato di topo sottoposto a questa procedura, si osserva l’attivazione di PKCβII che comporta l’attivazione di p66Shc in senso pro-ossidante e pro-apoptotico e causa danno istologico epatico, infiltrazione delle cellule infiammatorie, stress ossidativo ed apoptosi (25). Inoltre, nel fegato, p66Shc rappresenta il meccanismo di congiunzione tra invecchiamento e riduzione della capacità di rigenerazione epatica: topi anziani con knockdown epatico di p66Shc mostrano una maggiore capacità di rigenerazione epatica rispetto a topi wild-type in seguito a parziale epatectomia; in particolare, l’assenza di p66Shc determina riduzione dello stress ossidativo secondario all’epatectomia e della conseguente apoptosi epatocitaria (26).
La malattia diabetica, come è noto, si associa spesso ad obesità e dis/iperlipidemia, condizioni che, attraverso l’induzione di stress ossidativo, favoriscono l’insorgenza di epatopatia non alcolica (NAFLD, Non-Alcoholic Fatty Liver Disease), ossia accumulo ectopico di trigliceridi nel fegato, con conseguenti alterazioni dell’omeostasi glicemica e della sensibilità all’insulina; quando grave, il fenomeno può progredire a vera e propria epatite non virale e non alcolica, definita NASH (Non-Alcoholic Steatosis Hepatitis). I livelli proteici di p66Shc totale e fosforilata in Ser36 sono stati riscontrati aumentati nel fegato di topi affetti da NASH (27) in risposta all’attivazione della proteina p53, suggerendo che la via p53/p66Shc potrebbe regolare la progressione della NASH mediante il controllo dei livelli di ROS e di apoptosi. A conferma di questo, l’acido carnosico si è mostrato capace di ridurre la NAFLD indotta da una dieta ricca di acidi grassi (HFD, High Fat Diet) somministrata a ratti e, allo stesso modo, di ridurre in vitro gli effetti pro-apoptotici dell’acido grasso saturo palmitato in cellule epatiche umane L02, attraverso l’inibizione della via miR-34a/SIRT1/p66Shc (28).
Ruolo della proteina p66Shc nel danno del pancreas endocrino
Un unico studio (29) ha esplorato il ruolo della proteina p66Shc nel danno a carico del pancreas endocrino, specificatamente nelle beta-cellule pancreatiche esposte per lungo tempo a elevati livelli di acidi grassi saturi e/o di glucosio. È noto che l’esposizione cronica delle beta-cellule pancreatiche a elevati livelli di acidi grassi, tipicamente presenti nella condizione di obesità viscerale, si traduce in un danno di vitalità e funzione beta-cellulare, alterazioni che definiscono il fenomeno della “lipotossicità”, contribuendo alla patogenesi e allo sviluppo del diabete mellito di tipo 2 (30-31); allo stesso modo, elevati livelli di glucosio possono indurre “glucotossicità” beta-cellulare. Tra i meccanismi attraverso i quali la lipotossicità e la glucotossicità producono effetti dannosi, l’induzione di stress ossidativo svolge un ruolo determinante (32).
Nel lavoro di Natalicchio A. et al, è stato dimostrato che il palmitato, un acido grasso saturo a 16 atomi di carbonio, determina un aumento dell’espressione genica e proteica di p66Shc, mediata dall’attivazione del fattore di trascrizione p53, così come un aumento della fosforilazione di p66Shc a livello della Ser36, mediata dall’attivazione della proteina JNK, sia in isole pancreatiche umane e murine che in beta-cellule di ratto (INS-1E); l’incremento dell’espressione e dell’attivazione di p66Shc indotta dagli acidi grassi saturi provoca un aumento dell’apoptosi beta-cellulare, mediata, almeno in parte, da un incremento della produzione dei ROS intracellulari (Fig. 1). Allo stesso modo, in beta-cellule INS-1E, livelli cronicamente elevati di glucosio aumentano l’espressione proteica di p66Shc e la sua attivazione in Ser36, determinando apoptosi beta-cellulare.
A conferma del ruolo pro-apoptotico di p66Shc nelle beta-cellule esposte ad acidi grassi, l’espressione genica di p66Shc aumenta significativamente nelle isole pancreatiche di topi nutriti con HFD, rispetto a topi nutriti con dieta standard, ed in isole pancreatiche di pazienti obesi rispetto a soggetti magri. Un altro dato interessante è che l’aumento dell’espressione di p66Shc nelle isole di pazienti obesi correla, oltre che con l’espressione di p53, anche con l’incremento di espressione dei principali geni pro-apoptotici BAX (BCL2-Associated X protein), CASP3 (Caspase 3) e CYCS (Cytochrome C Somatic) (29).
Inoltre, la p66Shc sembra svolgere un ruolo anche nell’insulino-resistenza beta-cellulare indotta dall’eccesso di acidi grassi saturi. È noto infatti che l’insulina agisce in maniera autocrina sulle beta-cellule pancreatiche, inducendo la sua stessa biosintesi e secrezione (33). Così come in altri tessuti, anche nelle beta-cellule una condizione di iperlipidemia può causare inefficienza del signaling insulinico con conseguente inibizione degli effetti insulinici e realizzazione di uno stato di insulino-resistenza (34). Risultati ottenuti in cellule di insulinoma di ratto INS-1E dimostrano che p66Shc ha di per sé un ruolo inibitorio sul signaling insulinico e sull’azione dell’insulina e media l’insulino-resistenza indotta dal palmitato: in particolare, l’acido grasso, aumentando l’espressione di p66Shc, determina fosforilazione di IRS-1 a livello della Ser307 e conseguente degradazione proteica di IRS-1, che si traduce in una riduzione della capacità dell’insulina di fosforilare AKT, di indurre aumento del suo contenuto e della secrezione di C-peptide.
Ruolo di p66Shc nel danno cardiaco
Il ruolo determinante della proteina p66Shc per la definizione dello stato redox cellulare è stato ampiamente studiato nelle patologie cardiovascolari, alla patogenesi delle quali i ROS e l’invecchiamento forniscono un contributo sostanziale. A livello cardiaco, così come molte altre molecole che regolano la crescita e l’apoptosi, p66Shc è espressa prevalentemente nei cardiomiociti neonatali (35), dove esercita una azione anti-ipertrofica, dimostrata in ratti neonati p66Shc-/-, caratterizzati dall’aumento dei marker di proliferazione e di ipertrofia (36).
Il livello di espressione di p66Shc si riduce nel corso della crescita e maturazione del cuore (35). Nei cardiomiociti adulti, pur essendo bassa in condizioni fisiologiche, l’espressione di p66Shc può aumentare in risposta a diversi stimoli induttori di ipertrofia e disfunzione cardiaca, suggerendo il ruolo di questa proteina nella regolazione di tali processi patologici.
Studi effettuati sia in vitro che in vivo, hanno dimostrato che l’angiotensina II, ormone che contribuisce alla precoce senescenza del cuore tipica dei pazienti con ipertensione, aterosclerosi e diabete, è in grado di incrementare l’espressione di p66Shc che si traduce in apoptosi dei cardiomiociti e delle cellule endoteliali, oltre che in ipertrofia del ventricolo sinistro (37); topi adulti p66Shc-/-, a parità di spessore della parete del miocardio, peso cardiaco, pressione sanguigna e frequenza cardiaca, si caratterizzano per un maggior numero di cardiomiociti rispetto a topi wild-type, probabilmente causato da una minore attivazione della via di segnale dell’angiotensina II in assenza di p66Shc (37). A conferma del ruolo di p66Shc nella disfunzione cardiaca, miociti di cani con cardiomiopatia dilatativa mostrano un’aumentata espressione di p66Shc, associata ad una maggiore produzione di ROS e ad un aumento dell’apoptosi cellulare (38).
La tossina Pasteurella multocida (PMT), un agonista della subunità monomerica endogena Gαq, promuove un incremento dell’espressione genica e proteica di p66Shc e della sua fosforilazione in Ser36 che determina ipertrofia cardiomiocitica (35). Anche la trombina induce la fosforilazione in Ser36 di p66Shc in fibroblasti cardiaci e in cardiomiociti, influenzandone la crescita e la sopravvivenza, anche attraverso il rimodellamento della matrice fibroblastica (35). Un ulteriore stimolo capace di esitare in danno cardiaco attraverso un aumento dell’attivazione di p66Shc è l’iperglicemia. È noto infatti che lo stress ossidativo indotto dall’iperglicemia provoca difetti di crescita delle cellule progenitrici cardiache (CPC) e di formazione dei miociti, favorendo l’invecchiamento precoce del miocardio e l’insufficienza cardiaca. È interessante notare che topi diabetici p66Shc-/- non sviluppano senescenza o insufficienza cardiaca. Diversamente dal fenotipo apoptotico e necrotico osservato nelle cellule progenitrici cardiache e nei miociti di topi diabetici wild-type, le CPC di topi diabetici p66Shc-/- presentano una alta capacità proliferativa, suggerendo che la espansione delle CPC e dei miociti possa essere il meccanismo tramite il quale si preserva la funzione cardiaca nei topi diabetici che mancano della p66Shc (17). Tra i vari stimoli nocivi, anche l’alcol, il cui consumo eccessivo è notoriamente legato a disfunzione cardiaca, induce fosforilazione dose-dipendente di p66Shc, aumentata produzione di ROS e apoptosi dei cardiomiociti (39).
Mentre sembra essere chiaro il ruolo di p66Shc nella ipertrofia e disfunzione cardiaca indotta dai vari stimoli su menzionati, il ruolo di p66Shc nel danno cardiaco da ischemia-riperfusione rimane controverso (40-41). Un recente studio ha ipotizzato un ruolo positivo della produzione di ROS, mediata da p66Shc, negli episodi di breve/media ischemia, funzionando come sistema endogeno di difesa dal danno; al contrario la produzione sostenuta di ROS da parte di p66Shc in condizioni di lunga/severa ischemia e successiva riperfusione potrebbe essere nocivo, come accade nel caso della cardiomiopatia ipertensiva o diabetica (42). Infine, è stato dimostrato che la delezione di p66Shc è in grado di favorire la guarigione di aree di miocardio infartuate, riducendone la fibrosi e la disfunzione contrattile (43).
Ruolo di p66Shc nel danno vascolare
Anche a livello endoteliale è stato ampiamente confermato il ruolo pro-ossidante della proteina p66Shc, implicata nel meccanismo molecolare di collegamento tra produzione di ROS, invecchiamento dei vasi, disfunzione endoteliale, aterosclerosi e formazione di trombi.
I topi p66Shc-/- sono protetti dalla disfunzione endoteliale causata dall’invecchiamento, a seguito di una ridotta produzione di ROS (44). Ad ulteriore supporto del ruolo cruciale di p66Shc nella disfunzione delle cellule endoteliali, l’iperespressione di p66Shc inibisce la produzione eNOS-dipendente di ossido nitrico (NO) (45), con conseguenti effetti negativi sulla vasodilatazione endotelio-dipendente.
Lo stress ossidativo è uno dei meccanismi più importanti nell’insorgenza di aterosclerosi (46). Topi wild-type nutriti con HFD mostrano un aumento dei livelli di colesterolo sierico e di ROS, responsabili dell’aumentata ossidazione delle lipoproteine a bassa densità (LDL); queste, legando il loro specifico recettore (lectin-like oxidized LDL receptor-1) sono in grado di incrementare ulteriormente la produzione di ROS a livello endoteliale, determinando disfunzione vascolare e aterosclerosi. In queste condizioni è stata osservata una relazione con l’aumento della fosforilazione in Ser36 di p66Shc nelle cellule endoteliali (47), che viene bloccata dall’inibizione chimica o dal silenziamento genico del recettore delle LDL. Viceversa, il silenziamento di p66Shc impedisce la produzione di ROS indotta dalle LDL ossidate (48). A supporto di questi risultati, topi p66Shc -/- alimentati con HFD hanno mostrato minori livelli di stress ossidativo sistemico e di LDL ossidate nelle pareti arteriose, maggiore resistenza alla aterogenesi e ridotta apoptosi vascolare rispetto ai topi wild-type (49-50), confermando ulteriormente il ruolo di p66Shc nella aterogenesi indotta da HFD e mediata da stress ossidativo.
Ulteriori studi a supporto della capacità di p66Shc di mediare il danno vascolare indotto dall’HFD includono la dimostrazione del ruolo della ipercolesterolemia nell’aumento dell’espressione di p66Shc in cellule endoteliali umane con conseguente disfunzione dell’endotelio che assume caratteri pro-adesivi e pro-coagulanti (51). Infine, in topi nutriti con HFD, l’ipercolesterolemia induce un fenotipo piastrinico protrombotico, che è significativamente attenuato in topi p66Shc-/- (52).
L’aumentata produzione di ROS indotta dall’iperglicemia è considerata uno dei principali meccanismi che collegano il metabolismo del glucosio alla disfunzione endoteliale e all’aterosclerosi, complicanze vascolari notoriamente associate alla patologia diabetica. Il ruolo di p66Shc nel mediare la disfunzione endoteliale causata dall’iperglicemia è stato recentemente valutato in un modello murino di diabete di tipo 1 indotto da streptozotocina. Topi diabetici wild-type mostrano disfunzione endoteliale ROS-dipendente innescata dall’iperglicemia; risultano al contrario resistenti i topi p66Shc-/-, che sono caratterizzati anche da una maggiore espressione endoteliale di enzimi antiossidanti, quali eme ossigenasi 1 (HO-1) ed ossido nitrico sintasi (53). Un dato interessante è che l’espressione di p66Shc è aumentata nell’aorta di topi diabetici wild-type rispetto ai topi di controllo normoglicemici, sottolineando così una relazione causale tra i livelli elevati di glicemia e la regolazione dei livelli di espressione della proteina p66Shc.
Sia in seguito a iperlipidemia che nella condizione diabetica si instaura uno stato pro-infiammatorio con produzione di citochine dannose per la funzione vascolare. In cellule endoteliali umane HUVEC è stato dimostrato che la citochina TNFα, una delle più importanti per la genesi della disfunzione endoteliale, attiva la fosforilazione in Ser36 di p66Shc, con conseguente incremento di ROS e dei livelli della proteina E-Selectina; questo si traduce in un aumento della permeabilità dell’endotelio e della trasmigrazione leucocitaria attraverso il monostrato delle cellule endoteliali, eventi che portano a danno vascolare e che sono inibiti dal silenziamento genico di p66Shc (54).
Generalmente, lo stadio avanzato di aterosclerosi si caratterizza per la formazione di placche aterosclerotiche. Anche in questo processo è stato dimostrato il ruolo della proteina p66Shc, in quanto la sua delezione previene la formazione di placche in condizioni di ipercolesterolemia (55). L’espressione di p66Shc è risultata aumentata nei monociti provenienti da pazienti con malattia coronarica (CAD, Coronary Artery Disease), ed è stata descritta una correlazione diretta tra i livelli di p66Shc e il numero di vasi malati (56). D’altra parte, l’analisi delle mutazioni del gene p66Shc e della sua sequenza promotore in pazienti con CAD (CAD, Coronary Artery Disease) non ha evidenziato elementi per una associazione con questa patologia. L’analisi delle sequenze ha riportato infatti solo due SNP eterozigoti non direttamente correlati al coinvolgimento di p66Shc nella suscettibilità alla CAD (57).
Conclusioni
Nel complesso, le evidenze finora riportate e qui discusse dimostrano che la proteina p66Shc svolge un ruolo importante nella mediazione del danno epatico, beta-pancreatico e cardiovascolare indotto principalmente da fattori correlati allo stress ossidativo, quali lipotossicità, glucotossicità ed ischemia/riperfusione, oltre che all’invecchiamento (Fig. 2). Tali evidenze supportano una strategia di intervento mirata ad una modulazione farmacologica dell’espressione e/o dell’attività di p66Shc come obiettivo per il trattamento di patologie correlate allo stress ossidativo e all’ageing, fra cui il diabete e le sue complicanze. A tal fine, la generazione di topi knockout per p66Shc tessuto-specifici, a tutt’oggi non ancora disponibili, potrebbe meglio chiarire il ruolo specifico di questa importante proteina in ciascun organo e tessuto.
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