Ruolo del digiuno e della restrizione calorica nella terapia del diabete tipo 2

Iolanda Cioffi1, Valentina Ponzo2, Simona Bo2

1Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia, Università degli Studi di Napoli “Federico II”;

2Dipartimento di Scienze Mediche, Università degli Studi di Torino

DOI: 10.30682/ildia1804b

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Introduzione

L’incremento epidemico del diabete mellito di tipo 2 (DMT2) è strettamente correlato con l’aumento dell’obesità a livello mondiale (1). È noto che una riduzione modesta del peso corporeo compresa tra il 5% ed il 10% può migliorare il compenso glicemico o prevenire l’insorgenza del DMT2 (2-3). L’intervento dietetico è universalmente considerato il caposaldo nella prevenzione, gestione e trattamento della patologia e delle complicanze ad esso associate (4).

Attualmente c’è un crescente interesse verso i regimi dietetici basati sull’intermittenza di digiuno o di restrizioni caloriche estreme (5-6). Tuttavia, vi è anche una certa confusione in merito alla definizione di restrizione energetica intermittente. È ipotizzabile che alcune delle modificazioni che si verificano durante il digiuno protratto possano essere benefiche per i pazienti affetti da DMT2 (per es. la riduzione dell’insulino-resistenza, l’aumento della lipolisi, l’utilizzo preferenziale dei corpi chetonici a livello cerebrale, la conseguente riduzione della neoglucogenesi, la perdita di massa grassa), ma non è chiaro in quale misura questi meccanismi operino realmente negli attuali regimi di digiuno studiati.

Complessivamente, nei soggetti sani, l’effetto di restrizioni caloriche intermittenti sul peso corporeo e sul profilo cardio-metabolico sembra essere comparabile alla restrizione calorica continua. I dati sui pazienti affetti da DMT2 sono ad oggi pochi e spesso contrastanti (7-8).

In questa rassegna, analizzeremo le evidenze ad oggi presenti in letteratura sull’effetto del digiuno e/o delle restrizioni caloriche intermittenti per la prevenzione ed il trattamento del DMT2.

Aspetti storici

Storicamente, il digiuno è stato utilizzato per millenni sia come pratica religiosa sia come terapia medica. Ancora oggi il digiuno fa parte di diversi rituali religiosi. Il Ramadan, per esempio, è il mese sacro durante il quale i musulmani si astengono dall’assumere cibo e bevande dall’alba al tramonto. Anche i cristiani-ortodossi, gli ebrei, i mormoni, i buddisti e gli induisti tradizionalmente digiunano secondo il proprio calendario in specifici giorni della settimana o dell’anno. Il digiuno viene inteso dal punto di vista religioso come una forma di “purificazione” ovverossia la liberazione dell’uomo da tutte le forme di sofferenza, fisiche, mentali o spirituali, per raggiungere la massima libertà, nonché rafforzare le proprie capacità di auto-disciplina (9).

Il digiuno venne suggerito come forma di cura a partire già da Ippocrate, nonché dall’antica medicina indiana dell’Ayurveda; e quindi fu sostenuto e proposto da molti illustri personaggi (Paracelso, Benjamin Franklin, Mark Twain). I primi studi scientifici che utilizzarono il digiuno per il trattamento del diabete mellito tipo 1 e tipo 2 risalgono al 1914, a cui seguirono vari altri studi, con risultati controversi (10-16). A fronte di alcuni benefici sul peso corporeo, sulla glicemia e la glicosuria, furono riportati effetti sfavorevoli anche gravi, fino al decesso dopo digiuno prolungato.

Pertanto, nonostante il digiuno “terapeutico” suscitasse un forte interesse in molti studiosi, gli eventi avversi ad esso associato, ne limitarono l’utilizzo nella medicina tradizionale per molto tempo.

Negli anni Quaranta, il fisiologo americano Ancel Keys condusse uno studio sulle conseguenze di una marcata restrizione calorica protratta (“starvation”) in soggetti normopeso (“The Minnesota experiment“) con l’obiettivo di valutare gli effetti fisiologici e psicologici che si verificavano sia nella fase di “starvation” che in quella di ri-alimentazione. Durante l’esperimento i partecipanti persero più del 25% del loro peso corporeo, presentando apatia e astenia estrema. Risultò che la restrizione cronica di cibo determinava riduzione dei valori di pressione arteriosa, colesterolo e frequenza cardiaca (17), nonché talora drammatiche alterazioni della personalità, inducendo irritabilità, deficit neurologici e slatentizzando in qualche caso anche psicosi vere e proprie (18).

La definizione di digiuno e le modalità con cui viene applicato dal punto di vista terapeutico si sono evolute nel corso del tempo. Oggi c’è nuovamente un forte interesse sul potenziale effetto che il digiuno può avere sulla longevità e sulla prevenzione/trattamento delle patologie croniche, tanto da essere proposto in aggiunta o addirittura come possibile alternativa alle terapie tradizionali.

Definizione di digiuno e restrizione calorica

Ad oggi manca una classificazione precisa per i vari regimi di digiuno ed i protocolli impiegati nei vari studi sono notevolmente eterogenei. Spesso, le diete fortemente ipocaloriche (very-low-calorie-diet) vengono assimilate a forme di digiuno intermittente, ma, non essendoci un’alternanza settimanale nell’apporto calorico di questi regimi, essi ne vanno distinti. Parimenti, si tende a utilizzare il termine digiuno intermittente per definire un regime usato con frequenza variabile: settimanale (da 1 a 6 giorni la settimana) (5, 19-21) o mensile (1 o 2 settimane al mese) (7, 22-24). Nei giorni di “digiuno” è prevista, a seconda degli studi, sia la totale astensione dal consumo di calorie (25-26) che una restrizione energetica estrema (19-21, 27-28). Non vi è uniformità poi nell’approccio nutrizionale nei giorni di non “digiuno”, variando dalla totale libertà (27, 29-33) a restrizioni più contenute degli apporti calorici (19-21, 25, 34). Altrettanto variabile è la composizione in macronutrienti che viene proposta nei vari studi (8, 19-20, 25, 28-29, 34-35). Infine, spesso viene considerato una forma di digiuno intermittente il cosiddetto “time-restricted feeding” ovverossia il consumo di alimenti (talora addirittura ad libitum) in una stretta finestra oraria all’interno della giornata (36-37). Cercando di riassumere le diverse tipologie presenti, vi proponiamo quanto sotto riportato.

Il digiuno, la forma più estrema di restrizione calorica (RC), consiste nella totale astinenza da cibo ma non da acqua, per un intervallo di tempo che oscilla dalle 12 ore alle 3 settimane. Si distingue pertanto dalla RC che al contrario prevede una restrizione continuativa pari al 20-40% delle calorie totali, mantenendo inalterato il consumo giornaliero dei pasti (38). Il digiuno può essere applicato in maniera cronica, ma intermittente, oppure periodicamente in cicli (38).

La restrizione energetica intermittente (IER) identifica una serie di regimi che prevedono una restrizione calorica estrema, circa il 50-75% del fabbisogno energetico, con apporti calorici che variano mediamente da 400 kcal a 1500 kcal/die (39-40) (Tab. 1). La IER è usualmente caratterizzata da 1 a 3 giorni ogni settimana di restrizione calorica (per comodità chiameremo queste giornate “fast”). Questi regimi sono quelli più frequentemente utilizzati e vengono definiti IER “settimanale” poiché l’intermittenza di giornate “fast” si verifica ogni settimana per un numero variabile di giorni. L’IER “periodica” invece prevede 1 o più settimane, consecutive o non, di restrizione energetica, praticata per un numero variabile di giorni (≥5 giorni) e intervallata a settimane prive di restrizioni caloriche.

Le giornate o settimane che non prevedono la restrizione calorica estrema vengono definite “feast or feed”. Anche in questo caso vi è estrema variabilità tra i vari studi, in quanto vi sono schemi che suggeriscono l’assoluta libertà in termini sia di scelte alimentari che di apporto calorico (ad libitum) e regimi che propongono restrizioni caloriche bilanciate in base ai fabbisogni energetici misurati o stimati (usualmente consumo del 75% del fabbisogno) (39).

Le modalità di IER più studiate sono quelle settimanali, in particolare:

IER a giorni alterni o “alternate day fasting” (ADF), in cui i giorni “fast” si alternano con quelli “feed” (5);

IER 5:2 in cui 2 giorni, consecutivi o non, di “fast” si alternano a 5 giorni “feed” (19-21).

Anche la composizione in macronutrienti prevista nei giorni “fast” può variare. Più frequentemente, si tratta di regimi iperproteici ed ipolipidici per aumentare il senso di sazietà e contenere l’apporto calorico. Alcuni protocolli prevedono l’utilizzo di sostitutivi dei pasti (34), anche in forma liquida (41-42) nei giorni “fast”, soprattutto per le restrizioni caloriche estreme. Studi più recenti utilizzano anche nei giorni “fast” regimi in linea con la dieta Mediterranea (15-20% proteine; 25-30% lipidi, 40-55% carboidrati) (8, 19-20, 25, 28-29).

Tra i regimi periodici, il più noto è la dieta mima-digiuno (fasting-mimicking diet), proposta dal prof. Valter Longo che prevede cicli di 5 giorni “fast” da effettuare 1 volta al mese per almeno 3 mesi (22-24). Nel primo giorno “fast” vengono fornite 1100 kcal (11% proteine, 46% lipidi, 43% carboidrati), negli altri 4 l’apporto scende a 750 kcal. Si tratta di uno schema ipoproteico, basato su alimenti vegetali con l’assunzione di specifiche formulazioni a base di zuppe, barrette, bevande energetiche e supplementi di minerali, vitamine ed acidi grassi essenziali.

Il “time-restricted feeding” (TRF) è una modalità diversa che viene impropriamente fatta rientrare tra i regimi di IER. È caratterizzato dal consumo di alimenti tutti i giorni in un intervallo di tempo ristretto (da 3-4 ore fino a 10-12 ore), inducendo una fase di digiuno che oscilla quindi tra 12-21 ore al giorno con o senza restrizione calorica (43). L’esempio più eclatante di TRF è il Ramadan musulmano, durante il quale l’alterazione della frequenza dei pasti, ma anche delle fasi di sonno, può avere implicazioni importanti dal punto di vista fisiologico, determinando una alterazione dei ritmi circadiani che regolano le normali funzioni biologiche. Questa ultima modalità, che implica meccanismi patogenetici diversi e merita una trattazione separata, non sarà oggetto di questa rassegna.

Fisiopatologia del digiuno

Nell’uomo, l’assenza di cibo per un intervallo compreso tra 12-36 ore comporta generalmente una riduzione dei livelli circolanti di insulina e la deplezione delle scorte di glicogeno, con incremento degli ormoni della contro-regolazione e attivazione della lipolisi del tessuto adiposo e incremento delle concentrazioni di acidi grassi liberi (FFA) (44). Vi è una discreta variabilità individuale in questi meccanismi, che dipende dalle scorte epatiche di glicogeno e dal dispendio energetico individuale. Gli FFA vengono trasportati negli epatociti e vengono metabolizzati tramite la β-ossidazione in corpi chetonici (principalmente beta-idrossibutirrato ed aceto-acetato). Con il digiuno protratto (≥72 ore), i livelli di 3-beta-idrossibutirrato aumentano (>2 mmol/L) e i chetoni diventano la fonte energetica principale per il sistema nervoso centrale, sostituendosi così al glucosio. In questo modo, si riducono i processi ad alto dispendio come neoglucogenesi, proteolisi e urea-genesi, risparmiando energia e proteine muscolari. L’utilizzo di corpi chetonici quale fonte energetica provoca uno shift del metabolismo con utilizzo preferenziale di grassi, meccanismo molto favorevole in presenza di eccesso ponderale, in quanto permette di risparmiare le masse muscolari e di consumare i depositi adiposi (44). A differenza dell’animale da laboratorio, in cui possono essere sufficienti moderate restrizioni caloriche per indurre questo shift, nell’uomo si verifica generalmente dopo circa 3 giorni di digiuno, quando cioè le concentrazioni di corpi chetonici circolanti diventano rilevanti (35). I regimi di IER soprattutto quelli settimanali e ancor di più il TRF, non sono in grado di determinare concentrazioni circolanti così elevate di corpi chetonici in quanto i valori riportati in letteratura sono inferiori a 0.8 mmol/L (19-20).

I regimi di IER determinano una maggiore riduzione dei livelli di insulinemia rispetto ai regimi di RC continua (19-20). Sono state riportate riduzioni dei livelli di insulin-growth-factor 1 (IGF-1) e della proteina legante l’IGF-1, il fattore di crescita associato ai processi dell’invecchiamento. L’effetto sull’IGF-1 è legato in particolare alla restrizione proteica (45). La riduzione di IGF-1 e la conseguente down-regolazione dell’attività della proteina-chinasi A e di mTOR, potrebbero essere l’elemento chiave della rigenerazione cellulare delle isole pancreatiche che è stata descritta con la dieta mima-digiuno in topi diabetici (46). Analogamente, questa dieta ha indotto in modelli animali la rigenerazione del tessuto emopoietico e di quello intestinale (47). È stato ipotizzato che la dieta mima-digiuno possa alterare l’espressione dei geni che normalmente sopprimono la generazione delle beta-cellule, tema questo di grande interesse attuale poiché ritenuto un target fondamentale per il trattamento del diabete. Inoltre, l’IER potrebbe avere un ruolo nella regolazione del tessuto adiposo bruno e/o beige attraverso modificazioni del microbiota intestinale (48). Studi sugli animali riportavano variazioni significative del microbiota dopo dieta mima-digiuno o TRF (49-50), con aumento della biodiversità del microbiota e riduzione dei Bacteroidetes, di cui è stata dimostrata maggiore abbondanza nel DMT2 (51). I meccanismi ipotizzati sono: l’aumento in circolo di prodotti della fermentazione, quali acetato e lattato e la up-regolazione dell’espressione genica del trasportatore 1 dei mono-carbossilati (MCT1) responsabile dell’ingresso dell’acetato e del lattato nella membrana degli adipociti beige e bruni, con loro successiva attivazione (48). Altri potenziali meccanismi implicati sono la normalizzazione dell’espressione di geni coinvolti nel metabolismo degli acidi grassi, della beta-ossidazione, la modulazione del sistema delle sirtuine e di “pathways” implicate nello stress ossidativo, nell’infiammazione, nell’autofagia, nonchè la stimolazione di processi di biogenesi mitocondriale e di resistenza allo stress (35, 52).

È importante sottolineare che la maggior parte degli studi sugli effetti dell’IER sono stati effettuati sull’animale. Sono pertanto necessarie conferme sull’uomo in merito ai meccanismi sopra descritti.

Effetti metabolici e clinici della restrizione calorica

Sulla base delle evidenze scientifiche disponibili sia sull’animale sia sull’uomo, i regimi dietetici basati sul digiuno e sulle restrizioni caloriche intermittenti e/o periodiche sembrerebbero avere potenziali benefici, riducendo il rischio di molte patologie croniche, soprattutto nei soggetti sovrappeso e sedentari.

Dati su studi in vitro e animali riportano che i regimi di digiuno/IER riducono il grasso addominale, la steatosi epatica e lo stress ossidativo, svolgono effetti antinfiammatori, antipertensivi, ipolipemizzanti, neuro-protettivi, conferendo protezione nei confronti delle malattie cardiovascolari e del cancro. Inoltre, determinano miglioramento della sensibilità insulinica e riduzione dei livelli circolanti di glicemia, concorrendo alla prevenzione del DMT2 o al miglioramento del compenso glicemico in presenza di malattia (Fig. 1) (38).

Nell’uomo, le evidenze sono tuttora scarse. In generale, non è stata dimostrata una chiara superiorità dei regimi di IER rispetto alla RC continua né sul peso corporeo, né su altre variabili antropometriche, come massa grassa, massa magra, piuttosto che sui livelli di lipidi circolanti e sui valori di pressione arteriosa (39-40, 53-54).

Gli effetti sul metabolismo glicidico dei vari tipi di IER sono di seguito descritti. I risultati relativi ai regimi di digiuno/IER settimanale e periodica sono riportati rispettivamente nelle tabelle 2 e 3. I dati sono presentati come differenza (delta) in valore assoluto ed in percentuale sia rispetto alle misurazioni basali che al gruppo di controllo, ove presente.

In questa rassegna, sono stati inclusi 15 studi, di cui 5 sono studi d’intervento che non presentano il gruppo di controllo (26, 30, 32-33, 55) e 10 sono trial randomizzati controllati (RCT) (7-8, 19-21, 25, 27-29, 34). Tutti i partecipanti sono individui adulti con sovrappeso e/o obesità, ed in 3 studi (7-8, 33) sono stati inclusi pazienti con DMT2.

La maggior parte degli studi senza gruppo di controllo (30, 32-33) riportò una riduzione più (33) o meno (30) marcata della glicemia a digiuno rispetto al valore basale con il regime di IER. Le variazioni descritte furono assai disomogenee e comprese tra -15.8% (33) e +6% (55).

Gli RCT confrontarono le variazioni della glicemia a digiuno tra il gruppo sottoposto a IER e il gruppo sottoposto a RC continua (CER). Complessivamente, la differenza in percentuale della glicemia a digiuno tra i 2 gruppi variò tra -10.4% (25) e +4.5% (34). Il confronto tra gruppi, tuttavia, non evidenziò differenze significative, portando alla conclusione che, limitatamente a questo “outcome” il regime IER non conferiva alcun vantaggio sostanziale rispetto alla RC continua.

Tra gli studi selezionati, soltanto uno (34) valutò l’andamento dei valori di glicemia postprandiale, senza osservare né differenze tra regimi con restrizione energetica intermittente e continua (p=0.27), né variazioni di questo outcome rispetto al valore basale in entrambi i gruppi (p=0.25).

Quattro RCTs (7-8, 20, 29) e 1 trial senza gruppo di controllo (33) valutarono le variazioni di emoglobina glicata (HbA1c). Tre di questi studi, descritti di seguito, furono condotti in pazienti con DMT2 (7-8, 33).

Carter (8) reclutò 63 pazienti con DMT2 e IMC>27 kg/m2 randomizzati a ricevere per 12 settimane rispettivamente: 1) regime IER 5:2 (400-600 kcal per 2 giorni/settimana e ad libitum per 5 giorni/settimana) o 2) regime CER (1200-1500 kcal/die). Williams (7) randomizzò 54 pazienti con DMT2 in 3 gruppi di intervento per 20 settimane: IER settimanale (25% fabbisogno calorico 1 giorno/settimana; 1500-1800 kcal 6 giorni/settimana); IER periodica (25% fabbisogno calorico 5 giorni/settimana ogni 4 settimane) e CER (1500-1800 kcal tutti i giorni).

Il trial senza gruppo di controllo (33) confrontò la differenza tra due regimi IER, uno con 2 giorni “fast” (500-600 kcal/die) consecutivi e l’altro con 2 giorni “fast” con i medesimi apporti calorici ma non consecutivi in 44 pazienti con DMT2 per 12 settimane. In entrambi i gruppi, i giorni “feed” prevedevano una alimentazione ad libitum.

Complessivamente, gli RCTs non riportarono differenze significative nelle variazioni delle concentrazioni di HbA1c tra i gruppi. Tuttavia, vi fu un’ampia disomogeneità tra i risultati dei vari studi. Carter (8) descrisse una significativa riduzione dei valori di HbA1c rispetto ai valori basali (-0.7%; p<0.001), ma non tra il gruppo IER (-0.6%) quando confrontato con quello CER (-0.8%).

Analogamente, Williams (7) riportò una maggiore riduzione di HbA1c nel gruppo IER (-0.7%) rispetto al controllo CER (-0.23%), senza tuttavia riscontrare differenze significative tra i due bracci del trial. Nondimeno, in questo studio il 31% dei pazienti del gruppo IER raggiunse dopo 20 settimane un range di normalità per i valori di HbA1c rispetto all’8% dei controlli.

Nel complesso, dunque, abbiamo a disposizione dati molto disparati e difficilmente confrontabili, da cui diventa arduo trarre conclusioni attendibili, tanto più se consideriamo che complessivamente il numero dei pazienti analizzati da tutti questi studi è pari a 142 individui.

Analogamente, è controverso l’effetto dei regimi di IER sul fabbisogno di terapia ipoglicemizzante.

Carter (8) utilizzò uno score (MES -medication effect score) per valutare il dosaggio dei farmaci ipoglicemizzanti (56). Il MES risultò ridotto rispetto al basale all’interno di entrambi i gruppi (p<0.001), senza differenze tra gruppi (p=0.7). Allo stesso modo, sia Williams (7) che Corley (33) non evidenziarono differenze tra i gruppi (p=0.60) rispetto all’utilizzo di farmaci ipoglicemizzanti e/o agli eventuali aggiustamenti posologici necessari per prevenire la comparsa di episodi ipoglicemici.

L’effetto dei regimi IER sui valori di insulina a digiuno fu valutato in 10 studi. I 3 trials senza gruppo di controllo riportarono una riduzione significativa dei valori insulinemici rispetto ai valori basali con riduzioni percentuali variabili tra -57% (30) a -13% (26). Nei 7 RCTs, le variazioni percentuali di insulinemia tra i 2 gruppi variarono tra -20% (20) a +29.7% (34). Solamente in 2 studi (19-20), il regime IER determinò una riduzione significativa dei valori di insulina rispetto al gruppo CER.

Relativamente all’indice HOMA-IR (Homeostasis Model Assessment-Insulin Resistance) non è stato possibile reperire alcun dato nel testo dei lavori selezionati. Una precedente revisione (53) riportò una riduzione dei valori di questo indice con variazioni percentuali comprese tra -12% (29) e -33% (55). Tra gli RCTs, i valori erano compresi tra -25% (20) e + 1.4% (34). Solo in 2 studi (19-20) fu riscontrata una riduzione significativa dei valori di HOMA-IR nel gruppo IER rispetto ai controlli.

Tutti gli studi analizzati non riscontrarono episodi di ipoglicemia grave con i regimi di IER. Carter (8) descrisse occasionali episodi di ipoglicemia lieve solo nei 6 pazienti insulino-trattati, senza differenze tra i 2 regimi nutrizionali. Analogamente Corley (33) non riscontrò un numero di ipoglicemie significativamente diverso tra i due gruppi.

IER periodica

Gli effetti della restrizione calorica periodica sul metabolismo glicidico furono valutati in 4 studi (Tab. 3), uno studio osservazionale (57) e 3 RCTs (7, 41, 58).

Una lieve riduzione rispetto al basale della glicemia con un regime di IER fu riscontrata in un solo studio (58). Lo studio osservazionale di Lantz (57), con apporti di 450 kcal/die per 2 settimane ogni 3 mesi oppure su richiesta per 16 settimane, documentò una riduzione significativa della glicemia a 48 settimane (-7 mg/dl, 95% CI -13 -1 mg/dl), vantaggio poi completamente perso dopo 2 anni. Arguin (58) riportò una significativa riduzione della glicemia a digiuno nel gruppo IER rispetto ai controlli al termine dell’intervento condotto su 25 donne obese in periodo post-menopausale ma dopo 1 anno di follow-up non fu più evidenziabile alcuna differenza significativa tra i due gruppi.

Wing et al. (41) randomizzò 93 pazienti obesi con DMT2 a ricevere un regime di IER periodica (2 cicli da 12 settimane) oppure una restrizione continua e riscontrò una riduzione della glicemia comparabile tra i due gruppi dopo 1 anno (risultato non riportato in tabella per mancanza del dato originale).

Le variazioni di HbA1c furono valutate in 2 RCTs, entrambi condotti su pazienti affetti da DMT2. Nello studio di Wing et al. (41) si osservò una riduzione significativa ad 1 anno di follow-up nel gruppo con IER periodica (-1.4%) rispetto al gruppo CER (-2.3%), vantaggio che però venne perso al secondo anno di follow-up.

Lo studio di Williams et al. (7) già presentato nella sezione precedente, incluse anche un terzo gruppo con IER periodica (400-600 kcal per 5 giorni ogni 4 settimane alternati con una dieta bilanciata 1500-1800 kcal/die) confrontato con il gruppo CER. Dopo 20 settimane di follow-up, le variazioni di HbA1c rispetto ai valori basali non differirono in maniera significativa tra i gruppi, tuttavia gli effetti sul controllo glicemico risultarono migliori per il gruppo con la restrizione periodica piuttosto che settimanale. Infatti, un maggior numero di partecipanti appartenenti al gruppo IER periodica (il 47%) raggiunsero valori di HbA1c <6%, rispetto al 31% del gruppo con IER settimanale e all’8% del gruppo CER.

Infine, i valori di insulinemia furono valutati da 2 studi (7, 57). Lo studio senza gruppo di controllo di Lantz et al. (57) riportò una riduzione significativa sia dell’insulinemia che dei valori di HOMA-IR a 2 anni di follow-up. Williams (7) descrisse una riduzione significativa nella variazione dei valori di insulinemia rispetto ai valori basali in tutti i gruppi dopo 20 settimane, senza differenze significative tra i bracci del trial.

Effetti dei regimi intermittenti sul peso corporeo

Tutti gli studi considerati in questa revisione valutarono anche l’effetto dei regimi IER sul peso corporeo. Complessivamente, gli studi senza gruppo controllo con regimi di IER settimanale riportarono un calo ponderale significativo rispetto al basale con variazione comprese tra -3 kg (-3%) (26,30) e -9 kg (-8%) (55) (Tab. 2). Gli RCTs non riscontrarono differenze significative di calo ponderalo tra il braccio IER e quello CER, tranne gli studi di Catenacci et al. (25) e Bhutani et al. (27) che osservarono un calo di peso significativo nel braccio IER rispetto al gruppo di controllo. Nei 3 studi (7-8, 33) effettuati in pazienti con DMT2 venne riportata una riduzione del peso corporeo con i regimi intermittenti che tuttavia non differiva da quella ottenuta con i regimi di restrizione continua.

I regimi con intermittenza periodica (Tab. 3) descrissero parimenti una riduzione del peso sia rispetto al basale (57) che tra gruppi (7, 41, 58) assai disomogenea. In particolare, un calo ponderale significativo (-8.4%) fu riportato da Lantz (57), mentre solo l’RCT di Wing (41) riscontrò una riduzione significativa del peso corporeo nel gruppo IER (-14.2 kg) rispetto ai controlli (-11.6 kg).

Implicazioni cliniche

Verosimilmente i vari regimi di IER non determinano differenze significative rispetto alla RC continua in termini di variazioni di glicemia, HbA1c e/o fabbisogno di terapia farmacologica.

Parrebbe emergere una superiorità lieve dei regimi di IER nei confronti dei valori di insulinemia circolante, ma non negli indici di sensibilità insulinica.

In linea con una recente revisione, si conclude che i regimi IER non sono risultati superiori rispetto alla RC continua nel ridurre la glicemia, mentre i livelli insulinemici risentono soprattutto del grado di restrizione calorica, e quindi del calo ponderale ottenuto (53). Parimenti, non sembrerebbe emergere una rilevante superiorità per quanto attiene le variazioni di peso corporeo, sebbene in un numero limitato di studi i regimi intermittenti siano associati ad un maggiore calo ponderale. Si può ipotizzare che per alcuni individui possa essere più semplice seguire una maggiore restrizione calorica per un numero limitato di giorni piuttosto che una restrizione continua, avendo così la possibilità occasionalmente di mangiare un po’ di più. Questo tuttavia non sembra confermato in quanto in molti dei lavori esaminati si riscontra un maggior numero di drop-outs e di riferita difficoltà ad aderire al regime dietetico proposto nel gruppo con restrizione intermittente (8, 19, 28, 34).

Prospettive future

L’elevata eterogeneità riscontrata tra gli studi in termini di tipologia d’intervento, restrizione calorica, caratteristiche del giorno “feed”, insieme con la durata degli studi solitamente limitata e la bassa numerosità di partecipanti, rende difficile interpretare i risultati. Inoltre, solo 4 studi ad oggi sono stati specificamente effettuati su pazienti affetti da DMT2, mentre nella maggioranza dei casi si tratta di individui con sovrappeso o obesità. Questo rende ancora più arduo trarre conclusioni appropriate. È pertanto auspicabile che futuri RCTs di numerosità adeguata e di buona qualità metodologica vengano messi in opera.

Nel frattempo, si può concludere che in base alle evidenze ad oggi disponili, la restrizione calorica intermittente potrebbe rappresentare una alternativa alla restrizione calorica continua, data la sovrapponibile efficacia dei due schemi sui parametri metabolici e in considerazione della confrontabilità anche in termini di eventi avversi che entrambi i regimi hanno determinato nei pazienti con DMT2.

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