Pre-pregnancy diabetes and offspring risk of congenital heart disease: a nation-wide cohort study

Il diabete pre-gestazionale e il rischio di malattia cardiaca congenita nella prole: uno studio di coorte condotto sull’intera popolazione danese

Øyen N, Diaz LJ, Leirgul E, Boyd HA, Priest J, Mathiesen ER, Quertermous T, Wohlfahrt J, Melbye M.

Circulation, 2016 June 7; 133 (23): 2243-2253.

Le donne con diabete pre-gestazionale hanno un rischio aumentato di generare figli con malformazioni congenite rispetto alle donne non diabetiche. I meccanismi responsabili di questa temibile complicanza non sono ancora completamente noti. Sebbene l’associazione tra diabete pre-gestazionale e malattia cardiaca congenita (CHD) nei figli delle donne diabetiche sia nota da diversi decenni, non è mai stato indagato se negli anni vi sia stata una variazione nell’incidenza di CHD nelle gravidanze complicate dal diabete. In questo studio, è stato esaminato il rischio di CHD in nati da donne danesi con diabete pre-gestazionale analizzando il ruolo delle complicanze acute e croniche del diabete come fattore in grado di modificarne l’incidenza di CHD e l’effetto del tipo di diabete (tipo 1 o tipo 2) e di terapia anti-diabete su tale rischio.

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Dal 1968 esiste il “Danish Civil Registration System”, un sistema di informatizzazione dei dati cha ha permesso di raccogliere e archiviare informazioni demografiche, dello stato di salute e della familiarità di tutta la popolazione danese. Utilizzando questo imponente database sono state identificate 2.025.727 persone nate tra il 1978 e il 2011: di queste 7296 (0,36%) erano esposte a diabete pre-gestazionale. La prevalenza di CHD nei nati da madri con diabete pre-gestazionale è stata di 318 casi ogni 10.000 nati, laddove nei nati da madri non diabetiche tale prevalenza è stata di 80 casi ogni 10.000 nati (Tab. 2). Pertanto i figli di madri con diabete pre-gestazionale presentavano un rischio quattro volte più elevato di sviluppare CHD rispetto ai figli di madri non diabetiche. L’anno di nascita, l’età materna alla diagnosi di diabete o la durata del diabete materno non modificavano tale associazione.

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I risultati di questo studio inoltre evidenziano che, nonostante i miglioramenti nella terapia del diabete e la maggiore consapevolezza nel raggiungere un compenso glicemico ottimale, non si è osservata una riduzione del rischio di CHD in neonati da madri diabetiche nel periodo di tempo di 34 anni esaminato nella ricerca. È stato pertanto ipotizzato che altre variabili possono avere influenzato questo risultato come l’aumento della prevalenza dell’obesità e del diabete tipo 2 associati all’incremento dell’età materna.

Quando i ricercatori hanno analizzato l’effetto del tipo di diabete pre-gestazionale (tipo 1 o tipo 2) sul rischio di CHD non sono state osservate significative differenze: questi risultati suggeriscono che lo sviluppo cardiaco fetale è suscettibile di andare incontro a processi fisiopatologici comuni ad entrambi i tipi di diabete (ad esempio l’iperglicemia, lo stress ossidativo e l’infiammazione). È interessante sottolineare che il diabete gestazionale si associava debolmente con il rischio di CHD nella prole (Tab. 2), facendo ipotizzare che è l’iperglicemia che insorge nelle fasi precoci della gravidanza l’agente eziopatogenetico responsabile dello sviluppo di anomalie cardiache. Il glucosio in eccesso potrebbe esercitare un effetto teratogeno durante lo sviluppo del cuore: il glucosio non è un mutageno ma l’effetto teratogeno potrebbe coinvolgere una via di segnale che regola la sensibilità insulinica. La sensibilità insulinica è coinvolta nella fisiopatologia di entrambe le forme di diabete e l’insulina e le vie di segnale attivate potrebbero svolgere un ruolo importante nell’insorgenza della CHD durante le fasi più precoci dello sviluppo embrionale. Un’ulteriore ipotesi è che il glucosio induca modifiche epigenetiche a livello embrionale (ad esempio acetilazione istonica, espressione di microRNA).

Nello studio sono stati anche indagati i potenziali effetti teratogeni di insulina e/o ipoglicemizzanti orali assunti tra il 14° e il 56° giorno di gestazione, che rappresenterebbe la presunta finestra di suscettibilità per lo sviluppo di alterazioni cardiache durante l’embriogenesi: non si sono tuttavia osservate differenze in relazione al tipo di trattamento. Inoltre, tutte le varie tipologie di CHD si associavano con il diabete pre-gestazionale senza riconoscere una specifica malattia.

Infine, gli Autori hanno studiato l’effetto delle complicanze sia acute che croniche del diabete sul rischio di CHD in figli di donne diabetiche. È risultato che i soggetti nati da donne con precedenti complicanze acute del diabete presentavano un rischio più alto di malattia cardiaca congenita rispetto a quelli esposti al diabete materno senza complicanze. Il rischio di CHD in figli di donne con una singola complicanza cronica, invece, era simile a quello di figli di donne senza complicanze (p=0,61).

In conclusione, lo studio mostra che in questa ampia finestra temporale di circa 35 anni l’incremento del rischio di CHD conferito dal diabete mellito pre-gravidico, sia di tipo 1 che di tipo 2, non si è modificato. Inoltre, l’associazione con le complicanze acute del diabete pre-gestazionale è stata particolarmente forte suggerendo un ruolo preponderante per l’elevato glucosio nella fisiopatologia della CHD in figli di madri diabetiche.

 

 

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