Position Statement: Personalizzazione del trattamento dell’iperglicemia nell’anziano con diabete tipo 2

Position Statement

Personalizzazione del trattamento dell’iperglicemia nell’anziano con diabete tipo 2

Autori per la Società Italiana di Gerontologia e Geriatria

Raffaele Antonelli Incalzi, Nicola Ferrara, Stefania Maggi, Giuseppe Paolisso, Gianluigi Vendemiale

 

Autori per la Società Italiana di Diabetologia

Enzo Bonora, Andrea Giaccari, Gianluca Perseghin, Francesco Purrello, Giorgio Sesti;

Roberto Miccoli ha curato l’edizione.

 

Questo documento rappresenta la posizione ufficiale della Società Italiana di Diabetologia (SID) e della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (SIGG) ma non può essere visto come prescrittivo per il singolo paziente e non può sostituire, in ogni caso, il giudizio clinico. È stato fatto ogni sforzo per raggiungere un consenso tra tutti gli autori.

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Definizione di anziano e cenni di epidemiologia

La popolazione mondiale sta invecchiando rapidamente, in relazione soprattutto all’aumento dell’aspettativa di vita (AV) che, secondo dati dell’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS), si attestava nel 2016 intorno a 71.4 anni, più alta nelle donne rispetto agli uomini in ogni parte del Mondo (1). Oggi, per la prima volta nella storia, la maggior parte delle persone può aspettarsi di vivere oltre 60 anni, in relazione alla riduzione della mortalità giovanile (2) nei paesi meno sviluppati, e, nei paesi ad alto reddito, all’aumento della speranza di vita degli ultra 60enni (3, 4). Attualmente si calcola che la speranza di vita a 60 anni è aumentata dai 18.7 anni del 2000 ai 20.4 anni del 2015, con differenti incrementi regionali. In particolare 12 Paesi europei, tra cui l’Italia, nel 2015 mostravano un’AV che superava gli 82 anni (1).

In Europa dati EUROSTAT mostrano come gli ultra-65enni nel 2015 rappresentassero il 18.9% della popolazione totale (5), con un picco pari 525,5 milioni nel 2050 per poi diminuire gradualmente a 520 milioni entro il 2080 (6). Nel periodo 2015-2080 la popolazione europea continuerà ad invecchiare, soprattutto per il progressivo invecchiamento dei cosiddetti “baby boomer” (6). Un altro aspetto da considerare è il progressivo invecchiamento della popolazione anziana in sé, dato il più veloce ritmo di incremento rispetto a qualsiasi altro segmento della popolazione ultra80enne, che è destinata a più che raddoppiare tra il 2015 e il 2080, passando dal 5.3% al 12.3%. Come risultato di tali cambiamenti/movimenti di popolazione tra i gruppi di età, l’indice di dipendenza degli anziani (ossia il rapporto tra popolazione anziana e popolazione in età lavorativa [15-64 anni]) dovrebbe passare dal 28,8% nel 2015 al 51,0% entro il 2080 (6). Dati Istat 2016 evidenziavano come l’Italia fosse al terzo posto in Europa per longevità, con un’AV di 84.7 anni per le donne e di 80.1 anni per gli uomini, con la previsione per il 2065 di raggiungere i 91.5 anni per le donne e 86.6 anni per gli uomini (7).

Se oltre all’AV si considera quella che è l’aspettativa di vita in buona salute (AVBS), si può notare però come tra i due parametri vi sia un gap. L’AVBS fornisce un indicatore di salute globale di una popolazione, rappresentando il numero medio di anni in piena salute che un neonato potrebbe aspettarsi di vivere considerando i tassi di mortalità specifici per età e i livelli medi età-specifici dello stato di salute per un determinato periodo (8). Globalmente è stato stimato che nel 2015 l’AVBS, a livello mondiale, era di 63.1 anni per entrambi i sessi. Il gap tra AV ed AVBS è l’equivalente degli anni trascorsi con comorbilità e disabilità (8). I principali fattori che contribuiscono a tali condizioni sono rappresentati dalle malattie cronico-degenerative (particolarmente la depressione, disturbi neurologici, perdita del visus e dell’udito, malattie cardiovascolari e diabete) (1). La maggioranza di tali condizioni aumenta con l’età e, per molte di esse, la prevalenza anche dopo correzione per età non tende a ridursi. Pertanto la proporzione di anni spesi con malattia aumenta, con un conseguente incremento dell’AVBS più lento rispetto all’incremento dell’AV (1). Nel 2016 l’OMS ha calcolato che l’AVBS era di 61.5 anni per gli uomini e di 64.6 anni per le donne con sostanziali differenze di genere in tutte le regioni del Mondo (1). In Italia a fronte dell’allungamento della vita media, migliora anche la qualità della sopravvivenza: a 65 anni la speranza di vita senza limitazioni funzionali nel 1994 era pari a 12.7 anni per gli uomini e 14.2 per le donne; nel 2013 raggiungeva 15.5 anni per gli uomini e 16.2 per le donne, rispettivamente (9).

Nel 2016, secondo dati OMS, le malattie croniche non trasmissibili rappresentavano la causa principale di perdita di salute in oltre la metà dei casi (10). Dati Eurostat mostrano come le persone anziane (≥65 anni) rappresentassero più di 2/5 (42.2%) di tutte le persone disabili dell’Unione Europea nel 2012 (11), con una probabilità pari a 4.2 volte in più per i soggetti di ≥65 anni di presentare disabilità rispetto ai soggetti di età compresa tra 15 e 44 anni (11).

In Italia, la generazione dei primi “baby boomer” arriva alla soglia dell’età anziana nel 2013 in condizioni di salute migliori rispetto alle generazioni precedenti: è più bassa la quota che presenta limitazioni funzionali e quella di chi dichiara di stare male o molto male (9). Il progressivo invecchiamento determina livelli complessivamente crescenti di patologie croniche nel totale degli anziani, anche se l’analisi per generazione evidenzia, in particolare tra i giovani anziani (65-74 anni) (9), come la prevalenza di malattie croniche gravi si stia riducendo nel tempo soprattutto come conseguenza delle azioni preventive messe in atto in questi anni. I dati Istat 2015 mostrano come il 24.8% degli ultra75enni goda di buona salute, mentre l’85.2% ed il 65.4% sia affetto rispettivamente da almeno 1 o 2 malattie croniche. Dei soggetti ultra75enni affetti da patologie croniche il 20.4% risulta essere in buona salute (12), sebbene l’88.1% di essi faccia uso di almeno 1 farmaco (13). Dal 2011 al 2015 si è assistito ad un incremento dell’uso di farmaci che, nei soggetti ultra65enni, passa dal 79.6% del 2011 al 82.1% del 2015 (14), con un aumento nel consumo anche in relazione all’età (75.8% nei soggetti tra 65-74 anni contro l’88.1% degli ultra75enni) (14). Il conseguente aumento degli eventi avversi farmaco-correlati si pensa possa causare tra il 10% e il 30% di tutti i ricoveri ospedalieri nei pazienti più anziani (15); hanno alcuni studi hanno dimostrato come 52.3% dei soggetti anziani assuma più di un farmaco inappropriato (16). Il rapporto OSMed 2015 evidenzia come il 44.8% delle segnalazioni di reazioni avverse a farmaci (escluso vaccini) interessi soggetti di ≥65 anni (17).

Per quanto riguarda le ospedalizzazioni, sebbene il numero di ricoveri totali è andato costantemente riducendosi (da oltre 12,8 milioni nel 2001 a 9,4 milioni nel 2014) (-26.7%), interessando unicamente la componente per acuti (-29.2%), che costituisce il principale motivo di ricovero (91.1% nel 2014). Nella popolazione geriatrica il 45.1% degli uomini di età ≥65 anni (24.7% in quelli di ≥75 anni) ed il 40.8% delle donne di pari età (23.9% in quelle di ≥75 anni) nel 2014 risultava essere stato ricoverato in ospedale (9). Inoltre, nel 2014 rispetto al 2001, a differenza di quel che accade nella popolazione generale, i ricoveri delle persone di età ≥75 anni hanno presentato un aumento del costo pari al 7.3% negli uomini e una stabilità nelle donne, come effetto della gravità dei quadri patologici (9).

 

Epidemiologia del diabete nell’anziano

Secondo dati dell’Organizzazione Mondiale di Sanità (OMS), nel 2014 circa 422 milioni di adulti risultava affetto da diabete, con una prevalenza globale, standardizzata per età, quasi raddoppiata dal 4.7% del 1980 allo 8.5% del 2015 (18), ed una previsione di ulteriore aumento per il 2040, quando è stato stimato un coinvolgimento di 642 milioni di persone (19). Si prevede, infatti che dal rapporto di 1:11 del 2015, nel 2040 si passerà ad 1 soggetto con diabete ogni 10 soggetti sani, con una maggiore incidenza negli uomini rispetto alle donne. A fronte di dati di prevalenza già elevati, si calcola che 1 soggetto ogni 2 adulti abbia un diabete non diagnosticato, con una prevalenza di diabete non diagnosticato pari circa al 46.5% del numero totale di persone con diabete nel 2015 (19).

Secondo l’OMS l’iperglicemia rappresenta, dopo ipertensione e tabagismo, il terzo fattore di rischio più importante per mortalità precoce, responsabile nel 2015 di circa 5 milioni di morti (19). È stato calcolato che nel 2012 essa sia stata responsabile direttamente di 1,5 milioni di morti, e di ulteriori 2,2 milioni di morti a causa dell’elevato rischio di malattie cardiovascolari e di altre patologie ad essa associate. Il 43% di questi 3,7 milioni di decessi si è verificato prima dei 70 anni di età (18). In Europa nel 2015, 59.8 milioni di persone risultavano affette da diabete, con una previsione per il 2040 in crescita fino a 71.1 milioni, con una prevalenza tra i 20 ed i 79 anni, pari a 9.1% nel 2015 e 10.7% nel 2040 (19).

In Italia secondo dati Istat, nel 2015 il diabete presentava una prevalenza pari a 5.4% nella popolazione generale (7), ma colpiva il 15.2% dei soggetti tra 65 e 74 anni ed il 19.8% della popolazione ultra75enne (12). L’analisi dell’Osservatorio Arno ha permesso di identificare circa 550.000 persone con diabete, corrispondenti ad una prevalenza del 6,2% nei maschi e del 5,2 nelle femmine, un dato più che doppio rispetto a quello di 30 anni fa, con un aumento dei casi noti di circa il 70% in 18 anni. Oltre il 65% dei diabetici si colloca nella fascia di età superiore ai 65 anni, con quasi un paziente su 4 di età pari o superiore a 80 anni (20).

 

Figura. Prevalenza del diabete in Italia per classi di età (20)

Secondo l’indagine Oec/Hes 2008-12 (21) nella fascia di età 75-79 anni, il valore medio della glicemia a digiuno è elevato in entrambi i generi e tendenzialmente maggiore negli uomini rispetto alle donne (110 mg/dl rispetto ai 104 mg/dl). Un quadro analogo si nota per la prevalenza di diabete, che risulta veramente elevata nella popolazione anziana (75-79 anni): circa un quarto degli uomini (27.7%) e un quinto delle donne (18.9%) della classe di età esaminata risultava diabetico (21).

Anche secondo i dati della sorveglianza Passi (21), comprendente 129 ASL nel periodo 2012-2015, la prevalenza del diabete aumenta con l’aumentare dell’età passando dall’1.9% dei soggetti tra i 35 e 49 anni al 9.1% dei soggetti tra i 50 e 69 anni, con maggiore prevalenza negli uomini (5.1%) rispetto alle donne (3.8%) (22).

Inoltre, l’indagine Oec/Hes 2008-12 evidenziava come ben oltre la metà dei diabetici è trattata, ma solo un quarto lo è in modo adeguato. In particolare, il 21.7% delle donne tra 75 e 79 anni risulta adeguatamente trattata contro il 26.5% degli uomini della stessa età, mentre il 42.1% delle donne ed il 41.1% degli uomini risulta non essere adeguatamente trattato (21). A fronte di questo dato, il 96% dei diabetici riceve almeno un farmaco per il diabete o per altre patologie, il 20% ha effettuato almeno un ricovero (per qualsiasi causa) in regime ordinario o Day Hospital ed il 93% ha almeno una prescrizione di una prestazione specialistica (qualsiasi tipo) (20). Da ciò deriva che il costo complessivo per il monitoraggio e la cura del diabete è circa doppio nei diabetici che nei non diabetici (quasi 2900 € rispetto a poco più di 1600 €). La composizione della spesa per circa la metà è da riferire ai ricoveri, per il 21% alla specialistica, per il 20% ai farmaci diversi dagli antidiabetici, per il 7% ai farmaci antidiabetici e per il 4% ai dispositivi (20).

Infine, le morti attribuibili direttamente a diabete in Italia nel 2015 sono state pari al 4% in tutte le età, ma nella maggior parte dei casi (86.6%) si sono verificate nei soggetti con più di 70 anni, mentre il numero di decessi riferibili ad aumentata glicemia è stato pari a 32.300, in entrambi i casi con le donne maggiormente colpite rispetto agli uomini (23).

 

Definizione di fragilità

La definizione di “fragilità” è stata a lungo dibattuta nell’ambito della Geriatria (24-28). Secondo Fried la fragilità può essere definita come una condizione caratterizzata da una riduzione della riserva funzionale con incremento della vulnerabilità età dipendente (la cosiddetta fragilità pre-clinica) (29). Eventi acuti, che in soggetti non fragili vengono facilmente gestiti, possono far precipitare il quadro clinico in soggetti con fragilità preclinica. Tipico esempio di evento acuto, che può realizzare un quadro di criticità in un soggetto fragile, è rappresentato dallo scompenso glico-metabolico acuto, sia iper- che, ed in maggior misura, ipo-glicemia. Per tali motivi in tali soggetti è ancor più necessario un attento monitoraggio del compenso glico-metabolico.

 

Tabella 1. Definizione del fenotipo di fragilità pre-clinica (Mod. da 29)

Tabella 2. Ipotesi di Fragilità secondo Rockwood (Mod. da 36)Il quadro di fragilità preclinica si aggrava ulteriormente in presenza di caratteristiche peculiari della fragilità clinica che comprende la comorbilità, la polifarmacoterapia con relativo elevato rischio di danno iatrogeno, la criticità socio-economica, cioè caratteristiche che sfociano inesorabilmente verso un quadro di disabilità grave. Tale fenotipo clinico è stato proposto da Rockwood e al. che pongono la malattia al centro della fragilità. In questo quadro il diabete e le sue complicanze giocano un ruolo centrale nel determinismo della fragilità.

 

Gli indici di Fried (29) e quello di Rockwood (21) sono gli indici più utilizzati nella definizione della fragilità, ma anche quelli che hanno avuto più conferme dal punto di vista del valore prognostico in letteratura. L’indice di Fried (Tab. 1) permette di definire il fenotipo fragile in fase pre-clinica. Anche recentemente Op et al (30) hanno dimostrato, in 8684 pazienti anziani, che questo strumento permette di discriminare in modo efficace il livello sociale, psicologico e funzionale dei soggetti fragili, permettendone una migliore definizione e trattamento. Inoltre vari studi confermano il suo valore prognostico nel discriminare la popolazione per rischio di cadute, disabilità, fratture e morte (31). L’indice di fragilità clinica di Rockwood si basa sul numero di deficit accumulati nel tempo, all’interno di una lista molto ampia di 70 deficit clinici. È stato sviluppato sulla base di una valutazione globale geriatrica contando il numero di deficit accumulati, comprese le malattie, le menomazioni fisiche e cognitive, i fattori di rischio psicosociali, e le sindromi geriatriche diverse dalla fragilità (33-34). I criteri che permettono di considerare una variabile come deficit sono: la variabile deve essere acquisita, associata all’età, ed associata ad un esito negativo. Il numero totale di deficit che può essere utilizzato è pari a 80, con 30-70 elementi tipicamente valutati (35). Rispetto all’indice di Fried, quello di Rockwood sembra essere un fattore predittivo più sensibile per esiti negativi di salute, in relazione alla sua scala di rischio più finemente graduata e per l’inclusione di deficit che probabilmente hanno relazioni causali con outcome clinici avversi (36).
La misura della fragilità

 

Bibliografia

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Valutazione nutrizionale e composizione corporea

Raccomandazioni

Le persone anziane con diabete possono avere diversi livelli di compromissione nutrizionale in grado di influenzare e modificare l’impatto di altre patologie concomitanti: uno screening nutrizionale mediante uno strumento di valutazione standardizzato, dovrebbe essere usato di routine (1).

(Livello della prova VI, forza della raccomandazione B)

 

Commento

L’anziano è particolarmente esposto al rischio di malnutrizione. I cambiamenti fisiologici legati all’invecchiamento hanno un impatto significativo sulla composizione corporea, determinando una riduzione della massa magra corporea (ossea e muscolare) e del contenuto totale di acqua (massa cellulare e acqua corporea) parallelamente all’incremento della massa grassa (2-3). Sebbene nell’anziano l’eccesso ponderale non sia sempre presente o possa essere limitato, l’incremento della massa grassa può essere significativo (3). L’obesità nell’anziano non è tuttavia necessariamente associato ad un incremento della morbilità e della mortalità ad essa correlate. Sorprendentemente infatti, dati provenienti da studi longitudinali, depongono a favore di un effetto neutro più che dannoso dell’eccesso ponderale sull’aspettativa di vita dei soggetti ultra sessantacinquenni; inoltre la perdita di massa magra nell’anziano è associata a diversi fattori di rischio, tra cui la malnutrizione (4-6).

 

Variazioni della composizione corporea con l’età

Il progressivo declino dell’attività fisica volontaria, che tipicamente si osserva nell’anziano, è sovente responsabile della riduzione della massa muscolare (sarcopenia). La sarcopenia quando è associata ad obesità si definisce “obesità sarcopenica” ed è, a sua volta, condizione ad alto rischio di morbilità e mortalità (7). La perdita di massa muscolare e di osso (osteoporosi) hanno nell’anziano un notevole impatto sulla composizione corporea, soprattutto se il peso viene periodicamente perso e riacquistato, accelerando la progressione verso la sarcopenia, l’obesità sarcopenica e la fragilità (8). La perdita di “massa magra” è dipendente anche dalla riduzione della massa cellulare, a sua volta direttamente correlata alla riduzione del metabolismo basale: tale perdita può essere relativamente modesta per le fasce di età dalla quinta alla settima decade (circa il 7-10% in meno), avvicinandosi invece nelle ultime decadi di vita al 30-40% rispetto ad un giovane adulto (9). La riduzione del fabbisogno basale è di 1.66 Kcal/m2/h/decade e la riduzione della spesa energetica per attività fisica è di 200 Kcal/die dai 45 ai 75 anni e di 500 Kcal/die dopo i 75 anni (10). Tali modificazioni, associate alla fisiologica ipo/anoressia senile, rendono l’anziano, particolarmente se istituzionalizzato o affetto da patologie acute, suscettibile a malnutrizione proteico-energetica (PEM) (11-12). È stato inoltre osservato che la malnutrizione costituisce un fattore predittivo rilevante per la sindrome della fragilità dell’anziano.

Occorre pertanto una adeguata valutazione della composizione corporea e dello stato nutrizionale dell’anziano diabetico poiché la terapia medico-nutrizionale (MNT), se non adeguatamente calibrata, potrebbe favorire lo sviluppo di sarcopenia, fragilità e peggioramento della qualità di vita (13-14). La valutazione accurata dello stato nutrizionale e della composizione corporea richiede l’utilizzo di molteplici metodiche e indicatori diagnostici (15). Sebbene alcune popolazioni di anziani (istituzionalizzati o soli) abbiano un’alta prevalenza di carenze nutrizionali, non vi sono prove conclusive a favore o contro lo screening di routine per la malnutrizione. Tuttavia, diverse revisioni suggeriscono che lo screening nutrizionale per le popolazioni a rischio è essenziale (16-17).

L’esame clinico abitualmente può non essere dirimente nella diagnosi precoce di malnutrizione negli anziani, tuttavia in particolari carenze nutrizionali possono essere evidenti alterazioni a livello di unghie, capelli, lingua e mucosa buccale. Tali reperti obiettivi si associano di solito ad alterazioni dei principali indicatori biochimici dello stato nutrizionale: emocromo con formula, albumina, prealbumina, ferritina, elettroliti, azotemia, glicemia a digiuno, creatinina, colesterolemia (15).

 

Valutazione della composizione corporea

Misure antropometriche, come la plicometria, sebbene debbano rientrare nella valutazione clinica dello stato nutrizionale dell’anziano, possono presentare ampi margini di errore relativamente allo stato di idratazione, del tessuto adiposo, della elasticità della cute (5, 15). La valutazione dell’Indice di Massa Corporea (BMI) non è consigliabile: con l’età si verifica una progressiva riduzione di statura per cui riscontrare in un soggetto anziano un BMI stabile potrebbe mascherare una malnutrizione (18). È stato infatti calcolato che il falso aumento del BMI dovuto a riduzione della statura a 70 anni è di 0,7kg/m2 per gli uomini e di1,6 kg/m2 per le donne; a 80 anni è di 1,4kg/m2 per gli uomini e 2,6 kg/m2 per le donne (18).

Esistono numerose metodiche strumentali per la valutazione della composizione corporea che consentono una contestuale valutazione dello stato nutrizionale. Tali metodiche, consentendo una valutazione quantitativa della massa grassa e di quella magra, permettono di valutare le variazioni del fabbisogno energetico. Le metodiche strumentali impiegate per la valutazione della composizione corporea sono: la Bioimpedenziometria (BIA), la Tomografia Assiale Computerizzata (TAC) e la Densitometria (DEXA). L’uso routinario di queste metodiche non è tuttavia consigliabile a causa della bassa riproducibilità (BIA), dei costi elevati (DEXA) e del rischio da esposizione a radiazioni (TAC) (15).

 

Valutazione dello stato nutrizionale

Tra gli strumenti di più facile impiego per la valutazione dello stato nutrizionale nell’anziano, particolarmente nelle popolazioni a rischio di malnutrizione come nel diabete, vi è il “Mini Nutritional Assessment” (MNA) (19-20). Il MNA, inclusa la cosiddetta “Short Form”, è raccomandato dalla Società Europea di Nutrizione Clinica e Metabolismo (ESPEN) per la valutazione routinaria dello stato nutrizionale del paziente geriatrico (disponibile in lingua italiana al seguente url: http://www.mna-elderly.com/forms/mini/mna_mini_italian.pdf) (20). Questo strumento include domande relative ad aspetti fisici e comportamentali che frequentemente riguardano lo stato nutrizionale dell’anziano. Il valore predittivo dell’MNA è stato valutato dimostrando la sua associazione con outcome negativi intermini di salute e di mortalità. L’MNA richiede meno di 10 minuti per essere somministrato e la sua riproducibilità è stata ampiamente dimostrata. L’utilità di questi strumenti è stata dimostrata anche nei pazienti con diabete tipo 2 (21).

 

Bibliografia

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Interventi su nutrizione e attività fisica

Raccomandazioni

Tutti i pazienti anziani con diabete e i loro caregivers devono essere informati sull’importanza della nutrizione e dell’attività fisica nel controllo glicemico e nella prevenzione delle complicanze e devono ricevere un counselling adeguato.

(Livello della prova II, forza della raccomandazione A)

 

Il piano nutrizionale deve essere personalizzato e tenere in considerazione le preferenze e le abitudini individuali, lo stato di salute fisica e mentale, la terapia in atto (Livello della prova VI A).

Tutti i pazienti anziani con diabete devono essere incoraggiati a compiere attività fisica in base al loro stato funzionale e di salute. La durata e il tipo di attività fisica devono essere adattati anche al regime farmacologico, soprattutto se include farmaci antidiabetici ad elevato rischio di ipoglicemia.

(Livello della prova I, forza della raccomandazione A)

 

Interventi nutrizionali

Pazienti autosufficienti

Tutti i pazienti dovrebbero essere incoraggiati a seguire una dieta sana e variegata ed informati dei potenziali benefici associati alla perdita di peso, se necessaria, e può essere utile la supervisione del dietologo.

(Livello della prova I, forza della raccomandazione A)

 

Una dieta di tipo mediterraneo, ricca di carboidrati complessi (cereali integrali, vegetali, legumi), di fibra, e di grassi monoinsaturi e polifenoli dovrebbe essere raccomandata. Un introito proteico pari al 10-20% delle calorie totali è raccomandato in assenza di nefropatia

(Livello della prova III, forza della raccomandazione A)

 

Pazienti non autosufficienti

• Il consumo di adeguate quantità di fluidi va incoraggiato, per evitare la disidratazione, in particolare durante la stagione calda.

(Livello della prova VI, forza della raccomandazione A)

• Formazione e training nel settore della nutrizione per i caregivers e per il personale sanitario sono essenziali per permettere un adeguato supporto ai pazienti.

(Livello della prova VI, forza della raccomandazione VI A)

 

A. Pazienti fragili

La presenza di malnutrizione e/o la perdita di peso non intenzionale devono sempre essere valutati e corretti con adeguati interventi nutrizionali.

(Livello della prova VI, forza della raccomandazione A)

Cibi ad alto contenuto proteico e ad alta densità energetica e/o integratori possono essere necessari per migliorare lo stato nutrizionale e fisico. In particolare, in assenza di nefropatia, le raccomandazioni sono di un introito proteico tra 1.2-1.5 gr/Kg di peso corporeo/die.

(Livello della prova VI, forza della raccomandazione B)

B. Pazienti con Demenza

Il personale sanitario e i caregivers devono essere in grado di identificare difficoltà reali o potenziali di nutrirsi in questi pazienti.

(Livello della prova VI, forza della raccomandazione A)

I caregivers dovrebbero fornire l’assistenza necessaria durante i pasti, ed assicurarsi che il pasto venga consumato.

(Livello della prova VI, forza della raccomandazione A)

C. Pazienti terminali

La nutrizione parenterale o enterale con sondino può essere indicata per fornire il necessario apporto nutrizionale.

(Livello della prova VI, forza della raccomandazione B)

 

• I pazienti, la famiglia e i caregivers dovrebbero essere coinvolti nelle decisioni riguardanti il supporto nutrizionale nel fine vita.

(Livello della prova VI, forza della raccomandazione A)

 

Attività fisica

Pazienti autosufficienti

• Incoraggiare gli anziani diabetici che godono di un’autonomia funzionale fisica e cognitiva a compiere attività fisica con target simili a quelli di diabetici adulti più giovani. Si raccomanda di ridurre i periodi di sedentarietà e di svolgere un qualche tipo di attività fisica (anche solo camminare) dopo ogni 90 minuti trascorsi in posizione seduta o sdraiata. Si raccomandano almeno 150 minuti per settimana di attività fisica aerobica di moderata intensità, suddivisa in 3 giorni (non più di 2 gg consecutivi senza esercizio fisico). Se non ci sono controindicazioni, si raccomanda di svolgere anche esercizi di stretching e di rafforzamento secondo le proprie capacità, almeno due volte alla settimana.

(Livello della prova I, forza della raccomandazione A)

Pazienti non autosufficienti

• Incoraggiare programmi di esercizi a bassa intensità, da seguire a domicilio, per migliorare la performance fisica e mantenere il più possibile autonomia in alcune Attività di Vita Quotidiana (Activities of Daily Living, ADL) e nella mobilità.

(Livello della prova III, forza della raccomandazione A)

A. Pazienti fragili

Garantire un training per l’equilibrio ed esercizi di rafforzamento per migliorare la performance fisica, la forza negli arti inferiori e prevenire un ulteriore declino funzionale associato alla sarcopenia.

(Livello della prova III, forza della raccomandazione A)

B. Pazienti con Demenza

Educare i familiari e i caregivers sul programma fisico di mantenimento più sicuro che possa essere svolto.

(Livello della prova VI, forza della raccomandazione B)

C. Pazienti terminali

Incoraggiare qualche forma di esercizio coerente con le capacità residue del paziente.

(Livello della prova VI, forza della raccomandazione B)

 

Commento

Gli anziani con diabete di tipo 2 costituiscono un gruppo eterogeneo, che include persone autosufficienti e in buona salute generale, e persone con diversi livelli di disabilità e comorbilità. Quindi, gli interventi sullo stile di vita, intendendo in particolare nutrizione ed attività fisica, devono essere personalizzati e, pertanto, sono molto diversificati.

 

Nutrizione

La nutrizione rappresenta una parte integrante del management del paziente diabetico di ogni età (1-3-4). Tuttavia, nel paziente anziano ci sono aspetti specifici che vanno attentamente considerati, quali la malnutrizione. La malnutrizione è frequente nell’anziano, in particolare nelle case di riposo, ed è associata a degenze ospedaliere prolungate e riammissioni più frequenti, piaghe da decubito, delirio, depressione e aumento della mortalità generale (5). Spesso gli anziani hanno deficit nutrizionali e sono a rischio di malnutrizione per anoressia, alterazioni del gusto e dell’olfatto, disfagia, scarse condizioni dentali e del cavo orale, disturbi funzionali fisici e cognitivi, che compromettono la loro capacità di fare la spesa, preparare e mangiare in modo sano e bilanciato, specialmente se vivono da soli ed hanno difficoltà economiche. Un’alimentazione troppo restrittiva, sia auto-imposta, sia voluta dai caregiver, può contribuire al rischio di malnutrizione. Particolare attenzione va posta allo stato di idratazione del paziente, perché anche una lieve disidratazione può contribuire a disturbi cognitivi. Inoltre, l’interazione cibi-farmaci deve essere sempre considerata nell’impostazione della terapia farmacologica. Quando i bisogni nutrizionali non sono soddisfatti dalla dieta abituale nell’anziano fragile, diverse strategie possono essere implementate, tra cui la somministrazione di integratori proteici, di Vitamina B12, Vitamina D e calcio, ecc. (6). Alcuni anziani con diabete sono in sovrappeso o obesi e questo aumenta il rischio di declino fisico e di fragilità. La perdita di peso, tuttavia, nell’anziano può aumentare il rischio di perdita di massa ossea e muscolare e portare a deficit nutrizionali (7). Strategie che associano l’esercizio fisico alla dieta sono fondamentali per una perdita di peso che risulti in una miglior performance fisica e che riduca il rischio cardiovascolare e metabolico (8).

 

Esercizio fisico

L’esercizio fisico deve essere parte integrante del management del paziente anziano diabetico ed è associato a benefici nella mobilità, equilibrio, riduzione del rischio di caduta, benefici psicologici, e miglioramento della qualità di vita (1-3). La massa e la forza muscolare diminuiscono con l’età, e possono risentire negativamente delle complicanze del diabete, delle altre comorbilità, e dei periodi di ospedalizzazione. I pazienti con diabete di lunga durata e con HbA1c elevata hanno minor forza muscolare per unità di massa muscolare rispetto a controlli di pari età e BMI senza diabete, o con diabete di minor durata o con miglior controllo glicemico (9).

Nonostante sia l’età che il diabete riducano la performance e la forza muscolare, l’attività fisica migliora lo stato funzionale negli anziani con o senza diabete. Anche un esercizio a bassa intensità può comportare un punteggio più elevato nel benessere fisico e psicologico del paziente (10). I programmi di attività fisica possono quindi essere implementati con successo nel paziente anziano con diabete, ma devono tenere in considerazione le patologie spesso co-presenti, che possono interferire con la possibilità di iniziare e di mantenere tali programmi, quali le patologie cardiovascolari e muscoloscheletriche. Mentre l’efficacia dell’esercizio aerobico sul metabolismo glucidico e lipidico è tuttora controversa (11), esercizi di resistenza, o l’alternanza di esercizi aerobici e di resistenza, risultano in un miglior controllo glicemico, miglioramento della forza, della composizione corporea e della mobilità in generale (12). Per mantenere nel tempo l’adesione ad un programma nutrizionale e di attività fisica è necessaria una supervisione e un monitoraggio da parte degli operatori sanitari e/o dei caregivers, che pertanto devono avere conoscenze specifiche e consapevoli della loro utilità nel management dei pazienti.

 

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Impatto delle co-morbidità geriatriche sul diabete

Raccomandazioni

Il paziente anziano con diabete tipo 2 dovrebbe ricevere una valutazione multidimensionale geriatrica e una valutazione delle sindromi geriatriche.

(Livello di prova VI, forza della raccomandazione B)

La valutazione deve includere la misura delle funzioni globale/fisica, cognitiva e affettiva dal momento che una limitazione nelle attività quotidiane potrebbe influenzare la capacità del paziente di autogestire la terapia antidiabetica.

(Livello di prova VI, forza della raccomandazione B)

La valutazione funzionale deve essere completata da un accertamento delle comorbilità e dello stato nutrizionale.

(Livello di prova VI, forza della raccomandazione B)

Il diabetico anziano dovrebbe essere valutato periodicamente riguardo alla possibilità di eseguire attività fisica e informato sui benefici che ne possono derivare e le risorse disponibili per incrementare il livello di attività praticata.

(Livello di prova VI, forza della raccomandazione B)

Il medico che ha in cura un diabetico anziano dovrebbe prendere in considerazione la possibile presenza di un decadimento cognitivo, sia nel corso della valutazione iniziale sia in presenza di un declino non altrimenti giustificabile dello stato clinico (ad es. con un’aumentata difficoltà nella cura di sé).

(Livello di prova III, forza della raccomandazione B)

Il diabetico anziano presenta un rischio aumentato di depressione maggiore, per cui particolare attenzione deve essere posta alla ricerca di sintomi suggestivi di tale diagnosi, sia nel corso della valutazione iniziale sia in occasione di peggioramenti dello stato clinico non altrimenti giustificabili.

(Livello di prova III, forza della raccomandazione C)

Nel caso venga prescritto un farmaco antipsicotico di seconda generazione, devono essere attentamente monitorate le variazioni di peso ed i livelli di colesterolo e rivalutato il regime di trattamento.

(Livello di prova V, forza della raccomandazione C)

Il diabetico anziano dovrebbe essere invitato a tenere una registrazione aggiornata dei farmaci assunti, da presentare al medico curante.

(Livello di prova VI, forza della raccomandazione C)

Per una scelta corretta di farmaci e dosaggi, deve essere valutata la stima del filtrato glomerulare (MDRD o CKD-EPI) al momento della diagnosi, all’avvio del trattamento, a ciascuna variazione terapeutica, nonché periodicamente.

(Livello di prova VI, forza della raccomandazione B)

Lo screening annuale del diabetico anziano dovrebbe prevedere la ricerca di sintomi di incontinenza.

(Livello di prova VI, forza della raccomandazione C)

Il diabetico anziano dovrebbe essere interrogato su eventuali episodi di cadute a terra. In tal caso, ne andranno indagate le cause (per es. farmaci, fattori ambientali, ecc.).

(Livello di prova III, forza della raccomandazione B)

 

Commento

Il diabete negli anziani, oltre alle tradizionali complicanze cardiovascolari e microvascolari si associa ad un aumentato rischio di comorbilità. Gli anziani con diabete hanno un rischio più elevato di essere affetti dalle comuni sindromi geriatriche come la depressione, il decadimento cognitivo e la demenza, l’incontinenza urinaria e fecale, le cadute traumatiche, le compromissioni funzionali, le disabilità, e le reazioni avverse a farmaci da polifarmacoterapia (1-2). Tali condizioni hanno un notevole impatto sulla qualità della vita e possono influenzare la capacità del paziente di autogestire la terapia antidiabetica (3).

La cura dei pazienti diabetici anziani è quindi complicata da una notevole eterogeneità clinica e funzionale, della quale si deve tener conto nel definire gli obiettivi del trattamento. La valutazione multidimensionale può fornire informazioni fondamentali per l’inquadramento del paziente geriatrico (1-5). La Valutazione Geriatrica Multidimensionale (VGM) o Comprehensive Geriatric Assessment (CGA) è un processo di identificazione e integrazione di problematiche fisico-funzionali (disabilità, comorbidità, stato cognitivo) e psico-sociali (stato psicologico, ruolo sociale, condizioni economiche, ambiente di riferimento) in un anziano fragile. I diversi aspetti del paziente vengono considerati e integrati in un piano coordinato di assistenza indispensabile per l’inquadramento iniziale del paziente, per stabilire il grado di “dipendenza” (quantificare il fabbisogno assistenziale) e per individuare i soggetti a rischio di perdita di “autonomia”. Un approccio non multidisciplinare al paziente anziano porta spesso ad un uso errato ed eccessivo di farmaci e di esami ematochimici e strumentali (6).

 

Stato funzionale e disabilità

Il diabete nell’anziano impatta negativamente sulle capacità fisiche e cognitive degli anziani, sulle attività di vita quotidiana (ADL, activities of daily living), sulle ADL estese (comprendenti la valutazione delle attività domestiche/sociali), sui test di screening cognitivi e sulla qualità di vita. Le persone con diabete sono fisicamente meno attive e presentano una maggiore compromissione funzionale rispetto a quelli senza diabete. La neuropatia periferica, le difficoltà visive e uditive, i problemi di deambulazione presenti nel 50-70% dei pazienti anziani con diabete, aumentano infatti il rischio di instabilità posturale e di atrofia muscolare, limitando l’attività fisica e aumentando il rischio di cadute (7). L’eterogeneità clinica e funzionale del paziente diabetico impongono un differente atteggiamento clinico sia per quanto riguarda lo screening che l’eventuale trattamento terapeutico ed il follow-up delle complicanze croniche a seconda della situazione clinica, del diverso grado di dipendenza ed anche dell’aspettativa di vita.

È necessario, in pratica, valutare lo stato funzionale del paziente perché questo influirà anche sulla clinica delle complicanze croniche. Le linee guida IDF per il paziente anziano hanno individuato tre classi funzionali di pazienti anziani diabetici: a) il paziente indipendente, senza una importante alterazione delle attività di base della vita quotidiana; b) il paziente non indipendente con perdita delle normali attività di base quotidiana (lavarsi, vestirsi, ecc.), che richiede una particolare attenzione medica e sociale e che con molta probabilità dovrà accedere alle cure domiciliari; c) il paziente a fine vita con aspettativa di vita inferiore ad 1 anno (8). Tra i pazienti non indipendenti, meritano, anche per le implicazioni cliniche legate alle complicanze croniche, una particolare attenzione i pazienti fragili che rappresentano circa il 25% della popolazione anziana e i pazienti con demenza.

La fragilità è una sindrome multidimensionale derivante dall’interazione complessa fra variabili sociali, biologiche e psicologiche, predisponente ad una maggiore vulnerabilità, al declino funzionale, a cadute, ospedalizzazione e morte. La fragilità, è un importante fattore predittivo di complicanze e di morte nei pazienti anziani con diabete rispetto all’età cronologica o al grado di comorbidità (6, 9-11). I pazienti con fragilità moderata o avanzata hanno una ridotta aspettativa di vita e non dovrebbero essere sottoposti ad un controllo glicemico intensivo (9-11). In questi pazienti, gli obiettivi glicemici proposti vanno perseguiti in sicurezza, limitando il rischio di ipoglicemia (3, 9-11).

 

Le cadute

Le cadute rappresentano una delle prime cause di morbilità e mortalità nella popolazione anziana. Numerose sono le condizioni che aumentano nel paziente diabetico anziano il rischio di cadute: la polifarmacoterapia, la debolezza muscolare, la neuropatia sensitiva e motoria, la riduzione del visus, il deficit cognitivo (13). Inoltre, sono fattori di rischio uno scarso monitoraggio della glicemia, un inadeguato compenso glicemico, i frequenti episodi ipoglicemici. Evitare una grave iperglicemia e ipoglicemia può ridurre il rischio di cadute. La valutazione del rischio di cadute, ponendo particolare attenzione a storia di recenti e ripetuti episodi, dovrebbe essere effettuata sin dalla prima visita. Il ruolo dell’educazione, al paziente ed ai familiari e/o caregivers è di importanza basilare ai fini preventivi. Nei pazienti che sono ad alto rischio di caduta o che hanno avuto una recente caduta dovrebbe essere incoraggiata la terapia fisica (13).

 

Decadimento cognitivo

È ampiamente dimostrato che il diabete mellito è un importante fattore di rischio per lo sviluppo di deficit cognitivo e di disturbi del tono dell’umore come depressione e ansia (14-15). Una metanalisi condotta nel 2009 ha dimostrato che il diabete mellito si associa ad un aumento del rischio di demenza per tutte le cause del 47%, del 39% per la malattia di Alzheimer e del doppio per cause vascolari (16).

La disfunzione cognitiva di un diabetico anziano può non essere diagnosticata e avere ripercussioni considerevoli, comprendenti un aumentato tasso di ricovero ospedaliero, minori capacità autoassistenziali, probabilità inferiori di un follow-up specialistico e un rischio incrementato di istituzionalizzazione (17). Il diabete mellito è infatti una condizione di vita in cui è necessario uno stato mentale integro che richiede alla persona affetta un controllo costante sul regime alimentare, una adeguata attività fisica, l’aderenza alla terapia farmacologica e la capacità di assumerla autonomamente, il monitoraggio regolare dei valori glicemici, la consapevolezza di eventuali ipoglicemie e la facoltà di correggerle. Una valutazione delle funzioni cognitive nei pazienti diabetici è necessaria per accertare che vi siano le condizioni per l’autogestione degli aspetti elencati o se sia necessario avvalersi della supervisione o assistenza di altri, per ricorrere precocemente agli strumenti oggi disponibili, farmacologici e non farmacologici, in grado di rallentare il deterioramento cognitivo.

L’ipoglicemia costituisce la causa principale di disturbi cognitivi temporanei o di breve durata; è possibile che stati ipoglicemici transitori, ma ripetuti, possano provocare un danno cerebrale permanente (17). Negli individui con scarsa funzione cognitiva un controllo glicemico intensivo non è consigliato, i regimi terapeutici dovrebbero essere semplificati e la terapia ipoglicemizzante deve essere adattata al fine di evitare significativi episodi di ipoglicemia (8, 16-18).

 

Depressione

La depressione è comune nei pazienti anziani con diabete, e un approccio sistematico per il trattamento di questa malattia non solo migliora la qualità della vita, ma riduce la mortalità (19-20).

 

Polifarmacoterapia

I pazienti anziani con diabete sono ad alto rischio di politerapia, e quindi ad aumentato rischio di effetti collaterali da farmaci e/o di interazioni farmacologiche che rendono il paziente anziano più fragile e più prono all’ipoglicemia ed alle cadute (21-22). Importante sfida per la pratica clinica è l’individualizzazione della terapia farmacologica che diventa una priorità assoluta nel paziente anziano diabetico. Per ottimizzare il trattamento dovrebbero essere sempre considerate alcune raccomandazioni. In particolare, durante ogni controllo clinico andrebbe eseguita una attenta revisione del regime terapeutico in atto con il chiaro intento di ridurre per quanto possibile la polifarmacoterapia e l’uso inappropriato di farmaci. Inoltre nei pazienti più fragili o che si approssimano alla fine della vita, sarà logico scegliere farmaci che siano in grado di produrre un beneficio realistico a breve termine focalizzando l’attenzione sul miglioramento della qualità della vita, sulla riduzione degli effetti collaterali provocare associati alla terapia farmacologica.

 

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Obiettivi glicemici

Raccomandazioni

Nei diabetici anziani gli obiettivi glicemici devono essere individualizzati in funzione del farmaco utilizzato ed il potenziale rischio di ipoglicemia.

(Livello della prova VI, forza della raccomandazione B)

In caso di utilizzo di farmaci a basso rischio di ipoglicemia (metformina, DPP4 inibitori, pioglitazone, SGLT-2 inibitori, agonisti del recettore del GLP-1 ed acarbosio o loro combinazioni) l’obiettivo di HbA1c è <7,0% (<53 mmol/mol).

(Livello della prova VI, forza della raccomandazione B)

Negli anziani nei quali risulti indispensabile l’utilizzo di farmaci a potenziale rischio di ipoglicemia (sulfoniluree, repaglinide, insulina o suoi analoghi), è appropriato un obiettivo meno restrittivo (HbA1c 7,0-7,5%; 53-58 mmol/mol) che può essere più elevato (HbA1c 7,5-8,0%; 58-64 mmol/mol) in presenza di fragilità (complicanze gravi, decadimento cognitivo, demenza, pluripatologie).

(Livello della prova VI, forza della raccomandazione B)

Commento

In Italia viene definita “anziana” la persona di età compresa tra 65-75 anni, “vecchia” quella con un’età compresa tra 75-85 anni, mentre grande vecchio è la persona di età superiore a 85 anni (1). In questa fascia di età si osserva un progressivo incremento della prevalenza del diabete (1-2). Ne risulta che i pazienti di età >65 anni rappresentano circa il 66% di quelli che afferiscono agli ambulatori di diabetologia (2-3).

Il paziente anziano con diabete è a rischio di sviluppare le stesse complicanze micro- e macro-vascolari del paziente diabetico più giovane. A differenza del paziente giovane però, quello anziano è più frequentemente in poli-terapia farmacologica, ha frequentemente disabilità funzionali, nonché sindromi geriatriche che includono il declino cognitivo la depressione, l’incontinenza urinaria, il rischio di caduta e il dolore cronico (4). Quindi gli obiettivi terapeutici del paziente diabetico anziano dovrebbero essere simili a quelli del paziente più giovane includendo sia il controllo dell’iperglicemia sia dei fattori di rischio. Questo paziente infatti potrebbe essere una persona indipendente che vive nella sua residenza privata, ma potrebbe anche essere una persona fragile con molte co-morbidità e disabilità funzionali a dispetto di un stile di vita generalmente autonomo da preservare, piuttosto che ospite in strutture di lungo-degenza. La gestione del diabete nei pazienti anziani dovrà quindi essere personalizzata tenendo in considerazione questo spettro di possibilità (5).

 

Gli obiettivi glicemici

Ci sono in letteratura pochi dati specificamente focalizzati per comprendere quali debbano essere gli obiettivi glicemici nel paziente diabetico anziano (6-7). Siccome il rischio di sviluppare le complicanze del diabete e l’impatto che il diabete può avere sulla qualità e sull’aspettativa di vita dipendono, dalla durata di malattia e dall’età di insorgenza della malattia, come in un paziente più giovane il principio ispiratore dovrà essere quello di un obiettivo di HbA1c nel paziente anziano individualizzato sulla base della tipologia di farmaco o farmaci utilizzati e del rischio di ipoglicemia che ad essi si associa, nonché alla capacità del paziente di aderire allo specifico schema di trattamento proposto.

In assenza di studi clinici randomizzati di lunga durata quindi, un paziente anziano posto in terapia con farmaci che non determinano un elevato rischio di ipoglicemia (metformina, DPP4 inibitori, pioglitazone, SGLT-2 inibitori, agonisti del recettore del GLP-1 ed acarbosio o loro combinazioni) deve avere un obiettivo terapeutico di HbA1c <7% e per ottenere questo target dovrebbe mantenere le glicemie a digiuno e pre-prandiali nell’ambito dei valori di norma senza indurre ipoglicemie.

Qualora risulti indispensabile l’uso di farmaci a rischio di ipoglicemia (sulfoniluree o repaglinide, insulina) dovrà essere perseguito un obiettivo meno a rischio di ipoglicemie (HbA1c 7.0-7.5%) che potrà anche essere più elevato (7.5-8.0%) in presenza di fragilità, co-morbidità, decadimento cognitivo e trattamenti farmacologici complessi.

 

Il controllo dell’iperglicemia

È da anni noto che l’iperglicemia cronica aumenti il rischio di disidratazione, alteri le funzioni cognitive e l’acuità visive, e aumenti il rischio di infezioni (8) tutte condizioni che possono indurre un declino funzionale e aumentare il rischio di cadute. D’altra parte, il paziente anziano può tollerare livelli mediamente elevati di glucosio nel sangue prima che questi inducano diuresi osmotica, a causa della ridotta funzione renale spesso presente e quindi del ridotto carico di glucosio tubulare da riassorbire.

 

Il rischio di ipoglicemia

La forte raccomandazione sulla necessità di evitare l’ipoglicemia e sull’utilizzo di farmaci con basso di rischio di ipoglicemia trova la sua ragione nella vulnerabilità all’ipoglicemia del soggetto anziano, nel quale è aumentata in modo sostanziale (9-10). Il soggetto anziano è più predisposto a sviluppare le manifestazioni neuroglucopeniche dell’ipoglicemia (irritazione, confusione mentale, delirio, astenia) rispetto a quelle conseguenti all’attivazione adrenergica (tremore, sudorazione), con la conseguenza di una ridotta capacità di riconoscere i sintomi dell’ipoglicemia (11). Oltre al mancato riconoscimento dei sintomi dell’ipoglicemia, il paziente diabetico anziano potrebbe erroneamente attribuirli ad altre condizioni come malattie neurologiche primitive, trascurando la loro prevenzione e trattamento. Questi episodi ipoglicemici, non ben identificati e caratterizzati, possono aumentare il rischio cardiovascolare e la disfunzione autonomica cardiaca (12-13).

Anche i risultati dello studio ACCORD, nel quale i partecipanti sono stati allocati a ricevere un controllo glicemico intensivo da paragonare ad un controllo glicemico standard, che fu interrotto precocemente a causa di un eccesso di mortalità nel gruppo in controllo intensivo (14) suggeriscono un ruolo prognostico fondamentale dell’ipoglicemia. In particolare una analisi post hoc dei dati ha dimostrato che nell’intera popolazione l’ipoglicemia severa (definita come un solo episodio nel periodo di osservazione) era associata ad un rischio più elevato di morte (15).

Inoltre, l’ipoglicemia severa quale causa di accesso in pronto soccorso (soprattutto quando ripetuto) si associa ad un rischio aumentato di demenza, anche se rimane da stabilire se questo rapporto sia di causalità o di conseguenza (16-17). Occorre poi considerare che anche episodi di ipoglicemia modesta/moderata possono avere effetti deleteri nella persona anziana, aumentando il rischio di caduta e quindi di frattura e di istituzionalizzazione del paziente.

In questa delicata valutazione, visti i rischi associati all’ipoglicemia, deve essere considerata in modo attento e sempre la necessità di evitare l’utilizzo di farmaci per il diabete che amplificano questo rischio, da soli o in associazione al trattamento insulinico. In ogni caso dopo la terapia insulinica, sono le sulfoniluree, da sole o in associazione, ad essere la causa più frequente di accesso al pronto soccorso per ipoglicemia (18).

È importante poi ricordare che la determinazione dell’emoglobina glicata potrebbe non essere accurata in molte condizioni che possono affliggere il paziente diabetico anziano quali l’anemia severa e tutte le condizioni che influenzano la durata di vita media del globulo rosso, l’insufficienza renale cronica, le epatopatie croniche, recenti trasfusioni o terapia con eritropoietina, malattie acute transitorie e/o ospedalizzazioni.

 

Educazione al controllo glicemico

Quando il diabete compare in età avanzata può essere una evenienza comune quella di incontrare difficoltà nel fornire una adeguata educazione terapeutica per la gestione del compenso glicemico e del monitoraggio glicemico. Per tale ragione, i programmi educativi dovrebbero essere adattati alle caratteristiche dei singoli pazienti. Sono riassunte di seguito alcune raccomandazioni relative all’educazione (Box 1), tipologia di glucometro (Box 2), modalità di monitoraggio (Box 3).

 


Bibliografia

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Terapia non-insulinica

Raccomandazioni

Ai pazienti che non raggiungono i target glicemici con le modificazioni della dieta e dello stile di vita è indicato prescrivere la metformina come prima linea di terapia farmacologica.

(Livello della prova III, forza della raccomandazione A)

La metformina è controindicata nei pazienti con malattia renale cronica al IV stadio (eGFR <30 ml/min), insufficienza cardiaca (classe III/IV NYHA), insufficienza respiratoria o epatica.

(Livello della prova VI, forza della raccomandazione A)

Nei pazienti che presentano controindicazioni o che non tollerano la metformina, è indicato l’impiego in monoterapia (prima linea di trattamento) di un farmaco che non induce ipoglicemia, scegliendo fra acarbosio, agonista del recettore GLP-1, inibitore DPP-4, inibitore SGLT-2 e pioglitazone.

(Livello della prova VI, forza della raccomandazione A)

In caso di mancato controllo metabolico con la monoterapia (prima linea di trattamento), a questa dovrà essere aggiunto un secondo farmaco non insulinico (seconda linea di trattamento) ed eventualmente un terzo e un quarto farmaco (terza e quarta linea di trattamento) scelto fra quelli che non causano ipoglicemia e in funzione del quadro clinico (fenotipo glicemico, comorbidità, terapie concomitanti con possibili interazioni indesiderate).

(Livello della prova VI, forza della raccomandazione A)

Per la loro efficacia, l’elevata tollerabilità, la semplicità d’uso, il profilo di sicurezza cardiovascolare e l’ampio numero di studi clinici randomizzati in popolazioni anziane, gli inibitori della DPP-4 rappresentano una opzione terapeutica da preferire a sulfoniluree e repaglinide nei pazienti anziani non adeguatamente controllati con la sola metformina o con intolleranza o controindicazioni alla metformina.

(Livello della prova VI, forza della raccomandazione B)

Occorre cautela nell’uso di inibitori SGLT-2 nei pazienti di età superiore a 75 anni a rischio di deplezione di volume.

(Livello della prova VI, forza della raccomandazione A)

In caso di rischio di frattura ossea o di scompenso cardiaco non dovrebbe essere usato il pioglitazone.

(Livello della prova I, forza della raccomandazione A)

Tra i farmaci non insulinici, gli agonisti del recettore di GLP-1 sono quelli più efficaci in termini di riduzione del livello di HbA1c nei soggetti anziani.

(Livello della prova I, forza della raccomandazione A)

Nei vecchi (età superiore a 75 anni) l’esperienza d’uso degli agonisti del recettore di GLP-1 è ancora limitata e tali farmaci dovrebbero essere usati con cautela e sospesi in caso di rilevanti disturbi gastrointestinali che potrebbero causare deplezione di volume. In ogni caso questi farmaci vanno sospesi in caso di filtrato glomerulare inferiore a 30 ml/min.

(Livello della prova VI, forza della raccomandazione A)

A causa del rischio di ipoglicemia e di molteplici osservazioni in merito ad un aumentato rischio cardiovascolare, gli agonisti dei recettori delle sulfoniluree (sulfoniluree o repaglinide) non devono essere usati nella terapia del diabete dell’anziano a meno che non siano l’unica opzione possibile per controindicazione o non tollerabilità dei farmaci delle altre classi. Tra le sulfoniluree la molecola di scelta dovrebbe essere la gliclazide in quanto ha un più basso rischio di ipoglicemia e non è associata ad aumento del rischio cardiovascolare come le altre molecole della classe.

(Livello della prova VI, forza della raccomandazione B)

In caso di pregresso evento cardiovascolare, nella terapia dell’iperglicemia deve essere presente un farmaco con documentati benefici cardiovascolari quali empagliflozin, liraglutide o pioglitazone, salvo sua controindicazione o non indicazione oppure mancata tollerabilità.

(Livello della prova II, forza della raccomandazione A)

Tutti i benefici e i potenziali rischi delle varie opzioni terapeutiche e la eventuale non rimborsabilità delle stesse dovrebbero essere attentamente discussi con il paziente.

(Livello della prova VI, forza della raccomandazione B)

 

Commento

La terapia del diabete tipo 2 nell’anziano (età pari o superiore a 65 anni) corrisponde alla terapia del diabete in due casi su tre. Infatti il 65% delle persone con diabete ha un’età dai 65 anni in su e circa il 20% ha più di 80 anni (1). L’età media dei diabetici italiani è 68 anni a testimoniare il fatto che chi cura il diabete ha spesso a che fare con persone nella terza o nella quarta età della vita. Quello che è importante ricordare è che l’approccio terapeutico non deve essere improntato alla rassegnazione perché si tratta in gran parte di persone che hanno ancora molti anni di vita davanti a sé. L’aspettativa di vita di un 65 enne con il diabete, ad esempio, è di oltre 15 anni, un lasso di tempo sufficiente affinché un inadeguato trattamento del diabete possa tradursi in un peggioramento della prognosi in termini di morbilità, mortalità e qualità della vita. Una scelta terapeutica inadeguata può riferirsi alla prescrizione di un farmaco che determina ipoglicemia con potenziali ripercussioni negative soprattutto cardiovascolari o alla mancata prescrizione di un farmaco in grado di ridurre il rischio di eventi cardiovascolare e quindi possibilità di mancato beneficio, cioè in un danno.

Gli studi specificamente disegnati per confrontare l’efficacia e la sicurezza di farmaci appartenenti alle diverse classi in soggetti anziani (>65 anni) o vecchi (>75 anni) sono pochi mentre esistono diversi studi che hanno incluso soggetti di età avanzata consentendo la realizzazione di sottoanalisi focalizzate sull’anziano.

Questi studi dovrebbero essere utilizzati per guidare le scelte nel ricco armamentario composto attualmente di ben 8 classi di farmaci non insulinici: biguanidi (metformina), sulfoniluree (glibenclamide, gliclazide, glimepiride, glipizide, gliquidone), meglitinidi (repaglinide), inibitori della alfa-glucosidasi (acarbosio), tiazolidinedioni (pioglitazone), agonisti del recettore di GLP-1 (dulaglutide, exenatide, liraglutide, lixisenatide), inibitori DPP-4 (alogliptin, linagliptin, saxagliptin, sitagliptin, vildagliptin), inibitori SGLT2 (canagliflozin, dapagliflozin, empagliflozin).

La metformina è il farmaco di prima linea nei soggetti anziani con diabete tipo 2, sebbene non esistano studi clinici randomizzati che hanno indagato l’efficacia e la sicurezza nei pazienti anziani. Il trattamento con metformina è associato a basso rischio d’ipoglicemia, può indurre un modesto calo ponderale e può ridurre il rischio di cancro in pazienti anziani con diabete (2-3). I pazienti più anziani hanno una maggiore tendenza a sperimentare una inappropriata perdita di peso quando trattati con metformina che deve essere attentamente monitorata. Gli effetti collaterali includono meteorismo, diarrea, deficit di vitaminica B12 (4-6). Il trattamento con metformina è controindicato nei pazienti con insufficienza renale cronica con filtrato glomerulare inferiore a 30 ml/min o grave insufficienza cardiaca (NYHA III/IV) e/o respiratoria per il rischio di acidosi lattica (7-8). Il trattamento con metfomina deve essere interrotto prima delle procedure o esami che prevedono l’uso del mezzo di contrasto, durante i ricoveri per eventi acuti o interventi chirurgici, e in caso di peggioramento della funzione renale o epatica. Nello UK Prospective Diabetes Study (UKPDS), in un sottogruppo di paziente obesi randomizzati a metformina si è osservata una riduzione significativa della morbilità e della mortalità cardiovascolare, rispetto ai pazienti in terapia convenzionale ed a quelli randomizzati a insulina o sulfoniluree (9). Una riduzione di morbilità cardiovascolare è stata riportata anche in un trial in cui la metformina è stata aggiunta al trattamento con insulina in pazienti con diabete tipo 2 (10) e in una meta-analisi di trial randomizzati (11). Questi risultati favorevoli sono stati ottenuti su campioni molto piccoli di soggetti e con età media inferiore a 65 anni. La metformina può anche essere utilmente associata alla terapia con insulina basale.

Le sulfoniluree e la repaglinide devono essere usate con cautela perché causano ipoglicemie con un rischio di episodi gravi o mortali che aumenta esponenzialmente con l’età (12-13). Il rischio d’ipoglicemia dovrebbe essere valutato soprattutto in anziani con disfunzione cognitiva, in quelli che si alimentano in modo irregolare e in presenza di difficoltà a riconoscere e trattare le crisi ipoglicemiche. L’ipoglicemia indotta dagli agonisti dei recettori delle sulfoniluree è anche più comune nei pazienti anziani con insufficienza renale, disfunzione cardiaca o gastroparesi. Le caratteristiche individuali (metabolismo, presenza di metaboliti attivi) dei farmaci agonisti dei recettori delle sulfoniluree devono essere tenuti in considerazione per evitare prolungate ipoglicemie in particolare nei pazienti con insufficienza renale. La gliclazide RM è preferibile a glimepiride e glibenclamide perché è associata ad un rischio di ipoglicemia inferiore (14-20). Inoltre, le varie molecole differiscono tra loro per affinità miocardica, e questo potrebbe tradursi in differenze di sicurezza cardiovascolare: negli studi osservazionali, la gliclazide si associa ad una morbilità e mortalità cardiovascolare inferiore, e la glibenclamide ad una morbilità e mortalità più elevate, rispetto alle altre molecole della classe (21-29). La glibenclamide è stata recentemente aggiunta tra i farmaci controindicati nei pazienti anziani dalla American Geriatrics Society (30).

La repaglinide ha efficacia simile alle sulfoniluree (31) con un maggiore effetto sull’iperglicemia postprandiale e un minore effetto sulla glicemia a digiuno rispetto alla glibenclamide. Essendo assunta prima dei pasti, la repaglinide può essere sospesa in caso di riduzione dell’appetito fornendo una maggiore flessibilità per la popolazione anziana fragile con abitudini alimentari erratiche. Non sono stati effettuati studi clinici in pazienti con età >75 anni. Il trattamento con repaglinide è associato a una frequenza più bassa di ipoglicemia nei pazienti anziani rispetto a glibenclamide (31). La somministrazione di repaglinide determina una concentrazione plasmatica più elevata nei pazienti con insufficienza epatica e nei pazienti anziani con diabete tipo 2. Questa classe di farmaci deve essere considerata comunque di quarta o quinta linea nella terapia del diabete dell’anziano.

I tiazolidinedioni sono farmaci efficaci nell’anziano (32, 33), presentano una bassa incidenza di ipoglicemia, possono essere usati in caso di insufficienza renale cronica ma provocano un incremento ponderale dovuto, in alcuni casi, a ritenzione idrica che spiegherebbe l’aumento del rischio di scompenso cardiaco (34-37). Il pioglitazone è pertanto controindicato nei pazienti con insufficienza cardiaca o storia di insufficienza cardiaca. Limitatamente al sesso femminile, i tiazolidinedioni riducono la densità ossea ed aumentano di circa due volte il rischio di fratture (38). Sono stati inoltre riportati casi post-marketing di nuova insorgenza o peggioramento di edema maculare diabetico con diminuzione dell’acuità visiva in soggetti in trattamento con i tiazolidinedioni, incluso pioglitazone, in particolare in chi era in trattamento combinato con insulina (39).

L’acarbosio inibisce l’enzima α-glucosidasi che scinde i carboidrati complessi e i disaccaridi trasformandoli in monosaccaridi, ritardando l’assorbimento dei carboidrati dal tratto gastrointestinale riducendo, conseguentemente, le escursioni glicemiche postprandiali. Non vi sono studi mirati in pazienti anziani, ma ha un buon profilo di sicurezza e non causa ipoglicemia (40-41). I principali effetti collaterali sono la flatulenza e la diarrea, che ne possono limitare l’uso.

Gli inibitori della Dipeptidil Peptidasi (DPP)-4 sono ugualmente efficaci nei pazienti giovani e anziani, sono caratterizzati da un basso rischio di ipoglicemia o aumento di peso, sono ben tollerati e non hanno effetti collaterali gastrointestinali (42-48). Gli inibitori di DPP-4 possono essere utilizzati in pazienti con insufficienza renale anche grave con un adeguamento della dose per tutte le molecole tranne linagliptin. Nello studio SAVOR-TIMI53, il trattamento con saxagliptin è risultato associato ad un aumento, modesto ma statisticamente significativo, dell’incidenza di ricovero per scompenso cardiaco, senza differenze nella mortalità specifica (49-50). Un analogo trend, seppure non significativo, è stato osservato nello studio EXAMINE con alogliptin (51-52), mentre nessun segnale di rischio è emerso nello studio TECOS con sitagliptin (53-54) o nei precedenti trial con endpoint metabolico, indipendentemente dalla molecola usata (55). Il significato clinico di queste osservazioni è di difficile interpretazione in quanto studi osservazionali retrospettivi su ampi database non hanno confermato l’incremento di ospedalizzazione per scompenso cardiaco durante trattamento con saxagliptin (56-57) e un’altra analisi su studi osservazionali suggerisce una riduzione del rischio di ospedalizzazioni per scompenso quando gli inibitori di DPP-4 sono confrontati con comparatore attivo (55). Per la loro efficacia, l’elevata tollerabilità, la semplicità d’uso, il profilo di sicurezza cardiovascolare e l’ampio numero di studi clinici randomizzati in popolazioni anziane (42-48, 58), gli inibitori della DPP-4 rappresentano una opzione terapeutica da preferire a sulfonilurre e repaglinide nei pazienti anziani inadeguatamente controllati con la sola metformina o con intolleranza o controindicazioni alla metformina. Possono anche essere utilmente associati alla terapia con insulina basale.

Gli inibitori del cotrasportatore sodio-glucosio 2 (SGLT2) o gliflozine bloccano il riassorbimento del glucosio dal filtrato nei tubuli renali, lasciando che il glucosio filtrato venga eliminato con le urine e producendo così una riduzione della glicemia e dell’HbA1c, senza stimolare la secrezione insulinica. L’escrezione urinaria di glucosio (glicosuria) indotta dagli inibitori di SGLT2 è associata a calo ponderale, moderata diuresi e natriuresi transitoria. Quest’ultimo effetto potrebbe determinare fenomeni di deplezione di volume (quali ipotensione, ipotensione ortostatica, sincope e disidratazione) nei pazienti anziani, soprattutto in quelli che assumono diuretici (59-64). Gli inibitori di SGLT2 provocano una lieve riduzione del filtrato glomerulare, che è però transitoria e reversibile; non hanno invece alcun effetto negativo sulla funzione renale a lungo termine (65-66). L’inizio del trattamento di inibitori di SGLT2 nei pazienti con insufficienza renale (eGFR inferiore a 60 ml/min*1,73 m2) non è indicato, perché con la riduzione del filtrato glomerulare questi farmaci perdono la loro efficacia ipoglicemizzante. Il trattamento con inibitori di SGLT2 non si associa ad ipoglicemia. Il principale effetto collaterale sono le infezioni genitali, generalmente lievi, più frequenti nel sesso femminile e nei soggetti con pregresse infezioni genitali (67). Gli inibitori di SGLT2 hanno effetti favorevoli su alcuni fattori di rischio cardiovascolare, come peso corporeo, pressione arteriosa e acido urico che potrebbero contribuire alla protezione cardiovascolare osservata nello studio EMPAREG-OUTCOME (65). In tale studio è stato anche osservato un effetto protettivo nei confronti della nefropatia (66). Il buon profilo di efficacia e tollerabilità degli inibitori di SGLT2 anche in pazienti anziani (59-64) e i benefici cardiovascolari in prevenzione secondaria (65-66) rendono questi farmaci una utile opzione nel trattamento dei pazienti anziani in fallimento con sola metformina o di quelli con intolleranza o controindicazioni alla metformina. Gli inibitori di SGLT2 sono utili anche in combinazione con l’insulina, per ridurre il fabbisogno insulinico e contrastare l’aumento di peso. Per diminuire il rischio di ipotensione e disidratazione nel paziente anziano occorre prendere in considerazione un aggiustamento della terapia con farmaci antipertensivi e specialmente diuretici quando si inizia il trattamento con gli inibitori di SGLT2.

Gli agonisti del recettore del GLP-1 esplicano la propria azione potenziando la biosintesi e la secrezione di insulina e inibendo la secrezione di glucagone in maniera glucosio-dipendente; inoltre, rallentano lo svuotamento gastrico e riducono l’appetito. Le formulazioni disponibili vengono somministrate per iniezione sottocutanea giornaliera o settimanale. Il trattamento con gli agonisti del recettore del GLP-1 è altamente efficace, non si associa a ipoglicemia in monoterapia ed è ben tollerato anche negli anziani (68-73). Il trattamento con agonisti del recettore del GLP-1 ha effetti favorevoli su vari fattori di rischio cardiovascolare, quali peso corporeo pressione arteriosa, profilo lipidico e fattori infiammatori (74). I trial di sicurezza cardiovascolare con lixisenatide (ELIXA) e liraglutide (LEADER), e tra gli agonisti del recettore del GLP-1 in fase di sviluppo, quello con semaglutide (SUSTAIN) hanno evidenziato una riduzione significativa degli eventi cardiovascolari maggiori associati con il trattamento con liraglutide (75) e semaglutide (76) mentre il trattamento con lixisenatide in pazienti con recente episodio di sindrome coronarica acuta non è stato associato ad alcun incremento nell’incidenza di nuovi eventi rispetto al placebo (77). Nausea e vomito sono i più frequenti eventi avversi transitori che si riscontrano nelle settimane iniziali di trattamento con gli agonisti del recettore del GLP-1 nel 20-25% dei soggetti; tali effetti sono più pronunciati con le molecole a più breve durata d’azione (78-79). Gli agonisti del recettore del GLP-1 essendo somministrati per via iniettiva sottocutanea richiedono abilità visive, motorie, cognitive che potrebbero essere un ostacolo nella popolazione anziana fragile. Le formulazioni settimanali potrebbero costituire un’opzione valida per quei pazienti che hanno difficoltà a ricordare l’assunzione della terapia o che richiedono l’intervento di un caregiver. Possono anche essere utilmente associati alla terapia con insulina basale. Sia la nausea e la diminuzione dell’appetito nei pazienti che fanno uso di questi farmaci possono indurre perdita di peso che richiede attento monitoraggio soprattutto nei pazienti più anziani magri. L’elevata efficacia e il buon profilo di tollerabilità degli agonisti del recettore del GLP-1 anche in pazienti anziani (68-73) e i benefici cardiovascolari in prevenzione secondaria (75-76) rendono questi farmaci una valida opzione in alternativa all’insulina nei pazienti in sovrappeso o obesi nel trattamento dei pazienti anziani che falliscono alla terapia con ipoglicemizzanti orali (80-81).

Il profilo di efficacia e sicurezza dei vari farmaci permette l’allestimento di una terapia individuale calibrata sul proprio caso clinico (“personalizzazione”), tenendo conto di numerosi fattori peculiari del singolo paziente anziano sia di tipo clinico (fragilità) sia di tipo sociale (solitudine, depressione, istituzionalizzazione). Raramente la scelta è dettata dalla sola efficacia ipoglicemizzante mentre maggiore valore viene dato ai possibili benefici sul rischio cardio-nefro-vascolare, sulla qualità di vita, sulla necessità o meno di titolazione e di automonitoraggio glicemico, sul rischio d’ipoglicemia e di ospedalizzazione per complicanze.

 

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Terapia insulinica

Raccomandazioni

In alcuni pazienti anziani, soprattutto con lunga storia di diabete, la carenza di insulina endogena, anche stimolata da secretagoghi, rende indispensabile l’inizio di una terapia insulinica.

(Livello di prova I, forza della raccomandazione A)

La prima insulina da prescrivere è un analogo basale.

(Livello di prova I, forza della raccomandazione A)

La scelta fra i diversi analoghi basali deve essere adattata alle specifiche esigenze cliniche e sociali del singolo paziente.

(Livello di prova VI, forza della raccomandazione C)

L’inizio di una terapia insulinica deve essere accompagnata da un adattamento della concomitante terapia non insulinica per il diabete, possibilmente sospendendo sulfoniluree e glinidi.

(Livello di prova II, forza della raccomandazione B)

L’obiettivo glicemico deve essere adattato al singolo paziente, cercando di limitare episodi di ipoglicemia anche non grave ed iperglicemie gravi.

(Livello di prova I, forza della raccomandazione A

In alcuni pazienti può rendersi indispensabile l’avvio di uno schema insulinico di tipo basal-bolus.

(Livello di prova I, forza della raccomandazione A)

 

Commento

Perché l’insulina

Le numerose classi di farmaci non insulinici per il diabete di tipo 2 (1) permettono di ritardare nel paziente diabetico anziano l’inizio di una terapia insulinica (2). Tuttavia, il progressivo declino della secrezione endogena di insulina, oltre a caratterizzare la patogenesi e la storia clinica del diabete di tipo 2 (3), rende talvolta indispensabile l’avvio di tale terapia, soprattutto nei pazienti con lunga storia di diabete. La terapia insulinica è certamente la più efficace, con riduzioni di emoglobina glicosilata anche di 1-3.5% (4). Il ritardo dell’inizio di una terapia insulinica è spesso legato a barriere culturali (l’insulina è spesso considerata come ultima risorsa (5)) e comportamentali (inerzia terapeutica del medico (6)). Nel caso dell’anziano, tuttavia, esistono vere barriere che il medico deve tenere in considerazione prima di iniziare tale terapia (7). Il rischio per ipoglicemia, maggiore con la terapia insulinica rispetto ad altri tfarmaci (8), rappresenta certamente un importante limite. Il limite maggiore è tuttavia rappresentato dal grado di “fragilità” del paziente (vedi paragrafo specifico). In tali situazioni alcune comorbidità (quali deficit cognitivo anche parziale, difficoltà motorie, difficoltà visive) rendono spesso poco praticabile una terapia iniettiva con insulina, rendendo indispensabile da parte del medico una attenta valutazione del contesto sociale in cui vive il paziente (9). È evidente che la prescrizione della terapia insulinica deve comprendere, come nel paziente insulino-trattato non anziano, una adeguata educazione terapeutica volta non solo al corretto utilizzo dei sistemi iniettivi, ma anche alla prevenzione delle complicanze ed alla verifica delle competenze (Tab. 1).

Tabella 1. Azioni terapeutiche preliminari alla prescrizione di una terapia insulinica

 


Quale insulina

Una volta stabilita la necessità e la fattibilità di una terapia insulinica si dovrà individuare il tipo e lo schema di insulina da prescrivere. Sebbene non esistano studi specifici sulla terapia insulinica nell’anziano (ancor meno nel paziente fragile), esiste sufficiente consenso che la terapia insulinica iniziale debba essere rappresentata da una mono-somministrazione di un analogo basale (10). Ad oggi esistono 4 analoghi basali disponibili (Tab. 2).

 

Tabella 2. Caratteristiche farmacodinamiche delle insuline basali

Non esistono criteri che permettano di preferire un analogo basale rispetto ad un altro ed ognuno di essi ha i suoi vantaggi ed i suoi svantaggi (15). Glargine U100 è ormai considerato l’analogo basale di riferimento (11-14), sia per la poliennale esperienza (e conseguente padronanza nell’utilizzo e prescrizione) sia per essere l’unico con comprovata sicurezza cardiovascolare (16) (quest’ultima estensibile anche a glargine U300). Ha tuttavia lo svantaggio, in alcuni pazienti, di avere una durata di azione inferiore alle 24 ore, imponendo la sua somministrazione, soprattutto nei pazienti in terapia basal-bolus, intorno alle ore 22 (11). Questa difficoltà è superata nella nuova formulazione glargine U300, la cui durata supera le 24 ore e permette una certa flessibilità nella somministrazione (17). Glargine U300, tuttavia, ha una ridotta potenza e necessita di un aumento di circa il 20% della dose somministrata (18). Detemir, per il suo meccanismo di azione legato all’associazione-dissociazione con l’albumina, vanta una minore variabilità intra-individuale rispetto alle altre insuline basali; la più breve emivita può rendere necessaria una doppia somministrazione dell’insulina (ad esempio 08:00 e 22:00); questa necessità può tuttavia essere considerata, in alcuni pazienti, un vantaggio (ad esempio per pazienti che hanno un fabbisogno insulinico diverso fra notte e giorno). Degludec, infine, ha il notevole vantaggio di una ben più lunga durata di azione. Se da una parte questa permette un’estrema flessibilità nell’orario di somministrazione, anche di molte ore (almeno una volta raggiunto lo stato stazionario, per raggiungere il quale servono almeno 3 giorni) dall’altra limita il poter variare la dose resa in occasione di condizioni intercorrenti (malattie che aumentino il fabbisogno insulinico o digiuni che lo riducano). In altre parole, la scelta dell’insulina basale deve soprattutto tenere conto delle necessità cliniche ma anche sociali del singolo paziente (Tab. 1). Anche l’eventuale titolazione deve essere semplice, ad esempio con una dose di partenza prudente (10U) e aumento progressivo di una sola unità al giorno fino al raggiungimento del target (protocollo validato solo per glargine (19)).

Altri fattori

Al momento di inserire una terapia insulinica il medico deve compiere ogni sforzo per evitare che la nuova prescrizione terapeutica possa indurre una ipoglicemia, anche non grave (definita come una glicemia <70 mg/dl) (20). Esistono infatti sostanziali evidenze che al numero di ipoglicemie più che all’obiettivo glicemico proposto, possa essere legato un aumento della mortalità (21). È indispensabile, soprattutto nel paziente anziano con lunga storia di diabete, una attenta valutazione clinico-strumentale della neuropatia autonomica, in quanto accompagnata da un maggiore rischio per malattie cardiovascolari (22) ma anche da una più frequente incapacità di avvertire la condizione di ipoglicemia (hypo unawareness) (23). In casi selezionati può essere utile l’uso estemporaneo di un monitoraggio della glicemia in continuo (24). Dal punto di vista fisiopatologico l’insulina esogena induce ipoglicemia per il suo meccanismo di azione glucosio-indipendente; per ridurre il rischio di ipoglicemia appare dunque utile, al momento di iniziare una terapia insulinica, la completa sospensione di altri farmaci con simile meccanismo di azione glucosio-indipendente quali le sulfoniluree e le glinidi (25); anche perché, la decisione di intraprendere la terapia insulinica spesso è conseguente alla constatazione che sulfoniluree o glinidi non sono più in grado di garantire un controllo glicemico adeguato.

Nel caso di pazienti che manifestano una prevalente iperglicemia post-prandiale, la terapia insulinica con solo analogo basale può risultare insufficiente e può diventare utile o indispensabile l’inizio di una terapia insulinica prandiale; tale terapia necessita di un maggiore sforzo educativo (incluso il counting dei carboidrati, Tab. 1) (1).

 

Bibiliografia

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24. Continuous glucose monitoring health outcomes. Edelman SV, Bailey TS. Diabetes Technol Ther 2009 Jun; 11 Suppl 1: S68-74. doi: 10.1089/dia.2009.0012.

25. New insulin glargine 300 U/ml compared with glargine 100 U/ml in insulin-naïve people with type 2 diabetes on oral glucose-lowering drugs: a randomized controlled trial (EDITION 3). Bolli GB, Riddle MC, Bergenstal RM, Ziemen M, Sestakauskas K, Goyeau H, Home PD; on behalf of the EDITION 3 study investigators. Diabetes Obes Metab 2015 Apr; 17(4): 386-394. doi: 10.1111/dom.12438.

 

L’ipoglicemia

Raccomandazioni

Per ipoglicemia si intende una condizione caratterizzata da una bassa concentrazione di glucosio nel sangue (con o senza sintomi) che espone un individuo a pericolo. Ai fini del presente documento è definita da una glicemia <70 mg / dl.

(Livello della prova VI, forza della raccomandazione B)

I pazienti anziani con diabete hanno un’aumentata frequenza di episodi di ipoglicemia, ed in particolare di ipoglicemia grave o fatale. L’ipoglicemia grave è associata alla durata della malattia diabetica, all’età e a una maggiore durata del trattamento insulinico.

(Livello della prova VI, forza della raccomandazione B)

Nelle persone anziane, l’ipoglicemia è una malattia molto diffusa ma certamente sottostimata, che può causare gravi conseguenze (ad esempio maggior rischio di cadute, deficit cognitivo, aumentato rischio cardiovascolare, ricovero ospedaliero).

(Livello della prova III, forza della raccomandazione B)

Gli anziani sono a più alto rischio di ipoglicemia per diverse ragioni, tra cui una progressiva insufficienza renale ed una riduzione della secrezione di glucagone correlata all’età. Nei pazienti anziani è anche alterata la soglia glicemica che attiva i sintomi legati all’ipoglicemia. Anche una consistente disfunzione cognitiva può contribuire a un’alterata percezione dei sintomi (hypoglycemia unawareness).

(Livello della prova III, forza della raccomandazione B)

Il rischio di grave ipoglicemia, potenzialmente fatale, aumenta nei pazienti anziani che assumono farmaci per il diabete insieme ad altre terapie (politerapie), nei pazienti recentemente dimessi dall’ospedale, in quelli malnutriti o che risiedono in case di cura, ed in quelli con deficit cognitivo.

(Livello della prova VI, forza della raccomandazione B)

È fondamentale la massima personalizzazione della cura, dai target metabolici alla scelta dei farmaci. I pazienti anziani trattati con regime insulinico intensivo o con sulfoniluree sono a maggior rischio di ipoglicemie.

(Livello della prova I, forza della raccomandazione A)

Le sulfoniluree possono provocare ipoglicemia e questo aspetto deve essere considerato nella strategia terapeutica del paziente anziano, nel quale un evento ipoglicemico può avere conseguenze importanti (crisi anginose, aritmie, cadute). La probabilità di incorrere in ipoglicemie, ed in particolare in ipoglicemie gravi, è diversa a seconda della sulfonilurea usata, essendo maggiore per la glibenclamide e minore per la gliclazide. Diverse linee-guida sconsigliano nel paziente diabetico anziano l’uso della glibenclamide per la sua lunga durata d’azione e quindi per il maggior rischio di ipoglicemia.

(Livello della prova III, forza della raccomandazione B)

Una mirata strategia di informazione deve essere impostata ed attuata sia per i pazienti che per i familiari o per gli assistenti (care-givers) in modo da ridurre il rischio di successivi episodi di ipoglicemia.

(Livello della prova IV, forza della raccomandazione A)

 

Commento

L’ipoglicemia è la complicanza più temuta del trattamento del diabete in tutti i pazienti. L’età è stata identificata come un fattore di rischio indipendente per l’ipoglicemia grave (1). I pazienti anziani con diabete vanno incontro con maggiore frequenza e gravità ad episodi di ipoglicemia (2-3). Anche l’ipoglicemia asintomatica valutata mediante monitoraggio continuo della glicemia è frequente in questa popolazione (4). Le ragioni per questo aumentato rischio sono varie, e comprendono alterazioni nel sistema di contro-regolazione inclusa la secrezione di glucagone (5), un’alterata percezione dei sintomi, con aumentato rischio di “hypoglycemia unawareness” e alterazioni psicomotorie che impediscono al paziente di identificare i sintomi, di trattare l’ipoglicemia correttamente o di segnalare l’episodio ipoglicemico ai caregiver (6). Questi episodi possono causare gravi conseguenze, come maggior rischio di cadute, fratture (7), deficit cognitivo fino alla demenza (8-10) e aumentato rischio cardiovascolare (11-12). Frequenti episodi di ipoglicemia tra i pazienti anziani affetti da neuropatia autonomica o l’uso di alcuni farmaci quali i beta-bloccanti possono causare hypoglycemia unawareness aumentando il rischio di ipoglicemia grave (13). Inoltre, molti pazienti anziani, specialmente quelli che vivono da soli, hanno paura della ipoglicemia e tendono a sovra-trattare un episodio di ipoglicemia o sospendere l’assunzione di farmaci ipoglicemizzanti e di insulina per prevenire l’episodio ipoglicemico determinando ampie fluttuazioni della glicemia, scarso controllo metabolico, scarsa compliance ed aderenza alla terapia (4).

Il rischio di grave ipoglicemia aumenta nei pazienti anziani che assumono farmaci per il diabete insieme ad altre terapie (politerapie), nei pazienti recentemente dimessi dall’ospedale, in quelli malnutriti o che risiedono in case di cura (14), ed in quelli con deficit cognitivo. È importante per prevenire gli episodi d’ipoglicemia e per ridurre il rischio di declino cognitivo valutare attentamente e rivalutare i pazienti in caso di peggioramento del controllo metabolico e di declino funzionale che possono causare difficoltà nella gestione delle cure (auto-monitoraggio glicemico, titolazione dell’insulina). Perciò, nei pazienti anziani è importante eseguire lo screening per la disfunzione cognitiva e discutere i risultati con i caregivers. I pazienti più anziani che risiedono in case di cura sono particolarmente vulnerabili agli episodi d’ipoglicemia. Essi hanno una serie di complicazioni cliniche e comorbilità che possono aumentare il rischio di ipoglicemia quali riduzione della funzione renale, alterazioni della controregolazione ormonale e disidratazione, appetito variabile, problemi nell’assunzione del cibo, politerapia e rallentato assorbimento intestinale (14). Un’altra considerazione nel caso di pazienti istituzionalizzati è che la valutazione clinica dei pazienti non è quotidiana a differenza dei ricoverati in ambito ospedaliero. Da ciò scaturisce la preoccupazione che i pazienti istituzionalizzati possono avere periodi di frequenti ipoglicemie o larghe escursioni glicemiche incontrollate dal medico curante.

Tra i farmaci ipoglicemizzanti orali, le sulfoniluree sono associate a maggiore rischio di provocare ipoglicemia e questo aspetto deve essere considerato nella strategia terapeutica del paziente anziano. La probabilità di incorrere in ipoglicemie, ed in particolare in ipoglicemie gravi, è diversa a seconda della sulfonilurea usata, essendo maggiore per la glibenclamide. Diverse linee-guida sconsigliano nel paziente diabetico anziano l’uso della glibenclamide per la sua lunga durata d’azione e quindi per il maggior rischio di ipoglicemia (15).

 

Bibliografia

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La gestione dell’anziano ricoverato

Raccomandazioni

Al momento dell’ammissione in ospedale la storia del diabete mellito deve essere raccolta con cura e riportata nella cartella clinica.

(Livello della prova VI, forza della raccomandazione B)

Nei soggetti ricoverati con diabete noto deve essere programmata una determinazione della HbA1c se non effettuata nei 2-3 mesi precedenti.

(Livello della prova VI, forza della raccomandazione B)

Nell’anziano con polipatologia e disabilità il controllo glicemico rimane un obiettivo da perseguire nel contesto di una più articolata gestione secondo i principi della valutazione multidimensionale geriatrica, pur in assenza di trial dedicati al diabetico.

(Livello della prova I, forza della raccomandazione A)

Il controllo della pressione arteriosa è parte integrante e prioritaria del diabetico anziano in qualunque setting. Il tipo di terapia antiipertensiva merita di essere riconsiderato qualora si riscontri insufficienza renale inapparente.

(Livello della prova III, forza della raccomandazione B

Il ricorso all’insulina si rende necessario in presenza di condizioni critiche e/o quando sono controindicati gli ipoglicemizzanti, oltre che nel paziente chirurgico.

(Livello della prova III, forza della raccomandazione A)

Fattori intercorrenti, ad esempio gravi infezioni, possono modificare il fabbisogno insulinico e le necessità nutrizionali, rendendo indispensabile il tailoring.

(Livello della prova IV, forza della raccomandazione B)

L’adozione di una nutrizione enterale o parenterale rende indispensabile il ricorso alla terapia insulinica. La titolazione andrebbe eseguita impiegando insulina e.v. prima di adottare eventualmente la via sottocutanea.

(Livello della prova IV, forza della raccomandazione B)

L’insufficienza renale grave si associa a riduzione del fabbisogno insulinico. La comparsa o l’aggravarsi di insufficienza renale deve indurre ad un monitoraggio stretto della glicemia.

(Livello della prova IV, forza della raccomandazione A)

Un monitoraggio glicemico secondo protocolli dedicati è raccomandato anche per pazienti anziani non diabetici sottoposti ad interventi chirurgici maggiori o esposti a condizioni mediche stressanti (es. sepsi, terapia steroidea, riacutizzazione BPCO con insufficienza respiratoria) in quanto non trascurabile è il rischio di iperglicemia.

(Livello della prova IV, forza della raccomandazione B)

Nell’anziano con problematiche chirurgiche maggiori in trattamento con antidiabetici non-insulinici, nei quali appare necessario uno stretto controllo glicemico, risulta indispensabile intraprendere una terapia insulinica.

(Livello della prova VI, forza della raccomandazione B)

Prima della dimissione va verificata la capacità di gestione della terapia, soprattutto se insulinica, e del controllo glicemico domiciliare. È auspicabile in tali situazioni l’intervento da parte di personale esperto in grado di fornire supporto educativo e informativo. Utile la programmazione di un controllo ambulatoriale e l’inserimento del paziente in un percorso di gestione integrata domiciliare con il medico di medicina generale.

(Livello della prova VI, forza della raccomandazione A)

 

Commento

Nonostante l’elevato numero di pazienti anziani con diabete ricoverati in ospedale, pochi studi hanno focalizzato l’attenzione sulla gestione della terapia. È quindi necessario riferirsi a studi osservazionali su tale popolazione di pazienti o all’applicazione ai pazienti geriatrici di conclusioni derivate da studi condotti su popolazione con età media non geriatrica e con una rappresentanza di pazienti geriatrici generalmente modesta. Inoltre in molti di questi studi non sono stati analizzati gli anziani più complessi e problematici, quelli che più comunemente si ritrovano in ospedale per acuti, in setting sia medico che chirurgico, e per i quali la terapia è più difficile (1-5). Solo in alcune situazioni, come la sepsi e la Multi-Organ Failure, l’età media delle casistiche è tendenzialmente elevata, il che permette una più agevole estensione delle conclusioni degli studi al paziente geriatrico.

Uno dei primi aspetti da considerare è che al momento dell’ammissione deve essere riportata la diagnosi di diabete nella scheda clinica individuale, così come la storia di eventuali complicanze croniche micro- e macro vascolari e comorbidità. In tutti i pazienti inoltre dovrebbe essere effettuata oltre alla misurazione della glicemia, anche quella della HbA1c, se non eseguita negli ultimi 2-3 mesi (6). Alcune condizioni spesso presenti nel paziente anziano con diabete, come anemia emolitica, insufficienza renale cronica, deficit di ferro, l’impiego di eritropoietina, rappresentano fattori in grado di modificare la sopravvivenza eritrocitaria e quindi il livello di HbA1c.

Le misure comportamentali e dietetiche in parte differiscono da quelle usate a domicilio sia per il diverso tipo di vita che per esigenze correlate con procedure diagnostiche e trattamento di patologie acute intercorrenti.

Nella maggior parte dei pazienti deve essere sospesa la terapia con anti-iperglicemici orali. Nei pazienti già trattati con insulina è necessario una rivalutazione della dose ed un eventuale adattamento dello schema insulinico in relazione alle condizioni cliniche del paziente. Queste stesse valutazioni andranno effettuate al momento della dimissione. È sconsigliato l’impiego di schemi di terapia che prevedono solo la somministrazione di insulina al bisogno (“sliding scale”) (7). L’uso di insulina basale e l’eventuale associazione di insulina prandiale appare lo schema più indicato, in quanto più flessibile ed adattabile alle necessità soprattutto di pazienti complessi (7). La somministrazione di insulina supplementare per correggere valori elevati di glicemia deve essere eseguita con cautela soprattutto nelle ore notturne, al fine di ridurre il rischio di ipoglicemia notturna.

Non esistono regole di uso validate per l’anziano con problematiche chirurgiche. Valgono quindi i protocolli in uso per il paziente chirurgico in generale. Mediamente, la somministrazione sottocutanea è ammissibile per procedure minori e di breve durata, altrimenti si ricorre all’infusione di insulina pronta, ma solo per valori glicemici superiori a 180 mg/dl (8). Alcuni interventi chirurgici ad alto impatto sul metabolismo glucidico, come le pancreasectomie parziale o totale, sono eseguiti sempre più spesso in età geriatrica per motivi epidemiologici e implicano un peculiare approccio al controllo glicemico. Peraltro, tale approccio non differisce in funzione dell’età.

In caso di alimentazione parenterale o enterale è necessario impiegare insulina basale per garantire un adeguato controllo glicemico. La somministrazione dell’insulina per via endovenosa sarà riservata ai pazienti critici o nelle fasi perioperatorie.

La riduzione del fabbisogno insulinico in corso di insufficienza renale ha origine multifattoriale, anche se sembra prevalere il ruolo della ridotta attività insulinasica renale. Pertanto può verificarsi un sensibile calo del fabbisogno insulinico, che si accentua ulteriormente nel paziente dializzato (burnt out diabetes) (9).

Nel corso di infezioni acute è opportuno eseguire un monitoraggio glicemico stretto (ogni 4-6 ore secondo opportunità) e l’eventuale correzione della terapia onde evitare crisi ipo- e iperglicemiche. La notevole variabilità interindividuale del fenomeno rende impossibile fornire una regola comportamentale generale e implica un tailoring della strategia di controllo glicemico e adattamento posologico.

Nell’anziano con polmonite il diabete è un fattore che aggrava il problema polmonare, anche in virtù della ridotta resistenza dei muscoli respiratori, e implica quindi un più stretto monitoraggio terapeutico. È interessante osservare che il diabetico dimesso dopo una polmonite presenta una sensibile riduzione della spettanza di vita residua, specie per mortalità cardiovascolare, rispetto ad un diabetico di pari età e simile stato di salute (10-11).

Nei pazienti che richiedono la somministrazione di corticosteroidi, ad esempio in pazienti con BPCO, è preferibile l’impiego della terapia insulinica secondo uno schema basal-plus o basal bolus (7).

La comparsa di modificazioni delle funzioni cognitive durante e dopo l’ospedalizzazione, possono richiedere una maggiore supervisione per evitare errori nella gestione dell’insulina dopo la dimissione.

L’elevato rischio di ipoglicemia (spesso asintomatica), e delle complicanze associate, insieme alle problematiche associate alla gestione in ospedale suggeriscono un limitato innalzamento del range glicemico ottimale, soprattutto in corso di Multi-Organ Failure (12-14). È stato dimostrato che una glicemia mediana >148.5 mg/dl durante il ricovero si associa ad una ridotta mortalità nel periodo compreso tra 90 giorni fino a 6 anni dopo la dimissione. Lo stesso effetto è stato registrato per la maggiore variabilità glicemica intra-ospedaliera (15). Ciò dovrebbe spingere ad un approccio più conservativo del controllo glicemico (5, 10). Infatti nei pazienti non critici sono considerati accettabili valori glicemici pre-prandiali <140 mg/dl, postprandiali <180 mg/dl o valori random <180 mg, se ottenibili senza rischi elevati di ipoglicemia (6).

La raccomandazione a supporto dell’applicazione della valutazione multidimensionale ai pazienti anziani in ospedale per acuti non è fondata su studi su casistica dedicata, ma nasce per affinità in quanto la valutazione multidimensionale è risultata giovare ai pazienti anziani critici ad alta complessità, con variabile prevalenza del diabete tra i problemi attivi (16-17).

Le strategie per la terapia dell’ipertensione non differiscono da quelli consigliati per il setting domiciliare se non in rapporto a situazioni intercorrenti che implichino variazioni di terapia. Il riscontro di albuminuria comporta l’adozione delle misure terapeutiche valide in generale per tale condizione o la loro programmazione in dimissione (18).

La prevalenza di insufficienza renale inapparente o misconosciuta per creatinina normale in virtù della sarcopenia è elevata nell’anziano. La determinazione della eGFR ha rilievo ai fini della terapia farmacologica sia del diabete che di altre condizioni trattate con farmaci idrosolubili (19). La più recente formula BIS, sviluppata per l’età geriatrica, non è ancora diffusamente raccomandata e, quindi, non va preferita alla CKD-EPI.

Le raccomandazioni per l’anziano ricoverato in ospedale per acuti possono in qualche misura discostarsi da quelle relative ad anziani ospiti di residenze sanitarie assistenziali (RSA) o altre strutture di cure intermedie. Possono differire sia gli obiettivi (es. HbA1c, obiettivo valido in RSA, non in ospedale per acuti) sia i mezzi per perseguirli, ad esempio in rapporto alla disponibilità di personale sanitario della RSA. In mancanza di regole condivise, serve un adattamento sia degli obiettivi che dei mezzi alle possibilità. Ad esempio, le raccomandazioni per un controllo meno stringente abitualmente fondate sullo stato di salute e sulla spettanza di vita del paziente diabetico potrebbero essere anche condizionate dalla disponibilità di sorveglianza e supporto in una struttura intermedia. Mancano evidenze e raccomandazioni, ma è diffusa la coscienza del problema (2-3, 20).

 

Bibliografia

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3. Sinclair A et al. Diabetes Mellitus in Older People: Position Statement on behalf of the International Association of Gerontology and Geriatrics (IAGG), the European Diabetes Working Party for Older People (EDWPOP), and the International Task Force of Experts in Diabetes. JAMDA 13 (2012) 497e502.

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5. Murad MH, Coburn JA, Coto-Yglesias F, Dzyubak S, Hazem A, Lane MA, Prokop LJ, Montori VM Glycemic control in non-critically ill hospitalized patients: a systematic review and meta- analysis. J Clin Endocrinol Metab 97: 49-58, 2012.

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