Teresa Mezza, Andrea Giaccari
Centro per le Malattie Endocrine e Metaboliche, Fondazione Policlinico
Universitario A. Gemelli, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
Introduzione
In un soggetto adulto sano si contano approssimativamente un milione di isole di Langerhans distribuite nell’intero pancreas; queste complessivamente costituiscono una massa di circa ~2 grammi e rappresentano l’1- 2% di tutta la massa pancreatica di un soggetto adulto (1). Le isole di Langerhans sono anche state denominate “micro-organi endocrini”, in quanto comprendono cellule α, β, δ, ε e PP, che producono Polipeptide Pancreatico.
Differentemente dal diabete tipo 1, caratterizzato da un difetto assoluto di secrezione insulinica secondario ad una specifica distruzione autoimmunitaria delle cellule beta del pancreas, il diabete mellito di tipo 2 (DMt2) è un complesso disordine metabolico multifattoriale, risultato dell’interazione tra determinanti genetici e fattori acquisiti e/o ambientali (vita sedentaria, urbanizzazione, obesità, stress, farmaci ecc.) (2).
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La maggior parte dei farmaci disponibili per il trattamento dell’iperglicemia nel DMt2 hanno un meccanismo insulino-dipendente: o perché ne stimolano direttamente la secrezione (sulfoniluree, glinidi, inibitori del DPP-4, agonisti del recettore del GLP-1), o perché ne migliorano l’effetto (insulino-sensibilizzanti come tiazolidinedioni e metformina) o perché la sostituiscono (insulina umana e suoi analoghi). Partendo dalla struttura della florizina (un “analogo” di un disaccaride estratto dalla corteccia del melo) sono tuttavia state recentemente sviluppate e rese disponibili per la terapia del diabete alcune molecole (definite come inibitori del co-trasportatore sodio-glucosio di tipo 2 o SGLT-2, responsabile della maggior parte del riassorbimento renale del glucosio a livello del tubulo renale prossimale) dimostrando una straordinaria efficacia nel controllo della glicemia (3-4) con un meccanismo di azione totalmente insulino-indipendente (5). Questa nuova opzione terapeutica, grazie all’indipendenza dall’insulina, determina anche in modo “diretto” la riduzione della glucotossicità, permettendo di sgravare la cellula beta dal sovraccarico dagli effetti deleteri determinati dalla iperglicemia cronica (5).
La patogenesi del DMt2 è determinata sia della riduzione della secrezione insulinica che dalla riduzione della sua azione, detta insulino-resistenza. Il ridotto uptake di glucosio a livello del muscolo e del tessuto adiposo e la ridotta soppressione della produzione endogena di glucosio, associati a una ridotta massa beta cellulare e limitata capacità funzionale della cellula beta, determinano una produzione insulinica insufficiente al grado di insulino-resistenza con il conseguente e progressivo aumento della glicemia. È noto come nel DMt2 si assiste a un progressivo declino della funzione delle beta cellule e che, al momento della diagnosi, circa il 50% della funzione beta cellulare risulta già perduta (6-7). Oltre la funzione, nel DMt2 è ridotta anche la massa beta cellulare, come dimostrato in studi di Butler e coll. (8). La riduzione della massa beta cellulare è già presente, seppur in grado ridotto, negli stadi che precedono la malattia, quali l’alterata tolleranza glucidica (IGT) o l’alterata glicemia a digiuno (IFG), e sembra essere dovuta principalmente ad un aumento della morte delle cellule per apoptosi. Il declino della funzione e della massa beta cellulare rappresentano quindi eventi determinanti nella patogenesi del DMt2 e nella sua progressione (9-10).
Insulino-resistenza e diabete mellito tipo 2
I fattori chiave dello sviluppo del DMt2 sono dunque costituiti da resistenza e alterata secrezione insulinica. Sebbene permangano controversie sul difetto primitivo, la maggioranza degli studi avvalora l’idea che la resistenza insulinica preceda il difetto secretivo (11), che si evidenzia prevalentemente (ma non esclusivamente) in presenza di una maggiore richiesta di secrezione. In altre parole, quando in molte persone si assiste a una ridotta capacità dell’insulina di agire efficacemente sui tessuti bersaglio, le cellule beta compensano aumentando il rilascio di insulina: livelli di insulinemia superiori alla norma riescono a garantire un normale valore di glicemia. Nel DMt2 l’insorgenza di insulino-resistenza non è accompagnata (per deficit relativo) dall’iperinsulinemia compensatoria, con conseguente iperglicemia.
L’obesità è la più frequente causa di insulino-resistenza nell’uomo. Le isole pancreatiche di soggetti obesi hanno un diametro e una massa maggiore rispetto a soggetti magri, suggerendo la loro necessità per l’osservato aumento della sintesi di insulina da parte delle beta cellule (12). Ciò indica che persone anche fortemente insulino-resistenti possono contrastare l’alterata sensibilità insulinica adattando plasticamente la loro morfologia pancreatica, così come avviene in condizioni di obesità o in altri stati di aumentata richiesta, come ad esempio la gravidanza.
Insulino-resistenza e insula pancreatica
Recenti studi hanno reso evidente la caratteristica plasticità della massa beta cellulare in differenti periodi della vita (neonatale, gravidanza, invecchiamento), così come nell’obesità, nell’alterato metabolismo glucidico e in soggetti con diabete neo-diagnosticato (13-14). La capacità del pancreas di compensare all’insulino-resistenza aumentando le cellule beta e la secrezione insulinica è una caratteristica riconosciuta sia in modelli murini (15-16) che in campioni pancreatici ottenuti da donatori d’organo o post-autoptici nell’uomo (17-18). Infatti, al fine di mantenere la glicemia normale, la massa beta cellulare è dinamica e capace di adattarsi a condizioni fisiologiche e patologiche (19-21). Numerosi studi hanno evidenziato che il numero e la massa di cellule beta aumentano in risposta alla obesità; ma l’origine, i meccanismi e i fattori responsabili di questo aumento non sono stati ancora ben determinati (24). Le possibilità di identificare i possibili messaggeri e di studiare i meccanismi che sottendono a queste modifiche compensatorie dell’insula pancreatica sono limitate dalla mancanza di studi longitudinali in tessuti pancreatici umani qualitativamente appropriati per analisi immunoistochimiche e molecolari; oltre che accoppiate ad una accurata valutazione metabolica e ormonale del paziente. Recentemente, tuttavia, si è avuta l’opportunità di raccogliere campioni pancreatici da pazienti sottoposti a pancreasectomia parziale, permettendo di esplorare la morfologia dell’insula pancreatica in condizioni di insulino-resistenza (22). Questi primi dati suggeriscono come, in soggetti non diabetici, l’alterata insulinosensibilità determini alterazioni della morfologia insulare. Le dimensioni medie dell’insula pancreatica risultano significativamente aumentate in soggetti insulino-resistenti e in maniera inversamente correlata all’indice di insulinosensibilità; suggerendo come l’insulino-resistenza impatti direttamente sulla biologia insulare per compensare alla aumentata richiesta di insulina. Così come osservato in pazienti obesi, in condizioni di insulino-resistenza il numero di cellule beta è aumentato, senza però aumento delle dimensioni medie della singola cellula beta. Inoltre, in soggetti insulino-resistenti, le cellule beta hanno un’area nucleare più grande, caratteristica prerogativa di cellule più giovani e con aumentata capacità secretoria.
Questi risultati sono in linea con altri risultati ottenuti in uomo e modelli murini (23-24), ove la riduzione della massa e la ridotta capacità secretoria sono state direttamente correlate a difetti del segnale insulinico nelle cellule beta. In soggetti insulino-resistenti, infatti, vi è un’alterata responsività della beta cellula all’insulina stessa (25).
Beta Cellula Insulinosensibile
La cellula beta esprime sia il recettore insulinico che le proteine necessarie per trasmettere all’interno della cellula il suo segnale di recettore attivato. Sono diverse le evidenze sia in modelli animali che nell’uomo a suggerire la teoria della cellula beta come tessuto insulino-sensibile. Gran parte degli studi che hanno approfondito i vari meccanismi molecolari alla base dell’esaurimento della cellula beta hanno preso spunto da un modello di topo privo di recettore insulinico solo sulla cellula beta-insulare (βIRKO). I topi βIRKO presentavano, infatti, una riduzione della prima fase di secrezione insulinica e con l’età sviluppavano intolleranza al glucosio e diabete, fenotipicamente molto simile al processo che avviene nel DMt2 (24). Questa sorprendente scoperta ha contradetto le evidenze precedenti che suggerivano che la secrezione insulinica fosse insensibile o soppressa alla presenza di insulina esogena, come se l’insulina avesse un ruolo inibitorio sulla beta cellula. Pertanto, una serie di ricerche cliniche e di base hanno permesso di esaminare il ruolo del signaling insulinico nella regolazione della massa e della funzione beta cellulare. Analisi ex vivo di insule e sezioni pancreatiche da pazienti affetti da DMt2 confermano il ruolo del recettore insulinico nella regolazione della proteine coinvolte nel ciclo cellulare e della vita della beta cellula. È stato dimostrato che insule pancreatiche di pazienti affetti da DMt2 hanno una ridotta espressione di RNA di molte proteine coinvolte nel segnale insulinico, probabilmente determinando un alterato segnale di trasduzione nelle cellule beta e la riduzione del fisiologico stimolo dell’insulina stessa di potenziare la secrezione insulinica stimolata dal glucosio e la sintesi de novo (26).
I risultati di questi studi hanno sempre più convinto che le evidenze derivanti da modelli animali transgenici potessero essere rilevanti anche nella fisiologia umana. Numerosi dati sono dunque a supporto della nuova ipotesi che l’insulino-resistenza, riconosciuta finora responsabile dell’alterata azione dell’insulina a livello periferico nei soggetti diabetici, può essere anche responsabile dell’alterata secrezione insulinica. La cellula beta è un tessuto insulino-responsivo, sul quale l’insulina potenzia la secrezione insulinica glucosio-dipendente nei soggetti sani; mentre questo effetto è ridotto in soggetti insulino-resistenti. La relazione tra insulino-sensibilità e funzione beta cellulare è stata confermata dall’evidenza del fisiologico ruolo del signaling insulinico nel regolare la funzione beta cellulare. Inoltre, la ridotta azione dell’insulina a livello beta cellulare potrebbe contribuire:
– alla riduzione della funzione beta cellulare, con perdita della secrezione pulsatile e/o della prima fase di secrezione insulinica;
– alla riduzione della massa beta cellulare osservata in soggetti diabetici e alla alterata morfologia insulare in soggetti insulinoresistenti.
Altro importante aspetto da considerare, prendendo in esame questi studi in vivo, è l’effetto del precondizionamento con insulina sulla funzione beta cellulare. Per quanto non completamente chiaro, in alcuni esperimenti (27) la pre-esposizione a iperinsulinemia è correlata alla risposta secretoria beta cellulare e i meccanismi che sottendono a questa osservazione potrebbero coinvolgere l’effetto insulinotropico dell’insulina di aumentare le proteine di trascrizione e traslazione.
Potenziali meccanismi di preservazione
La teoria della beta cellula sensibile alla azione dell’insulina stessa sembra comprovare che l’alterata insulino-sensibilità periferica coinvolge e impatta in maniera diretta sulla funzione e la morfologia delle insule di Langerhans. I soggetti insulinoresistenti cercano di compensare aumentando il numero delle cellule beta capaci di produrre insulina, al fine di preservare una adeguata massa beta cellulare. Ma quali sono i meccanismi di preservazione che permettono di mantenere la secrezione insulinica nonostante l’insulino-resistenza? Studi di immunoistochimica, purtroppo su pancreas autoptici (28-29), hanno evidenziato che in soggetti adulti la massa insulare, attraverso risposte adattative, rimane pressoché stabile. Infatti, in condizioni normali, la massa insulare è sottoposta a un basso livello di proliferazione e apoptosi. Nonostante la variabilità riscontrata nei diversi studi, è unanime l’osservazione che la proliferazione nel pancreas umano adulto è estremamente bassa e che, di conseguenza, la cellula beta vive a lungo. Anche in soggetti non diabetici insulino-resistenti la proliferazione e le alterazioni della apoptosi non sembrano contribuire in maniera significativa alla risposta adattatoria insulare e alle alterazioni morfologiche (28).
La neogenesi di cellule beta a partire da cellule acinari e duttali è un meccanismo riscontrato in soggetti insulino-resistenti, ove piccoli gruppi di cellule beta (considerate nuove insule) e cellule duttali positive per insulina sono stati identificate come segni di generazione ex novo di nuove cellule beta (28). Altri studi, in vitro, hanno dimostrato che cellule duttali o acinari possono rappresentare una fonte di nuove cellule beta (30-31).
In considerazione dell’inappropriata secrezione di glucagone in pazienti diabetici, non è trascurabile il ruolo delle cellule alfa nella storia naturale del DMt2. Infatti, in pazienti insulino-resistenti ma non diabetici, l’alterata morfologia insulare coinvolge anche le cellule che producono glucagone; le cellule alfa sono aumentate e in proporzione in maniera maggiore rispetto alle cellule beta.
In considerazione dell’effetto diretto del signaling insulinico nella modulazione della funzione delle cellule alfa dimostrato in modelli murini, è ipotizzabile che la cellula alfa sia sensibile alla insulina esattamente come la cellula beta (28) e che queste cellule intervengano nel tentativo di preservare la massa beta cellulare. A favore di questa ipotesi, dati in soggetti non diabetici insulino-resistenti hanno evidenziato una stretta correlazione tra cellule alfa e insulinosensibilità e un’aumentata percentuale di cellule biormonali, cioè positive sia per insulina che per glucagone, che potrebbero rappresentare uno stato di transizione della cellula alfa in cellula beta.
Queste osservazioni hanno aperto nuovi quesiti circa il timing delle alterazioni delle cellule alfa rispetto a modifiche della massa beta cellulare; e se il disequilibrio tra cellule beta e alfa sia effettivamente determinato da un processo di transdifferenziazione (Fig. 1).
Tuttavia, non è possibile escludere che le cellule biormonali descritte possano rappresentare in parte un precoce processo di dedifferenziazione di cellule beta in alfa (32), descritto da altri gruppi come processo chiave del declino della massa beta cellulare in modelli murini (33).
Questi studi rappresentano una nuova base per pianificare nuove ricerche mirate a identificare una nuova fonte di cellule beta e determinare i meccanismi molecolari responsabili dei cambiamenti dinamici che impattano la massa beta cellulare nella progressione del diabete mellito tipo 2 con l’obiettivo di potenziare le capacità compensatorie delle cellule insulari in condizioni di insulino-resistenza.
Recenti evidenze
Le nuove strategie terapeutiche in quest’ambito si evolvono per preservare e/o rimpiazzare una massa beta cellulare funzionalmente attiva; la differenziazione in vitro di cellule embrionali e cellule staminali pluripotenti (34) è un aspetto affascinante ma attualmente limitato per le difficoltà nel generare beta cellule responsive al glucosio. Altre prospettive terapeutiche si focalizzano, invece, sul tentativo di stimolare la rigenerazione in vivo, sia aumentando la resistenza contro segnali distruttivi e pro apoptotici, sia stimolando selettivamente la proliferazione beta cellulare. Inoltre, recentemente sono stati studiati i processi di differenziazione e de-differenziazione come potenziali meccanismi per un possibile recupero della massa beta cellulare (35). Diversi fattori sono stati descritti come capaci di proteggere le beta cellule in modelli animali, come il fattore di crescita degli epatociti, GIP (gastric inhibitory polypeptide), IGF1 (insulin-like growth factor 1), e la prolattina. Recentemente anche il GLP-1, fattori deriventi dal fegato (36), la betatrofina (37) (denominata anche angiopoietin-like 8 o lipasina) e l’osteoprotegerina (38) sono stati studiati come capaci di aumentare la proliferazione e/o replicazione beta cellulare in beta cellule umane. Inoltre, altri fattori come BMP-7 (bone morphogenetic protein 7) hanno mostrato di indurre neogenesi in vivo e in vitro di cellule non endocrine pancreatiche in cellule insulino-secernenti (39).
Sebbene l’espansione di cellule beta esistenti in vivo sia stata principalmente studiata in modelli murini (40-42), evidenze in soggetti obesi indicano la potenziale capacità della massa beta cellulare di espandersi nonostante i dati siano ancora limitati.
Riuscire a traslare gli approcci utilizzati per espandere la massa beta cellulare in modelli murini in cellule insulari umane, anche in vitro, rimane una sfida (43). Le cellule insulari umane, paragonate alle cellule murine, hanno infatti un basso potenziale di proliferazione ed è ipotizzabile che tale resistenza alla proliferazione sia legata ad alterazioni tipiche dell’aging, come ad esempio la perdita dell’espressione del fattore di trascrizione PDX1 (Pancreatic and duodenal homeobox 1), l’aumentata espressione di inibitori del ciclo cellulare p16 o altri fattori ancora non identificati.
È da rilevare che il rinnovato interesse nella ricerca dei meccanismi che sottendono ai difetti della secrezione di glucagone nel DMt2 (44-45), ha ulteriormente indirizzato l’interesse scientifico nello studio della regolazione della massa alfa cellulare e della sua funzione (46-47). Infatti, diversi studi suggeriscono che appropriati segnali/fattori in vitro e in vivo possono promuovere la trans differenziazione delle cellule alfa in cellule beta. L’ipotesi che le cellule alfa, così come le cellule acinari e duttali, rappresentino una nuova fonte di cellule beta in vivo è supportata da evidenze in modelli murini in cui l’espressione ectopica di Pax4 converte cellule progenitrici in cellule che producono insulina (48) e da esperimenti di lineage-tracing ove in un modello transgenico di ablazione quasi totali di cellule beta si è evidenziata rigenerazione di cellule beta da cellule che producono glucagone (49).
In conclusione, non tutte le persone con insulino-resistenza, anche grave, sviluppano diabete. L’uomo, dunque, ha già in sé i meccanismi di preservazione della massa e funzione beta cellulare. Capirli potrà essere, in futuro, una nuova via per la terapia, e forse anche per la cura, del diabete.
Ringraziamenti: parte dei dati qui riportati sono stati ottenuti grazie ad una borsa di studio della Fondazione Diabete Ricerca alla dottoressa Mezza, che per gli stessi dati ha anche ottenuto il premio “Umberto Di Mario 2014” dalla Società Italiana di Diabetologia.
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