L’ipoglicemia silente nella pratica clinica quotidiana: come diagnosticarla, gestirla e prevenirla
Paola Lucidi, Francesca Porcellati, Chiara Pascucci, Francesca Cardini, Anna Marinelli Andreoli, Geremia B. Bolli, Carmine G. Fanelli
Dipartimento di Medicina, Sezione di Endocrinologia e Metabolismo, Università di Perugia
DOI: 10.30682/ildia1802a
[protected]
>Scarica l’articolo in formato PDF
PREMESSA
Nel 1941 fu il dr. Robert D. Lawrence, un chirurgo otorinolaringoiatra scozzese affetto da diabete mellito dal 1919 (tre anni prima della introduzione della terapia insulinica nel 1922), a notare che dopo quasi 20 anni di terapia insulinica, la sintomatologia dell’ipoglicemia, che chiamava reazione insulinica, tende a cambiare nel tempo: «[…] le reazioni insuliniche possono differire molto da quelle iniziali al punto che i pazienti sono pericolosamente inconsapevoli del loro esordio […], nel corso della terapia insulinica, a volte dopo solo 10-15 anni, trovo che sia quasi la regola che le caratteristiche delle reazioni all’insulina cambino, i sintomi autonomici premonitori scompaiono e i pazienti vanno incontro direttamente a quelle che sono manifestazioni di espressioni più gravi di sofferenza del sistema nervoso centrale […] Lo stesso paziente può in un momento sperimentare i sintomi premonitori iniziali e, in un altro, essere del tutto inconsapevole di un attacco imminente. È ovvio che questi sono pericoli seri […] potremmo dire che i tessuti si adattano a livelli più bassi di glicemia […]» (1). Il dr. Lawrence, nel suo brevissimo articolo, sorprende per l’accuratezza e la precisione con cui descrive la clinica dell’ipoglicemia silente e per aver perspicacemente intuito una relazione con l’ipoglicemia ricorrente quando sottolinea che i tessuti si “adattano” alle ipoglicemie. Ancora oggi, il fenomeno descritto dal dr. Lawrence rappresenta un problema di comune riscontro nella pratica clinica quotidiana nella gestione delle persone con diabete mellito. Questa condizione, nota come “Ipoglicemia Silente” o “Sindrome della perdita dei sintomi all’ipoglicemia” o, ancora, come Hypoglycaemia unawareness si può definire come una ridotta capacità di percepire i sintomi iniziali, cioè quelli di allarme, dell’ipoglicemia. Si ricorda che i sintomi dell’ipoglicemia sono classificati come autonomici (ansia, palpitazioni, tremore mediati dalle catecolamine, e fame, sudorazione, parestesie mediate dall’acetilcolina) (2) e neuroglicopenici (vertigini, parestesie, visione offuscata, difficoltà di concentrazione, astenia). Fra questi due estremi, si colloca una varietà di segni e sintomi, dai disturbi visivi alla sonnolenza, confusione, disturbi comportamentali, incapacità a svolgere compiti semplici, incoordinazione motoria, parola rallentata, fame, convulsioni, deficit neurologici focali (diplopia, emiparesi).
I sintomi autonomici sono in gran parte il risultato dell’attivazione neurale simpatica (3) e sono noti come sintomi di allarme la cui percezione spinge il paziente a correggere (es. assumendo zuccheri) l’ipoglicemia all’esordio prevenendo l’evoluzione verso una forma più grave di ipoglicemia. L’ipoglicemia silente rappresenta un fenomeno caratterizzato da una espressività clinica variabile nel senso che il grado di ipoglicemia silente può variare nello stesso individuo in relazione al controllo glicemico e nel tempo. Si stima che nel 17-36% delle persone con diabete di tipo 1 la capacità di avvertire i sintomi di allarme dell’ipoglicemia sia compromessa con il risultato di percepire i sintomi in maniera attenuata o di non percepirli affatto (4-7). Nel diabete di tipo 2, circa il 6-8% delle persone sviluppa questa condizione, essendo più frequente nei soggetti in terapia intensiva (8-9). Una ridotta capacità di avvertire i sintomi di allarme dell’ipoglicemia nelle persone con diabete è in gran parte il risultato di episodi di ipoglicemie antecedenti e ricorrenti che attenuano la risposta autonomica all’ipoglicemia e, con questa, anche i sintomi. La mancata capacità di avvertire i sintomi di allarme dell’ipoglicemia impedisce al paziente di correggere l’ipoglicemia all’esordio prima della comparsa della neuroglicopenia e dell’ipoglicemia grave. Infatti, questa condizione, se presente, espone il soggetto a un rischio stimato di ipoglicemia grave iatrogena aumentato di diverse volte nel diabete di tipo 1 (6, 10) e di tipo 2 (8). Informazioni in merito alla fisiopatologia, ai meccanismi e ai principi generali di prevenzione dell’ipoglicemia e dell’ipoglicemia silente sono stati già descritti recentemente su questa rivista (11). Pertanto, questa rassegna si propone di dare un messaggio analitico e, possibilmente completo al diabetologo clinico sui comportamenti da tenere in relazione alla diagnosi, gestione e prevenzione dell’ipoglicemia silente anche alla luce delle nuove terapie e nuovi supporti tecnologici.
DIAGNOSI
L’identificazione accurata dei pazienti con ipoglicemia silente è importante per avviare questi pazienti a percorsi educativi e terapeutici finalizzati a minimizzare il rischio di ipoglicemia grave. Tuttavia, è altrettanto importante identificare i pazienti con normale consapevolezza dell’ipoglicemia e a basso rischio di ipoglicemia grave perché questi possono beneficiare di un controllo glicemico più stretto. In generale, i metodi di valutazione della consapevolezza dell’ipoglicemia per l’uso clinico dovrebbero idealmente fornire informazioni massimali circa il rischio di ipoglicemia grave nel modo più semplice e affidabile possibile. Nella pratica clinica la diagnosi di ipoglicemia silente è generalmente piuttosto agevole. Una attenta storia clinica è essenziale per stabilire se è presente una ridotta percezione dei sintomi di allarme dell’ipoglicemia e se questo rappresenti un problema significativo per il paziente. La storia clinica di un paziente caratterizzata da problemi nel percepire la sintomatologia all’inizio dell’ipoglicemia o di non avvertire i sintomi a valori di glicemia piuttosto bassi (<54 mg/dl) al SMBG (automonitoraggio glicemico) generalmente facilita la diagnosi di ipoglicemia silente. Si deve evidenziare, a questo riguardo, che molti pazienti considerano una ridotta abilità di percepire i sintomi durante l’ipoglicemia come un elemento positivo e, quasi con soddisfazione, una sorta di resistenza all’ipoglicemia. Purtroppo, così non è. Quindi, è compito del diabetologo spiegare al paziente che l’ipoglicemia silente è pericolosa e rappresenta il risultato di ipoglicemie frequenti e ricorrenti che lo esporranno nel tempo a ulteriori ipoglicemie, talora anche gravi. Nei pazienti nei quali la storia clinica non è di particolare aiuto, l’ispezione dei profili glicemici è molto utile. Infatti, la sistematica assenza di sintomi di ipoglicemia a fronte di valori glicemici inferiori a 54 mg/dl è suggestiva di ipoglicemia silente. Inoltre, bisogna considerare che il monitoraggio continuo della glicemia (CGM) ha dimostrato che l’ipoglicemia spesso non viene diagnosticata e che episodi di ipoglicemia asintomatica sono più frequenti nei pazienti con ipoglicemia silente rispetto a quelli con normale percezione dell’ipoglicemia (12). Pertanto, il CGM può rappresentare uno strumento utile e supplementare al SMBG nei pazienti con ipoglicemia silente per documentare episodi di ipoglicemia non riconosciuti, particolarmente durante la notte (13). Un ulteriore modo per stabilire la presenza di ipoglicemia silente è quello di basarsi sulla stima da parte del soggetto della propria consapevolezza dell’ipoglicemia. Un modo pratico per esplorare il grado di percezione del soggetto è far riferimento all’uso di questionari specifici. Sono disponibili diversi questionari validati per accertare la presenza di ipoglicemia silente nei soggetti con diabete di tipo 1 (14-16) e nei pazienti con diabete di tipo 2 (17). Il questionario più semplice è quello proposto da Gold e coll. che si basa su una sola domanda: “Sei in grado di accorgerti quando inizia l’ipoglicemia?”. La risposta si basa su una scala Likert da 1 a 7, con 1 che rappresenta “sempre” e 7 “mai”. Un punteggio ≥4 identifica una ridotta percezione dell’ipoglicemia e l’ipoglicemia silente (18). Il questionario proposto da Clarke e coll. (19) comprende otto domande finalizzate a comprendere il livello di esposizione dei soggetti a episodi di ipoglicemia moderata e grave. Inoltre, le domande hanno anche l’obiettivo di individuare la soglia glicemica per le risposte dei sintomi all’ipoglicemia. Un punteggio ≥4 classifica i soggetti con ipoglicemia silente, mentre un punteggio di ≤2 categorizza i soggetti con normale percezione dell’ipoglicemia, lasciando un punteggio del sottogruppo 3 come non “non classificabile”. Il questionario proposto da Pedersen-Bjergaard e coll. (20) pone la domanda: “Riconosci i sintomi quando hai l’ipoglicemia?”. Le possibili risposte sono: sempre, di solito, occasionalmente, mai e non lo so. Soggetti che rispondono “sempre” sono classificati come quelli che hanno una normale percezione dell’ipoglicemia, quelli che rispondono “di solito” come parziale ipoglicemia silente (impaired hypoglycemia unawareness) e quelli che rispondono “occasionalmente” o “mai” come essere affetti da ipoglicemia silente (hypoglycemia unawareness). Una differenza tra questo questionario e i due precedenti è che offre tre possibili risultati invece di due, individuando soggetti con parziale compromissione della percezione dell’ipoglicemia, sottolineando come l’ipoglicemia silente sia un fenomeno graduato che non ha i connotati di un fenomeno “tutto o nulla”. È in corso di validazione un nuovo questionario chiamato Hypoglycaemia Awareness Questionnaire (HypoA-Q) il cui obiettivo è quello di rendere più precisa la diagnosi di ipoglicemia silente e individuare i soggetti con ipoglicemia problematica (15). Il questionario proposto da Gold e coll. (18) costituisce una semplice valutazione soggettiva che, comunque, correla bene con i punteggi degli altri questionari che sono più complessi e richiedono maggior tempo per essere completati. Inoltre, ha il vantaggio di poter essere molto semplice e può costituire il punto di partenza per discriminare i soggetti con normale percezione dell’ipoglicemia da quelli con ipoglicemia silente nella pratica clinica. L’uso di altri questionari, per esempio quello di Clarke e coll. (19), dovrebbe essere utilizzato, in aggiunta a quello di Gold e coll. (18), per stabilire con maggior precisione il grado di ipoglicemia silente in determinate situazioni, soprattutto nell’ambito della ricerca. Sia i questionari di Clarke e coll. (19) sia quello di Pedersen-Bjergaard e coll. (20) non sono stati ancora validati in lingua italiana.
Nella cartella informatizzata MyStar Connect, ormai installata nel 90% dei Centri di Cura per il Diabete Italiani (21), è presente un modulo “Ipoglicemia” che abbiamo contribuito a sviluppare e dedicato alla identificazione e al follow-up degli episodi di ipoglicemia e dell’ipoglicemia silente. Il modulo è in grado di presentare, immediatamente, subito dopo lo scarico dei dati dell’autocontrollo glicemico, il numero di ipoglicemie totali (valori glicemici ≤70 mg/dl) e suddivisi per fasce di gravità crescente di 70-55 mg/dl, 54-45 mg/dl e <45 mg/dl. Possono essere inserite informazioni riguardanti eventuali episodi di ipoglicemia grave (numero, diurni o notturni, tipo di soccorso e/o ricovero in ospedale, terapia, eventuali sequele), l’ipoglicemia sintomatica e asintomatica dimostrate secondo la definizione del Workgroup on Hypoglycemia dell’American Diabetes Association (22). Inoltre, il modulo presenta un breve questionario, basato in gran parte su quello di Clarke e coll. (19), composto da 4 brevissime domande mirate ad accertare la capacità del soggetto di riconoscere i sintomi dell’ipoglicemia. Il questionario si propone di stabilire la capacità di riconoscere l’ipoglicemia, i sintomi dell’ipoglicemia, il livello glicemico per il quale si riconosce l’ipoglicemia e se si sono verificati episodi di ipoglicemia grave nel corso dell’anno precedente. Le possibili conclusioni in merito alla capacità di riconoscere i sintomi sono 3: conservata, parzialmente conservata e assente (ipoglicemia silente) (Fig. 1). Sulla base del risultato, il diabetologo può pianificare percorsi educazionali e terapeutici mirati a prevenire/curare l’ipoglicemia silente. Il modulo, la cui validazione è in corso, si sta dimostrando molto utile nel follow-up del paziente con ipoglicemia silente e, pertanto, se ne auspica un ampio uso nei centri di diabetologia. Per esempio, è di grande ausilio nel formulare un giudizio complessivo circa lo stato di consapevolezza dell’ipoglicemia, del numero di ipoglicemie e, generalmente, della capacità di gestione delle ipoglicemie. Questi elementi sono utili, per esempio, anche quando siamo chiamati a redigere il Certificato Medico specialistico Diabetologico per patente di guida.
GESTIONE
La gestione dell’ipoglicemia silente deve partire dalla considerazione che questa condizione è determinata dalle ipoglicemie frequenti e ricorrenti e che la conseguenza più importante è l’ipoglicemia grave (11). Dal punto di vista patogenetico, la neuropatia sia autonomica che periferica non svolge un ruolo patogenetico di rilievo (23-25). Pertanto, la gestione di questa condizione deve basarsi da un lato su un’ampia revisione delle possibili cause di ipoglicemia del nostro paziente e, dall’altro nel riformulare una educazione terapeutica strutturata mirata 1) all’uso flessibile delle dosi di insulina (sia in MDI che in CSII) in relazione al contenuto dei carboidrati dei pasti e dell’attività fisica, 2) a prestare attenzione e riconoscere attività e situazioni che possono favorire l’ipoglicemia, vale a dire tenere in considerazione quelli che sono noti come fattori di rischio e fattori precipitanti dell’ipoglicemia (11), 3) all’uso adeguato dell’auto-monitoraggio glicemico per l’accertamento dell’ipoglicemia e le modalità di trattamento, 4) alla determinazione 1-2 volte a settimana della glicemia durante la notte (03:00-04:00h) e, 5) alla correzione di ogni valore di glicemia <70 mg/dl. Oltre all’importante ruolo dell’educazione terapeutica, si deve sottolineare come l’uso del CSII con impostazioni personalizzate, rispetto al MDI, sia in grado di fornire alcuni benefici in termini di miglioramento della percezione dei sintomi dell’ipoglicemia e di riduzione dell’ipoglicemia grave (26-27). I risultati di studi randomizzati e controllati pubblicati (fino a febbraio 2012), hanno concluso che il CSII (rispetto al MDI), il CGM in tempo reale (rispetto al SMBG) e il CSII più CGM (rispetto a MDI e SMBG) non avevano dimostrato di ridurre l’incidenza di ipoglicemia grave sia nei pazienti con diabete di tipo 1 che di tipo 2 (28). In linea con questi risultati vi è uno studio più recente in pazienti con ipoglicemia silente, che ha dimostrato come l’impatto dell’educazione strutturata e del supporto continuo per i pazienti sia anche più importante dell’uso del CSII e del CGM (29). Gli autori di questo studio hanno riportato i risultati di un trial clinico randomizzato di 24 settimane, con disegno fattoriale 2×2, in soggetti adulti con diabete di tipo 1 e ipoglicemia silente, testando se la terapia con microinfusore (CSII) rispetto alla terapia iniettiva (MDI) e l’uso del CGM rispetto al SMBG, con pari educazione, fosse in grado di migliorare la consapevolezza dell’ipoglicemia, misurata secondo i criteri Gold e Clarke, e il rischio di ipoglicemia grave (29). Per quanto riguarda l’educazione, tutti i partecipanti avevano ricevuto una educazione strutturata, supporto e obiettivi terapeutici identici mirati a evitare rigorosamente l’ipoglicemia (contatti settimanali, visite di follow-up mensili, uso del calcolatore di bolo, correzione di ogni valore <70 mg/dl, controllo della glicemia capillare durante una notte/settimana nei soggetti in SMBG). Alla fine delle 24 settimane del periodo di trattamento, la frequenza di ipoglicemia (≤3 mmol/L; 54 mg/dl) e la consapevolezza ipoglicemica miglioravano senza variazioni dell’HbA1c. Non veniva rilevata una sostanziale differenza nei risultati tra CSII e MDI o tra SMBG e CGM (29). Le conclusioni dello studio erano che l’ipoglicemia silente può essere migliorata e l’ipoglicemia grave e ricorrente prevenuta nel diabete di tipo 1 di lunga durata senza peggiorare il controllo glicemico. Questi risultati possono essere raggiunti con regimi di MDI e SMBG convenzionali rispetto a CSII/CGM-RT. Recentemente, sono stati pubblicati i risultati del follow-up a 2 anni di questo studio che hanno sostanzialmente confermato quelli osservati a 24 settimane (30). Tuttavia, bisogna sottolineare che l’aderenza all’uso del sensore era bassa (57%) e che negli utilizzatori del CGM-RT la funzione LGS (Low Glucose Suspend) non veniva attivata. Entrambi questi elementi potrebbero aver sottostimato il potenziale ruolo di prevenzione dell’ipoglicemia del CGM-RT. Infatti, in uno studio in 46 pazienti con diabete di tipo 1 e ipoglicemia silente (età 4-50 anni), l’uso della terapia con microinfusore dotato si sensore integrato (SAP) e con funzione LGS ha ridotto l’incidenza di ipoglicemia grave in un periodo di 6 mesi (31). Inoltre, i dati della letteratura indicano che l’utilizzo del sensore deve essere >80% del tempo per avere il maggior beneficio, mentre nello studio di Little e coll. (30) era appunto del 57%, con un utilizzo >80% solo nel 17% dei partecipanti. Un gruppo simile di pazienti con ipoglicemia silente e ad alto rischio di eventi ipoglicemici gravi sono stati arruolati nello studio “Monitoraggio continuo della glicemia nei pazienti con diabete di tipo 1 e ipoglicemia silente (IN CONTROL)’’ (32). Dei 52 soggetti, 29 hanno usato MDI e 23 CSII per la somministrazione di insulina. Lo studio “IN CONTROL” ha utilizzato un disegno crossover, dove i soggetti sono stati randomizzati a 16 settimane di uso di CGM seguito da 12 settimane di washout e 16 settimane di uso di SMBG con CGM in cieco o in sequenza inversa. I risultati dello studio “IN CONTROL” hanno mostrato che utilizzando il CGM rispetto al SMBG, i soggetti spendevano più tempo nella fascia della normoglicemia (72-180 mg/dl): 65,0% (95% CI 62,8-67,3) contro il 55,4% (53,1-57,7, differenza 9,6%, CI 8,0-11,2; p<0,0001); diminuiva anche l’ipoglicemia lieve e moderata. Inoltre, il numero di eventi ipoglicemici gravi verificatisi durante lo studio risultavano ridotti (14 vs. 34 eventi, p=0.033). Il beneficio del CGM era lo stesso sia nei pazienti in CSII che in quelli in MDI. In un altro studio (33), in un piccolo gruppo di 11 pazienti con diabete di tipo 1 di lunga durata (31 anni) e ipoglicemia silente seguiti fino a 18 mesi utilizzando il CGM con una aderenza molto elevata quasi del 100% a 6, 12 e 18 mesi, in MDI e CSII si osservava una riduzione di circa il 60% dell’ipoglicemia grave e un miglioramento della percezione dei sintomi dell’ipoglicemia (secondo il metodo di Clarke) in tutti i pazienti senza variazione dell’emoglobina glicata (7,2%). I soggetti sono stati sottoposti anche a uno studio di clamp di ipoglicemia controllata al basale, dopo 6 e dopo 18 mesi per misurare la risposta degli ormoni controregolatori, dei sintomi e della produzione epatica di glucosio. A 6 mesi e a 18 mesi si osservava un modesto aumento, rispetto al basale, del punteggio dei sintomi e della produzione epatica di glucosio che, comunque, restavano significativamente ridotti rispetto al gruppo di controllo dei soggetti senza diabete. È probabile che il miglioramento della percezione dei sintomi in questi pazienti sia da attribuire in gran parte all’utilizzo del CGM/RT con elevata aderenza all’uso continuativo in grado di intercettare, grazie all’allarme, le ipoglicemie e di correggerle tempestivamente con l’assunzione di carboidrati e che la ridotta gravità delle ipoglicemie sia da mettere in relazione al miglioramento della produzione epatica di glucosio (33).
Da questi studi (pochi) che hanno valutato l’impatto della tecnologia in termini di riduzione del rischio di ipoglicemia grave e di miglioramento della consapevolezza dell’ipoglicemia nei pazienti con ipoglicemia silente si può concludere che il CGM può essere efficace se usato sia con CSII che con MDI (34). Se si utilizza in un sistema SAP (Sensor Augmented Pump), i vantaggi sono superiori. Il più grande vantaggio nel prevenire l’ipoglicemia può derivare dall’utilizzo del CGM con la funzione LGS e, in particolare con la funzione PLGS (Predictive Low Glucose Suspend) (35). Tuttavia, mentre il CGM rappresenta un’opzione terapeutica davvero preziosa, non funziona per tutti pazienti verosimilmente per l’elevato livello di aderenza all’uso richiesto e di interazione con gli attuali sistemi CGM, come dimostrato in qualche studio (30). Infatti, il NICE (Istituto Nazionale britannico per l’Eccellenza nella Salute) (36) che certamente suggerisce l’uso del sistema SAP nei pazienti con ipoglicemia silente nonostante la terapia con CSII, sottolinea come l’impiego del sistema SAP richieda la capacità del paziente di comprendere e usare il sistema, la disponibilità all’uso continuativo del sensore (almeno il 70% del tempo) e l’adesione a un programma strutturato di educazione terapeutica (36). Anche i nuovi Standard di Cura congiunti SID-AMD 2018 sottolineano come i dispositivi per la rilevazione del glucosio interstiziale rappresentino una innovazione tecnologica estremamente utile e dalle notevoli potenzialità che, comunque, richiede impegno, abilità e costanza da parte del paziente. Se presenti questi requisiti, sulla base delle evidenze scientifiche disponibili, il monitoraggio in continuo del glucosio (CGM/RT) è raccomandato nelle persone con diabete di tipo 1 con ipoglicemie gravi o silenti nonostante l’ottimizzazione della terapia insulinica (IA) (37), mentre nelle persone con diabete di tipo 2 le evidenze per l’impiego del CGM sono più limitate. È comunque da considerare nei pazienti fragili e/o con controllo instabile in terapia insulinica (IIIA) (37). Tuttavia, è auspicabile l’esecuzione di ulteriori studi nei pazienti con ipoglicemia silente per stabilire in modo più definito il ruolo relativo dell’attuale tecnologia nella prevenzione dell’ipoglicemia in questi pazienti.
Un approccio pratico nella gestione dell’ipoglicemia silente è quello di effettuare una prevenzione continua e meticolosa dell’ipoglicemia, ove possibile con l’ausilio della tecnologia di cui si è parlato sopra, e di correggere tutti i valori di glicemia <70 mg/dl. Laddove l’uso della tecnologia non sia inizialmente praticabile, la prevenzione meticolosa dell’ipoglicemia inizialmente può basarsi sull’innalzamento degli obiettivi glicemici a digiuno, prima dei pasti e durante la notte nell’ordine di ~40 mg/dl (2,2 mmol/l) per un breve periodo di tempo, di solito 2-3 settimane. Generalmente, l’eliminazione delle ipoglicemie durante questo periodo ripristina ampiamente la consapevolezza dell’ipoglicemia nella maggior parte dei soggetti (38-40). Dopo questo periodo si può ripristinare l’intensità superiore di controllo mirando a obiettivi glicemici più stringenti, ma non perdendo d’occhio la necessità di una continua attività educativa attraverso la costante verifica dello schema terapeutico, la guida all’interpretazione dell’autocontrollo glicemico, la programmazione di incontri di rinforzo educazionale. Questo approccio è entrato nella pratica clinica (Standard di Cura) (41) come un modo efficace per correggere la condizione di ipoglicemia silente e per ridurre il rischio di ulteriori episodi di ipoglicemia (Fig. 1). La tabella 1 riassume l’approccio di diagnosi e gestione per l’ipoglicemia silente.
Un aspetto che vale la pena sottolineare è che gli studi di neuroimaging in pazienti con ipoglicemia silente (42) evidenziano una sorta di ridotta attivazione in aree cerebrali coinvolte nella gestione della risposta allo stress e alla paura durante ipoglicemia. Potrebbe essere questo un motivo per cui i pazienti che sono adattati all’ipoglicemia, non solo non percepiscono i sintomi dell’ipoglicemia, ma non percepiscono nemmeno l’episodio ipoglicemico come un evento stressante, di cui avere paura. Di conseguenza verrebbe meno la spinta motivazionale, perfino nella sua componente istintuale, ad evitare l’ipoglicemia correggendola tempestivamente con l’assunzione di carboidrati. Inoltre, in alcuni pazienti può entrare in gioco il ruolo di fattori psicologici e motivazionali ad ostacolare qualsiasi sforzo diretto a evitare l’ipoglicemia (43). Quest’ultimo aspetto, in particolare, ha spinto la ricerca a individuare anche altre strategie per la gestione dell’ipoglicemia silente basate su forme di interventi psicoeducativi finalizzati a migliorare l’accuratezza dei pazienti nel riconoscere e interpretare i sintomi indicativi di variazione della glicemia, e di comprendere altri fattori utili ad evitare l’ipoglicemia grave. Per esempio, il programma BGAT (blood glucose awareness training) (44) ha dimostrato di produrre benefici a lungo termine con riduzione di episodi di ipoglicemia grave e degli incidenti automobilistici (45). Un programma di terapia insulinica intensiva per il diabete di tipo 1 basato su un intervento educativo strutturato ha dimostrato di migliorare il controllo glicemico, la qualità di vita, la consapevolezza dell’ipoglicemia e di ridurre la frequenza di ipoglicemia (dose adjustment for normal eating, DAFNE) (46). Anche il programma DAFNE-HART (hypoglycemia awareness restoration training), incorpora un intervento psicologico sull’educazione delle persone con diabete ed è stato progettato specificamente per trattare l’ipoglicemia silente nei pazienti nei quali questa condizione sia presente nonostante sia ottimizzata la (auto)-gestione della terapia insulinica (47). Pertanto, sembra che un programma educativo strutturato che incorpori interventi psicologici sia uno strumento terapeutico utile per migliorare e eventualmente mantenere la consapevolezza dell’ipoglicemia in quelle persone con tendenza a non correggerla.
PREVENZIONE
La prevenzione dell’ipoglicemia silente costituisce un obiettivo importante della terapia insulinica intensiva del diabete. Dal momento che l’ipoglicemia silente è causata da ipoglicemie ricorrenti e dalle ipoglicemie gravi, l’obiettivo è la completa eliminazione di ogni episodio di ipoglicemia. Anche se questo obiettivo oggi è praticamente impossibile da raggiungere (38), certamente bisogna mirare a ridurre al minimo il rischio di ipoglicemia in ogni soggetto con diabete in terapia insulinica intensiva. Per questo è importante e necessario strutturare un percorso educativo, personalizzato, che si snodi a più livelli e finalizzato alla prevenzione sistematica delle ipoglicemie, anche degli episodi più lievi. Per questo obiettivo, gli stessi programmi educativi terapeutici e l’uso della tecnologia per la somministrazione dell’insulina e per il monitoraggio della glicemia utili nella gestione dell’ipoglicemia silente (vedi sopra) risultano altrettanto utili nella sua prevenzione. L’educazione del paziente dovrebbe includere informazioni sul rischio di ipoglicemia legato all’uso dell’insulina/sulfoniluree, sui fattori di rischio, nonché sull’uso dell’auto-monitoraggio glicemico o del CGM per l’accertamento dell’ipoglicemia e le modalità di trattamento. Inoltre, per minimizzare il rischio di ipoglicemia è importante che il trattamento insulinico riproduca il più fedelmente possibile la fisiologia della secrezione insulinica endogena dei soggetti non diabetici (48-49). Questo obiettivo può essere raggiunto più facilmente con l’uso di analoghi dell’insulina piuttosto che con le insuline umane e, per quanto riguarda gli analoghi dell’insulina a lunga durata, con gli analoghi di ultima generazione degludec e glargine 300U/ml che sono una buona opzione per le persone in terapia con glargine o detemir in cui l’ipoglicemia notturna rappresenti un problema significativo. Esistono solo due trials randomizzati, in pazienti con diabete di tipo 1 (50) e in pazienti con diabete di tipo 2 (51), in cui è stato valutato l’uso di una di queste due nuove insuline a lunga durata d’azione, l’insulina degludec, in pazienti ad elevato rischio di ipoglicemia grave. I pazienti per essere arruolati dovevano presentare almeno uno dei seguenti fattori di rischio per l’ipoglicemia grave: pregressi episodi di ipoglicemia grave nell’anno precedente, l’ipoglicemia silente, ridotta funzione renale (eGFR 30-59 mL/min/1.73 m2), diabete di lunga durata (>15 anni), episodio di ipoglicemia (≤70 mg/dl) con o senza sintomi nelle ultime 12 settimane. In entrambi i trials, l’insulina degludec è stata confrontata con l’insulina glargine 100U/ml, come insulina basale di riferimento, secondo un disegno cross-over di 32 settimane, dimostrando un rischio ridotto per entrambe le popolazioni. Nei pazienti con diabete di tipo 1 il rischio di ipoglicemia sintomatica confermata, di ipoglicemia notturna confermata e di ipoglicemia grave era ridotto del 11%, del 36% e del 35%, rispettivamente, durante il periodo di mantenimento dello studio (50). Questi dati sono importanti perché ottenuti in pazienti ad alto rischio di ipoglicemia dimostrando quindi che anche in questi pazienti l’insulina degludec permette, rispetto all’insulina glargine 100U/ml, di ridurre il rischio di ipoglicemia. Tuttavia, in termini assoluti di rischio, l’ipoglicemia grave restava importante anche nei pazienti in terapia con degludec con 69 eventi per 100 pazienti-anno (vs 92 eventi per 100 pazienti-anno per glargine 100U/ml). Si ricorda per un confronto storico con i dati dello studio DCCT (52), che non arruolava pazienti ad elevato rischio di ipoglicemia, che gli eventi di ipoglicemia grave, nel gruppo in terapia intensiva, erano 62 per 100 pazienti-anno, un rischio oggi ritenuto eccessivamente elevato, se si considera che nei pazienti con diabete di tipo 1 senza fattori di rischio per l’ipoglicemia grave (simili a quelli arruolati nello studio DCCT), l’insulina degludec è associata a un rischio di ipoglicemia grave di 21 eventi per 100 pazienti-anno (53), cioè circa 3 volte inferiore a quello osservato nei pazienti a rischio di ipoglicemia grave (50). Siccome il target glicemico a digiuno, sul cui valore veniva titolata l’insulina basale, era lo stesso (71-90 mg/dl) nello studio con i pazienti ad alto rischio di ipoglicemia (50) e nei pazienti senza un elevato rischio di ipoglicemia (53), è evidente che un target di glicemia a digiuno il cui limite superiore sia ≤90 mg/dl è eccessivamente basso nei pazienti a elevato rischio di ipoglicemia e contribuisce a mantenere elevato il tasso di ipoglicemia grave. In questi pazienti è appropriato rimodulare e individualizzare i target glicemici in funzione di una maggiore sicurezza e alla presenza di altri fattori di rischio per l’ipoglicemia grave (Fig. 2), anche quando si usano gli analoghi dell’insulina umana di ultima generazione. Pertanto, il potenziale beneficio di questi analoghi in pazienti con ipoglicemia silente potrà essere definito in modo più completo solo attraverso studi ad hoc in questa popolazione di pazienti.
Un recente documento “evidence-based” per la gestione dell’ipoglicemia problematica, caratterizzata da ipoglicemia grave associata all’ipoglicemia silente, propone un approccio a gradini (54). Il primo passo è quello di offrire una educazione strutturata sulla terapia in MDI, con analoghi dell’insulina, e una educazione specifica per la prevenzione dell’ipoglicemia, mentre un secondo passo prevede l’uso del CSII o MDI con RT-CGM. Il passo successivo è l’uso della SAP con o senza una funzione di LGS/PLGS e un contatto molto frequente (settimanale per 3 o 4 mesi) con il team. Infine, l’ultimo step prevede la possibilità del trapianto di isole o di pancreas (55-56). Mentre queste ultime due opzioni sono oggi, per chiari motivi, preclusi alla maggior parte dei pazienti, l’educazione strutturata basata sull’aggiustamento attivo e flessibile delle dosi di insulina con frequente monitoraggio della glicemia, in considerazione dell’apporto di carboidrati, dell’esercizio fisico, della riduzione dell’assunzione di alcol e in relazione alla presenza di malattie intercorrenti ha dimostrato di consentire una riduzione prolungata nell’incidenza di ipoglicemia fino al 50-70% (57).
CONCLUSIONI
L’ipoglicemia silente rappresenta una condizione piuttosto frequente nei soggetti con diabete di tipo 1 e si riscontra, con minore frequenza, anche nei soggetti con diabete di tipo 2 in terapia con insulina o sulfoniluree. La causa è rappresentata da ipoglicemie precedenti e ricorrenti che, verosimilmente, causano una ridotta attivazione in specifiche aree cerebrali le cui funzioni sono coinvolte nella risposta di adattamento all’ipoglicemia e, più in generale, allo stress. La gestione e la prevenzione di questa condizione si basa sulla eliminazione scrupolosa e continua di ogni episodio di ipoglicemia. In questo contesto, è fondamentale il ruolo del team diabetologico che dovrebbe essere quello di educare le persone con il diabete sui rischi associati con l’ipoglicemia silente e discutere con loro le strategie più appropriate di prevenzione dell’ipoglicemia. Per alcuni pazienti, oltre all’educazione, l’uso appropriato della tecnologia per la somministrazione di insulina e il monitoraggio della glicemia può contribuire a risolvere l’ipoglicemia silente. Per questi pazienti il supporto tecnologico avanzato (CSII+SAP) dovrebbe essere preso in considerazione piuttosto presto una volta escluse le cause reversibili di ipoglicemia (es. durante attività fisica per inadeguata alimentazione, lipoipertrofia, ecc.) e, forse, non rappresentare l’ultimo scalino. Inoltre, l’auspicio è che in futuro la tecnologia, che sarà sempre più perfezionata per raggiungere l’obiettivo del buon controllo glicemico minimizzando il rischio di ipoglicemia (58-59), possa essere sempre più efficace nel risolvere il problema dell’ipoglicemia silente. Attualmente dobbiamo riconoscere tuttavia che la gestione dell’ipoglicemia silente risulta alquanto complessa, e ribadire quanto sia importante per i soggetti che ne soffrono essere seguiti in centri specialistici di riferimento in grado di offrire adeguato supporto educazionale e motivazionale – mirato alla prevenzione dell’ipoglicemia –, terapeutico, psicologico e, se necessario, anche tecnologico avanzato (Tab. 2).
BIBLIOGRAFIA
1. Lawrence RD. Insulin hypoglycaemia: Changes in nervous manifestations. Lancet 238 (6168): 602, 1941.
2. Towler DA, Havlin CE, Craft S, Cryer P. Mechanism of awareness of hypoglycemia. Perception of neurogenic (predominantly cholinergic) rather than neuroglycopenic symptoms. Diabetes 42: 1791-1798, 1993.
3. DeRosa MA, Cryer PE. Hypoglycemia and the sympathoadrenal system: neurogenic symptoms are largely the result of sympathetic neural, rather than adrenomedullary, activation. Am J Physiol Endocrinol Metab 287: E32-41, 2004.
4. DCCT research group. Epidemiology of severe hypoglycemia in the diabetes control and complications trial. The DCCT Research Group. Am J Med 90: 450-459, 1991.
5. Gerich JE, Mokan M, Veneman T, Korytkowski M, Mitrakou A. Hypoglycemia unawareness. Endocr Rev 12: 356-371, 1991.
6. Geddes J, Schopman JE, Zammitt NN, Frier BM. Prevalence of impaired awareness of hypoglycemia in adults with Type 1 diabetes. Diabet Med 25: 501-504, 2008.
7. Olsen SE, Asvold BO, Frier BM, Aune SE, Hansen LI, Bjørgaas MR. Hypoglycemia symptoms and impaired awareness of hypoglycemia in adults with Type 1 diabetes: the association with diabetes duration. Diabet Med 31: 1210-1217, 2014.
8. Henderson JN, Allen KV, Deary IJ, Frier BM. Hypoglycemia in insulin-treated Type 2 diabetes: frequency, symptoms and impaired awareness. Diabet Med 20: 1016-1021, 2003.
9. Seaquist ER, Miller ME, Bonds DE, Feinglos M, Goff DC Jr, Peterson K, Senior P; ACCORD Investigators. The impact of frequent and unrecognized hypoglycemia on mortality in the ACCORD study. Diabetes Care 35: 409-414, 2012.
10. Gold AE, Deary IJ, Jones RW, O’Hare JP, Reckless JP, Frier BM. Severe deterioration in cognitive function and personality in five patients with long-standing diabetes: a complication of diabetes or a consequence of treatment? Diabet Med. 1994 Jun; 11(5): 499-505.
11. Porcellati F, Lucidi P, Marinelli Andreoli A, Bolli GB, Fanelli CG. Ipoglicemia: fisiopatologia e clinica. Il Diabete 29(4): 378-399, 2017.
12. Giménez M, Lara M, Jiménez A, Conget I. Glycaemic profile characteristics and frequency of impaired awareness of hypoglycaemia in subjects with T1D and repeated hypoglycaemic events. Acta Diabetol 46: 291-3, 2009.
13. Standards of Medical Care in Diabetes. Glycemic Targets. Diabetes Care 41(Suppl. 1): S55-64, 2018.
14. Geddes J, Wright RJ, Zammitt NN, Deary IJ, Frier BM. An evaluation of methods of assessing impaired awareness of hypoglycemia in type 1 diabetes. Diabetes Care 30: 1868-70, 2007.
15. Speight J, Barendse SM, Singh H, Little SA, Inkster B, Frier BM, Heller SR, Rutter MK, Shaw JA. Characterizing problematic hypoglycaemia: iterative design and preliminary psychometric validation of the Hypoglycaemia Awareness Questionnaire (HypoA-Q). Diabet Med 33: 376-85, 2016.
16. Høi-Hansen T, Pedersen-Bjergaard U, Thorsteinsson B. Classification of hypoglycemia awareness in people with type 1 diabetes in clinical practice. J Diabetes Complications 24: 392-397, 2010.
17. Kawata AK, Wilson H, Ong SH, Kulich K, Coyne K. Development and Psychometric Evaluation of the Hypoglycemia Perspectives Questionnaire in Patients with Type 2 Diabetes Mellitus. Patient 9: 395-407, 2016.
18. Gold AE, MacLeod KM, Frier BM: Frequency of severe hypoglycemia in patients with type 1 diabetes and impaired awareness of hypoglycemia. Diabetes Care 17: 697-703, 1994.
19. Clarke WL, Cox DJ, Gonder-Frederick LA, Julian D, Schlundt D, Polonsky W.Reduced awareness of hypoglycemia in adults with IDDM. A prospective study of hypoglycemic frequency and associated symptoms. Diabetes Care. 1995 Apr; 18(4): 517-22.
20. Pedersen-Bjergaard U, Pramming S, Thorsteinsson B. Recall of severe hypoglycaemia and self-estimated state of awareness in type 1 diabetes. Diabetes Metab Res Rev. 2003 May-Jun; 19(3): 232-40.
21. http://www.meteda.it/prodotto/cartella-diabetologica-informatizzata/.
22. Workgroup on Hypoglycemia, American Diabetes Association. Defining and reporting hypoglycemia in diabetes: a report from the American Diabetes Association Workgroup on Hypoglycemia. Diabetes Care 28: 1245-1249, 2005.
23. Olsen SE, Bjørgaas MR, Åsvold BO, Sand T, Stjern M, Frier BM, Nilsen KB. Impaired Awareness of Hypoglycemia in Adults With Type 1 Diabetes Is Not Associated With Autonomic Dysfunction or Peripheral Neuropathy. Diabetes Care 39: 426-33, 2016.
24. Fanelli C, Pampanelli S, Lalli C, Del Sindaco P, Ciofetta M, Lepore M, Porcellati F, Bottini P, Di Vincenzo A, Brunetti P, Bolli GB. Long-term intensive therapy of IDDM diabetic patients with clinically overt autonomic neuropathy: effects on awareness of, and counterregulation to hypoglycemia. Diabetes 46: 1172-1181, 1997.
25. Kamel JT, Goodman DJ, Howe K, Cook MJ, Ward GM, Roberts LJ. Assessment of the relationship between hypoglycaemia awareness and autonomic function following islet cell/pancreas transplantation. Diabetes Metab Res Rev 31: 646-50, 2015.
26. Thomas RM, Aldibbiat A, Griffin W, Cox MA, Leech NJ, Shaw JA. A randomized pilot study in Type 1 diabetes complicated by severe hypoglycaemia, comparing rigorous hypoglycaemia avoidance with insulin analogue therapy, CSII or education alone. Diabet Med 24: 778-783, 2007.
27. Giménez M, Lara M, Conget I. Sustained efficacy of continuous subcutaneous insulin infusion in type 1 diabetes subjects with recurrent non-severe and severe hypoglycemia and hypoglycemia unawareness: a pilot study. Diabetes Technol Ther 12: 517-21, 2010.
28. Yeh HC, Brown TT, Maruthur N, Ranasinghe P, Berger Z, Suh YD, Wilson LM, Haberl EB, Brick J, Bass EB, Golden SH. Comparative effectiveness and safety of methods of insulin delivery and glucose monitoring for diabetes mellitus: a systematic review and meta-analysis. Ann Intern Med. 2012 Sep 4; 157(5): 336-47. Review.
29. Little SA, Leelarathna L, Walkinshaw E, et al. Recovery of hypoglycemia awareness in long-standing type 1 diabetes: a multicenter 2 x 2 factorial randomized controlled trial comparing insulin pump with multiple daily injections and continuous with conventional glucose self-monitoring (HypoCOMPaSS). Diabetes Care 37: 2114-2122pmid:24854041, 2014.
30. Little SA, Speight J, Leelarathna L, Walkinshaw E, Tan HK, Bowes A, Lubina-Solomon A, Chadwick TJ, Stocken DD, Brennand C, Marshall SM, Wood R, Kerr D, Flanagan D, Heller SR, Evans ML and Shaw JAM. Sustained Reduction in Severe Hypoglycemia in Adults With Type 1 Diabetes Complicated by Impaired Awareness of Hypoglycemia: 2-Year Follow-up in the HypoCOMPaSS Randomized Clinical Trial. Diabetes Care 2018 Apr; dc172682. https://doi.org/10.2337/dc17-2682.
31. Ly TT, Nicholas JA, Retterath A, Lim EM, Davis EA, Jones TW. Effect of sensor-augmented insulin pump therapy and automated insulin suspension vs standard insulin pump therapy on hypoglycemia in patients with type 1 diabetes: a randomized clinical trial. JAMA 310: 1240-7, 2013.
32. van Beers CA, DeVries JH, Kleijer SJ, Smits MM, Geelhoed-Duijvestijn PH, Kramer MH, Diamant M, Snoek FJ, Serné EH. Continuous glucose monitoring for patients with type 1 diabetes and impaired awareness of hypoglycaemia (IN CONTROL): a randomised, open-label, crossover trial. Lancet Diabetes Endocrinol 4: 893-902, 2016.
33. Rickels MR, Peleckis AJ, Dalton-Bakes C, Naji JR, Ran NA, Nguyen HL, O’Brien S, Chen S, Lee I, Schutta MH. Continuous Glucose Monitoring for Hypoglycemia Avoidance and Glucose Counterregulation in Long-Standing Type 1 Diabetes. J Clin Endocrinol Metab 103: 105-114, 2018.
34. Choudhary P, Ramasamy S, Green L, Gallen G, Pender S, Brackenridge A, Amiel SA, Pickup JC. Real-time continuous glucose monitoring significantly reduces severe hypoglycemia in hypoglycemia-unaware patients with type 1 diabetes. Diabetes Care (36): 4160-2, 2013.
35. Choudhary P, Olsen BS2, Conget I3, Welsh JB4, Vorrink L5, Shin JJ4. Hypoglycemia Prevention and User Acceptance of an Insulin Pump System with Predictive Low Glucose Management. Diabetes Technol Ther. 2016y; 18: 288-91.
36. https://www.nice.org.uk/guidance/dg21/chapter/1-Recommendations.
37. Standard italiani per la cura del diabete mellito AMD-SID, 2018.
38. Fanelli C, Epifano L, Rambotti A, Pampanelli S, Di Vincenzo A, Modarelli F, Lepore M, Ciofetta M, Bottini P, Porcellati F, Scionti L, Santeusanio F, Brunetti P, Bolli GB. Meticulous prevention of hypoglycemia normalizes the glycemic thresholds and magnitude of most of neuroendocrine responses to, symptoms of, and cognitive function during hypoglycemia in intensively treated patients with short-term IDDM. Diabetes 42: 1683-1689,1993a.
39. Dagogo-Jack S, Rattarasarn C, Cryer PE. Reversal of hypoglycemia unawareness, but not defective glucose counterregulation, in IDDM. Diabetes 43: 1426-1434, 1994.
40. Cranston I, Lomas J, Maran A, Macdonald I, Amiel SA. Restoration of hypoglycaemia awareness in patients with long-duration insulin-dependent diabetes. Lancet 344(8918): 283-7, 1994.
41. American Diabetes Association Standards of Medical Care in Diabetes 2017. Diabetes Care 40(Suppl. 1): S64-S74, 2017.
42. Dunn JT, Cranston I, Marsden PK, Amiel SA, Reed LJ. Attenuation of amydgala and frontal cortical responses to low blood glucose concentration in asymptomatic hypoglycemia in type 1 diabetes: a new player in hypoglycemia unawareness? Diabetes 56: 2766-73, 2007.
43. Rogers HA, de Zoysa N, Amiel SA. Patient experience of hypoglycaemia unawareness in Type 1 diabetes: are patients appropriately concerned? Diabet Med 29: 321-7, 2012.
44. Cox D, Gonder-Frederick L, Polonsky W, Schlundt D, Julian D, Clarke W. A multicenter evaluation of blood glucose awareness training-II. Diabetes Care 18: 523-528, 1995.
45. Cox DJ, Gonder-Frederick L, Julian DM, Clarke W. Long-term follow-up evaluation of blood glucose awareness training. Diabetes Care 17: 1-5, 1994.
46. Hopkins D, Lawrence I, Mansell P, Thompson G, Amiel S, Campbell M, Heller S. Improved biomedical and psychological outcomes 1 year after structured education in flexible insulin therapy for people with type 1 diabetes: the U.K. DAFNE experience. Diabetes Care 35: 1638-1642, 2012.
47. de Zoysa N, Rogers H, Stadler M, Gianfrancesco C, Beveridge S, Britneff E, Choudhary P, Elliott J, Heller S, Amiel SA. A psychoeducational program to restore hypoglycemia awareness: the DAFNE-HART pilot study. Diabetes Care 37: 863-866, 2014.
48. Rossetti P, Porcellati F, Bolli GB, Fanelli CG. Prevention of hypoglycemia while achieving good glycemic control in type 1 diabetes. Diabetes Care 31(Suppl 2): S113-S120, 2008.
49. Bolli GB, Porcellati F, Lucidi P, Fanelli CG. Glucose control in diabetes: targets and therapy. In: Technological Advances in the Treatment of Type 1 Diabetes. Volume editors Bruttomesso D., Grassi G. Frontiers in diabetes 24: 1-10, 2015.
50. Lane W, Bailey TS, Gerety G, Gumprecht J, Philis-Tsimikas A, Hansen CT, Nielsen TSS, Warren M; Group Information; SWITCH 1. Effect of Insulin Degludec vs Insulin Glargine U100 on Hypoglycemia in Patients With Type 1 Diabetes: The SWITCH 1 Randomized Clinical Trial. JAMA 318: 33-44, 2017.
51. Wysham C, Bhargava A, Chaykin L, de la Rosa R, Handelsman Y, Troelsen LN, Kvist K, Norwood P. Effect of Insulin Degludec vs Insulin Glargine U100 on Hypoglycemia in Patients With Type 2 Diabetes: The SWITCH 2 Randomized Clinical Trial. JAMA 318: 45-56, 2017.
52. DCCT research group. Epidemiology of severe hypoglycemia in the diabetes control and complications trial. The DCCT Research Group. Am J Med 90: 450-459, 1991.
53. Heller S, Buse J, Fisher M, Garg S, Marre M, Merker L, Renard E, Russell-Jones D, Philotheou A, Francisco AM, Pei H, Bode B; BEGIN Basal-Bolus Type 1 Trial Investigators. Insulin degludec, an ultra-longacting basal insulin, versus insulin glargine in basal-bolus treatment with mealtime insulin aspart in type 1 diabetes (BEGIN Basal-Bolus Type 1): a phase 3, randomised, open-label, treat-to-target non-inferiority trial. Lancet Apr 21; 379(9825): 1489-97, 2012.
54. Choudhary P, Rickels MR, Senior PA, Vantyghem MC, Maffi P, Kay TW, Keymeulen B, Inagaki N, Saudek F, Lehmann R, Hering BJ. Evidence-informed clinical practice recommendations for treatment of type 1 diabetes complicated by problematic hypoglycemia. Diabetes Care. 2015 Jun; 38(6): 1016-29.
55. Ang M, Meyer C, Brendel MD, Bretzel RG, Linn T. Magnitude and mechanisms of glucose counterregulation following islet transplantation in patients with type 1 diabetes suffering from severe hypoglycaemic episodes. Diabetologia 57: 623-632, 2014.
56. Lombardo C, Perrone VG, Amorese G, Vistoli F, Baronti W, Marchetti P, Boggi U. Update on pancreatic transplantation on the management of diabetes. Minerva Med. 2017 Oct; 108(5): 405-418.
57. Yeoh E, Choudhary P, Nwokolo M, Ayis S, Amiel SA. Interventions that restore awareness of hypoglycemia in adults with type 1 diabetes: a systematic review and meta-analysis. Diabetes Care 38: 1592-1609, 2015.
58. Russell SJ, El-Khatib FH, Sinha M, Magyar KL, McKeon K, Goergen LG, Balliro C, Hillard MA, Nathan DM, Damiano ER. Outpatient glycemic control with a bionic pancreas in type 1 diabetes. N Engl J Med. 2014 Jul 24; 371(4): 313-325.
59. Renard E, Farret A, Kropff J, Bruttomesso D, Messori M, Place J, Visentin R, Calore R, Toffanin C, Di Palma F, Lanzola G, Magni P, Boscari F, Galasso S, Avogaro A, Keith-Hynes P, Kovatchev B, Del Favero S, Cobelli C, Magni L, DeVries JH; AP@home Consortium. Day-and-Night Closed-Loop Glucose Control in Patients With Type 1 Diabetes Under Free-Living Conditions: Results of a Single-Arm 1-Month Experience Compared With a Previously Reported Feasibility Study of Evening and Night at Home. Diabetes Care. 2016 Jul; 39(7): 1151-60. doi: 10.2337/dc16-0008. Epub 2016 May 5.
[/protected]