L’epatopatia cronica da HCV: reimpostare la terapia anti-iperglicemica nei “guariti”?

Antonio Picardi, Umberto Vespasiani-Gentilucci

Dipartimento di Medicina, UOR di Medicina Interna e Epatologia, Università Campus Bio-Medico di Roma

DOI: 10.30682/ildia1902d

[protected]

>Scarica l’articolo in formato PDF

Introduzione

L’infezione da virus dell’epatite C (HCV) interessa circa 71 milioni di persone nel mondo con un decorso prevalentemente cronico, secondo il report WHO del 2017 (1). Infatti, solo il 25-15% delle forme acute di infezione da HCV va incontro a risoluzione, mentre nella maggioranza dei casi l’evoluzione diventa cronica. Di questi, il 10-20% svilupperanno cirrosi nei successivi 20-30 anni, e la loro storia clinica si esaurirà in un arco temporale di 30-40 anni a causa dell’insorgenza di epatocarcinoma o per le complicanze gravi dell’ipertensione portale dovuta alla fibrosi e allo sviluppo di cirrosi. Di fatto, il rischio annuale di sviluppare epatocarcinoma nei pazienti con cirrosi è dell’1-5%, e lo sviluppo di scompenso è del 3-6% annuo. Infine, il primo scompenso dell’epatopatia cronica – come, per esempio, la comparsa di ascite – conferisce una mortalità nell’anno successivo del 15-20%.

L’evoluzione verso la cirrosi e le sue complicanze può essere accelerata in presenza di alcuni fattori di rischio addizionali rispetto all’infezione da HCV che sono: il sesso maschile rispetto al femminile; la co-infezione con HIV e/o con HBV; l’età >50 anni; la presenza di steatosi epatica non alcolica (NAFLD) o la necessità di terapie immunosoppressive per patologie concomitanti (2-4). Nell’ambito della epatopatia cronica, un fattore aggravante e indipendente di progressione o di mortalità è rappresentato dalla presenza di insulino-resistenza (IR) o di diabete tipo 2 (T2D) (5).

L’associazione diabete e malattia cronica di fegato, in particolare la cirrosi, era stata messa in evidenza già a cavallo dello scorso secolo tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento (6) e, fino ad epoca recente, era fondamentalmente considerata una manifestazione o conseguenza della fibrosi. Solo in epoca più recente, sono state messe in evidenza peculiarità epidemiologiche, fisiopatologiche e cliniche che fanno dipendere le alterazioni metaboliche dall’eziologia con una relativa indipendenza dallo stadio di fibrosi o dalla presenza di cirrosi (7).

In particolare, molta attenzione è stata rivolta all’associazione di IR/T2D con l’infezione da HCV.

I dati clinici ed epidemiologici sono così intriganti e robusti che l’IR è annoverata da alcuni autori tra le manifestazioni sistemiche extraepatiche dell’infezione da HCV, e il diabete di tipo 2 ne sarebbe la manifestazione più florida in quei soggetti predisposti, per familiarità o per altri fattori di rischio costituzionali (8).

La fisiopatologia di questa associazione indipendente dal grado di fibrosi, ma dipendente piuttosto dall’infezione con virus HCV, e l’introduzione in farmacopea negli ultimi anni di farmaci antivirali ad azione diretta (DAA) in grado – non solo di controllare – ma di eradicare l’infezione, rendono particolarmente stimolante l’ipotesi che eliminando il virus C in un paziente diabetico, il controllo metabolico possa parallelamente migliorare in maniera clinicamente significativa.

Epatopatia cronica da HCV e insulino-resistenza/diabete tipo 2: dati epidemiologici

Un primo approccio alla associazione IR/T2DM ed infezione da HCV viene dai dati epidemiologici che cercheremo di riassumere brevemente senza pretese di esaustività, ma prendendo in considerazione i lavori più significativi.

Premettendo che non sempre gli studi che riportano tali associazioni sono metodologicamente inoppugnabili: spesso si tratta di lavori che non sono stati in origine avviati con la finalità specifica di studiare tale associazione, ma piuttosto riportano il dato epidemiologico collateralmente ad un diverso disegno specifico; oppure, si tratta di lavori retrospettivi non scevri da possibili bias diagnostici se non altro dovuti all’uso di definizioni di insulino-resistenza o di diabete secondo criteri non standardizzati o non più validi perché soggetti a variazioni rispetto all’epoca in cui lo studio è stato realizzato. Inoltre, possono essere lavori molto eterogenei quanto a selezione dei pazienti, setting clinico, o numerosità del campione. Per una pregevole sintesi dei principali lavori pubblicati negli ultimi anni sull’argomento, si segnala la recente rassegna di Gastaldi (9).

Un primo studio si riferisce a pazienti ambulatoriali afferenti a un centro di terzo livello, quindi pazienti specificamente selezionati per la patologia epatologica e non rappresentativi della popolazione generale: un possibile bias di selezione che va tenuto presente. In questa popolazione, la prevalenza di alterazioni del metabolismo glucidico e di diabete conclamato interessavano il 32% di 380 pazienti affetti da epatite cronica da HCV, rispetto a solo il 12% dei pazienti con epatite cronica di altra eziologia (n=92, p<0.003). Tali differenze e significatività si perdevano quando si analizzava il sottogruppo di pazienti con epatopatia avanzata, ovvero con cirrosi (118 HCV+ vs 52 HCV-; 52% vs 43%, p=NS). Inoltre, all’analisi di regressione logistica si dimostrava un’associazione indipendente tra infezione da HCV e alterazioni della tolleranza glucidica, con un odds ratio di 4.26 [95% CI: 2.03-8.93] corretto per età, sesso, e indice di massa corporea (IMC). Questi dati riconducevano le alterazioni metaboliche all’infezione da HCV, piuttosto che agli altri fattori di predisposizione al diabete (10).

In un altro studio epidemiologico condotto nella città stato di Taiwan, su una coorte di pazienti HCV+ con epatite cronica (683 pazienti HCV+ vs 515 controlli), la prevalenza di alterazioni della tolleranza glicidica e T2D aumentava di 3.5 volte, rispetto al gruppo di controllo: 65.8% (363/552) nei pazienti HCV+, rispetto al 35.3% (158/447) negli HCV- (odds ratio 3.51, 95% CI: 2.70-4.56, p<0.0001). In questo studio, la diagnosi di alterazione del metabolismo era effettuata mediante il test di riferimento, ovvero con carico orale di glucosio con massimo 75 g, in tutti i pazienti e in tutti i controlli che non avessero già ricevuto una diagnosi di diabete (522 pazienti con epatite cronica vs 447 controlli) (11).

Un salto di qualità nella robustezza dei dati, in particolare per la numerosità delle popolazioni di studio, si ottiene mediante le meta-analisi.

Una rassegna sistematica comprendente complessivamente dati di più di 300.000 pazienti da 34 lavori, è stato possibile calcolare tra i soggetti HCV positivi – retrospettivamente – un OR per T2D di 1.68 (95% CI: 1.15-2.20) e, in modo prospettico, un HR per T2D di 1.67 (95% CI: 1.28-2.06) (12).

Dati analoghi derivano da una metanalisi comprendente 35 studi osservazionali, per un totale di più di 280.000 pazienti con infezione da HCV, che stima un OR complessivo di 1.7 (95% CI: 1.15-2.45) per IR o T2D, rispetto alla popolazione di controllo di soggetti non infetti da HCV. Paradossalmente, l’OR saliva a 1.92 (95% CI: 1.41-2.62) quando i soggetti HCV+ erano confrontati con pazienti affetti da virus B dell’epatite (HBV), quasi ad indicare un effetto protettivo della infezione da HBV sul rischio di T2D (13). Questo dato ci sottolinea la specificità della associazione tra l’infezione da HCV e il diabete rispetto all’effetto “generico” di una infezione virale con la possibile reazione infiammatoria concomitante.

Uno studio con numerosità minore, ma di grande interesse è stato condotto nell’ambito del Third National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES-III), su una popolazione di studio di 9.841 soggetti: in questa indagine il diabete interessava l’8.4% della popolazione e la positività HCV era presente nel 2.1%. Complessivamente, il T2D risultava significativamente più frequente nei soggetti più anziani, non-bianchi, con ridotte risorse economiche e con sovrappeso/obesità. Aggiustando i calcoli per questi parametri e stratificando lo studio per coorti di età, si è potuto calcolare un OR per T2D di 3.77 (95% CI: 1.80 to 7.87) nei soggetti HCV+ con un incremento significativo della prevalenza, rispetto ai controlli non infetti, proprio a partire dalla coorte di età ≥40 anni; guarda caso coorte di età che coincide con la media di insorgenza del diabete tipo 2 nella popolazione generale (14-15).

Dati decisamente più solidi e significativi clinicamente possono essere derivati dagli studi prospettici di coorte, soprattutto se le coorti sono sufficientemente numerose e seguite per un tempo congruo. In uno studio prospettico sulla popolazione generale nella città stato di Taiwan, 2 coorti di pazienti sono stati seguiti per circa 10 anni ed è stato possibile calcolare il rischio cumulativo di diabete incidente nei soggetti HCV positivi (n=930; 16.7%) rispetto alla coorte HCV negativa (n=16928; 10.9%, p<0.001). Il rischio di sviluppare diabete si è mostrato significativamente aumentato nei sieropositivi HCV rispetto ai sieronegativi, con un HR di 1.59 (95% CI: 1.34-1.89), corretto per età o BMI (16).

Anche se di minore significatività numerica e robustezza, vi sono in letteratura anche dati discordanti. Per esempio, uno studio prospettico (e in quanto tale di indubbio interesse) confrontava l’incidenza di T2D in tre gruppi di pazienti: il primo gruppo consisteva in circa 250 pazienti affetti da cirrosi epatica (di cui il 63% erano infetti da HCV); il secondo gruppo era costituito da 138 pazienti con epatite cronica (di cui il 74% da HCV); e, infine, il terzo gruppo consisteva in circa 500 controlli consecutivi reclutati tra pazienti ospedalizzati con trauma acuto. Ebbene, in questo studio, all’analisi multivariata solo la presenza di cirrosi e l’età associavano con il T2D, ma non l’infezione da HCV, imputando le alterazioni del metabolismo glucidico alla fibrosi/cirrosi più che alla infezione da HCV (17). Si tratta comunque di uno studio condotto su una popolazione relativamente piccola ed eterogenea, in cui non tutti i pazienti con epatopatia cronica erano affetti da HCV e che utilizzava un gruppo controllo appaiato per sesso ed età, ma non per BMI, ed in cui la diagnosi di T2D era basata solo sulla glicemia a digiuno e non sul test da carico orale di glucosio: in definitiva uno studio centrato più sul confronto epatite cronica vs cirrosi che non sull’eziologia dell’epatopatia cronica (17).

Un altro recente studio negativo per l’associazione HCV e T2DM, è un sotto-studio del NHANES III condotto su un campione di 15.128 adulti, di cui l’1.7% erano risultati anti-HCV positivi (ma di cui solo una minoranza esigua -1.1% – con viremia positiva) e il 10.5% erano diabetici; ebbene gli autori non erano riusciti a dimostrare in questo campione di popolazione alcuna associazione tra HCV e T2D o IR (quest’ultima valutata mediante homeostasis model assessment – HOMA-IR) (18). La minima percentuale di soggetti viremici (ovvero, con infezione attiva) nella popolazione oggetto di studio potrebbe spiegare questo risultato negativo e discrepante rispetto alla letteratura. Inoltre, in questo lavoro, l’assenza dell’uso di un test diagnostico di conferma per diabete quale il carico orale di glucosio rende poco attendibile la classificazione dei pazienti con diabete.

In definitiva, da questa breve sintesi risulta che i dati a favore dell’associazione epidemiologica tra infezione attiva da HCV+ e IR/T2D siano decisamente preponderanti rispetto a quelli contrari.

Epatopatia cronica avanzata e insulino-resistenza/diabete tipo 2: fisiopatologia

È un dato acquisito che il 60-80% dei pazienti con cirrosi presenta ridotta tolleranza ai carboidrati e, di questi, il 10-30% svilupperà diabete franco negli anni successivi. Ed è noto che nei pazienti con cirrosi e ridotta tolleranza ai carboidrati o diabete, l’IR è un elemento chiave (19-21).

Ma quali sono i meccanismi patogenetici responsabili dell’alterato metabolismo dei carboidrati nella cirrosi? L’IR dipende solo dalla presenza della fibrosi o cirrosi nel fegato o al contrario l’eziologia aggiunge particolarità specifiche?

La maggior parte dei pazienti con cirrosi presenta aumentati livelli di insulina circolante e IR severa (21-23). Secondo logica, ci si aspetterebbe che l’organo principalmente coinvolto nella patogenesi dell’IR nella cirrosi fosse il fegato. Al contrario, la principale alterazione dell’attività insulinica risiede nel muscolo scheletrico, e consiste in un difetto della sintesi di glicogeno che fisiologicamente dipende dall’azione insulinica: si tratta quindi di una insulino-resistenza periferica (24-25).

A loro volta, gli elevati livelli di insulina circolante nel cirrotico sono secondari alla ridotta estrazione epatica di insulina dovuta all’ipertensione portale e allo sviluppo di shunts che deviano parte del flusso portale verso la circolazione sistemica, bypassando il fegato: l’eccesso di insulina periferica è a sua volta capace di indurre insulino-resistenza insulino-indotta (26).

Al contrario, la sensibilità insulinica è molto ben conservata a livello epatico, come dimostrato dalla normale capacità dell’insulina di sopprimere la produzione epatica di glucosio (22-24).

In definitiva, la ridotta tolleranza al glucosio e il T2D nella cirrosi risultano da due anomalie che si verificano contemporaneamente: a) da un lato l’insulino-resistenza a livello muscolo scheletrico e b) dall’altro, una risposta relativamente insufficiente (anche se inizialmente sovrapponibile a quella dei controlli sani) da parte delle beta-cellule pancreatiche nel tentativo di compensare il difetto di attività insulinica sugli organi periferici della glico-regolazione (il muscolo scheletrico e il tessuto adiposo).

Il diabete tipo 2 nei pazienti con cirrosi epatica si sviluppa come risultato di una progressiva alterazione della secrezione insulinica, secondaria allo sviluppo di insulino-resistenza a livello muscolare – un evento dimostrabile abbastanza precocemente nell’epatopatia cirrogena e secondario allo shunt porto-sistemico – che esita in iperinsulinemia periferica, insulino-resistenza secondaria e, infine, iperglicemia quando la secrezione beta-cellulare diviene insufficiente (27). Questi meccanismi fisiopatologici ormai acquisiti da diversi decenni sono stati ottenuti mediante eleganti studi di fisiopatologia metabolica in soggetti specificamente selezionati perché il diabete fosse decisamente secondario alla epatopatia cirrogena e non legato a familiarità o ad altri fattori costituzionali particolarmente predisponenti per il diabete. L’elemento fisiopatologico centrale in questi studi era comunque costituito dalla presenza di fibrosi epatica avanzata e molto spesso l’eziologia della epatopatia non era tenuta in considerazione: anche perché molti di questi studi sono stati realizzati prima degli anni Novanta quindi, prima che fosse identificato il virus C dell’epatite! Questa osservazione apre la strada al quesito successivo.

Insulino-resistenza/diabete tipo 2 e HCV: solo una questione di fibrosi?

In realtà abbiamo già visto che vi sono dati epidemiologici abbastanza robusti sull’associazione di infezione da HCV ed IR/T2D; e abbiamo visto che l’epatopatia cronica evoluta con fibrosi significativa, non necessariamente cirrosi, si associa con le stesse alterazioni del metabolismo glucidico fondamentalmente secondarie allo sviluppo di ipertensione portale.

Infatti, l’ipertensione portale con la formazione di shunt porto-sistemici determina una iper-insulinizzazione sistemica che è in grado di indurre insulino-resistenza periferica, dovuta a down-regulation del recettore insulinico (28).

Ma, a prescindere dall’effetto della fibrosi sulla distribuzione dell’insulina vi sono dati che legano specificamente il virus HCV con il metabolismo glucidico dal punto di vista fisiopatologico?

In uno studio prospettico su una popolazione sufficientemente amplia di pazienti affetti da epatite cronica da HCV (n=500) o da HBV (n=100), e con la IR evidenziata mediante HOMA-IR, è stato possibile dimostrare che l’associazione tra IR ed infezione da HCV è specifica ed indipendente dai classici fattori metabolici (obesità, steatosi, ecc.) e dallo stadio di avanzamento della fibrosi. Infatti, nei pazienti di questo studio la presenza di alterazioni metaboliche tipiche della IR si associavano indipendentemente e significativamente con i livelli di HCV-RNA, in assenza di fibrosi clinicamente significativa e in assenza di alterazioni del metabolismo dei carboidrati clinicamente significative. In questo studio, era possibile evidenziare un collegamento interessante tra IR e fibrosi consistente nel fatto che la IR si comportava come un predittore di fibrosi significativa nei pazienti con epatite cronica da HCV. Ovvero, i soggetti con IR più verosimilmente avevano fibrosi avanzata rispetto ai pazienti con normale sensibilità insulinica. Dato particolarmente intrigante è che queste associazioni risultavano specifiche per l’infezione da HCV, perché nel confrontare i pazienti con HCV e quelli con infezione da HBV, questi ultimi sembravano essere quasi protetti rispetto al diabete, come abbiamo già segnalato in precedenza (13, 29).

Un altro lavoro condotto specificamente per verificare l’effetto dell’infezione da HCV sui parametri metabolici in assenza di fibrosi, confronta 121 pazienti con infezione attiva da HCV (con viremia positiva) e fibrosi praticamente assente alla biopsia epatica (F0-F1 secondo la classificazione Metavir) con un gruppo di 137 controlli sani, peraltro di età leggermente maggiore (quindi epidemiologicamente più predisposti alla IR) rispetto ai pazienti HCV positivi, ma confrontabili per IMC, sesso e rapporto circonferenza vita/fianchi. Ebbene, i pazienti con infezione da HCV presentavano livelli più elevati di glicemia basale – pur sempre nella norma (94 vs 90 mg/dl, p=0.01) – livelli di insulina e C-peptide più elevati (p=0.002 e p<0.001 rispettivamente), e un HOMA-IR significativamente più elevato (2.4 vs 1.9, p=0.002) (30).

In base ai dati esposti, sembra robusta la nozione di un effetto diretto di HCV sulla insorgenza – se non sulla induzione di IR – mentre quest’ultima si comporta come un dato predittivo di fibrosi avanzata e con tendenza a una maggiore progressione.

Ma quali possono essere i meccanismi fisiopatologici alla base di un effetto metabolico del virus HCV?

Concretamente, il virus C dell’epatite nel suo ciclo vitale e replicativo incrocia varie vie del metabolismo sia lipidico che glucidico. Per l’internalizzazione negli epatociti (infezione), HCV utilizza il recettore delle LDL esposto sulla superficie degli epatociti e, una volta internalizzato, inizia direttamente la sua traduzione in antigeni peptidici alcuni dei quali sono in grado di interferire direttamente da un lato con la cascata del segnale intracellulare dell’insulina e, dall’altro, con l’espressione dello stesso recettore insulinico sulla superficie cellulare. Un’altra possibile modalità di interferenza del virus HCV con il metabolismo glucidico in particolare – in questo caso indiretta, ma non per questo meno efficace – può essere mediata dallo stato infiammatorio indotto nell’organismo e quindi dalla IR secondaria alla immissione in circolo di citochine pro-infiammatorie, tra cui in particolare il TNF-alfa (7, 31).

Alcuni dettagli molecolari della interferenza di HCV con l’azione insulinica possono essere riassunti come segue: 1. Alcuni antigeni virali interferiscono direttamente con la fosforilazione di insulin receptor substrate-1 (IRS-1) e quindi riducono il segnale intracellulare dell’insulina; 2. In modo indiretto, la proteina del core di HCV induce il Suppressor Of Cytokine Signalling-3 (SOCS-3) che favorisce la ubiquitinazione sia di IRS-1 che di IRS-2, orientando tali mediatori della cascata del segnale insulinico verso il proteasoma e la degradazione. 3. Inoltre, la stessa proteina del core inibisce direttamente i recettori nucleari peroxisome proliferator-activated receptor (PPAR)-alfa e PPAR-gamma che fisiologicamente svolgono un ruolo importante nel metabolismo sia glucidico sia lipidico. Tra gli effetti indiretti della presenza del virus HCV sul metabolismo glicidico, oltre ai già citati meccanismi mediati dalle citochine pro-infiammatorie, si può citare anche lo stress ossidativo indotto dal virus HCV sul reticolo endoplasmatico cellulare (11).

Questa coesistenza di meccanismi diretti e indiretti dell’infezione da HCV sulla sensibilità insulinica è fondamentale per spiegare quelle osservazioni cliniche e sperimentali già fatte prima sulla sede della insulino-resistenza nel paziente con infezione da HCV.

HCV, infatti, è un virus epatotropo quindi infetta e colonizza ed agisce specificamente sul fegato. Ciononostante, quando analizziamo la insulino-resistenza nel paziente con fibrosi o con cirrosi da HCV emerge subito che la ridotta sensibilità insulinica è localizzata prevalentemente a livello del muscolo scheletrico (la massa metabolicamente attiva più estesa dell’organismo), mentre il fegato che secondo la logica dovrebbe essere l’organo più interessato conserva, invece, una ottimale sensibilità all’insulina.

In definitiva, integrando un modello fisiopatologico sia pur con qualche semplificazione, possiamo pensare che il virus HCV sia in grado di interferire con l’azione insulinica sia direttamente che indirettamente nel fegato, ove colonizza, si replica e induce stress ossidativo e del reticolo endoplasmatico. Mentre, mediante l’induzione della produzione di citochine pro-infiammatorie e altri mediatori sistemici dell’infiammazione, agisce indirettamente sul muscolo scheletrico (e probabilmente anche sul tessuto adiposo) inducendo insulino-resistenza nell’organo metabolicamente attivo più esteso dell’organismo che è il muscolo scheletrico.

Combinando il clamp euglicemico iperinsulinemico e la calorimetria indiretta in pazienti con infezione da HCV senza sindrome metabolica è stato possibile dimostrare un deficit della capacità del muscolo striato di captare ed utilizzare il glucosio in risposta all’insulina, in presenza di una normale sensibilità epatica (32-33).

Gli effetti diretti e indiretti di HCV sulla sensibilità insulinica e quindi sulla insulino-resistenza sono riassunti in una nostra recente rassegna (34) e schematicamente nella figura 1.

Effetti metabolici del controllo dell’infezione da HCV nell’epoca “interferonica”

I rapporti tra obesità, insulino-resistenza, diabete tipo 2 e infezione cronica da HCV sono stati a lungo centrati, da un lato, sull’effetto di queste alterazioni metaboliche sulle probabilità e la velocità di evoluzione della epatopatia cronica in termini di avanzamento della fibrosi (30) e di comparsa di epatocarcinoma e, dall’altro, sulla loro possibile interferenza sulla risposta alla terapia antivirale standard, rappresentata – fino a pochi anni orsono – dalla terapia di associazione (peg)-interferone e ribavirina.

Infatti, era comunemente accettato che la presenza di obesità, IR e/o T2D rappresentassero fattori predittivi negativi di risposta al trattamento antivirale, tanto da raccomandare un ottimale controllo metabolico e del peso corporeo prima di intraprendere la terapia antivirale (35).

Rispetto alla progressione della malattia, l’aspetto negativo della associazione di HCV con i disturbi della sensibilità insulinica era ed è costituito specificamente dal timore che l’insulina possa favorire la fibrosi e la cancerogenesi epatica e, quindi, accelerare l’insorgenza di cirrosi e lo sviluppo di carcinoma epatocellulare, per gli effetti “citoproliferativi” della iperinsulinemia plasmatica (36).

Quindi, per il trattamento di HCV nei pazienti obesi e/o con T2D era auspicabile ottenere un significativo compenso glicometabolico e se possibile una congrua riduzione del peso corporeo anche per ridurre il volume di distribuzione dei farmaci.

In ogni caso, cosa succede nei pazienti che rispondono alla terapia convenzionale con interferone e ribavirina e che quindi rimangono a lungo termine liberi da questa infezione?

Ebbene, la risposta virologica sostenuta, ovvero mantenuta nel tempo, ottenuta con la terapia convenzionale – “interferonica” – si associa ad un effettivo miglioramento dei parametri glicometabolici con riduzione della insulino-resistenza valutata indirettamente mediante l’HOMA-IR, ma soprattutto – in termini prospettici – la risposta al trattamento antivirale si associa ad una riduzione del rischio di sviluppare nel tempo alterazioni del metabolismo glicidico o T2D conclamato rispetto ai soggetti che non rispondono. L’interpretazione prevalente di questa osservazione attribuisce questo effetto positivo alla riduzione del peso corporeo che rappresenta uno degli effetti collaterali più frequenti della terapia antivirale di associazione con interferone e ribavirina (35, 37).

In epoca “interferonica”, la terapia antivirale era limitata ai casi con fibrosi al massimo moderata (F2-F3) e solo in ambito sperimentale era possibile trattare soggetti con cirrosi addirittura avanzata a causa degli effetti collaterali della terapia con interferone e ribavirina che rendevano proibitivo il tentativo terapeutico in soggetti citopenici (soprattutto piastrinopenia e leucopenia) a causa dell’ipertensione portale o con le complicanze quali ascite o encefalopatia. In altri termini, non abbiamo dati robusti sull’effetto della eliminazione del virus C in soggetti con fibrosi avanzata o con cirrosi stabilizzata, per differenziare l’effetto della fibrosi rispetto a quello dell’infezione sul metabolismo glucidico. Quest’ultimo però è un dato abbastanza robusto e confermato in vari studi che abbiamo riassunto nella tabella 1.

Effetti metabolici del controllo dell’infezione da HCV nell’epoca dei direct antiviral agents (DAA)

Le prospettive sono completamente cambiate con l’introduzione dei nuovi farmaci antivirali ad azione diretta e, in particolare, con gli ultimissimi ad azione pangenotipica, ovvero attivi nei confronti di tutti i genotipi del virus C (38).

Si tratta di associazioni di principi attivi a target molecolare e a somministrazione orale che non richiedono l’uso di interferone e/o ribavirina, con effetti collaterali trascurabili e, quindi, con un profilo di tollerabilità molto elevato. Queste caratteristiche rendono i DAA utilizzabili anche in presenza di cirrosi o di età avanzata, senza particolari precauzioni o controlli da effettuare in corso di terapia e con tassi di risposta virologica a lungo termine (SVR) ben superiori al 95%.

Unica attenzione richiesta da parte del prescrittore è di verificare prima della prescrizione le interazioni con i farmaci assunti dal paziente per patologie concomitanti – decisamente più frequenti nei pazienti con cirrosi o di età più avanzata – e descritte per le molecole che si pensa di utilizzare nel singolo paziente. La presenza di una dimostrata o probabile interazione suggerirà la scelta di associazioni alternative di DAA tra quelle disponibili.

L’utilizzo di questi nuovi farmaci su popolazioni ampie e più complesse ci consentirà di verificare quale possa essere l’effetto a lungo termine della eradicazione del virus HCV sui parametri glico-metabolici e forse di discriminare gli effetti dovuti ad una azione diretta del virus rispetto agli effetti secondari alla fibrosi avanzata o alla cirrosi su un significativo numero di pazienti finora di fatto esclusi dai trattamenti antivirali (39).

Per motivi di sintesi, abbiamo riassunto nella tabella 2 i dati disponibili in letteratura su questo argomento.

Di fatto, pur trattandosi dei primi dati spesso retrospettivi o derivati da casistiche non sempre omogenee, si possono comunque trarre conclusioni interessanti dal punto di vista clinico ed operativo. Sono evidenti effetti positivi della eradicazione del virus C sui parametri glico-metabolici in termini di miglioramento della glicemia basale, della emoglobina glicata e degli indici di insulino-resistenza, come l’HOMA-IR o della funzione pancreatica come l’HOMA-B. Questi effetti evidenti anche in soggetti con glicemia basale nei limiti della norma sono molto più evidenti in presenza di IR o di diabete florido tanto che in circa un quarto dei soggetti con diabete in trattamento con insulina oi IGO è necessario effettuare adeguamenti di dose dei farmaci utilizzati per evitare il rischio di ipoglicemia che – comunque – è da considerarsi ancora un evento occasionale o raro.

I pazienti con HCV e diabete franco sono quindi coloro che possono beneficiarsi di più dell’eradicazione del virus.

Anche nei pazienti HCV+ con normali parametri glico-metabolici è comunque possibile riscontrare un miglioramento di tali parametri come riduzione della emoglobina glicata, miglioramento dell’indice HOMA o dell’HOMA-B che indica una maggiore sensibilità insulinica una volta eliminata l’interferenza del virus HCV.

È in definitiva una dimostrazione che la presenza negli epatociti di HCV di per sé è in grado di indurre un grado di insulino-resistenza evidenziabile mediante i test funzionali. Ma il significato clinico di questi effetti benefici a lungo termine è troppo presto per conoscerlo perché il follow-up è ancora limitato nel tempo e saranno necessari studi di co orte per verificare a distanza di anni chi e se svilupperà una franca insulino-resistenza o T2D. Di particolare interesse da questo punto di vista sono quei soggetti in possesso dei fattori di rischio tradizionali come la familiarità, il sovrappeso, la sindrome metabolica, ecc.

Conclusioni: Curare il diabete tipo 2 con gli antivirali?

La grande novità introdotta dall’immissione dei DAA sul territorio – anche se, per il momento, solo in ambito specialistico – apre nuove prospettive di guadagno di salute per una popolazione finora quasi esclusa dalle possibilità di trattamento, come quella dei pazienti con cirrosi da HCV o di età avanzata. I primi non solo non sono esclusi ma, piuttosto, devono essere trattati con i DAA per rallentare la progressione verso l’epatocarcinoma e per ridurre l’insorgenza di complicanze della cirrosi. Mentre i secondi sono pazienti che con cicli di terapia ben tollerata ed ormai di durata veramente molto limitata (8 o al massimo 12 settimane), possono essere liberati da un’infezione che conserva anche nell’anziano caratteristiche di progressività (39). Particolarmente convincenti sono i dati sul controllo delle complicanze micro- e macro-vascolari del T2D dopo eradicazione di HCV (Tab. 2) perché indicano un effetto clinico specifico e robusto al di là del guadagno di unità percentuali di emoglobina glicata o di riduzioni dei parametri di insulino-resistenza.

Con studi prospettici sarà possibile rispondere in modo più adeguato al quesito sull’effetto “anti-diabetico” della eradicazione di HCV, ma per i dati attualmente in nostro possesso, alcuni punti sembrano sufficientemente robusti da poter trarre alcune conclusioni di principio, come:

1. È utile e consigliabile trattare l’infezione cronica o la cirrosi da HCV nei pazienti con diabete tipo 2 per ottimizzare il controllo metabolico e per ridurre l’incidenza di complicanze gravi macro- e micro-vascolari.

2. I pazienti con diabete tipo 2 necessitano di un controllo più assiduo dei parametri metabolici e della terapia con ipoglicemizzanti in corso di terapia con DAA, e dopo l’avvenuta eradicazione di HCV.

3. Una popolazione di particolare interesse clinico è quella dei pazienti HCV+ ad elevato rischio di diabete per familiarità e/o per altri fattori di rischio (obesità, sindrome metabolica, ecc.): in questi pazienti il trattamento di HCV che sia epatite cronica o cirrosi con l’auspicabile eradicazione del virus può configurare un autentico intervento di prevenzione del diabete di particolare efficacia.

Bibliografia

  1. Global Hepatitis Report 2017. Geneva, World Health Organization; 2017. Licence: CC BY-NC-SA 3.0 IGO.
  2. Liang TJ, Rehermann B, Seeff LB, Hoofnagle JH. Pathogenesis, natural history, treatment, and prevention of hepatitis C. Ann Intern Med 132(4): 296-305, 2000.
  3. Thomas DL, Seeff LB. Natural history of hepatitis. C. Clin Liver Dis 9(3): 383-398, 2005.
  4. Westbrook RH, Dusheiko G. Natural history of hepatitis C. J Hepatol 61(Suppl 1): S58-68, 2014.
  5. Bianchi G, Marchesini G, Zoli M, Bugianesi E, Fabbri A, Pisi E. Prognostic significance of diabetes in patients with cirrhosis. Hepatology 20(1 I): 119-125, 1994.
  6. Naunyn B. Der Diabetes Mellitus. Nothnangels Handbuch. A. Holder, Wien, 1906.
  7. Picardi A, D’Avola D, Vespasiani Gentilucci U, Galati G, Fiori E, Spataro S, Afeltra A. Diabetes in chronic liver disease: from old concepts to new evidence. Diabetes Metab Res Rev. 2006 Jul-Aug; 22(4): 274-283.
  8. Negro F. Mechanisms of hepatitis C virus-related insulin resistance. Clin Res Hepatol Gastroenterol 35, 358-363, 2010.
  9. Gastaldi G, Goossens N, Clément S, Negro F. Current level of evidence on causal association between hepatitis C virus and type 2 diabetes: A review. J Adv Res 2017 Mar; 8(2): 149-159, doi: 10.1016/j.jare.2016.11.003.
  10. Lecube A, Hernandez C, Genesca J, Esteban JI, Jardi R, Simo R. High prevalence of glucose abnormalities in patients with hepatitis C virus infection: a multivariate analysis considering the liver injury. Diabetes Care 27(5): 1171-1175, 2004.
  11. Huang JF, Yu ML, Dai CY, Hsieh MY, Hwang SJ, Hsiao PJ, et al. Reappraisal of the characteristics of glucose abnormalities in patients with chronic hepatitis C infection. Am J Gastroenterol 103(8): 1933-1940, 2008.
  12. White DL, Ratziu V, El-Serag HB. Hepatitis C infection and risk of diabetes: a systematic review and meta-analysis. J Hepatol 49(5): 831-844, 2008.
  13. Naing C, Mak JW, Ahmed SI, Maung M. Relationship between hepatitis C virus infection and type 2 diabetes mellitus: meta-analysis. World J Gastroenterol 18(14): 1642-1651, 2012.
  14. Mehta SH, Brancati FL, Sulkowski MS, Strathdee SA, Szklo M, Thomas DL. Prevalence of type 2 diabetes mellitus among persons with hepatitis C virus infection in the United States. Ann Intern Med 133(8): 592-599, 2000.
  15. Mehta SH, Brancati FL, Sulkowski MS, Strathdee SA, Szklo M, Thomas DL. Prevalence of type 2 diabetes mellitus among persons with hepatitis C virus infection in the United States. Hepatology 33(6): 1554, 2001.
  16. Lin YJ, Shaw TG, Yang HI, et al. Chronic hepatitis C virus infection and the risk for diabetes: a community- based prospective study. Liver Int 37: 179-186, 2017.
  17. Mangia A, Schiavone G, Lezzi G, Marmo R, Bruno F, Villani MR, et al. HCV and diabetes mellitus: evidence for a negative association. Am J Gastroenterol 93(12): 2363-2367, 1998.
  18. Ruhl CE, Menke A, Cowie CC, Everhart JE. Relationship of hepatitis C virus infection with diabetes in the U.S. population. Hepatology 60(4): 1139-1149, 2014.
  19. Petrides AS, DeFronzo RA. Glucose metabolism in cirrhosis. A review with some perspectives for the future. Diabetes Metab Rev 5: 691-709, 1989.
  20. Megeysi C, Samols E. Marks V. Glucose tolerance and diabetes in chronic liver disease. Lancet  2: 1051-1055, 1967.
  21. Proietto J, Alford FP, Dudley FJ. The mechanism of carbohydrate intolerance in cirrhosis. J Clin Endocrinol Metab 51: 1030-1036, 1980.
  22. Cavallo-Perin P, Cassader M, Bozzo C. Bruno A, Nuccio P. Dall’Omo AM, Marucci M, et al. Mechanism of insulin resistance in human liver cirrhosis. J Clin Invest 75: 1659-1665, 1985.
  23. Taylor R, Heine RJ, Collins J. James O W, Alberti KGMM. Insulin action in cirrhosis. Hepatology 5: 64-71, 1985.
  24. Petrides AS, Groop L, Riely CA, DeFronzo RA. Effect of physiologic hyperinsulinemia on glucose and lipid metabolism in cirrhosis. J Clin Invest 88: 561-570, 1991.
  25. Kruszynska Y, Williams N, Perry M. Home P. The relationship between insulin sensitivity and skeletal muscle enzyme activities in hepatic cirrhosis. Hepatology 8: 1615-1619, 1988.
  26. Rizza RA, Mandarino LJ, Genest J. Baker BA, Gerich JE. Production of insulin resistance by hyperinsulinemia in man. Diabetologia 28: 70-75, 1985.
  27. Petrides A, Vogt C, Schulze-Berge D, Matthews D, Strohmeyer G. Pathogenesis of glucose intolerance and diabetes mellitus in cirrhosis. Hepatology 19: 616-627, 1994.
  28. Okabayashi Y, Maddux BA, McDonald AR, Logsdon CD, Williams JA, Goldfine ID. Mechanisms of insulin-induced insulin-receptor down regulation. Decrease of receptor biosynthesis and mRNA levels. Diabetes. 1989 Feb; 38(2): 182-187.
  29. Moucari R, Asselah T, Cazals-Hatem D, Voitot H, Boyer N, Ripault MP, Sobesky R, Martinot-Peignoux M, Maylin S, Nicolas-Chanoine MH, Paradis V, Vidaud M, Valla D, Bedossa P, Marcellin P. Insulin resistance in chronic hepatitis C: association with genotypes 1 and 4, serum HCV RNA level, and liver fibrosis. Gastroenterology. 2008 Feb; 134(2): 416-423.
  30. Hui JM, Sud A, Farrell GC, Bandara P, Byth K, Kench JG, McCaughan GW, George J. Insulin resistance is associated with chronic hepatitis C virus infection and fibrosis progression [corrected]. Gastroenterology. 2003 Dec; 125(6): 1695-1704.
  31. Picardi A, Vespasiani Gentilucci U, Zardi EM, Caccavo D, Petitti T, Manfrini S, Pozzilli P, Afeltra A. TNF-alpha and growth hormone resistance in patients with chronic liver disease. J Interferon Cytokine Res. 2003 May; 23(5): 229-235.
  32. Vanni E, Abate ML, Gentilcore E, Hickman I, Gambino R, Cassader M, Smedile A, Ferrannini E, Rizzetto M, Marchesini G, Gastaldelli A, Bugianesi E. Sites and mechanisms of insulin resistance in nonobese, nondiabetic patients with chronic hepatitis C. Hepatology. 2009 Sep; 50(3): 697-706.
  33. Milner KL, van der Poorten D, Trenell M, Jenkins AB, Xu A, Smythe G, Dore GJ, Zekry A, Weltman M, Fragomeli V, George J, Chisholm DJ. Chronic hepatitis C is associated with peripheral rather than hepatic insulin resistance. Gastroenterology. 2010 Mar; 138(3): 932-941.
  34. Vespasiani-Gentilucci U, Gallo P, De Vincentis A, Galati G, Picardi A. Hepatitis C virus and metabolic disorder interactions towards liver damage and atherosclerosis. World J Gastroenterol 20(11): 2825-2838, 2014.
  35. Romero-Gómez M, Del Mar Viloria M, Andrade RJ, Salmerón J, Diago M, Fernández-Rodríguez CM, Corpas R, Cruz M, Grande L, Vázquez L, Muñoz-De-Rueda P, López-Serrano P, Gila A, Gutiérrez ML, Pérez C, Ruiz-Extremera A, Suárez E, Castillo J. Insulin resistance impairs sustained response rate to peginterferon plus ribavirin in chronic hepatitis C patients. Gastroenterology. 2005 Mar; 128(3): 636-641.
  36. Desbois AC, Cacoub P. Diabetes mellitus, insulin resistance and hepatitis C virus infection: A contemporary review. World J Gastroenterol. 2017 Mar 7; 23(9): 1697-1711.
  37. Simó R, Lecube A, Genescà J, Esteban JI, Hernández C. Sustained virological response correlates with reduction in the incidence of glucose abnormalities in patients with chronic hepatitis C virus infection. Diabetes Care. 2006 Nov; 29(11): 2462-2466.
  38. Shahid I, Ibrahim MM. All Oral Interferon-free Direct-acting Antivirals as Combination Therapies to Cure Hepatitis C. Curr Mol Med. 2019 Jan 3. doi: 10.2174/1566524019666190104110439 [Epub ahead of print] PubMed PMID: 30608042.
  39. Vespasiani-Gentilucci U, Galati G, Gallo P, De Vincentis A, Riva E, Picardi A. Hepatitis C treatment in the elderly: New possibilities and controversies towards interferon-free regimens. World J Gastroenterol. 2015 Jun 28; 21(24): 7412-7426. doi: 10.3748/wjg.v21.i24.7412. Review. PubMed PMID: 26139987; PubMed Central PMCID: PMC4481436.

[/protected]