L’emoglobina glicosilata predice il momento della diagnosi del diabete mellito di tipo 1 in bambini a rischio

Articolo n. 2

HbA1c predicts time to diagnosis of type 1 diabetes in children at risk – L’emoglobina glicosilata predice il momento della diagnosi del diabete mellito di tipo 1 in bambini a rischio

Helminen O, Aspholm S, Pokka T, Hautakangas MR, Haatanen N, Lempainen J, Ilonen J, Simell O, Knip M, Veijola R.

Diabetes 2015; 64: 1719-1727.

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Lo sviluppo del diabete mellito di tipo 1 si caratterizza per la distruzione immuno-mediata delle cellule beta-pancreatiche con conseguente deficit di secrezione insulinica. L’incidenza del diabete di tipo 1 è in crescita a livello mondiale e i livelli più alti si sono osservati in Finlandia dove i nuovi casi sono raddoppiati dal 1980 al 2005 in bambini con età inferiore ai 15 anni. Sono stati identificati più di 50 geni che conferiscono nell’uomo la suscettibilità alla malattia. La maggior parte dei geni di rischio sono localizzati sul cromosoma 6 (6p21) a livello della regione dell’HLA di classe II. Da un punto di vista fisiopatologico i fattori di rischio ambientali interagiscono con i geni di suscettibilità e contribuiscono all’insorgenza della malattia. Ad oggi il diabete di tipo 1 è predetto dosando i diversi tipi di autoanticorpi in individui a rischio. La presenza di 2 o più autoanticorpi fornisce un rischio cumulativo di malattia del 50-60% nei 5 anni successivi in bambini con genotipo HLA di classe II e il rischio resta elevato in molti bambini per un periodo di follow-up di 15 anni.

Sebbene l’OGTT sia accurato nel predire il diabete di tipo 1 la pratica clinica richiede dei marcatori più efficaci. A tal fine l’emoglobina glicosilata (HbA1c) potrebbe essere superiore all’OGTT come misura predittiva.

In questo studio il sangue cordonale di 168.055 neonati finlandesi è stato analizzato per valutare la presenza del genotipo di rischio HLA e 14.876 bambini a rischio genetico per diabete di tipo 1 sono stati invitati a partecipare a regolari visite di controllo per il diabete, incluso lo screening per gli autoanticorpi. I soggetti con positività per 2 o più autoanticorpi sono stati monitorati ad ogni visita attraverso la misurazione della HbA1c. Durante il follow-up iniziato a dicembre 2011 466 bambini sono risultati positivi per 2 o più autoanticorpi e la diagnosi di diabete di tipo 1 è stata posta in 201 di questi bambini (definiti “progressors”), mentre 265 bambini non si sono ammalati (definiti “non-progressors”) (Fig. 2). L’incremento del 10% del livello di HbA1c in campioni ottenuti durante il follow-up prediceva la diagnosi di malattia clinica dopo una media di 1,1 anni dal momento in cui veniva osservato l’incremento dei valori di HbA1c. Se i livelli di HbA1c erano superiori a 5,9% in 2 campioni consecutivi, il tempo medio alla diagnosi era di 0,9 anni.

Fig_2_Aggiornamento

Questa coorte di 201 bambini finlandesi con autoanticorpi positivi rappresenta ad oggi la popolazione di bambini più ampia che abbia partecipato a un follow-up intensivo a lungo termine dalla nascita fino alla diagnosi di diabete di tipo 1. Solo uno studio condotto in precedenza su un limitato numero di bambini con positività per gli autoanticorpi ha indagato le modifiche nei livelli di HbA1c durante la fase che precedeva l’insorgenza del diabete. Entrambi i lavori mostrano come i valori di HbA1c inizino ad incrementare nei limiti della normalità e come questo incremento sia più rapido nei sei mesi precedenti la diagnosi. La forza dello studio qui presentato è nella numerosità della coorte di bambini monitorati e nello stretto controllo dei valori di HbA1c durante il follow-up: questo ha permesso agli autori di fornire una stima più accurata e realistica per la predizione del diabete di tipo 1. Nello studio i “non-progressors” e i “progressors” mostravano alcune differenze cliniche: i primi avevano una età maggiore sia al momento della siero-conversione iniziale che successivamente quando più autoanticorpi risultavano positivi; alla fine del follow-up l’età media si aggirava sui 10,9 anni, mentre l’età dei “progressors” al momento della diagnosi di diabete era di 6,3 anni. Inoltre, i “non-progressors” avevano meno frequentemente una familiarità positiva per diabete.

I risultati di questo studio forniscono importanti dati sulle variazioni dei valori di HbA1c nei bambini durante la fase pre-diabetica che potrebbero essere usati in futuro in studi clinici di prevenzione. In studi di prevenzione secondaria con l’obiettivo di rallentare la progressione della disfunzione beta-cellulare in bambini con autoanticorpi positivi, è necessario individuare marcatori che possano essere usati per monitorare l’evoluzione della malattia. Il livello di HbA1c è una misura indiretta del controllo metabolico e quindi non può essere usata come una stima diretta della funzione beta-cellulare. Inoltre è da notare che l’intervallo di tempo che intercorreva tra le misurazioni di HbA1c nello studio per calcolare la presenza o assenza del 10% di incremento variava tra 3 e 12 mesi e questo potrebbe rappresentare un potenziale fattore confondente dato che un 10% di incremento che si realizza durante un intervallo di 3 mesi potrebbe avere un differente peso in termini di predizione rispetto a un simile incremento in campioni ottenuti dopo un intervallo di 12 mesi. Dal momento che sono state riscontrate differenze nel dosaggio dell’HbA1c nei tre laboratori coinvolti e che il metodo di misurazione non è stato sempre lo stesso durante il periodo dello studio, è necessario considerare la possibilità che queste variabili possano essere state responsabili di alterazioni nei valori di HbA1c. Tuttavia questa possibile fonte di errore interesserebbe allo stesso modo sia i “progressors” che i “non-progressors”.

In conclusione, nonostante questo sia il primo studio condotto su una larga popolazione di bambini e siano necessari futuri trial clinici per confermare questi risultati, l’HbA1c sembrerebbe essere un utile biomarcatore nel predire l’insorgenza del diabete tipo 1 in bambini con positività per gli autoanticorpi.

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