Le adipochine dopo chirurgia bariatrica. Il recupero metabolico stabile nel tempo
Gian Franco Adami, Renzo Cordera
Dipartimento di Medicina Interna, Università degli Studi di Genova
DOI: 10.30682/ildia1801b
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INTRODUZIONE: OBESITÀ E CHIRURGIA BARIATRICA
L’obesità è una malattia molto complessa dovuta a un aumento dimensionale del grasso corporeo sia percentualmente sia in valore assoluto, e ogni paziente obeso presenta o è destinato a presentare nel corso della sua vita una o più alterazioni metaboliche di differente grado e di differente rilevanza clinica. La stragrande maggioranza degli individui obesi presenta un aumento della resistenza periferica all’insulina, che può sfociare in un vero e proprio diabete mellito di tipo 2, e nel contempo tende a manifestare ipertensione arteriosa e difetti del metabolismo lipidico, che predispongono alle malattie cardiovascolari (1-3). Infine ricordiamo che l’obesità è una malattia ad andamento cronico tipicamente progressivo, che di conseguenza negli anni evolve in quadri clinici e metabolici sempre più complessi: per questo motivo, la speranza di vita dei soggetti obesi è a ogni età sensibilmente inferiore rispetto a quella degli individui magri loro coetanei (4-7).
La chirurgia bariatrica è la metodica terapeutica più efficace per combattere l’obesità. I diversi interventi non si limitano a determinare un sensibile calo ponderale: il peso corporeo si riduce sostanzialmente verso la normalità rimanendo immodificato pressoché indefinitamente, e il recupero del peso o la recidiva dell’obesità sono eventi rari che si verificano unicamente in una minoranza di pazienti (8-10). Inoltre, il calo ponderale stabile dopo l’intervento è accompagnato nella grande maggioranza dei soggetti operati dal netto miglioramento o dalla remissione definitiva delle conseguenze metaboliche dell’obesità: l’insulino-resistenza si riduce sino alla normalizzazione e nella maggioranza dei pazienti con diabete mellito tipo 2 si assiste a una completa normalizzazione delle glicemia (11-14), così come l’ipertensione arteriosa e la dislipidemia aterogena spesso scompaiono (15-16). Questo spiega assai bene la più bassa mortalità per malattie vascolari e la più elevata speranza di vita che i soggetti post-obesi dopo chirurgia bariatrica presentano rispetto ai pazienti obesi che non hanno invece ricevuto la terapia chirurgica (17-18).
Il calo ponderale è determinato per le metodiche di restrizione gastrica, come il Bendaggio Gastrico (LSGB), il Bypass Gastrico (RYGBP) e la Sleeve Gastrectomy (SG), dalla limitazione forzata dell’introduzione di cibo e per la Diversione Biliopancreatica (BPD) o per la BPD con deviazione duodenale (DSBPD) da una limitazione permanente dell’assorbimento intestinale di substrati ad alto contenuto energetico. Quando la spesa energetica di una massa corporea ridotta arriva a corrispondere al ridotto introito energetico (per LSGB, per RYGBP o per SG) o al ridotto assorbimento intestinale dei substrati (per BPD o per DSBPD), il calo ponderale si arresta, e il peso corporeo rimane costante a meno che nei suddetti termini non si verifichino ulteriori modificazioni (19-21).
BENEFICI METABOLICI DELLA CHIRURGIA BARIATRICA: NON SOLO CALO DI PESO
I meccanismi che dopo chirurgia bariatrica determinano i benefici metabolici sono invece ancora soltanto parzialmente conosciuti. In genere si osservano significativi miglioramenti già dalle prime settimane dopo l’intervento, quando il peso corporeo è ancora elevato e il soggetto è ancora francamente obeso: di conseguenza, è necessario ammettere che le condizioni metaboliche dei pazienti siano influenzate da variabili che sono in gran parte indipendenti dal suo peso corporeo o dalle eventuali condizioni di obesità.
Le nuove condizioni anatomiche e funzionali conseguenti a interventi di RYGBP e BPD/DSBPD comportano che una parte dell’intestino tenue sia transitata da cibi indigeriti o solo parzialmente digeriti, e ciò determina inevitabilmente notevoli alterazioni dell’assetto entero-ormonale. A breve termine dopo RYGBP e BPD, è stato osservato un evidente aumento di produzione di un polipeptide intestinale insulinotropo (gastrointestinal insulinotropic polypeptide, GIP) e di un polipeptide simile al glucagone (glucagon-like peptide 1, GLP-1), che determinano una potente stimolazione della secrezione insulinica, un ritardo dello svuotamento gastrico e l’inibizione centrale della sensazione di fame (22-26). Questi nuovi eventi fisiopatologici, determinati dalle nuove condizioni anatomiche e funzionali del tratto gastrointestinale superiore, giustificano almeno in parte sia il miglioramento della tolleranza al glucosio sia la riduzione globale dell’introito di cibo che si verificano già dalle prime fasi postoperatorie. Inoltre il transito di alimenti non completamente processati nel tenue distale favorisce la secrezione intestinale di PYY, un entero-ormone che stimola fortemente l’insorgenza di sazietà agendo direttamente sui centri ipotalamici di regolazione. Questa sazietà “precoce”, vale a dire avvertita dopo l’introduzione di minime quantità di cibo, nel paziente operato di RYGBP o BPD provoca una immediata riduzione dell’introito globale di cibo e quindi sensibile calo ponderale già dalle prime settimane dall’intervento (27-28). È stato anche ipotizzato che la derivazione quasi totale della circolazione entero-epatica dei sali biliari, che si verifica dopo BPD e DSBPD e in piccola parte anche dopo RYGBP, e le modificazioni dell’ecologia del microbiota intestinale che ne derivano, possano giocare un ruolo non indifferente nella riduzione del peso corporeo e nella normalizzazione della tolleranza glucidica (29-31). Accanto a ciò, per BPD, DSBPD e RYGBP con lunga ansa biliopancreatica, interventi in cui è presente una limitazione dell’assorbimento lipidico, nell’organismo si verifica una vera e propria deprivazione di grassi già dai primi giorni postoperatori, e quindi una riduzione dello stoccaggio intracellulare di lipidi: questo fenomeno, che si instaura precocemente, riduce di per sé la resistenza insulinica e migliora la tolleranza glucidica (32). Infine dopo SG e dopo RYGBP il sistema grelinico deputato alla stimolazione dell’appetito viene anatomicamente o funzionalmente escluso: ciò influenza profondamente il bilancio tra fame e sazietà e contribuisce in modo non indifferente al calo ponderale precoce postoperatorio (33-35).
In conclusione il riassetto della fisiologia gastrointestinale cha avviene dopo gli interventi contribuisce sostanzialmente alla normalizzazione o al miglioramento dell’atteggiamento metabolico del soggetto post-obeso operato, e nei due terzi circa dei casi gli effetti positivi si mantengono stabilmente alla lunga distanza (8-10, 36-40). Tuttavia in alcuni soggetti, il peso tende a essere recuperato nel corso degli anni sino al ritorno a condizioni di vera e propria obesità; in altri casi, anche se il peso rimane a livelli fisiologici, vengono progressivamente persi i benefici metabolici che erano ben evidenti nei primi periodi di follow-up e il diabete di tipo 2 e la dislipidemia possono recidivare. In questo articolo ci proponiamo una revisione narrativa della letteratura circa i meccanismi fisiologici che stanno alla base degli esiti metabolici a lungo termine degli interventi di chirurgia bariatrica, focalizzando la nostra attenzione principalmente sulle adipochine, proteine ad azione endocrina e paracrina secrete specificamente o quasi specificamente dal tessuto adiposo.
LE ADIPOCHINE
Tradizionalmente, la funzione principale del tessuto adiposo è il deposito di trigliceridi sotto forma di grasso in condizioni di surplus energetico, e il loro rilascio nei periodi in cui la disponibilità di cibo e quindi di energia diventa scarsa; inoltre il tessuto adiposo fornisce protezione meccanica agli organi interni, e per le sue caratteristiche fisiche gioca un ruolo fondamentale come isolante termico per il mantenimento di una temperatura corporea costante. Molto recentemente, è stato dimostrato che il tessuto adiposo funziona anche come un complesso organo endocrino atipico, che secerne particolari peptidi bioattivi, le cosiddette adipochine (41-42). Sebbene l’intera serie di adipochine prodotte nell’organismo non sia stata ancora identificata, si ritiene che il tessuto adiposo umano possa secernere più di seicento tipi di proteine che esercitano una azione ormonale contribuendo alla regolazione dell’appetito e della sazietà, al coordinamento della secrezione e della sensibilità insulinica, al controllo della distribuzione del grasso e al mantenimento del bilancio energetico e di adeguate funzioni endoteliali. Inoltre le adipochine sono coinvolte nei meccanismi dell’infiammazione, influenzano la pressione arteriosa e interferiscono nel sistema di regolazione dell’omeostasi (42). Per lo stretto legame che esiste tra l’obesità da una parte e le sue comorbidità di tipo infiammatorio, metabolico a cardiovascolare dall’altra, le alterazioni delle funzionalità del sistema di secrezione delle adipochine potrebbe avere quindi una grande rilevanza e un notevole significato clinico (41-44) (Tab. 1).
LA LEPTINA
La scoperta della leptina nel 1994 può essere considerata la pietra miliare nella ricerca sul ruolo e sul significato clinico e fisiopatologico delle adipochine (45). La leptina è una proteina secreta sostanzialmente dal tessuto adiposo e presenta una concentrazione plasmatica direttamente proporzionale alle dimensioni dei depositi adiposi dell’organismo. La leptina rappresenta un segnale di sazietà per azione diretta sui centri ipotalamici e controlla quindi l’introito di cibo globale: se le dimensioni dei depositi adiposi si riducono, anche la sua produzione e la sua concentrazione plasmatica si riducono, la sua azione sul sistema nervoso centrale viene meno e il soggetto è indotto a mangiare di più per ripristinare le dimensioni dei depositi adiposi e indirettamente quindi a riportare il livello plasmatico di leptina ai valori originali, e viceversa accade quando le dimensioni del tessuto adiposo aumentano. La leptina quindi esercita uno stretto anche se non immediato controllo sul peso corporeo, impedendone sostanzialmente le oscillazioni nel tempo. Inoltre la leptina influenza e tende a ridurre la spesa energetica dell’organismo e può agire come isulino-sensibilizzante regolando la massa beta-cellulare e l’apoptosi (45-47).
L’ADIPONECTINA
Anche l’adiponectina è secreta specificamente dagli adipociti, e presenta un forte effetto insulino-sensibilizzante e antinfiammatorio ed ha intense attività antiapoptotiche sulle cellule beta (48-50). Inoltre l’adiponectina, una delle proteine maggiormente rappresentate da un punto di vista quantitativo nel nostro organismo, stimola il dispendio energetico agendo a livello centrale, quindi facilita il calo ponderale: la sua concentrazione ematica negli individui magri è sensibilmente superiore a quella osservata nei soggetti in sovrappeso o nei pazienti obesi, e in condizioni fisiologiche esiste una stretta correlazione inversa tra dimensioni dei depositi adiposi e concentrazione ematica di adiponectina. Inoltre l’adiponectina stimola sia la secrezione insulinica sia la esocitosi dei granuli di insulina dalle beta-cellule, e quindi favorisce una normale metabolizzazione del glucosio. Numerosi studi clinici hanno infine evidenziato che la concentrazione ematica di adiponectina è associata negativamente a numerosi aspetti della sindrome metabolica, come l’insulino-resistenza, l’accumulo di grasso viscerale, l’ipertensione arteriosa e la dislipidemia (48-51).
LA FAMIGLIA DI ADIPONECTINE DIVIENE SEMPRE PIÙ NUMEROSA
FGF21 è una proteina prodotta dal fegato, dal tessuto adiposo e dal muscolo scheletrico, stimola la captazione del glucosio da parte degli adipociti, aumenta la termogenesi e il dispendio energetico e favorisce la metabolizzazione dei grassi: queste azioni determinano complessivamente un sostanziale miglioramento della utilizzazione del glucosio e dei lipidi e favoriscono il benessere metabolico (52-53). BMP-4 e 7 sono proteine prodotte in tessuti diversi (tessuto adiposo, placenta, tiroide, pelle, apparato gastro-intestinale) che regolano l’adipogenesi bianca e bruna e il dispendio energetico durante la vita embrionale e fetale (54-55). Nell’adulto BMP-4 e 7 sono prodotti nei grandi adipociti del tessuto adiposo periferico, aumentano i recettori attivati per la proliferazione del perossisoma gamma (PPAR γ) e spingono i preadipociti a divenire adipociti di tipo bruno. Nella obesità centrale di tipo ipertrofico, la resistenza degli adipociti all’azione di BMP 4 può contribuire a limitare la capacità di espandersi del tessuto adiposo e quindi contrastare l’insorgere di condizioni di obesità (56-57). Viceversa la vaspina è abbondantemente presente nel tessuto adiposo di tipo viscerale; una elevata concentrazione ematica di vaspina è associata infatti con obesità centrale, con ridotta sensibilità insulinica e con scarso benessere metabolico, e si associa generalmente a un incremento della concentrazione di leptina (58-59). L’apelina, oltre ad essere una proteina secreta dal tessuto adiposo, è prodotta anche nel sistema nervoso centrale, nel muscolo cardiaco e nello stomaco (48, 60). L’apelina contribuisce a regolare il metabolismo del glucosio e la pressione arteriosa. Inoltre modula l’introito di cibo, la lipolisi, l’omeostasi dei fluidi e cardiovascolare, la proliferazione cellulare e l’angiogenesi (60-61). Nei pazienti con obesità o diabete di tipo 2 un aumento della concentrazione ematica di apelina è un sintomo di resistenza alla apelina stessa, come adattamento ad alti livelli nel sangue per cause endogene (42). La visfatina è prodotta, oltre che nel tessuto adiposo viscerale, anche in altri tipi di cellule, tra cui i linfociti, i monociti e gli epatociti (62). La visfatina e l’insulina presentano l’identico recettore seppure in siti cellulari diversi. Gli studi circa gli effetti della visfatina sull’azione insulinica e sulle dimensioni dei depositi adiposi prima e dopo calo ponderale non hanno peraltro ancora fornito dati certi (63). La resistina è prodotta non solo dagli adipociti ma anche da cellule a tipo immunocompetente (64). Tra altre azioni, la resistina riduce la sensibilità periferica all’insulina agendo su specifici recettori di membrana, ed è stata quindi ritenuta una proteina chiave di volta nei complessi rapporti che esistono tra sovrappeso, obesità, insulino-resistenza e diabete (65-66). La Retinol Banding Protein 4 (RBP4) è prodotta dal fegato e dagli adipociti maturi, e rappresenta l’unica proteina con funzioni di trasportatore per il retinolo. La concentrazione ematica di RBP 4 è particolarmente alta nelle donne in post-menopausa e nei pazienti con obesità viscerale o diabete di tipo 2, e il valore di RBP4 risulta positivamente associato con la gravità della insulino-resistenza e con la comparsa di obesità centrale nel bambino e nell’adolescente (67-69). Il tessuto adiposo è una sorgente aggiuntiva di DPP-4 (70), un efficacissimo antagonista competitivo del GIP e del GLP-1. La rapida degradazione del GIP e del GLP-1 conseguente all’azione del DPP-4 porta a gravi condizioni di insulino-resistenza, a un accelerato svuotamento gastrico e a un incremento di produzione di glucagone, effetti che determinano un rapido aumento della concentrazione di glucosio nel sangue e l’insorgenza di diabete mellito (71). Nel tessuto adiposo dell’uomo il DPP-4 è prodotto in maniera maggiore se sono presenti condizioni di displasia tissutale locale; come vedremo, quando esiste un incremento dimensionale dei depositi adiposi di solito sono presenti zone di tessuto adiposo disfunzionale: per conseguenza la secrezione di DPP-4 aumenta, determinando la comparsa o il peggioramento del diabete di tipo 2 (72-73). La proteina TNFα è una adipochina con proprietà pro-infiammatorie che è prodotta da cellule mesenchimali come i monociti e i macrofagi (42): per quanto riguarda il tessuto adiposo, TNFα non è specificamente secreta dagli adipociti ma dalle cellule mesenchimali che sono presenti nell’ambito di un tessuto adiposo disfunzionale. Ovviamente quanto maggiori sono le porzioni del tessuto adiposo divenuto displasico, e quanto maggiore è il grado di displasia, tanto maggiore sarà la produzione e la secrezione di TNFα: infatti un incremento della produzione di TNFα si associa positivamente con il grado di obesità. TNFα induce nell’organismo uno stato di infiammazione di grado lieve che tra le altre cose ostacola notevolmente sia la secrezione insulinica sia l’entrata dell’insulina nel milieu intracellulare di muscoli, fegato e adipociti (74-75) e promuove globalmente l’apoptosi cellulare. La proteina Il-1β è una citochina con proprietà pro-infiammatorie anch’essa secreta dalle cellule immunitarie del tessuto adiposo displasico, che può giocare un ruolo primario nei processi di distruzione e apoptosi delle cellule beta del pancreas, contribuendo anch’essa all’insorgenza e/o alla progressione del diabete di tipo 2 (76); non a caso nel paziente con obesità e diabete la secrezione di Il-1β aumenta in corrispondenza del peggioramento delle condizioni metaboliche. In particolare, Il-1β sarebbe una proteina in grado di aggravare anche per via paracrina quelle condizioni di infiammazione di basso grado nell’ambito del tessuto adiposo, le quali corrispondono a un aumento ulteriore delle secrezioni di adipochine pro-infiammatorie come il TNFα e quindi rappresentano la causa fondamentale dell’insorgenza delle complicazioni metaboliche dell’obesità (77).
ADIPOCHINE, OBESITÀ, INFIAMMAZIONE A BASSO GRADO E INSULINO-RESISTENZA
Nei soggetti in sovrappeso e nei pazienti obesi, una concomitanza di fattori genetici, epigenetici e ambientali favorisce la positivizzazione del bilancio energetico, e ciò spinge inesorabilmente all’incremento ponderale e a modificazioni talora marcate delle dimensioni, della distribuzione, delle funzioni e della composizione cellulare del tessuto adiposo. Come è stato accennato, l’incremento dimensionale del tessuto adiposo influenza profondamente la biologia degli adipociti, e quindi determina modificazione della produzione e della secrezione delle adipochine. In condizioni fisiologiche, l’incremento delle dimensioni del tessuto adiposo può corrispondere e cambiamenti armonici e proporzionali del “pattern” adipochine. Tra le persone obese, circa il 20% dei soggetti rimane normalmente sensibile all’insulina e con un atteggiamento metabolico normale, e forma quindi un gruppo di pazienti obesi “metabolicamente sani”, nei quali, nonostante l’incremento delle dimensioni, verisimilmente la distribuzione e la composizione del tessuto adiposo rimangono quelle fisiologiche e il quadro delle adipochine nel sangue sostanzialmente normale (78-79). Non esistono peraltro studi longitudinali in proposito, e non sappiamo se un obeso “metabolicamente sano” non sia con l’andare degli anni destinato a divenire intollerante al glucosio, diabetico, dislipidemico o iperteso. Nella maggior parte degli individui obesi viceversa l’incremento ponderale è sostenuto anche da un accumulo di tessuto adiposo morfologicamente e funzionalmente anormale: il grasso si deposita in regioni ectopiche sostituendo in parte tessuti di altro tipo, gli adipociti diventano ipertrofici e sono in condizioni di ipossia e di stress cellulare, il tessuto adiposo è infiltrato da elementi di tipo infiammatorio come monociti, macrofagi e granulociti neutrofili. In altre parole, nei pazienti obesi il tessuto adiposo che si accumula può divenire displasico in diversa misura, e in condizioni di displasia il tessuto adiposo produce quelle proteine che causano nell’intero organismo uno stato di infiammazione di basso grado, la quale a sua volta predispone all’arteriosclerosi, al cancro e alle malattie cardiovascolari (80-85). Come è stato accennato, le adipochine, e in particolare quelle prodotte nel tessuto adiposo displasico, possono alterare i segnali insulinici e i recettori insulinici presenti sulle membrane cellulari con meccanismi molto complessi, che non sono ancora completamente conosciuti e che sono attualmente in studio nei più importanti laboratori di ricerca metabolica. Da un punto di vista di fisiologia cellulare, le adipochine pro-inflammatorie regolano con molecole a tipo inibitorio la captazione e la sintesi di glucosio da parte di muscolo, fegato e tessuto adiposo, la neoglicogenogenesi epatica e la sensibilità periferica all’insulina (41, 80). Accanto all’abnorme accumulo di tessuto adiposo, altri fattori ambientali o micro-ambientali, come l’ipossia, lo stress cronico, la resistenza insulinica o l’iperproduzione di ormoni steroidei possono portare non solo a una disfunzione del tessuto adiposo, caratterizzata come abbiamo visto da infiltrazione tissutale di macrofagi, linfociti, fibroblasti e cellule endoteliali, ma anche a deposizione di grasso ectopico (86). A questo, come in un circolo vizioso, fa seguito la iperproduzione di adipochine di tipo pro-infiammatorie che aggravano a loro volta la situazione metabolica e portano a un ulteriore incremento della resistenza insulinica e diminuzione della secrezione delle cellule beta (87-88). L’infiltrazione del tessuto adiposo con cellule di tipo endoteliale e infiammatorio può aumentare anche se non si incrementano le dimensioni globali del tessuto adiposo e il peso corporeo rimane quindi nell’intervallo di normalità, e ciò determina anche in una persona non obesa la comparsa delle complicazioni caratteristiche dell’obesità (41, 80-82, 85, 89-90).
In conclusione, nel soggetto sovrappeso e nel paziente obeso la salute metabolica sembra essere relativamente indipendente dalle dimensioni del tessuto adiposo, e la comparsa di alterazioni metaboliche dipende sostanzialmente dalla distribuzione del grasso e dalla composizione, dalla morfologia e dalla fisiologia del tessuto adiposo, e di conseguenza dalla produzione e dalla secrezione di adipochine. Nella cosiddetta obesità benigna i pazienti possono presentare un grado di obesità estremo senza grossolane alterazioni della sensibilità insulinica e mantenere a lungo una buona salute cardiovascolare, mentre in altri individui può comparire il diabete di tipo 2 o gravi malattie cardiovascolari, anche se con peso normale o con lieve sovrappeso.
LE ADIPOCHINE E LA CHIRURGIA BARIATRICA
A lungo termine dopo chirurgia bariatrica, la grande maggioranza dei pazienti operati conduce una vita del tutto normale, e questa è la più chiara dimostrazione che essi hanno uno stato nutrizionale e metabolico sostanzialmente normale. Quindi, possiamo realisticamente ipotizzare che dopo l’intervento il pool proteico sia rimasto entro limiti del tutto fisiologici normali e che il calo ponderale si sia verificato principalmente per riduzione dimensionale dei settori adiposi. Come è stato accennato, sino a non molto tempo fa il tessuto adiposo era considerato un tessuto omogeneo e metabolicamente quasi inerte, e si riteneva che una sua eventuale riduzione dimensionale anche massiva non comportasse sostanziali modifiche della sua composizione e struttura. Abbiamo visto che il tessuto adiposo presenta invece una configurazione complessa, un’intensa attività endocrina e paracrina ed è quindi possibile ipotizzare che la composizione e la qualità delle porzioni di tessuto adiposo perso possa essere molto rilevante nel determinare gli esiti metabolici dell’intervento.
Negli anni passati sono stati condotti molti studi specifici per gli effetti degli interventi di chirurgia bariatrica sulla concentrazione ematica delle adipochine. La leptina sostanzialmente riflette il grado di adiposità del soggetto. Dopo un intervento di chirurgia bariatrica la concentrazione ematica di leptina si riduce durante il periodo di perdita di peso, rimane sostanzialmente immutata se il peso corporeo è mantenuto stabile e si incrementa parallelamente a una eventuale ripresa ponderale (63, 91-95). La rapida riduzione della concentrazione ematica di leptina nelle prime fasi postoperatorie dopo RYGBP e BPD non correlata al decremento dimensionale del tessuto adiposo è verisimilmente legata alla interruzione temporanea dell’introito di cibo (96-97). Il rapido ripristino delle sensibilità alla leptina sembra sia da ascrivere allo spiccato miglioramento della sensibilità insulinica che si verifica già nelle prime fasi dopo l’intervento. Tuttavia dati di studi recenti su pazienti sottoposi a BPD hanno dimostrato un ruolo solo marginale della produzione leptinica nel recupero della fisiologica azione dell’insulina. In ogni caso la riduzione della concentrazione ematica di leptina e quindi il miglioramento delle sensibilità alla leptina può giocare un ruolo non indifferente nei meccanismi di mantenimento del peso corporeo nel follow-up a lungo temine (91). La perdita di peso dopo chirurgia bariatrica è accompagnata costantemente da un marcato incremento della concentrazione ematica di adiponectina (63, 91, 98-102). L’adiponectina è un potente agente insulino-sensibilizzante con proprietà antinfiammatorie, e, soprattutto a lungo termine, l’aumento della secrezione e della concentrazione ematica di adiponectina giustifica in gran parte i benefici metabolici che si ottengono nella maggior parte dei pazienti operati (42, 48). Inoltre l’adiponectina facilita il calo ponderale, soprattutto il mantenimento di un peso ridotto, in quanto presenta spiccate azioni di stimolo del dispendio energetico per azione centrale (51). È stato osservato che una concentrazione elevata di adiponectina nel sangue è associata a una riduzione del rischio cardiovascolare, e questo può riflettere la riduzione delle morbilità e della mortalità cardiovascolare osservata dopo gastroplastica o RYGBP (103). Nei pazienti diabetici, a differenza della leptina, l’incremento postoperatorio della concentrazione ematica di adiponectina sembra collegata più al miglioramento complessivo dell’azione insulinica che non semplicemente alla riduzione dimensionale dei settori adiposi (91, 104-105). Il miglioramento dell’azione insulinica determinato precocemente dall’azione degli ormoni gastrointestinali favorirebbe la produzione di adiponectina, che si opporrebbe direttamente all’azione delle citochine pro-infiammatorie. La produzione di adipochine e citochine pro-infiammatorie a sua volta si ridurrebbe sia per riduzione dimensionale dei settori adiposi con decremento della produzione di leptina, sia per progressiva scomparsa del tessuto adiposo displastico, con decremento della produzione di TNFα, Il-1β, apelina e vaspina ad altre adipochine a azione simile. In altri termini, l’esito metabolico dell’intervento a lungo termine risulterebbe sostanzialmente funzione dell’equilibrio tra fattori anti e pro infiammatori (106).
Tuttavia gli studi condotti sino ad ora sulla produzione e la secrezione delle altre adipochine dopo chirurgia bariatrica forniscono unicamente risultati parziali e sostanzialmente inconclusivi e contraddittori (85). Le classiche citochine pro-infiammatorie, come TNFα e Il-1β, sono in larghissima parte prodotte da tessuti mesenchimali non adiposi, dove svolgono sostanzialmente una azione paracrina, e quindi la concentrazione ematica risulta trascurabile (42, 48): infatti le modificazioni post-chirurgia bariatrica della concentrazione ematica di TNFα e Il-1β sono per solito inapparenti o non clinicamente rilevanti (100, 102, 107-109). I livelli plasmatici di visfatina aumentano dopo chirurgia bariatrica e per solito sono correlate positivamente con la riduzione della circonferenza addominale, e quindi con il decremento dimensionale del tessuto adiposo viscerale (110-111): inoltre la visfatina ha un ben documentato effetto insulino-mimetico (112), e questo può indicare che un suo incremento postoperatorio può giocare un ruolo nel determinare il complessivo miglioramento dell’azione insulinica. Gli effetti della chirurgia bariatrica sulla concentrazione ematica di resistina non forniscono dati conclusivi. Alcuni studi hanno dimostrato una netta riduzione della resistina circolante dopo RYGBP (113-115) e una correlazione positiva tra decremento del livello serico di resistina e l’aumento della tolleranza glicidica (114-116), mentre altri non hanno evidenziato modificazioni apprezzabili del livello di resistina nel sangue nonostante un esito metabolico favorevole (64, 116-117). La produzione di apelina nel tessuto adiposo è risultata positivamente associata alla riduzione delle sensibilità insulinica e in soggetti obesi con ridotta azione insulinica dopo chirurgia bariatrica è stato messo in evidenza un marcato decremento della concentrazione ematica di apelina parallelo al miglioramento dell’azione insulinica (118-119). Parimenti, il livello ematico di vaspina si riduce dopo la perdita di peso postoperatoria (120-122), anche se i valori ottenuti sembrano riflettere più l’azione insulinica che il grado di obesità. Anche livelli di RBP si riducono, ancora una volta testimoniando un miglioramento dell’attività insulinica e il ripristino postoperatorio della sensibilità al glucosio (123-125).
Come è stato accennato, quando ne vengono accumulate grandi quantità, o quando per decenni è presente nell’organismo in misura eccessiva, il tessuto adiposo va incontro a una trasformazione e diviene displasico (126-128). La displasia del tessuto adiposo comporta alterazioni nella composizione del tessuto adiposo stesso, con un aumento intra-tissutale di cellule di tipo immunitario, macrofagi, cellule linfoidi, granulociti e elementi di tipo flogistico, che spingono gli adipociti alla apoptosi, alla fibrosi e all’autofagia. Accanto a queste modificazioni della struttura morfo-funzionale, la displasia adiposa è caratterizzata dall’accumulo del cosiddetto grasso epicardico, deposito di tessuto adiposo di tipo viscerale e displastico che si forma nel mediastino e intorno alle cavità cardiache. D’altro lato il grasso può essere depositato nell’ambito di tessuti non adiposi, e infiltrare diversi organi, come il fegato, il pancreas, il muscolo scheletrico e il miocardio, e si forma il cosiddetto tessuto adiposo ectopico (129-131). I tessuti adiposi distopici ed ectopici possono provocare alterazioni nella produzione e nella secrezione di adipochine e quindi causare evidenti modificazioni del pattern delle citochine dell’organismo, determinando quell’aumento della sensibilità insulinica e provocando quella infiammazione cronica di basso grado che sono caratteristiche dell’obesità e della sindrome metabolica. Il massiccio calo ponderale causato dalla chirurgia bariatrica potrebbe portare alla demolizione non solo di tessuto adiposo a composizione fisiologica, ma anche di tessuto adiposo displastico con conseguente liberazione delle cellule di cui era infiltrato. Questo fenomeno potrebbe essere, come è stato accennato, controbilanciato da una secrezione aumentata di agenti anti-infiammatori, come l’adiponectina o la visfatina, ma potrebbe anche portare a alterazioni del pattern della adipochine o delle citochine con una predominanza degli elementi a tipo pro-infiammatorio, e impedire quindi un una stabile e completa guarigione metabolica. Pertanto, dopo un intervento bariatrico, nonostante un calo ponderale soddisfacente, un incremento della produzione o della secrezione di TNFα, di Il-1β, di vaspina, di apelina o di resistina sia in termini assoluti sia in termini relativi potrebbe giustificare la recidiva del diabete, così come la mancata normalizzazione della attività leptinica potrebbe influenzare l’introito di cibo postoperatorio ed essere alla base di un recupero ponderale sino alla recidiva dell’obesità. Ma questo per fortuna non è un evento frequente. Sappiamo che il diabete di tipo 2 deve essere considerato una malattia progressiva per un graduale deterioramento nel tempo della secrezione insulinica dovuta alla apoptosi delle cellule beta del pancreas (132-133): di conseguenza, a lungo e a lunghissimo termine dopo l’intervento nei pazienti preoperativamente diabetici dovrebbe inevitabilmente verificarsi un peggioramento progressivo delle condizioni metaboliche e pertanto la recidiva del diabete dovrebbe essere la regola. Invece nella realtà più di tre quarti dei pazienti diabetici operati di RYGBP o BPD mantiene indefinitamente un metabolismo glucidico perfettamente normale o quasi normale, mentre il diabete recidiva solo in una minoranza dei casi. Poiché gli effetti gastrointestinali dell’intervento sono simili in tutti i pazienti, possiamo ipotizzare che i risultati metabolici positivi a lungo termine siano sostanzialmente dovuti al mantenimento di un bilancio ottimale tra le proteine anti e pro-infiammatorie. Questa ipotesi è avvalorata dalla correlazione positiva tra la concentrazione ematica di adiponectina e la secrezione di insulina osservata nei pazienti con stabile remissione postchirurgica del diabete (91). Inoltre, è noto che la prevalenza di diabete di tipo 2 tra i pazienti post-obesi operati di chirurgia bariatrica è molto più bassa rispetto a quella della popolazione generale (136). Questo suggerisce la presenza di un fattore che previene il naturale declino della secrezione insulinica nel corso dei decenni, che può essere rappresentato dal ripristino di un equilibrio fisiologico tra la secrezione e la produzione di adipochine pro e di adipochine anti-infiammatorie.
CONCLUSIONI E INDIRIZZI PER LA RICERCA FUTURA
La maggior parte della letteratura degli ultimi dieci anni ha ritenuto che gli effetti metabolici positivi della chirurgia bariatrica non dipendenti dal peso calo ponderale fossero sostanzialmente determinati da fattori legati alle modificazioni anatomiche e funzionali del tratto gastro-intestinale causate specificamente dall’intervento. Poiché i buoni risultati ponderali e metabolici venivano mantenuti stabilmente nel tempo in circa tre quarti dei pazienti, è stato sempre ritenuto che gli effetti gastrointestinale funzionassero permanentemente. Tuttavia, anche se il pattern entero-ormonale dopo BPD a RYGBP non si modifica negli anni, negli individui che prima dell’intervento erano diabetici a lungo termine possiamo osservare una recidiva del diabete in circa un terzo dei pazienti operati spesso indipendentemente dal recupero ponderale (11-14). Pertanto dobbiamo ritenere che le modificazioni anatomo-funzionali del tratto gastrointestinale che riescono a mantenere un peso stabilmente ridotto non siano in grado di assicurare a lungo termine livelli glicemici nella norma. Di conseguenza, per un mantenimento negli anni di un compenso metabolico è necessario ipotizzare l’intervento di altri fattori.
Nella maggior parte dei pazienti con grave obesità sono presenti alterazioni del pattern di adipochine di maggiore o minore entità che riflettono una displasia adiposa di diverso grado. Dopo un calo ponderale massivo conseguente alla chirurgia bariatrica, si verificano modificazioni assai profonde della secrezione e della produzione di adipochine, che verisimilmente dipendono dalla quantità e dalla composizione sia del tessuto adiposo perso sia di quello che rimane. La produzione e la secrezione di proteine di tipo anti-infiammatorio, come l’adiponectina e la visfatina, contribuiscono alla risoluzione delle complicanze metaboliche, mentre la predominanza di proteine pro-infiammatorie in termini sia assoluti sia relativi può essere associata a risultati metabolici e/o ponderali postoperatori negativi, quali il riacquisto di peso o alla recidiva del diabete o dell’obesità.
Possiamo quindi ipotizzare che, dopo la perdita di peso iniziale e gli effetti benefici delle modificazioni del pattern entero-ormonale, la produzione e la secrezione di adipochine e di citochine giochino un ruolo fondamentale del determinare i risultati a lungo e a lunghissimo termine della chirurgia bariatrica. Attualmente, la morfologia e la composizione del tessuto adiposo in condizioni di obesità estrema è ancora scarsamente conosciuta, e pochi dati sono a disposizione circa la morfologia del tessuto adiposo in condizioni di displasia e il relativo pattern di adipochine. Inoltre la composizione cellulare e l’attività funzionale del tessuto adiposo dopo massivo calo ponderale ottenuto con o senza la chirurgia è ancora in larga parte sconosciuta.
Infine abbiamo scarse informazioni sul pattern ematico di adipochine e di citochine a lungo temine dopo chirurgia bariatrica, con i relativi correlati clinici in termini sia di calo ponderale sia di risultati metabolici. Ogni settore corporeo che consuma energia comunica con il sistema che la assorbe (il tratto gastrointestinale) e con il sistema che la immagazzina (il tessuto adiposo). Un adeguato stato di salute implica un accurato bilancio tra introiti e spese energetiche e quindi un’adeguata funzione adipochinica e citochinica per la comunicazione intra-tissutale. Quindi, per una vera e propria guarigione dall’obesità la stabile normalizzazione del peso deve corrispondere a una normalizzazione del pattern di adipochine.
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