LADA e obesità: un’associazione da non escludere

Carla Maccora, Valeria Cenci, Chiara Secchi

U.O.C. Diabetologia e U.O.C. Endocrinologia, Università degli Studi di Siena

Giunge alla nostra osservazione, nel mese di marzo 2016, una donna di 41 anni, per effettuare una valutazione clinico-strumentale per sospetto macroadenoma ipofisario.

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Anamnesi familiare: familiarità positiva per ipertensione arteriosa (padre e un fratello). Nessuna familiarità per diabete mellito, patologie neoplastiche e tiroidee.

Anamnesi patologica remota: tiroidite cronica autoimmune variante atrofica in trattamento sostitutivo con levotiroxina (Fig. 1), obesità di II grado complicata da epatomegalia steatosica, ipercolesterolemia ed ipertrigliceridemia.

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Anamnesi diabetologica e relativa all’obesità: la paziente riferisce un peso di circa 60 Kg [Body Mass Index (BMI) 26,67 Kg/m2] nel corso dell’adolescenza e il raggiungimento del peso massimo di 102 Kg (BMI 45,3 Kg/m2) in età adulta. Il maggior incremento ponderale si è verificato in corrispondenza delle tre gravidanze. La paziente porta in visione esami ematici eseguiti nel mese di settembre 2014 in cui si riscontrava una glicemia pari a 128 mg/dl e nel mese di dicembre 2014 pari a 117 mg/dl.

Anamnesi patologica prossima (macroadenoma ipofisario): nel settembre 2014, in seguito ad un prolungato periodo di amenorrea, la paziente praticava, su consiglio del medico di base, esami ormonali dai quali emergeva iperprolattinemia (prolattina: 1042 mUI/l v.n. 102-496; dopo 30’min 990 mUI/l). Venivano quindi eseguite una TC cranio senza mezzo di contrasto (“slargamento della sella turcica con significativo ingrandimento della ghiandola ipofisaria”) e RM della sella turcica, con sistema aperto e senza mezzo di contrasto (“presenza di voluminosa formazione espansiva a livello dello scavo sellare con sviluppo endo-sotto-sovrasellare con diametro massimo in senso cranio-caudale di circa 2,5 cm, che contatta dal basso il chiasma ottico ed impegna lateralmente il seno cavernoso di sinistra, invaso dalla neo-
formazione”). Pertanto, veniva consigliata terapia con cabergolina, che la paziente assumeva solo per un mese.

Anamnesi farmacologica: levotiroxina 100 µg dal lunedì al venerdì, levotiroxina 75 µg il sabato e la domenica.

All’esame obiettivo:

Facies: composita. Peso: 86,5 Kg. Altezza: 150 cm. BMI: 38,44 Kg/m2. Collo: tiroide mal valutabile per morfotipo, non dolorabilità alla palpazione. Torace: emitoraci normoespansibili e simmetrici, fremito vocale tattile normotrasmesso, murmure vescicolare fisiologico, non rumori patologici aggiunti. Cuore: rivoluzioni cardiache ritmiche, toni parafonici, pause apparentemente libere. Pressione arteriosa: 130/85 mmHg. Frequenza cardiaca: 106 bpm. Addome: globoso, trattabile, non dolente né dolorabile alla palpazione superficiale e profonda; peristalsi presente, segni di Murphy/Blumberg negativi; fegato e milza apparentemente nei limiti. Reperti speciali: ad entrambi gli occhi lievissima depressione supero-temporale con soglia bassa al campo visivo ed assenza di galattorrea spontanea e provocata. Gli esami hanno permesso di concludere per macroadenoma ipofisario non secernente, anche in considerazione dei test di stimolo eseguiti durante il ricovero. Valutando gli episodi di cefalea frontale riferiti dalla paziente e la neoformazione (Fig. 2) che sollevava significativamente il chiasma ottico, che  invadeva completamente la loggia cavernosa di sinistra, che inglobava il sifone carotideo omolateralmente, che improntava sulla regione temporo-mesiale e che deviava verso destra il peduncolo ipofisario, è stato ritenuto opportuno l’intervento chirurgico di adenectomia. 

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Per quanto riguarda il quadro di obesità di II grado, in seguito alle valutazioni effettuate, sono state confermate la dislipidemia, l’ipertrigliceridemia e la steatosi epatica di II grado e diagnosticate cardiopatia ipertensiva con disfunzione diastolica di I grado ed aorta ascendente aneurismatica. In seguito al riscontro di glicemia basale di 136 mg/dl a digiuno, su prelievo venoso, è stata valutata anche l’emoglobina glicata (HbA1c) che è risultata pari a 6,8 %, con peptide C 3,09 ng/ml (0,7-4), insulina 21,8 µUI/ml (2,6-24,9), amilasi e lipasi nella norma. In considerazione del netto miglioramento dei profili glicemici registrati non è stata consigliata alcuna terapia farmacologica, ma solo un adeguato regime dietetico. (Tab. 1).

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Vista la giovane età della paziente e la storia personale di patologie autoimmuni, è stata effettuata anche una valutazione del profilo autoanticorpale coinvolgente la patologia diabetica: gli anticorpi anti-GAD (glutamic acid decarboxylase 65 antibody, GADA) sono risultati negativi (3,1U/ml v.n. <5) mentre gli anticorpi anti- IA 2 (tyrosine phosphatase-like insulinoma-associated protein 2, IA-2A) sono risultati positivi (10,7 U/ml v.n.<7,5), utilizzando il costrutto che contiene l’intera molecola IA-2 (aa 1-979).

È possibile ancora parlare di diabete mellito di tipo 2?

Cos’è il LADA? Eziopatogenesi, diagnosi e terapia

Nella classificazione della patologia diabetica, da alcuni anni, è stata introdotta una nuova entità, da considerarsi comunque una forma di diabete mellito di tipo 1 (DM1), il LADA (latent autoimmune diabetes in adults), patologia caratterizzata da una presentazione clinica simile a quella del diabete mellito di tipo 2 ed accompagnata da positività autoanticorpale come nel DM1.

L’inquadramento diagnostico non è di facile esecuzione: circa il 5% dei pazienti inizialmente classificati come diabetici di tipo 2 è in realtà affetto da una forma di diabete autoimmune a lenta evoluzione (1). I criteri diagnostici implicano che i pazienti debbano  avere:

– almeno 30 anni

– positività per almeno uno dei quattro anticorpi comunemente riscontrati nel DM1 [GADA, IA-2A, Zinc Transporter 8 (ZnT8A), anti-insulin antibody (IAA)]

– non essere stati trattati con terapia insulinica nei primi 6 mesi dalla diagnosi (2).

I test diagnostici utili per confermare il sospetto clinico di LADA sono la determinazione dei marcatori di autoimmunità e la valutazione della funzione β-cellulare mediante misurazione del C-peptide basale e dopo stimolo con glucagone. Il test è utile per l’inquadramento diagnostico e prognostico nei casi di incerta classificazione, non rappresentando tuttavia l’unico criterio su cui basare la scelta terapeutica.

Nel considerare il processo evolutivo del LADA si dovrebbe preservare il C-peptide e quindi le β-cellule dalla distruzione. Come suggeriscono le evidenze nel DM1, si è visto infatti che gli individui con produzione endogena di insulina conservata hanno un valore minore di HbA1c e di complicanze microvascolari (proteinuria e retinopatia), rispetto ai pazienti con esaurimento β-cellulare. L’approccio terapeutico del LADA consiste nel seguire innanzitutto un corretto stile di vita attraverso la dieta e l’attività fisica e naturalmente nell’effettuare gli screening relativi alle complicanze del diabete, al fine di ottenere un buon controllo glico-metabolico. Il regime terapeutico insulinico da adottare non è ancora chiaro: nel caso in cui la riduzione di secrezione insulinica avvenga precocemente, può essere utile introdurre terapia con insulina a lento rilascio da integrare eventualmente con uno schema multi-iniettivo, nella possibilità di uno scarso compenso glico-metabolico (3).

Nella fase iniziale di malattia possono rientrare tra le strategie terapeutiche anche varie classi di antidiabetici orali. Le sulfoniluree, stimolanti la secrezione insulinica delle β-cellule, sono inizialmente molto efficaci per il controllo glicemico, tuttavia, progressivamente, lo stress cellulare indotto causa un depauperamento delle riserve insuliniche che potrebbe essere deleterio nel LADA.

Nei pazienti con elevata insulino-resistenza può essere inoltre utile il trattamento con metformina. Negli ultimi anni è stato valutato il possibile utilizzo degli inibitori della dipeptidil-peptidasi 4 (DPP-4) come sitagliptin, linagliptin e saxagliptin, nei pazienti con LADA. È stato osservato, in uno studio prospettico, che il trattamento con sitagliptin preservava maggiormente i livelli circolanti del C-peptide dopo dodici mesi di trattamento rispetto ai pazienti trattati con placebo. Rimane tuttavia da chiarire se gli inibitori del DPP-4 influenzino la funzione β-cellulare, indipendentemente dall’azione insulino-stimolante (4).

Il BMI non è un limite per la nuova diagnosi di LADA

In considerazione del grado di obesità della nostra paziente, si poteva ipotizzare che il diabete neodiagnosticato fosse verosimilmente di tipo 2, ma una volta valutati gli anticorpi e la positività degli IA-2, si può ancora parlare di diabete mellito di tipo 2? La risposta a questa domanda viene data da uno studio condotto su 1850 pazienti del gruppo NIRAD (Non-Insulin Requiring Autoimmune Diabetes), nei quali sono stati valutati BMI (<25, ≥25 fino a <30 e ≥30 Kg/m2), le caratteristiche cliniche, biochimiche e gli autoanticorpi diretti contro GAD, contro la molecola IA-2 e contro l’epitopo 256-760 di quest’ultima. Del campione totale, 120 pazienti (6,5%) sono risultati positivi per almeno uno degli anticorpi valutati: in particolare i GADA nel 4,1% dei casi, il frammento IA-2 (256-760) (IA-2A (256-760)) nel3,3% e IA-2A nell’1,1%. Andando a valutare anche le caratteristiche cliniche dei pazienti, è stato riscontrato che la frequenza di GADA e IA-2A era inversamente proporzionale al BMI, mentre la frequenza degli IA-2A (256-760) aumentava con il crescere del valore del BMI. I pazienti che risultavano positivi per questo frammento degli IA-2A avevano inoltre un fenotipo simile a quello dei pazienti obesi affetti da diabete mellito di tipo 2, con un valore maggiore di BMI, di circonferenza vita, uricemia, di colesterolo totale e valori minori di colesterolo HDL e di anticorpi anti-tireoperossidasi (anti-TPO). Questi pazienti, inoltre, avevano anche una minore probabilità di progressione verso la sola terapia insulinica rispetto ai pazienti positivi per i GADA. In questo studio, sono stati valutati anche gli anticorpi contro lo ZnT8A: la frequenza di tale parametro diminuiva all’aumentare del BMI. Per quanto riguarda la progressione verso la terapia insulinica nei sette anni di follow-up, le percentuali maggiori si ritrovavano nei pazienti positivi ai GADA e sia ai GADA che ad IA-2A (256-760), a differenza di chi era positivo solo ad IA-2A (256-760). Di quest’ultima popolazione, nessuno dei pazienti, nel follow-up eseguito, intraprendeva terapia insulinica (5).

LADA e malattie autoimmuni

Dalle ultime evidenze scientifiche, è noto che, così come nel DM1, anche nel LADA il rischio di sviluppare malattie autoimmuni sia aumentato rispetto a quello della popolazione generale. Nel DM1 la tendenza allo sviluppo di autoanticorpi è infatti maggiore, anche in base al genotipo-HLA espresso; nello stesso modo, nei pazienti affetti da LADA, è aumentato il rischio di sviluppare autoimmunità, soprattutto tiroidea e surrenalica, oltre che la malattia celiaca. Come descritto in una review pubblicata nel 2005, è emersa un’alta frequenza di positività agli anti-TPO nei pazienti affetti da LADA (24%) rispetto a quelli affetti da diabete di tipo 2 (5%). Lo stesso vale per gli anticorpi anti transglutaminasi, che nei pazienti affetti da LADA risultavano positivi nel 19% dei casi (anche se la reale prevalenza della malattia celiaca in questa popolazione non veniva descritta per mancata esecuzione del prelievo bioptico diagnostico) (6).

La presenza di autoanticorpi organo-specifici è poi ancora maggiore nei pazienti affetti da LADA positivi all’HLA-DR3-DQ2, e questo sottolinea come anche la suscettibilità genica ricopra un ruolo fondamentale nell’instaurarsi di queste patologie. Questo è stato confermato da un recente studio pubblicato nel 2016 da Szepietowska et al. che ha dimostrato come, nei pazienti affetti da LADA, l’incidenza di tiroidite autoimmune e di malattia celiaca sia particolarmente alta, soprattutto nei pazienti con genotipo DQA1*0301 e DQB1*0201, rispettivamente. In questo studio venivano monitorati i valori ematici di TSH, anticorpi anti-tireoglobulina (ATG), anti-TPO, anticorpi anti-21 idrossilasi (A21-OH) e le IgA anti-transglutaminasi in 70 pazienti affetti da LADA, in 69 pazienti affetti da diabete mellito di tipo 2 e in 50 pazienti sani. La frequenza di positività per ATG, ATPO e A21OH era più alta nei pazienti affetti da LADA rispetto ai pazienti diabetici di tipo 2 e ai pazienti sani (7).

Obesità e malattie autoimmuni

E l’obesità? Esiste una correlazione tra BMI e tendenza a sviluppare patologie autoimmuni? Uno studio danese del 2014 risponde a questa domanda sottolineando come l’obesità sia un fattore di grande impatto sul sistema immunitario (8). L’obesità è una condizione infiammatoria sistemica cronica, con elevati livelli circolanti di leptina e di markers infiammatori quali proteina C reattiva, TNF-α e IL-6. Le adipochine pro-infiammatorie e la leptina, che sono secrete in eccesso dagli adipociti dei soggetti obesi, sono state identificate come importanti modulatori immunologici, con un possibile ruolo nello sviluppo di patologie autoimmuni, sostenendo la proliferazione dei linfociti autoreattivi. A conferma di ciò, in questo studio svolto su una popolazione di 75008 donne danesi di giovane età, i valori di BMI risultavano spesso correlati ad un’aumentata incidenza di patologie autoimmuni. Particolarmente rilevante era la correlazione tra obesità (BMI >30) e sarcoidosi (3 volte maggiore rispetto alla popolazione normopeso) e tra obesità e diabete di tipo 1 (2 volte maggiore rispetto alla popolazione normopeso). Nella popolazione obesa studiata emergeva inoltre un alto rischio di sviluppare psoriasi, artrite reumatoide e morbo di Crohn; l’incidenza di quest’ultimo risultava più elevata nella popolazione obesa ed in quella sottopeso (BMI <18,5) rispetto alla popolazione normopeso. Anche la correlazione con la tiroidite autoimmune rientrava tra le 42 patologie autoimmuni indagate in questo studio e, per quanto la differenza di incidenza tra la popolazione obesa e quella normopeso non fosse particolarmente spiccata, ciò che colpisce è come, nella maggior parte di queste patologie, l’elevato BMI sia un fattore spesso presente, a dimostrare come i cambiamenti immunologici correlati all’obesità possano indurre risposte autoimmuni.

L’ipotesi che l’infiammazione cronica che caratterizza l’obesità viscerale possa essere alla base delle patologie autoimmuni, si riscontra anche nei confronti delle β-cellule pancreatiche, in particolare nell’attivazione delle cellule T-helper 17 (Th17). Molto probabilmente queste vengono convertite in un fenotipo sia Th1 che Th2, causando patologie immunitarie mediate da questo tipo di cellule. Non bisognerebbe quindi cadere nella tentazione di considerare l’obesità viscerale come uno dei principali fattori di rischio per il solo diabete mellito di tipo 2, ma anche di patologie immunomediate compreso il diabete autoimmune (5).

CONCLUSIONI

Nel caso della nostra paziente, non è stata valutata la presenza di anticorpi anti-insulina, dal momento che questi rappresentano un marker tipico del diabete in età prepubere, infatti tale parametro è inversamente proporzionale all’età e quindi estremamente raro nei soggetti adulti. Sono stati inoltre valutati, successivamente, anche gli anticorpi anti surrene, anti-parete gastrica, anti-ipofisi, anti-transglutaminasi IgA e ZnT8A risultati tutti negativi: quest’ultimo anticorpo è stato da poco introdotto come marker aggiuntivo per la valutazione dell’autoimmunità β-cellulare, sebbene la sua prevalenza sia abbastanza rara in questa tipologia di pazienti (5). A tale riguardo, è interessante notare come la nostra paziente sia risultata positiva per anticorpi diretti contro l’intera molecola IA-2 (1-979), che quindi contiene anche il frammento (256-760), mentre sia risultata negativa per anticorpi diretti contro il frammento IA-2 (605-976), ovvero l’epitopo immuno-dominante nel DM1.

La tiroidite autoimmune da cui è affetta la nostra paziente quindi conferma quanto descritto in letteratura, poiché molteplici sono i fattori predisponenti allo sviluppo di patologie autoimmuni: la diagnosi di LADA, l’elevato BMI e non ultima la possibile espressione di un determinato HLA, aspetto che sarebbe utile approfondire.

La nostra paziente, infine, è stata rivalutata dal punto di vista diabetologico a distanza di sei mesi, periodo in cui ha seguito solo regime dietetico specifico: il peso raggiunto era di 76 Kg (-10 Kg rispetto alla visita iniziale) con un BMI di 33,78 Kg/m2 e i valori di HbA1c erano pari a 5,8%, con una glicemia su prelievo venoso pari a 89 mg/dl. Pertanto, è stata confermata la sola terapia dietetica, programmando un nuovo controllo diabetologico a distanza di sei mesi, naturalmente monitorando il controllo glicometabolico e rivalutando la funzione β-cellulare alla luce dell’autoimmunità in atto.

La valutazione del BMI quindi non deve essere di ostacolo alla diagnosi di forme autoimmunitarie di diabete. Infatti molto spesso, nei pazienti affetti da LADA, possiamo osservare valori di BMI estremamente variabili, da valori al di sotto della norma fino a gradi severi di obesità.

BIBLIOGRAFIA

1. AMD-SID, Standard Italiani per la Cura del Diabete Mellito, 2016.

2. Buzzetti R, Capizzi M. Diabete autoimmune dell’adulto (LADA); diagnosi e terapia. L’Endocrinologo 2012 Dec; Vol 13, n. 6.

3. Resham R Poudel; Latent autoimmune diabetes of adults: From oral hypoglycemic agents to early insulin. Indian journal of endocrinology and metabolism 16, 2012.

4. Langensen E, Ostergaard JA, Leslie RDG; Latent autoimmune diabetes of the adult: current knowledge and uncertainty. Diabet. Med 32, 834-852, 2013.

5. Buzzetti R, Spoletini M, Zampetti S, Campagna G, Marandola L, Panimolle F, Dotta F, Tiberti C; NIRAD Study Group (NIRAD 8); Tyrosine phosphatase-related islet antigen 2 (256-760) autoantibodies, the only marker of islet autoimmunity that increases by increasing the degree of BMI in obese subjects with type 2 diabetes. Diabetes Care 2015 Mar; 38(3): 513-520.

6. S. Fourlanos, F. Dotta, C. J. Greenbaum, J. P. Palmer, O. Rolandsson, P.G. Colman, L.C. Harrison; Latent autoimmune diabetes in adults (LADA) should be less latent. Diabetologia 48: 2206-2212, 2005.

7. Barbara Szepietowska, Natalia Wawrusiewicz-Kurylonek, Adam Kretowski, Maria Gòrska, Malgorzata Szelachowska; Endocrine autoimmunity in patients with Latent Autoimmune Diabete in Adults (LADA) – association with HLA genotype. Endokrynologia Polska Tom/Vol 67; Numer/Number 2/2016.

8. Maria C Harpsoe, Saima Basit, Mikael Andersson, Nete M Nielsen, Morten Frisch, Jan Wohlfahrt, Ellen A Nohr, Allan Linneber and Tine Jess; Body mass index and risk of auotimmune diseases: a study within the Danish National Birth Cohort. Internationa Journal of Epidemiology 843-855, 2014.

 

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