Marilena Vitale, Claudia Vetrani, Angela Albarosa Rivellese
Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia, Università degli Studi di Napoli “Federico II”
DOI: 10.30682/ildia1803a
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Introduzione
Grazie all’allungarsi della vita media anche nei pazienti con diabete mellito, ormai, nella nostra pratica clinica quotidiana, ci ritroviamo sempre più frequentemente a dover gestire pazienti anziani diabetici, in particolare tipo 2 ma anche tipo 1. Il paziente diabetico anziano, oltre ad essere caratterizzato dalla presenza delle diverse comorbidità tipiche del diabete (infarto del miocardio, ictus, arteriopatia periferica, insufficienza renale, ipertensione arteriosa ecc.) in misura maggiore rispetto al diabetico non anziano, può presentare anche altre condizioni tipiche dell’età avanzata, come sarcopenia, fragilità, disturbi dell’umore, deficit cognitivi di grado variabile. Anche queste condizioni sono molto più frequenti nel diabete (1-2).
La strategia terapeutica e gli obiettivi da raggiungere devono tener conto di tutte queste condizioni e della complessità che ne deriva. Nell’ambito di tale strategia, anche quella nutrizionale deve adattarsi alle diverse condizioni presenti, che possono influenzare l’autonomia dei singoli individui, oltre che cercare di prevenirle (2-3).
Pertanto, se il paziente diabetico anziano è indipendente e in buone condizioni fisiche, la terapia nutrizionale dovrà rispecchiare quella prevista e raccomandata per il paziente diabetico non anziano, che tiene conto dell’ottimizzazione dei diversi fattori di rischio cardiovascolare oltre che del controllo glicemico. In aggiunta, sarà necessario porre un’attenzione particolare ad alcuni aspetti che sono in relazione alle modifiche fisiologiche legate all’invecchiamento e che potrebbero anche essere utili per la prevenzione delle condizioni strettamente legate all’avanzare dell’età, come sarcopenia, malnutrizione, fragilità, deficit cognitivi.
Invece, nel caso di disabilità, sia fisica sia cognitiva, e di ridotta aspettativa di vita, la terapia nutrizionale, così come l’insieme della strategia terapeutica, deve tener conto di tali situazioni e cercare di focalizzarsi sul miglioramento o, almeno, il non peggioramento della funzione sia fisica sia cognitiva (1).
Infatti, proprio per l’attualità e la rilevanza clinica relativa alla strategia da adottare per i pazienti diabetici anziani, la Società Italiana di Diabetologia (SID) insieme alla Società Italiana di Gerontologia e Geriatria ha recentemente formulato un position statement su questo argomento in cui vengono considerate le varie problematiche, si definiscono le strategie terapeutiche da adottare e gli obiettivi terapeutici da raggiungere (4).
In questa rassegna si cercherà di approfondire i punti critici della terapia nutrizionale nel paziente diabetico anziano partendo dalle evidenze scientifiche e arrivando alla gestione pratica.
Modifiche della composizione corporea con l’età
Tra le modifiche fisiologiche più rilevanti che si associano all’invecchiamento, si annoverano le modifiche della composizione corporea (5-6) e la progressiva riduzione del dispendio energetico (7). Nell’anziano si assiste ad un aumento fisiologico della percentuale di massa grassa che dal 14% nel giovane adulto passa al 30% nell’individuo anziano (Tab. 1) accompagnato dalla riduzione della massa magra, in particolare della massa muscolare. La riduzione della massa muscolare è pari al circa 16% rispetto al giovane adulto e deriva da un’alterazione dell’equilibrio tra i meccanismi di sintesi e lisi proteica (8). Infatti, la sintesi proteica in età avanzata è ridotta di circa il 30% mentre la velocità del catabolismo proteico resta invariata o addirittura aumentata. Inoltre, la riduzione della massa muscolare è legata prevalentemente alla progressiva riduzione dell’attività fisica, all’alimentazione inadeguata e a fattori infiammatori (aumento di citochine infiammatorie) e ormonali (riduzione di testosterone, ormone della crescita e fattore di crescita insulino-simile) (5-6).
Infine, è importante considerare che la perdita di massa magra si accompagna anche ad una riduzione della percentuale di acqua corporea rispetto al giovane adulto che è pari a circa l’8% (Tab. 1). Proprio per la presenza di tali variazioni, il peso corporeo e l’indice di massa corporea non sono sempre sufficienti nell’individuo anziano per una stima corretta della composizione corporea, per la quale è necessario utilizzare altre indagini, come ampiamente discusso nel position statement (4).
In secondo luogo, con l’invecchiamento si assiste anche ad una progressiva riduzione del dispendio energetico, che rappresenta la somma delle richieste di energia da parte dell’organismo. I fattori che determinano il dispendio energetico sono: a) il metabolismo basale, che rappresenta la spesa energetica richiesta dall’organismo per garantire le funzioni fisiologiche (60-75% del dispendio energetico); b) il dispendio da attività fisica, cioè l’impiego di energia per lo svolgimento dell’attività fisica volontaria (15-30% del dispendio energetico); c) la termogenesi indotta dalla dieta, che rappresenta la quota di energia utilizzata dall’organismo per la digestione dei macronutrienti (10-15% del dispendio energetico).
Nell’individuo anziano, la diminuzione del dispendio energetico è dovuta alla riduzione fisiologica del metabolismo basale ma anche alla riduzione della spesa energetica indotta dall’attività fisica che è in relazione con l’aumento progressivo della sedentarietà (7).
In particolare, il metabolismo basale si riduce di circa l’1-2% per decennio dopo i 20 anni. Questo declino sembra essere strettamente legato alla riduzione della massa magra, composta da tessuti ed organi metabolicamente attivi (7), sebbene sia dibattuto se tale riduzione del metabolismo basale sia interamente dovuta alle modifiche della composizione corporea (9-10).
Per quanto riguarda invece l’aumento della sedentarietà, numerosi studi hanno mostrato che l’attività fisica volontaria si riduce drasticamente con l’avanzare dell’età a causa di una complessa interazione tra fattori biologici, psicologici e socio-economici (11-12). L’aumento dell’inattività fisica provoca una drastica riduzione del consumo di energia da parte dell’organismo; inoltre, la diminuzione dell’attività fisica induce, nel tempo, la riduzione della massa magra, influenzando, così, anche il metabolismo basale (11).
Diabete, sarcopenia e fragilità
Numerosi studi hanno mostrato come il diabete mellito si associ in maniera rilevante ad una maggiore incidenza di sarcopenia e fragilità (13).
La sarcopenia è una condizione patologica in cui la progressiva riduzione della massa muscolare si associa ad un’importante perdita di forza e potenza muscolari (4). La sarcopenia, insieme ad altri fattori biologici (difficoltà di mobilità, debolezza muscolare, diminuzione dell’attività fisica e scarsa tolleranza all’esercizio, affaticamento e perdita di peso involontaria), sociali e psicologi determina un’aumentata vulnerabilità del soggetto anziano definita “fragilità”, che può aggravare le condizioni di salute generali dell’individuo, aumentando il rischio di disabilità, declino cognitivo, perdita di autosufficienza e mortalità (14).
Diversi studi epidemiologici hanno mostrato una stretta associazione tra diabete, sarcopenia e fragilità (13, 15); in particolare, una meta-analisi di studi di coorte ha mostrato un maggior rischio di sarcopenia e fragilità (50-80%) nei pazienti diabetici anziani rispetto ai soggetti anziani non diabetici (16).
La stretta associazione tra diabete, sarcopenia e fragilità deriva dalla presenza di vie patogenetiche comuni a queste tre condizioni patologiche. In particolare, la sarcopenia è caratterizzata da una ridotta attività fisica che induce una diminuzione dell’uptake di glucosio a livello muscolare, con conseguente iperglicemia, e da un aumento della presenza di grasso nel muscolo che si associa ad insulino-resistenza. Tali caratteristiche sono notoriamente fattori di rischio per lo sviluppo di diabete. Inoltre, la sarcopenia e la fragilità si associano a sovrappeso/obesità e alla presenza di infiammazione subclinica che rappresentano ulteriori fattori di rischio associati al diabete.
Infine, è noto che il diabete e le sue complicanze micro e macrovascolari aumentano il rischio di disabilità fisica del 50-80% rispetto ai soggetti non diabetici, e, pertanto, predispongono il soggetto anziano diabetico ad un maggiore rischio di sarcopenia e fragilità (13).
In virtù, quindi, della forte interrelazione tra diabete, sarcopenia e fragilità, bisogna tener conto di queste problematiche nell’elaborazione di un’adeguata terapia nutrizionale per il paziente anziano con diabete, in particolare per cercare di prevenirle.
Fabbisogno energetico nell’anziano
Come spiegato in precedenza, l’invecchiamento si accompagna ad un progressivo declino del dispendio energetico, dovuto alle modifiche della composizione corporea ed una riduzione dell’attività fisica; pertanto, anche il fabbisogno di energia dell’individuo anziano risulta ridotto.
La stima del fabbisogno energetico individuale è fondamentale al fine di mantenere un giusto equilibrio tra l’energia spesa dall’organismo e quella di origine alimentare e, di conseguenza, garantire una adeguata quantità di energia per soddisfare le esigenze fisiologiche dell’organismo, che definiscono il metabolismo basale del soggetto. Il fabbisogno energetico può essere determinato mediante indagini strumentali complesse, come ad esempio la calorimetria indiretta, che misura direttamente il metabolismo basale, o tramite l’utilizzo di equazioni predittive del metabolismo basale come proposto dai Livelli di Assunzione di Riferimento Raccomandata di Nutrienti ed Energia per la popolazione italiana (LARN) elaborati dalla Società Italiana di Nutrizione Umana (17). Utilizzando poi un calcolo matematico (“metodo fattoriale”) si moltiplica il metabolismo basale per il livello di attività fisica (LAF), cioè un fattore numerico che definisce un profilo di attività fisica (leggera, moderata o intensa), e si ottiene, quindi, il fabbisogno energetico del soggetto (Tab. 2) (17). I fabbisogni energetici così calcolati per gli individui con età compresa tra 60-74 anni e maggiore di 74 anni sono mostrati in tabella 3.
Tuttavia, è da sottolineare che tale fabbisogno energetico deve essere rimodulato in base alle condizioni del singolo individuo. In particolare, in caso di ipercatabolismo, per esempio, il metabolismo basale può aumentare fino al doppio di quello calcolato mediante metodo fattoriale.
D’altra parte, come detto in precedenza, il soggetto anziano, in particolare il diabetico, è molto frequentemente anche in sovrappeso/obeso. Pertanto, come bisogna comportarsi nei confronti dei pazienti diabetici anziani con obesità? È giusto indurre una riduzione ponderale e come?
Naturalmente, se non ci sono patologie gravi, è giusto cercare di ridurre il peso corporeo anche in età avanzata, utilizzando un approccio nutrizionale adeguato combinato ad un aumento dell’attività fisica.
A tal proposito, uno studio randomizzato e controllato (18) ha valutato gli effetti del trattamento per 1 anno con dieta ipocalorica, attività fisica o la loro combinazione sulla perdita di peso, sulla composizione corporea e i principali fattori legati alla fragilità nei soggetti anziani.
Dopo il trattamento, è stata ottenuta una riduzione del peso corporeo pari al 10% con dieta ipocalorica e del 9% con il trattamento combinato; invece, nel gruppo assegnato al solo trattamento con attività fisica non è stata osservata alcuna variazione significativa di peso (-1%).
Per quanto riguarda l’effetto del trattamento sulla composizione corporea, la dieta ipocalorica ha determinato una riduzione del 17% della massa grassa mentre il trattamento con sola attività fisica ha indotto una minore riduzione della massa grassa (-5%) accompagnata da un aumento della massa magra (+2%) contrariamente a quanto osservato con la sola dieta ipocalorica (-5% di massa magra). Dopo trattamento combinato con dieta ipocalorica e attività fisica è stata osservata, oltre ad un uguale perdita di peso, una riduzione della massa grassa (-16%) con una riduzione minima della massa magra (-3%).
Inoltre, il trattamento combinato con dieta ipocalorica e attività fisica ha determinato anche un aumento della performance fisica (+21%) rispetto ai singoli trattamenti (dieta ipocalorica +12% e attività fisica +15%).
Pertanto, gli effetti indotti dalla dieta ipocalorica combinata all’attività fisica si traducono in una riduzione del peso corporeo e della massa grassa, con una minima variazione della massa magra, e inoltre anche in una riduzione significativa di alcuni indici di fragilità, con conseguente miglioramento della qualità della vita e del grado di autosufficienza (18).
Anche nell’anziano diabetico obeso è quindi importante la riduzione ponderale da ottenere, da una parte con una riduzione adeguata dell’apporto energetico e dall’altra, con un aumento dell’attività fisica.
Fattori nutrizionali e fragilità
L’alimentazione è strettamente correlata ai vari fattori che determinano la cosiddetta fragilità dell’anziano (difficoltà di mobilità, debolezza muscolare, diminuzione dell’attività fisica e scarsa tolleranza all’esercizio, affaticamento e perdita di peso involontaria), in quanto sono più o meno tutti influenzati da errate abitudini alimentari; inoltre, la fragilità stessa può causare una diminuzione o alterazione dei consumi alimentari e, quindi, malnutrizione (14).
Numerosi studi prospettici (14, 19) hanno mostrato una relazione tra alcuni componenti specifici della dieta, come proteine e micronutrienti, e fragilità (Tab. 4). In particolare, in quasi tutti gli studi, per un ridotto apporto di proteine con la dieta si associa ad un aumento del rischio di fragilità. Per i micronutrienti, soprattutto i carotenoidi, il rischio di fragilità e/o di alcune delle sue componenti aumenta proporzionalmente alla diminuzione della concentrazione sierica di questi componenti (Tab. 4).
Inoltre, per quanto riguarda le vitamine, una recente meta-analisi ha mostrato che ridotti livelli di vitamina D (stimati attraverso la concentrazione plasmatica di 25-idrossicolecalciferolo) sono significativamente associati al rischio di fragilità (20).
Infine, anche specifici modelli alimentari salutari, quali per esempio la dieta mediterranea, sembrano essere correlati con un minore rischio di fragilità nella maggior parte degli studi effettuati (Tab. 5).
Pertanto, anche se ad oggi i pochi studi di intervento effettuati non confermano completamente i risultati derivanti dagli studi prospettici, è giusto tener conto di quanto si evince da questi ultimi al fine di prevenire la malnutrizione, la sarcopenia e la fragilità in particolare per la definizione dei fabbisogni di proteine, vitamine e sali minerali.
Fabbisogno proteico
Nell’individuo anziano esiste la possibilità che il bilancio azotato si negativizzi a causa di condizioni di stress o di patologie, che aumentano il catabolismo proteico (21). Inoltre, alcune evidenze mostrano un inadeguato introito proteico della dieta abituale dei soggetti anziani, che può favorire l’incidenza di sarcopenia e fragilità, soprattutto negli individui non autosufficienti o in condizioni socio-economiche precarie (14, 22).
Pertanto, è necessario che la dieta preveda un adeguato apporto proteico per il mantenimento e il recupero della massa muscolare e per la prevenzione e il trattamento della sarcopenia.
Sulla base delle evidenze disponibili, le raccomandazioni dell’ESPEN (European Society of Parenteral and Enteral Nutrition) prevedono (21):
1,0-1,2 g di proteine/kg di peso corporeo/die per gli anziani sani;
1,2-1,5 g di proteine/kg di peso corporeo/die per i soggetti malnutriti o a rischio di malnutrizione a causa di una patologia acuta o cronica.
Naturalmente, parlando di soggetti diabetici, è necessario tener conto anche della frequente presenza di nefropatia; per cui, in questi casi, l’apporto proteico va ridotto a 0,8 g proteine/kg di peso corporeo/die, a meno che non ci si ritrovi in una condizione di malnutrizione proteica.
Oltre all’aspetto quantitativo, anche la qualità delle proteine assunte ha notevole importanza. In particolare, alcuni studi hanno mostrato che gli aminoacidi a catena ramificata (leucina, isoleucina e valina) sembrano stimolare la sintesi proteica, riducendo la perdita della massa muscolare, e preservando la performance fisica. Pertanto, potrebbero avere un ruolo nella prevenzione della sarcopenia e della fragilità (21).
Infine, per minimizzare la resistenza anabolica caratteristica dell’invecchiamento, cioè la riduzione dello stimolo alla sintesi proteica che si osserva nell’individuo anziano, alcuni studi (23) suggeriscono che l’assunzione di 25-30 g di proteine per pasto (colazione, pranzo e cena), preferendo proteine ad alto valore biologico e contenenti gli aminoacidi essenziali, possa incrementare la sintesi proteica muscolare.
Fabbisogno di micronutrienti e vitamine
I fabbisogni di micronutrienti e vitamine per gli individui anziani non sono ben definiti. Tuttavia, in considerazione degli inadeguati apporti nutrizionali per i macronutrienti riportati in diversi studi osservazionali (24), è ragionevole ipotizzare stati carenziali per tali componenti della dieta che, in particolari individui, possono essere anche gravi. Inoltre, è noto che le modifiche fisiologiche dell’apparato gastroenterico legate all’invecchiamento (in particolare la difficoltà nella masticazione, la riduzione della secrezione di acido cloridrico a livello gastrico e la diminuzione del turnover degli enterociti con conseguente riduzione della capacità di assorbimento intestinale) e l’assunzione di alcuni farmaci possono determinare una riduzione dell’assorbimento di micronutrienti e vitamine. Ad esempio, uno studio recente ha mostrato che la terapia con metformina induce una riduzione significativa delle concentrazioni sieriche di vitamina B12 (25).
Per quanto riguarda i micronutrienti, le carenze più frequenti sono a carico di calcio, ferro e zinco, mentre per le vitamine, si registrano stati carenziali soprattutto di vitamina D, folati e vitamine del gruppo B (24).
La carenza di folati e vitamine del gruppo B, soprattutto la vitamina B12, può associarsi a iperomocisteinemia, osteoporosi, declino cognitivo e alcune forme di demenza. La carenza di vitamina D, invece, si associa ad un maggior rischio di osteoporosi e fragilità nell’anziano (20).
Le raccomandazioni nutrizionali per micronutrienti e vitamine ricalcano quelle per la popolazione generale (calcio 1200 mg/die, ferro 10 mg/die, zinco 12 mg/die per gli uomini e 9 mg/die per le donne, folati 400 μg/die, vitamina B12 2,4 μg/die, vitamina D 15-20 μg/die) (17).
Il primo approccio per la prevenzione o la correzione delle carenze di micronutrienti e vitamine consiste nel raccomandare un introito giornaliero adeguato di frutta (2-3 porzioni al giorno), verdura (2-3 porzioni al giorno) e legumi (2-3 porzioni a settimana) quale risorsa di diversi micronutrienti, cereali integrali (almeno 2 porzioni al giorno) quale risorsa anche di folati, pesce (2-3 volte a settimana) quale risorsa di vitamina D, latte o yogurt (preferibilmente a ridotto contenuti in grassi o delattosati in caso di deficit secondario di lattasi) (1 porzione al giorno) e prodotti lattiero-caseari a basso tenore lipidico (2 porzioni a settimana) quale risorsa di calcio. In stati carenziali particolarmente gravi è da suggerire l’assunzione di integratori alimentari specifici, come riportato nel paragrafo specifico.
Altre caratteristiche della dieta dell’anziano con diabete
Carboidrati e fibra
Le raccomandazioni nutrizionali per l’assunzione di carboidrati e fibre per il paziente diabetico anziano ricalcano quelle suggerite per gli altri pazienti diabetici e per la popolazione generale (26).
I carboidrati devono rappresentare il 45-60% delle calorie totali. La quantità, la fonte e la distribuzione durante la giornata devono facilitare quanto più possibile un costante controllo della glicemia. A tal fine sono da preferire alimenti che inducono una bassa risposta glicemica, come legumi, frutta e verdura che sono ricchi in fibra, soprattutto solubile. La fibra, grazie alla sua struttura chimico-fisica, rallenta la digestione dei carboidrati causando un minore aumento della glicemia nel periodo postprandiale e un rischio minore di ipoglicemia lontano dai pasti (27). Inoltre, numerosi studi hanno mostrato che la fermentazione della fibra da parte del microbiota intestinale induce la produzione di acidi grassi a corta catena (soprattutto acetato e propionato) che influenzano il metabolismo glucidico e migliorano la sensibilità insulinica (27-28). Pertanto, l’apporto di fibra alimentare raccomandato è di circa 20g per 1000 kcal al giorno. Tuttavia, in caso di problemi di masticazione, che riducono la possibilità di consumare verdure molto ricche in fibre, o di condizioni di disconfort intestinale per un tale quantitativo di fibre, anche il consumo di 25-30g/die di fibre è accettabile.
Inoltre, sono da preferire alimenti amidacei a basso indice glicemico come pasta, gnocchi di patate, ecc. che inducono un aumento della glicemia postprandiale meno rilevante rispetto ad altri (29).
Lipidi
Il paziente anziano diabetico, come tutti i pazienti diabetici, presenta un rischio cardiovascolare aumentato e, pertanto, l’apporto di acidi grassi saturi e trans deve essere limitato al 10% e all’1% delle calorie totali ingerite, rispettivamente. La quota di grassi totali non deve essere superiore al 35% delle calorie totali e deve essere rappresentata in larga parte dagli acidi grassi monoinsaturi (20% delle calorie totali). L’apporto degli acidi grassi polinsaturi deve mantenersi entro il 10% delle calorie totali; deve essere consigliato il consumo di pesce, preferibilmente “pesce azzurro”, e alimenti vegetali ricchi in acidi grassi n-3 (vegetali a foglia verde) per assicurare un adeguato apporto di questi ultimi. Per quanto riguarda il colesterolo, è opportuno limitare il consumo degli alimenti che ne sono particolarmente ricchi (frattaglie, condimenti animali, tuorlo d’uovo, crostacei) per non superare i 300 mg al giorno (26, 30).
Introito di acqua
Le persone anziane manifestano una riduzione del senso di sete accompagnata da una risposta ormonale alla disidratazione insufficiente. Pertanto, essi diventano più sensibili al rischio di disidratazione. È inoltre importante sottolineare che questi cambiamenti a carico del senso di sete sono più pronunciati nei soggetti con malattia di Alzheimer, negli anziani allettati rispetto a quelli non allettati e in coloro che sono solo in parte dipendenti, quelli cioè che sembrano capaci di assumere liquidi ma che in realtà non lo sono per problemi di deglutizione o per la presenza di malattie neurologiche. Inoltre, è da tenere in considerazione che il trattamento con alcuni farmaci utilizzati nel trattamento del diabete, ad esempio i glicosurici SGLT2-i, possono indurre disidratazione (31).
Il principale fattore di rischio della disidratazione è lo scarso introito di acqua (per mancanza di autonomia, patologie oro-faringee, scarsa sensazione di sete). A questo si può aggiungere un aumento della perdita di liquidi causato da:
- patologie (febbre, diarrea o vomito);
- frequente uso di diuretici o di lassativi;
- presenza di altre patologie che inducono aumento della diuresi (ipercalcemia, ipokaliemia).
Poiché l’acqua svolge un ruolo fondamentale nei processi di digestione, assorbimento, trasporto, utilizzo di nutrienti, oltre che per l’eliminazione delle scorie metaboliche, è importante mantenere costante il bilancio idrico tramite l’assunzione di liquidi e consumando alimenti ricchi di acqua.
Per stimolare l’anziano a bere è possibile:
- stabilire insieme al soggetto alcuni obiettivi della giornata (relativi all’assunzione di liquidi) e poi verificare di aver raggiunto tali obiettivi;
- offrire all’anziano da bere più volte al giorno;
- sfruttare alcuni momenti della giornata per aumentare l’assunzione di liquidi per esempio il tè del pomeriggio oppure subito dopo l’assunzione della terapia;
- suddividere il numero di bicchieri d’acqua nel corso della giornata.
Assunzione di alcol
L’utilizzo delle bevande alcoliche caratterizza le abitudini alimentari italiane. Tale abitudine è ancora più consolidata tra gli anziani, soprattutto durante i pasti principali. Il comportamento a rischio più diffuso tra gli anziani è il consumo abituale in quantità elevate, per la mancata conoscenza dei limiti da non superare per non incorrere in problemi di salute (32).
È importante sottolineare che negli anziani la sensibilità agli effetti dell’alcol aumenta notevolmente per le modifiche fisiologiche e metaboliche dell’organismo che si hanno con il passare degli anni. Infatti, a partire dai 50 anni circa diminuisce, in modo fisiologico, la quantità di acqua presente nell’organismo, per cui l’alcol sarà diluito in una quantità minore di liquido. Questo significa che, a parità di alcol ingerito, il tasso alcolemico risulta più elevato e gli effetti sono più marcati. A questo si può aggiungere il ridotto funzionamento di alcuni organi come il fegato e i reni, che può determinare una riduzione del metabolismo dell’alcol.
Pertanto, in età avanzata, anche un consumo moderato di alcol può avere effetti negativi.
In particolare, per il soggetto anziano diabetico, è da tenere in considerazione che l’eccessivo consumo di alcol si associa ad un maggior rischio di ipoglicemia, soprattutto se assunto a digiuno (33).
Le Linee Guida dell’INRAN-CREA (Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione – Centro di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione) consigliano per gli anziani di non superare il limite di 12 g di alcol al giorno, pari ad 1 Unità Alcolica (330 ml di birra – pari a una lattina, o 125 ml di vino – pari a un bicchiere da tavola, o 40 ml di un superalcolico – pari a un bicchiere da liquore) senza distinzioni tra uomini e donne (34).
Frazionamento dei pasti
Nell’anziano, a causa delle variazioni funzionali che subisce l’apparato digerente, si verifica una minore capacità di digerire e tollerare pasti abbondanti e molto elaborati; pertanto, è opportuno evitare tali tipologie di pasti per favorire il frazionamento dell’apporto calorico giornaliero in più momenti comprensivi di spuntini al mattino e nel pomeriggio, ove necessario (2).
Inoltre, è anche da tenere presente che l’invecchiamento comporta un’alterazione della tolleranza al glucosio a causa della progressiva insulino-resistenza post-recettoriale, della riduzione dei trasportatori di glucosio nel muscolo (GLUT-4) e dell’alterazione della sintesi proteica che diventa sempre meno efficiente. Di conseguenza nell’anziano si osserva una ridotta deposizione di glucosio sotto forma di glicogeno che comporta, nei periodi di digiuno, una maggiore tendenza ad andare incontro ad ipoglicemia.
Lo schema alimentare giornaliero può prevedere, pertanto, da 3 a 5 pasti, distribuiti come indicato nel Box 1.
Tuttavia, nei pazienti con diabete la scelta dell’inclusione degli spuntini nello schema alimentare giornaliero deve però tenere conto anche della terapia farmacologica utilizzata per il trattamento del diabete. In particolare, la terapia insulinica va adeguata alla quantità/qualità dei carboidrati, al numero di spuntini e all’attività fisica (26).
Integratori nutrizionali e nutrizione artificiale in pazienti anziani malnutriti
I pazienti anziani e, ancor di più i pazienti con diabete, presentano un rischio di malnutrizione particolarmente elevato, dovuto a molteplici fattori eziopatogenetici, quali la presenza di multiple malattie croniche, la maggior suscettibilità a sviluppare complicanze acute, il progressivo ridursi dell’autonomia funzionale associato ai processi di invecchiamento, l’utilizzo di terapie farmacologiche che possono influenzare negativamente l’introito o l’utilizzazione ottimale dei nutrienti. Inoltre, alcune gravi sindromi dell’anziano, quali la demenza, la malattia di Parkinson e la sindrome da fragilità, sono caratterizzate di per sé dallo sviluppo di una malnutrizione severa e ingravescente che ne condiziona la prognosi (35-40).
Pertanto, la diagnosi e la terapia della malnutrizione costituiscono uno dei momenti cardine della cura dell’anziano, in particolare in coloro che vanno incontro ad ospedalizzazione per i quali il rischio di malnutrizione è significativamente elevato, oscillando tra il 30 e il 60% dei casi, come riportato da numerose indagini epidemiologiche (41-42).
La valutazione del rischio di malnutrizione nell’anziano è molto importante e può essere effettuata tramite indagini semplici, a basso costo e con basso dispendio di tempo, quali ad esempio l’utilizzo del Mini Nutritional Assessment (MNA), utilizzato proprio nei pazienti geriatrici.
In pazienti anziani con diagnosi di malnutrizione è di fondamentale importanza utilizzare un approccio nutrizionale che consenta il raggiungimento dei fabbisogni nutrizionali precedentemente elencati. Una dieta adeguata ed equilibrata è sicuramente in grado di fornire tutti gli elementi necessari al mantenimento di un buono stato di salute. Pertanto, un tale approccio con eventuali modifiche nella composizione della dieta sulla base delle condizioni patologiche presenti è il primo approccio da utilizzare. Quando tale approccio non consente di ottenere risultati nutrizionali ottimali, è possibile ricorrere all’utilizzo degli integratori nutrizionali orali che non hanno proprietà curative, ma che possono integrare una dieta, completandola con i principi nutritivi carenti (43). Ovviamente, la supplementazione deve sempre tenere in conto la dose giornaliera raccomandata di ciascun principio nutritivo (RDA), in quanto l’assunzione di nutrienti in eccesso rispetto alle dosi raccomandate è da evitare (17).
Si definiscono integratori alimentari i “prodotti alimentari destinati ad integrare la comune dieta e che costituiscono una fonte concentrata di sostanze nutritive, quali le vitamine e i minerali, o di altre sostanze aventi un effetto nutritivo o fisiologico, in particolare, ma non in via esclusiva, aminoacidi, acidi grassi essenziali, fibre ed estratti di origine vegetale, sia monocomposti che pluricomposti, in forme predosate” (38).
La scelta dell’integratore alimentare da utilizzare deve essere fatta tenendo presente quali sono le carenze nutrizionali riscontrate. Le carenze nutrizionali più frequenti in pazienti anziani riguardano: le vitamine, in particolare la B12 in soggetti che seguono una alimentazione povera di alimenti di origine animale, la vitamina D, gli aminoacidi essenziali, gli acidi grassi, in particolare quelli della serie ω-3 in pazienti che non riescono ad avere un adeguato consumo di pesce. Nella maggioranza dei casi, le carenze nutrizionali riscontrate non sono a carico di un unico componente, ma coinvolgono più componenti. Pertanto, si preferisce utilizzare integratori pluripotenti che consentono di agire su più carenze nutrizionali contemporaneamente, come i multivitaminici, quelli a base di sali minerali, gli integratori di amminoacidi essenziali.
È opportuno tenere presente che in pazienti con carenza di vitamina D la supplementazione deve avvenire tramite integratori che contengono tale vitamina e deve essere accompagnata da un intake di calcio ottimale, che può essere ottenuto consumando latte e yogurt (preferibilmente magri) quotidianamente, e formaggi o latticini (in particolare, la ricotta per il più basso contenuto in grassi) 1 o 2 volte a settimana, per consentirne una migliore assimilazione. Per quanto riguarda, invece, le carenze di aminoacidi essenziali, è di particolare rilevanza la leucina associata al suo metabolita, il β-idrossi-β-metilbutirrato (HMG), in quanto sembrano essere efficaci nella prevenzione della riduzione della massa magra e nell’aumento della forza e della funzionalità muscolare, grazie alla loro azione sulla modulazione della degradazione proteica e sulla stimolazione della sintesi proteica (39). La leucina può essere integrata sia da sola, (con integratori specifici che contengono esclusivamente leucina) sia in combinazione con gli altri amminoacidi essenziali. Infine, gli acidi grassi della serie ω-3 potrebbero essere utili per la prevenzione e riduzione di co-morbidità, inclusi gli eventi cardiovascolari, l’infiammazione ed il declino cognitivo.
È importante sottolineare che i risultati di tali integratori sullo stato nutrizionale e funzionale, sulla risposta immunitaria, la guarigione delle lesioni da decubito e l’outcome clinico (45-49) si ottengono solo dopo un periodo di trattamento di almeno un mese e quando sono impiegati in modo sufficientemente controllato (50-51).
Nell’uso degli integratori si deve fare particolare attenzione a possibili effetti avversi e all’eventuale interazione con altri farmaci, come ad esempio la possibile interazione tra gli ω-3 e i farmaci anticoagulanti (52-53).
Infine, qualora i supplementi nutrizionali non siano efficaci o somministrabili, l’applicazione della nutrizione artificiale diventa l’approccio nutrizionale terapeutico di scelta in pazienti anziani con malnutrizione, rispettando naturalmente le indicazioni date per tale approccio terapeutico dalle linee guida nazionali ed internazionali (54-56).
Fattori nutrizionali e deficit cognitivo
Uno dei problemi più frequenti che si risconta nell’anziano, e ancora di più, nell’anziano con diabete, riguarda il declino delle funzioni cognitive che può arrivare alla demenza vera e propria con difficoltà/incapacità all’autogestione da parte del paziente.
Nel tentativo di capire meglio la patogenesi del declino cognitivo e i possibili fattori di rischio, si sta dando ampio spazio anche allo studio di fattori nutrizionali che possono risultare associati a tale condizione. Naturalmente, l’identificazione di fattori nutrizionali associati a tali alterazioni potrebbe essere importante da un punto di vista pratico sia in termini di prevenzione sia di terapia.
I fattori nutrizionali chiamati in causa come possibili fattori di rischio del deficit cognitivo sono diversi, almeno sulla base di studi epidemiologici, e i principali sono deficit di vitamina D, deficit di antiossidanti, deficit di grassi ω-3, deficit di vitamina B12 (57-58).
Comunque, ancora una volta, sembra che non siano tanto importanti i singoli fattori nutrizionali quanto l’adesione ad alcuni modelli alimentari che, nel loro complesso, potrebbero giocare un ruolo importante nel modulare il decadimento cognitivo. Tra i modelli alimentari che sembrerebbero maggiormente associati a un minore decadimento cognitivo c’è la “Dieta Mediterranea” (59).
I dati scientifici a tal proposito provengono da studi epidemiologici. Una meta-analisi di tali studi sembra indicare che la maggiore adesione al modello alimentare mediterraneo si associa ad una riduzione del rischio di disfunzione cognitiva moderata, ad una riduzione del rischio di Alzheimer e anche a una riduzione del peggioramento del deficit cognitivo, se già presente (59). Comunque, i risultati di questa meta-analisi devono essere presi con molta cautela poiché si basano su pochi studi.
Anche se gli studi di intervento su tale problematica sono ancora molto pochi e non sempre ben controllati, c’è qualche dato che indica come una dieta di tipo mediterraneo possa indurre un miglioramento di alcuni degli indici di performance cognitiva (60-61) e come anche alcuni componenti di tale dieta per esempio i polifenoli, che sono, appunto, dei potenti antiossidanti e che sono tipici sia della dieta mediterranea ma anche di altri modelli alimentari considerati “salutari”, possano indurre dei miglioramenti della funzione cognitiva (62).
Naturalmente, sono necessari altri studi di intervento specialmente a lungo termine per dare una risposta più chiara a tale problematica.
Comunque, quanto precedentemente riportato sarebbe valido per un modello di dieta mediterranea, che non è sicuramente quello attuale ma quello di molti decenni orsono e le cui caratteristiche nutrizionali sono:
un elevato consumo di alimenti di origine vegetale quali, verdura, frutta, frutta secca, legumi e cereali
un consumo moderato ma frequente di pesce
un ridotto consumo di prodotti caseari, carne rossa e carne processata
olio extravergine d’oliva come principale, se non unico, grasso da condimento
moderato consumo di vino come principale fonte di alcool.
È pertanto un modello alimentare caratterizzato da un elevato contenuto di acidi grassi monoinsaturi, fibra alimentare e sostanze antiossidanti, ed un ridotto contenuto di acidi grassi saturi, trans e zuccheri aggiunti come, appunto, consigliato dalle diverse linee guida.
Conclusioni
Il paziente diabetico anziano presenta alcune problematiche tipiche della malattia ed altre tipiche dell’età, quali rischio di malnutrizione, fragilità, deficit cognitivi. Inoltre, queste condizioni sono più frequenti e gravi nel paziente diabetico. Pertanto, è necessario tener conto di tutte queste problematiche nell’implementazione di una terapia nutrizionale adeguata.
Per la maggior parte dei pazienti diabetici anziani, ancora in buone condizioni fisiche e psichiche, i consigli nutrizionali devono essere uguali a quelli dati per i diabetici non anziani con una particolare attenzione all’apporto calorico e quello proteico (1.0-1.2 g/kg di peso corporeo ideale tenendo però conto anche dell’eventuale presenza di nefropatia), per prevenire sarcopenia/malnutrizione/fragilità.
Nel complesso, una dieta che rispecchi il vero modello alimentare mediterraneo può essere indicata nella nostra realtà per la quasi totalità dei pazienti anziani con diabete e all’intervento nutrizionale va associato, ancora più che nel diabetico in generale, un’attività fisica varia e regolare che, infatti, nella piramide esemplificativa modificata per pazienti anziani viene posta alla sua base (Fig. 1). Inoltre, per gli anziani è particolarmente rilevante l’abitudine ad una idratazione regolare.
Per alcune situazioni particolari, pazienti fragili, pazienti con demenza e pazienti terminali, le raccomandazioni devono essere individualizzate, tenendo conto anche delle diverse situazioni socio-economiche e familiari, come riportato nel position statement (4).
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