La terapia insulinica: tradizione e novità

Gloria Formoso, Patrizia Di Fulvio, Agostino Consoli
Dipartimento di Medicina e Scienze dell’Invecchiamento, Università degli Studi di Chieti-Pescara “G. D’Annunzio”

Trattare il Diabete Mellito, sia di tipo 1 (DM1) sia di tipo 2 (DM2) non è certamente semplice: non solo perché siamo di fronte, almeno allo stato attuale delle conoscenze, ad una malattia “trattabile” ma non “guaribile”, non solo perché va sempre ricercato un delicato equilibrio tra un profilo glicemico il più “fisiologico” possibile ed il rischio di ipoglicemia, non solo perché è estremamente difficile, nel caso del DM2, guadagnarsi la compliance del paziente nel trattamento di una patologia cronica il più delle vol- te “asintomatica”, ma anche perché trattare il diabete non significa solo ottenere un controllo ottimale della glicemia ma anche, e soprattutto, prevenire e/o rallen- tare le complicanze tentando di ridurne la morbilità e la mortalità.
A questo proposito è lecito approfondire i ragionamenti relativi alle caratteristiche dei farmaci attualmente a no- stra disposizione per analizzare meglio quali problemati- che non siano ancora risolte dalla presente farmacopea e definire quali caratteristiche debbano avere i farmaci an- cora in fase di sperimentazione perché possano in tutto o in parte risolvere queste problematiche e contribuire alla ulteriore ottimizzazione della terapia del diabete.

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Negli ultimi anni si è sempre più affermato il concetto che anche nel DM2 il fattore che maggiormente contri- buisce alla patogenesi della malattia è un deficit più o meno severo della funzione beta cellulare, e quindi della produzione di insulina. Questo permette di considerare
in definitiva il DM2 una malattia endocrina del pancreas: di conseguenza, per certi versi, la somministrazione di insulina è LA TERAPIA anche del DM2 oltre che del DM1. Effettivamente, a più di 90 anni dalla sua scoperta da par- te di Banting e Best, l’insulina resta il farmaco principale nella terapia sia del DM1 sia del DM2. La terapia insulini- ca, che si è comunque profondamente evoluta nel tempo (dalla prime preparazioni dell’ormone di origine bovina o porcina sino ai moderni analoghi generati con la tec- nica del DNA ricombinante) è a tutt’oggi l’unica capace teoricamente, attraverso una opportuna modulazione dei dosaggi, di ricondurre al target glicemico desiderato qua- lunque soggetto affetto da diabete mellito.

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Tuttavia, no- nostante la farmacocinetica e la farmacodinamica delle più nuove preparazioni abbiano notevolmente migliorato la sicurezza e la facilità di utilizzo della terapia insuli- nica, esiste ancora un ampio margine per un potenziale miglioramento e per l’introduzione in terapia di molecole insuliniche con ancora maggiore efficacia ed efficienza. Ad oggi le tipologie di insulina di comune impiego clinico sono 5: insulina regolare, insulina protaminata neutra Hagedorn (NPH), analoghi dell’insulina ad azione mol- to rapida, analoghi dell’insulina ad azione protratta nel tempo, insuline premiscelate. L’unica via di sommini- strazione praticabile con successo è quella dell’iniezione sottocutanea, cosa che contribuisce a rendere la terapia insulinica meno accettabile per i pazienti rispetto al trat- tamento orale. Ma, ancor più della somministrazione iniettiva, ciò che rende comunque complesso il tratta- mento insulinico sono la elevata possibilità di errore, il rischio di ipoglicemia, l’incremento ponderale, la neces- sità di una grande accuratezza relativamente alle dosi ed ai tempi di somministrazione.
La insulina regolare e l’insulina NPH sono le principali insuline umane, identiche come sequenza amino-acidica all’ormone nativo ed ottenute mediante tecniche di DNA ricombinante: la prima è caratterizzata da una durata d’azione relativamente breve, che si esaurisce dopo 4-5 ore dalla somministrazione, con un picco a 90-120 min (1); mentre la seconda ha una durata d’azione intermedia (6-8 ore) e presenta anche essa un distinto picco di attività dopo 3-5 ore dalla somministrazione (2-3).
Gli analoghi dell’insulina ad azione molto rapida agiscono più velocemente rispetto all’insulina regolare, con un pic- co di azione più pronunciato e decisamente più precoce ed una durata che si esaurisce dopo circa 3 ore dalla sommi- nistrazione (4). Nonostante le molecole ad oggi disponibi- li (lispro, aspart, glulisina) presentino delle differenze tra loro nella struttura molecolare (ancorché molto modeste), il principio su cui si basano le loro caratteristiche farma- cocinetiche e farmacodinamiche è lo stesso: le diverse modificazioni nella struttura molecolare che esse presen- tano rispetto alla insulina umana, infatti, prevengono per tutte e tre le molecole la aggregazione in esameri. La loro iniezione nel sottocute in forma già monomerica ne condiziona quindi una più rapida diffusione dal sottocute al circolo ematico. Essendo identico quindi il meccanismo
che ne differenzia la farmacocinetica rispetto alla insuli- na umana, è lecito aspettarsi che i tre analoghi rapidi in commercio non presentino tra loro sostanziali differenze in termini di farmacocinetica e farmacodinamica. In ef- fetti, le lievissime differenze osservate in alcuni studi (5- 11), non hanno di fatto alcuna rilevanza clinica (12).
È comunque opportuno notare che gran parte degli studi di farmacocinetica sugli analoghi rapidi dell’insulina sono stati condotti su soggetti sani normopeso o su pazienti DM1 magri (13-15). Sono pochi invece gli studi condotti su soggetti affetti da DM2 in sovrappeso o obe- si, nonostante l’obesità caratterizzi una larga parte dei pazienti trattati. Questo potrebbe rappresentare un pro- blema dal momento che tra i molti fattori che influen- zano l’assorbimento dell’insulina (le proprietà chimico- fisiche, gli eccipienti, la concentrazione, il dosaggio della preparazione, le condizioni cliniche durante la sommi- nistrazione, il sito e la profondità dell’iniezione, l’eser- cizio fisico, la temperatura ed il fumo di sigaretta (4, 15- 17) è necessario considerare anche il volume iniettato e il flusso plasmatico del tessuto sottocutaneo (18-19). Nei soggetti obesi insulino-resistenti e nei soggetti affetti da DM2 il flusso plasmatico sottocutaneo è ridotto, rispetto ai non obesi, in condizioni basali e non incrementa come atteso nel periodo post-prandiale (20-21). Un recente stu- dio di Gagnon-Auger e coll. (22) ha in effetti dimostrato che, in pazienti DM2 obesi, sia l’assorbimento sia l’effetto ipoglicemizzante di dosi crescenti di insulina lispro (10- 30-50 U), iniettate sottocute durante clamp euglicemico, risultavano severamente ritardati. Il ritardo nell’effetto ipoglicemizzante degli analoghi rapidi dell’insulina mo- strato in questo studio potrebbe fornire la spiegazione del perché, in alcuni casi, la somministrazione di insulina prandiale non fornisca il beneficio atteso (22).
Per quello che riguarda invece le cosiddette “insuline ad azione ritardata”, l’insulina lispro protaminata neutra Hagedorn (lispro NPH), l’insulina glargine e l’insulina detemir sono state progettate con l’intento di sviluppare un’insulina basale che fosse assorbita lentamente nell’ar- co di un lungo periodo di tempo, con un profilo d’azione relativamente piatto. Le strategie utilizzate per raggiun- gere questi obiettivi sono completamente differenti e ri- sultano, di fatto, in profili farmacodinamici sostanzial- mente differenti. Lispro NPH è il risultato dell’aggiunta di zinco-protamina non ad insulina umana ma all’ana- logo rapido insulina lispro. Come prevedibile, le differenze di farmacodinamica tra insulina umana NPH e lispro NPH sono molto modeste (23). La insulina glargine presenta invece la sostituzione di un singolo aminoacido all’interno della catena A e due aminoacidi aggiunti alla catena B, modificazioni che spostano il punto isoelettri- co della molecola rendendola solubile in ambiente acido. Pertanto, una volta iniettata sottocute in un ambiente neutro, questa preparazione forma microparticelle che vengono assorbite lentamente (24), approccio che, rispet- to all’insulina NPH, elimina la necessità di risospendere la soluzione prima dell’iniezione, riducendo la variabilità dei tempi di assorbimento. L’insulina detemir presenta a sua volta una delezione aminoacidica alla estremità della catena B, dove si lega un acido grasso (acido miristico). Il profilo d’azione più lungo rispetto all’insulina NPH è de- terminato dalla formazione di esameri nel sito di iniezio- ne e dal legame reversibile dell’ac. miristico all’albumina in circoloQuesta proprietà conferisce un effetto buffer che potrebbe contribuire a ridurre la variabilità interindivi- duale (26). La farmacodinamica di insulina detemir ed in- sulina glargine è diversa da quella della insulina NPH in quanto entrambe hanno una durata di azione più lunga ed un picco meno pronunciato. Tuttavia, anche tra glar- gine e detemir esistono importanti differenze di farma- codinamica, con glargine che mostra un profilo di azione più lungo (vicino alle 22-24 ore) con una quasi assenza di picco (4) mentre la durata di detemir si attesta sulle 12-16 ore e la somministrazione dell’analogo è comunque se- guita da un picco intorno alla ottava ora (seppure di entità modesta) proporzionale alla dose somministrata (27). Proprio in virtù di questa diversa farmacodinamica, glar- gine e detemir sono state utilizzate in modo diverso ne- gli studi clinici e, di conseguenza, nella pratica clinica. Glargine è stata ampiamente studiata ed utilizzata in mono-somministrazione giornaliera, sulla base di dati derivanti da iniziali studi di clamp, eseguiti su soggetti sani (28) o con DM1 (29), che suggerivano una durata me- dia d’azione molto lunga (28-30). Uno studio effettuato su pazienti con DM1 con C-peptide negativo ha riscontrato una durata d’azione media di glargine di 20,5 ore per som- ministrazioni di 0,3 U/kg (29). Questo dato rende ragione della osservazione clinica relativa ad alcuni pazienti (in particolare alcuni dei pazienti con secrezione insulinica endogena scarsa o assente) nei quali una singola sommi- nistrazione di insulina glargine alla sera non è in grado di mantenere una adeguata insulinizzazione basale fino
alla somministrazione della dose successiva, dando luogo ad un rialzo della glicemia nelle ore del tardo pomeriggio (fenomeno “tramonto”) (31-32).
L’insulina detemir può essere somministrata una o due volte al giorno e, al contrario di glargine, è stata studia- ta più frequentemente in protocolli che prevedevano due somministrazioni/die. Dagli studi di farmacodinamica effettuati si evince che la durata d’azione di detemir è dose dipendente e mediamente si attesta intorno alle 19,9 ore per dosi di 0,4 U/kg in pazienti con DM1, C-peptide ne- gativi (27). Detemir presenta quindi una durata d’azione più breve rispetto a glargine, pur se è oggettivamente dif- ficile fare un confronto diretto tra i profili di farmacodi- namica di queste due insuline sulla base di dati ottenuti in studi differenti.
In base ai risultati di uno studio di confronto diretto fra detemir, glargine ed insulina umana NPH, Heise e coll. (26) concludevano che detemir presenta, sotto il profilo della azione ipoglicemizzante, una variabilità intra-indi- viduale più bassa rispetto alle altre due molecole. Questo potrebbe rappresentare un indubbio vantaggio in termi- ni di rischio di ipoglicemia, specialmente in soggetti in controllo glicemico molto stretto. Tuttavia, nello studio in questione le diverse preparazioni insuliniche venivano testate su diversi soggetti e la possibile esistenza di una importante variabilità inter-individuale potrebbe avere in qualche modo influenzato i risultati dello studio. La durata d’azione delle tre molecole non era oggetto spe- cifico dello studio, tuttavia gli studi di clamp effettuati mostravano che la somministrazione di glargine era in grado di mantenere una azione insulinica basale per le intere 24 ore in circa il 40% dei casi, mentre questo era vero solo per il 25% dei casi per insulina detemir e per meno del 20% dei casi per insulina umana NPH. Per questa ragio- ne, anche se studi successivi hanno mostrato differenze più modeste di durata di azione tra le differenti prepa- razioni (33), glargine viene considerata la più “basale” tra le insuline attualmente disponibili. La possibilità di avere a disposizione una insulina “basale” è di notevole importanza, dal momento che, nonostante l’assenza di dati solidi a supporto, vi è la percezione diffusa che la mono-somministrazione giornaliera potrebbe essere pre- ferita dai pazienti rispetto a quella bis in die. Uno studio cross-over tra glargine somministrata una volta al giorno e NPH somministrata due volte al giorno (in aggiunta ad insulina aspart ai pasti), condotto su diabetici di tipo 1 non ha evidenziato differenze significative, in termini di qualità della vita, tra i due trattamenti. Tuttavia, nella seconda fase dello studio post cross-over, è stato riporta- to un grado di soddisfazione maggiore con glargine (34). La flessibilità nei tempi di somministrazione rappresenta sicuramente un fattore determinante per migliorare la qualità della vita dei pazienti in trattamento, pertanto un’insulina basale in grado di garantire un effetto supe- riore alle 24 ore potrebbe in teoria meglio soddisfare le di- verse esigenze individuali.
Infine sono tutt’oggi disponibili le formulazioni premi- scelate, costituite dalla combinazione di insuline a lenta e rapida durata d’azione. La composizione di queste for- mulazioni varia considerevolmente, dal 50% di insulina lenta più il 50% di insulina rapida al 75% di lenta più il 25% di rapida. Si tratta di formulazioni che dovrebbero sod- disfare il fabbisogno insulinico a digiuno e dopo il pasto con una sola somministrazione, permettendo quindi di ridurre il numero di iniezioni giornaliere rispetto alla te- rapia basal-bolus (35). Nei pazienti affetti da DM2 le insu- line premiscelate permettono di ridurre i livelli di emo- globina glicata, tuttavia inducono un maggior numero di eventi ipoglicemici rispetto alla terapia basal-bolus. Inoltre non potendo adeguare le dosi di insulina lenta e
rapida in maniera indipendente inducono un compenso metabolico meno robusto. L’uso delle insuline premisce- late contraddice quindi, in linea generale, uno dei prin- cipi chiave della terapia insulinica moderna, che è quello di tentare di raggiungere il miglior controllo metabolico possibile pagando il prezzo più basso possibile in termini di ipoglicemia. Può tuttavia avere un suo razionale l’uso di una insulina premiscelata, ad alto contenuto di insuli- na rapida (dal 50% al 75%), in quei soggetti in terapia basal- bolus quadri-iniettiva nei quali l’azione della insulina ba- sale somministrata a bed-time tendesse ad esaurirsi nelle ore del tardo pomeriggio, dando vita al già menzionato “fenomeno tramonto”. In questa situazione, la sommi- nistrazione prima del pasto di mezzogiorno di una pre- miscelata ad alto contenuto di insulina rapida potrebbe garantire un modesto apporto di insulina ad azione più lenta capace di mantenere un controllo glicemico accetta- bile fino all’ora del pasto serale.
Cosa manca quindi alle insuline attualmente a nostra disposizione per assicurare un compenso metabolico otti- male, con una riduzione significativa degli effetti collate- rali e delle barriere nei confronti della terapia insulinica costituite, oltre che dal fastidio legato all’iniezione, dalla paura dell’ipoglicemia?

Fig. 1 Struttura molecolare di IDeg

  • Garantire un profilo d’azione affidabile
  • Garantire quotidianamente una riproducibilità di assorbimento e farmacodinamica
  • Avere maggiore flessibilità nei tempi di somministrazione

Per rispondere a queste esigenze, sono attualmente in sperimentazione, o sono già in uso in alcuni Paesi, mole- cole con proprietà farmacodinamiche e farmacocinetiche più avanzate. La molecola più recentemente approvata dall’EMA e da poco introdotta nell’uso clinico in diversi Paesi europei è degludec (IDeg), una nuova insulina basa- le che per mezzo di un meccanismo innovativo presenta una durata d’azione prolungata, che supera le 42 ore pur mantenendo un profilo piatto e stabile (36-37). Questa pre- parazione, come già ricordato approvata dall’EMA ed in fase avanzata di approvazione da parte dell’FDA (38), dif- ferisce dall’insulina umana per la rimozione della treoni- na in posizione B30 e il legame di una catena di ac. grassi con la lisina in posizione B29 con l’interposizione di un ac. glutammico (Fig. 1) (36).
In questa formulazione, la molecola di degludec si trova sotto forma di di-esameri nella soluzione iniettabile e la
Figura 2 Assorbimento sottocutaneo di IDeg (36)
formazione di aggregati multipli di di-esameri è prevenu- ta da molecole di fenolo (in alta concentrazione nel mezzo di sospensione) che bloccano i siti di interazione tra di- esameri (36). Dopo l’iniezione, la concentrazione di fenolo viene ovviamente abbondantemente diluita nel sottocu- taneo: di conseguenza, i di-esameri di IDeg si dissociano dal fenolo e si assemblano immediatamente a formare una struttura multiesamerica solubile, che rimane stabi- le a pH fisiologico (36); diffondendosi con il tempo lo zinco che mantiene legati tra loro i monomeri, i multiesameri si dissociano lentamente, dando luogo ad un lento e con- tinuo rilascio in circolo di monomeri di insulina (Fig. 2), senza picchi e con un effetto ipoglicemizzante stabile (36). Questa nuova formulazione ha un’emivita di 25 ore allo steady-state, non dose dipendente, ed è riscontrabile in circolo ancora 120 ore dopo la somministrazione dell’ulti- ma dose (37). La farmacodinamica di degludec è tale che l’area sotto la curva della somministrazione di glucosio necessaria a prevenire una riduzione della glicemia dopo una singola somministrazione sottocutanea della mole- cola è sostanzialmente identica nelle prime 12 ore (tempi 0-12) e nelle seconde 12 ore (tempi 12-24) (37).

Fig. 2 - Assorbimento sottocutaneo di IDegIDeg è stata utilizzata in trials clinici sia in pazienti DM1 sia DM2, dimostrando di essere una preparazione insu- linica a durata d’azione ultra-lunga, con una migliorata stabilità farmacodinamica, in grado di abbassare la glice- mia a fronte di un numero inferiore di ipoglicemie soprat- tutto notturne (39-43). Inoltre, grazie alla sua emivita, più lunga rispetto a glargine (24 vs 12,5 ore), e alla partico- lare farmacocinetica che permette una esposizione al far- maco del tutto simile tra le prime e le seconde 12 ore dopo l’iniezione, IDeg può essere somministrata in qualsiasi momento della giornata, assicurando quindi una flessi- bilità degli orari di somministrazione tale da favorire un minore impatto sullo stile di vita del paziente (37, 44).
In un trial in aperto, treat-to-target di 52 settimane con- dotto su pazienti DM1, IDeg ha dimostrato la stessa effi- cacia ipoglicemizzante di glargine, a fronte di un numero totale di episodi di ipoglicemia comparabile, ma con una significativa riduzione (-25%) delle ipoglicemie notturne (41). Dati simili sono stati ottenuti in un trial di disegno simile, ma condotto su pazienti DM2 (43). Anche in questa tipologia di soggetti IDeg dimostrava la stessa efficacia di glargine sul controllo glicemico ma in questo caso sia il numero totale di ipoglicemie sia il numero di ipoglicemie notturne risultava modestamente ma significativamente ridotto nei pazienti randomizzati ad assumere IDeg (43). In realtà è soprattutto nei pazienti con DM2 spesso poli- trattati e mediamente più “fragili”, che la riduzione delle ipoglicemie, ed in particolare di quelle notturne, rappre- senta un vantaggio molto concreto. È stato inoltre recen- temente pubblicato un trial di 26 settimane, in aperto, treat-to-target, condotto sempre su pazienti DM2, naive all’insulina in trattamento con ipoglicemizzanti orali, in cui l’efficacia e la sicurezza di IDeg somministrata ad orario variabile sono state confrontate con glargine som- ministrata ad orario costante: nonostante la variabilità nell’orario della somministrazione, IDeg è risultata para- gonabile a glargine sia come efficacia nel raggiungimento di un controllo metabolico accettabile, sia nell’incidenza delle ipoglicemie, totali e notturne. Poter variare l’orario di somministrazione dell’insulina da un giorno all’altro, senza incorrere nel rischio di un peggioramento del com- penso metabolico e di ipoglicemia potrebbe avere un po- tenziale impatto positivo sulla compliance al trattamento insulinico (45).
In effetti, gli attuali schemi terapeutici si avvalgono di in- suline che per fornire il miglior risultato sulla glicemia a
digiuno vanno somministrate alla stessa ora ogni giorno; questo può però rappresentare un ostacolo in pazienti con uno stile di vita irregolare e che possono talvolta omettere di assumere i farmaci. Inoltre, l’analisi dei dati ottenuti in pazienti DM1 ha mostrato una variabilità inter-gior- naliera 4 volte più bassa nell’effetto ipoglicemizzante per IDeg rispetto a glargine, il che potrebbe favorire la titola- zione della dose insulinica su obiettivi più ambiziosi di glicemia a digiuno (40).
Ad ulteriore supporto della sicurezza dell’uso di IDeg, una recente metanalisi degli studi registrativi mirata a valu- tare gli effetti di IDeg in soggetti di età > 65 aa (46) ha di- mostrato anche in questi pazienti relativamente più an- ziani che l’uso di IDeg era associato ad un minor numero di ipoglicemie totali e di ipoglicemie notturne. Inoltre, a fugare il dubbio che una insulina a più lunga durata d’a- zione e a più lunga permanenza in circolo potesse essere associata ad un recupero dalla ipoglicemia meno efficace, Koehler et al. (47) hanno dimostrato che i sintomi dell’i- poglicemia e la risposta cognitiva ad essa erano simili in soggetti trattati con IDeg o glargine e che i tempi di re- cupero dall’ipoglicemia erano parimenti simili con le due molecole.
Un altro analogo basale dell’insulina, che ha da poco ter- minato la fase 2 di sperimentazione, è l’insulina lispro peghilata, ILPeg (LY2605541), una molecola di insulina li- spro incorporata in una catena di polietilene glicole (PEG), tecnologia che permette di prolungare la durata d’azione dei farmaci iniettabili (48) (Fig. 3). In questa formulazione l’assorbimento della insulina lispro viene infatti rallenta- to dalle elevate dimensioni della molecola di PEG in cui è incorporata (49-50).
Questa formulazione è in grado di legare 3 molecole di acqua, il che aumenta la grandezza idrodinamica della molecola, determinando un ritardo nell’assorbimento ed una riduzione nella filtrazione renale con aumento dell’e- mivita. La peghilazione protegge inoltre la molecola dalla degradazione proteolitica
La ILPeg è stata studiata in pazienti sia DM1 sia DM2 in cui ha dimostrato di essere ugualmente, se non addirit- tura più efficace rispetto a glargine nel controllo della glicemia e, laddove il trattamento insulinico è general- mente associato ad incremento ponderale, il trattamento con ILPeg sembra associarsi ad una riduzione del peso cor- poreo (38). Nello studio di fase 2 condotto su pazienti DM1, il trattamento con ILPeg per 8 settimane risultava infatti più efficace rispetto a glargine nel migliorare il compen- so glicemico ed era seguito da una significativa perdita di peso corporeo. Il trattamento con ILPeg si associava tut- tavia ad un maggior numero di effetti collaterali, princi- palmente a livello gastrointestinale, effetti modesti che non sembrano essere responsabili della perdita di peso, i cui meccanismi molecolari restano da chiarire (51).

Fig. 3 - Rappresentazione schematica di LY2605541

Per quello che riguarda poi gli eventi ipoglicemici, questi globalmente risultavano più numerosi (pur se non signi- ficativamente) nei pazienti trattati con ILPeg rispetto ai pazienti trattati con glargine: il numero di ipoglicemie notturne tuttavia è risultato significativamente inferiore (51). Un apparente aumento del numero delle ipoglicemie totali potrebbe essere dovuto all’algoritmo di titolazione, che era lo stesso per ILPeg e glargine nello studio, e che do- vrebbe invece probabilmente essere diverso in virtù della diversa farmacodinamica delle due molecole (24, 52). Del resto, in un trial di fase 2 condotto in pazienti con DM2, ILPeg è risultava efficace quanto glargine nel migliorare il compenso glicemico ed anche in questo caso era in grado di indurre una perdita di peso significativa (53). Tuttavia, in questo caso il numero di episodi ipoglicemici totali non era diverso nei due gruppi di trattamento, ma, anche in questo caso, si assisteva ad riduzione relativa, rispetto al baseline, delle ipoglicemie notturne nei pazienti trattati con ILPeg (53). Le dimensioni molecolari della insulina peghilata dovrebbero teoricamente renderla più attiva
nel tessuto epatico, dove diffonderebbe più facilmente a causa delle ampie fenestrazioni dei capillari epatici. Questo renderebbe l’azione insulinica “più fisiologica” in quanto, fisiologicamente, il fegato, che estrae oltre il 50% dell’insulina nel primo passaggio, grazie alla sua collo- cazione anatomica a valle della vena porta, riceve una in- sulinizzazione doppia rispetto ai tessuti periferici quali il muscolo scheletrico. Studi successivi dovranno chiarire se questo possa effettivamente risultare in un vantaggio clinico: per il momento occorre rilevare che, nei trial re- gistrativi, l’uso di ILPeg sembra associato ad un modesto aumento dei livelli delle transaminasi epatiche e della concentrazione plasmatica di trigliceridi (53).
Non solo nel campo delle insuline a lunga durata d’azione novità importanti si stanno affacciando sul mercato. An- che le insuline “prandiali” oggi a disposizione, ancorché gli analoghi monomerici abbiano una farmacocinetica ed una farmacodinamica che riproduce meglio della insuli- na umana la fisiologica increzione insulinica che segue la ingestione del pasto, spesso non consentono di raggiun- gere profili glicemici post-prandiali ottimali (54-55). Que- sto è in parte dovuto al fatto che nel sottocute la matrice extracellulare rappresenta una barriera alla diffusione dei fluidi per la presenza di acido ialuronico, un glico- saminoglicano che, legando le molecole di acqua libera, crea una matrice gelatinosa altamente viscosa (56-58); di conseguenza l’insulina iniettata nel sottocute diffonde con difficoltà nel letto capillare in quanto bloccata nei de- positi locali (4, 56-59). La ialuronidasi è un enzima che, mediante la depolimerizzazione dell’ac. ialuronico, mi- gliora la diffusione e l’assorbimento dei farmaci sommi- nistrati per via iniettiva. Studi condotti su volontari sani e su pazienti DM1 e DM2 hanno dimostrato che l’aggiunta della ialuronidasi umana ricombinante (rHuPH20) a cia- scun analogo rapido oggi disponibile ne accelera, rispetto all’analogo somministrato da solo, la farmacocinetica e l’assorbimento, raddoppiando l’esposizione all’insulina durante la prima ora e dimezzandola nelle due ore succes- sive alla somministrazione (60-63). Questo si traduce in un miglioramento dell’azione insulinica, con effetto più rapido ed una durata inferiore. Preparazioni insuliniche “addizionate” di ialuronidasi sono in fase di sviluppo, ma è ancora presto per affermare con certezza che riusciran- no ad essere una risposta valida al problema della otti- mizzazione della farmacodinamica post-prandiale e che, soprattutto, saranno scevre da effetti collaterali a livello del tessuto sottocutaneo.

CONCLUSIONI

Dagli estratti pancreatici di Banting e Best ai moderni analoghi dell’insulina sintetizzati attraverso la tecnolo- gia del DNA ricombinante si è fatta molta strada (in meno di un secolo). La “terapia sostitutiva ormonale” del dia- bete mellito, tuttavia, è ancora lungi dall’essere perfetta. I continui progressi della tecnologia ci stanno portando verso forme sempre più avveniristiche di terapia insu- linica: è bene tuttavia che gli entusiasmi che le novità giustamente suscitano siano sempre temperati da una saggia prudenza, legata soprattutto alla considerazione che il numero si soggetti diabetici che hanno bisogno di terapia insulinica è talmente vasto che qualunque formu- lazione deve innanzitutto dimostrare di essere assolutamente sicura.

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