Francesca De Santi, Giacomo Zoppini
Azienda Ospedaliera Universitaria Verona, Dipartimento di Medicina, Sezione di Endocrinologia, Diabetologia e Metabolismo
Introduzione
Il diabete mellito è una delle principali patologie croniche su scala globale, circa il 5,5% della popolazione mondiale ne è affetto e tale percentuale sembra destinata a raddoppiare nei prossimi 25 anni (1). In considerazione dell’aumento della sopravvivenza nelle società occidentali, si sta assistendo ad un trend in rialzo sia di incidenza che di prevalenza di diabete mellito nella popolazione anziana >65 anni, ed in particolare nei soggetti >75 anni (2). Nel 2000 i soggetti diabetici con più di 65 anni rappresentavano il 30% degli affetti, nel 2030 è previsto che i diabetici ultrasessantacinquenni supereranno il 36% per un totale di 366 milioni di malati nel mondo.
In Italia, secondo i recenti dati ISTAT è affetto da diabete mellito il 5,5% della popolazione; tale tasso grezzo comprende sia diabete mellito di tipo 1 che diabete mellito di tipo 2, LADA e forme secondarie a terapia steroidea e/o a patologie neoplastiche.
La prevalenza del diabete mellito in Italia suddivisa per fasce d’età mostra un incremento che inizia a partire dai 60 anni (10,3% maschi e 8,8% nelle femmine), diviene poi franco a partire dai 65 anni (16,1% maschi e 13,9% femmine) e raggiunge il picco dopo i 75 anni (19,1% maschi e 21% femmine) (3). Anche in Italia, come nel resto del mondo, si assisterà negli anni a venire ad una profonda ridistribuzione della popolazione per classi di età. Secondo alcuni studi infatti nel 2050 la popolazione italiana resterà sempre nell’ordine dei 60 milioni ma si ridurranno le fasce di età più giovani (<59 anni) mentre aumenteranno quelle di età più avanzata, specie i soggetti oltre gli 85 anni e di sesso femminile (4).
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Fisiopatologia del diabete nell’anziano
L’insorgenza del diabete nell’anziano può essere dovuta a vari fattori: intrinseci al processo di invecchiamento sia cellulare che sistemico e/o legati all’ereditarietà, allo stile di vita, alla disfunzione mitocondriale, alla sarcopenia, ad una alterata distribuzione della massa adiposa a favore di quella viscerale, a deficit ormonali, alla presenza di comorbidità e ai farmaci assunti. Tra i meccanismi alla base del diabete nell’anziano vanno menzionati lo stato infiammatorio cronico, che può rendere ragione di una progressiva disfunzione beta-cellulare causata dall’aumentata espressione di mediatori dell’infiammazione (come il TNF-alfa, l’IL-6, la PCR, il PAI, le adipochine) e lo stress ossidativo dovuto in parte alla ridotta capacità di riparare ai danni ossidativi per ridotta attività degli enzimi antiossidanti e delle proteine di riparazione cellulare (6). L’alterazione delle proteine di riparazione cellulare può contribuire anche alla perdita dei telomeri, alla riduzione di Glut-4 e all’apoptosi delle beta-cellule per la deposizione di amilina (6).
In sintesi, anche nell’anziano il deteriorarsi del metabolismo glucidico appare riconducibile ad un difetto di secrezione insulinica in presenza di un aumento dell’insulino resistenza dovuti all’interazione di tutti i fattori ricordati nel precedente paragrafo (5).
Nell’anziano, la secrezione insulinica perde la sua intrinseca pulsatilità e risponde meno allo stimolo degli ormoni incretinici; risulta, inoltre, deficitaria la risposta al glucagone. L’ossidazione del glucosio si riduce a favore dell’ossidazione lipidica che appare invece esaltata.
Nel soggetto anziano la ridotta secrezione insulinica e l’insulino resistenza si manifestano principalmente con iperglicemia post-prandiale conseguente al ritardo nella soppressione della produzione epatica da un lato e alla ritardata captazione periferica di glucosio dall’altro lato (7-8). L’insulino resistenza sembra agire anche a livello del sistema nervoso centrale dove può contribuire ad un incremento dello stress osmotico ed ossidativo sui neuroni, alla deposizione di AGEs e alla formazione di grovigli neurofibrillari da ridotta clearance enzimatica. A livello centrale tutte queste alterazioni possono tradursi in una ridotta “awarness” dei sintomi di allarme autonomico e in una predisposizione al deficit cognitivo (9). Le alterazioni del metabolismo glucidico sembrano anche correlarsi a disfunzione gonadica che nella donna determina un aumento mentre nell’uomo una riduzione dei livelli circolanti di androgeni (10-11).
Clinica del diabete nell’anziano
L’anziano con diabete presenta un’ampia e variabile espressione clinica, ma l’elemento su cui occorre porre maggiore attenzione è la durata di malattia.
Si può infatti distinguere tra un diabete “naive” neodiagnosticato in età senile ed un diabete noto di lunga data, ovvero un diabetico che è divenuto anziano. Diverse sono le implicazioni cliniche per quanto riguarda l’approccio alle due diverse situazioni. Nel caso del diabete neodiagnosticato nell’anziano andranno ricercate possibili cause secondarie, mentre nel secondo caso maggior enfasi andrà posta sulla ricerca e gravità delle complicanze croniche della malattia diabetica.
Il paziente può in entrambi i casi presentarsi clinicamente asintomatico, sintomatico, critico e non critico (12-13).
Le temibili complicanze acute del diabete mellito sono la sindrome iperosmolare, la chetoacidosi e l’ipoglicemia. La sindrome iperosmolare è una severa complicanza acuta associata ad un elevato rischio di mortalità in questa fascia d’età (fino al 20%), colpisce più frequentemente la settima decade d’età e determina compromissione del sensorio, grave disidratazione, ipotensione, insufficienza renale pre-renale. Le cause scatenanti sono principalmente rappresentate da infezioni intercorrenti, malattie acute, chirurgia senza adeguata preparazione, terapia antidiabetica incongrua e disidratazione dovuta a farmaci quali diuretici o infezioni intestinali.
La chetoacidosi, assai più rara nell’anziano, si verifica solitamente come conseguenza di episodi infettivi e in taluni casi all’esordio.
Nei soggetti anziani che assumono metformina è fondamentale un attento monitoraggio del filtrato renale per evitare l’acidosi lattica soprattutto in coloro che sono già affetti da insufficienza renale e/o cardio-respiratoria (14).
Altrettanto gravi nel diabetico anziano possono essere gli episodi di ipoglicemia, tanto da assumere un ruolo preminente nel determinare gli obbiettivi di cura (15).
Tra le complicanze croniche riconosciamo le “CLASSICHE”:
– Microvascolari (retinopatia, nefropatia)
– Macrovascolari (cardiovascolari);
e le “NUOVE” complicanze croniche che nel paziente anziano si dovrebbero sempre ricercare:
– Deterioramento cognitivo(effetto diretto tossico del glucosio con insulto osmotico + stress ossidativo + AGEs + grovigli neurofibrillari, citochine pro-infiammatorie)
– Depressione (può interessare circa il 25% dei pazienti diabetici oltre i 75 anni: può contribuire e ridurre la compliance)
– Disabilità (determina un più rapido declino delle performance fisiche)
– Cadute (ipoglicemie, debolezza muscolare, neuropatia, calo del visus, deficit cognitivo)
– Sarcopenia (40% degli ultraottantenni, riduzione di massa e forza muscolare, alterata capacità immunologica, insufficienza di aminoacidi essenziali)
– Fragilità (condizione di aumentata vulnerabilità con modificazioni fisiopatologiche che possono determinare esiti negativi in termini di disabilità).
Per definire FRAGILE un soggetto occorrono almeno tre dei seguenti criteri:
– Spossatezza, esauribilità almeno 3 giorni la settimana
– Riduzione dell’attività fisica settimanale
– Riduzione della velocità del cammino
– Poor grip strenght
– Diminuzione non intenzionale del peso corporeo di almeno il 5% nell’ultimo anno.
Trattamento del diabete nell’anziano
L’approccio clinico al trattamento del diabete e la gestione delle sue complicanze è reso complesso per la grande eterogeneità della popolazione dei soggetti anziani affetti da diabete mellito.
Un primo e fondamentale passo è rappresentato dalla categorizzazione del paziente in termini di capacità cognitive e fisiche, di comorbità e complicanze croniche, di attesa di vita per individuare una “tailoring therapy” sia per decidere il farmaco antidiabetico più adatto ma anche l’intensità della cura.
A questo scopo sono state elaborate delle flow charts geriatriche per valutazioni multidimensionali al fine di stabilire lo stato funzionale dei pazienti (16-18):
– BADL, valutazione attività di base della vita quotidiana
– PERFORMANCE BATTERY, test di capacità fisico-motorie
– MINI MENTAL, valutazione rischio demenza
– DEPRESSION SCORE, valutazione rischio depressivo
– MINI NUTRITIONAL, valutazione stato nutrizionale
Seguendo le linee guida IDF per il paziente anziano, sulla base degli esiti delle valutazioni multidimensionali associati alla clinica, è possibile distinguere tre classi funzionali:
– IL PAZIENTE INDIPENDENTE
– IL PAZIENTE NON INDIPENDENTE
– IL PAZIENTE A FINE VITA
Il paziente INDIPENDENTE:
– Senza importante deterioramento delle attività di base della vita quotidiana
– Che non si avvale di caregivers
– Il diabete è la patologia principale ma presenta comorbidità
Il paziente DIPENDENTE:
– Con perdita delle normali attività di base quotidiana (lavarsi, vestirsi, ecc.)
– Richiesta attenzione medica e sociale
– Con probabilità di dover accedere alle cure domiciliari (fragilità, demenza)
Il paziente a FINE VITA:
– Con aspettativa di vita inferiore ad 1 anno
Obiettivi della terapia del diabete
Gli obbiettivi da perseguire nel paziente anziano diabetico sono rappresentati da:
– Prevenire le ipoglicemie
– Controllo dell’iperglicemia
– Mantenimento di un buon stato di salute
– Migliore qualità di vita possibile
– Prevenzione e trattamento delle complicanze
– Gestione delle comorbidità: bpco, irc, cvd, osteoporosi, artriti, patologie reumatologiche, disturbi cognitivi.
Secondo l’analisi dei dati UKPDS sui pazienti diabetici tipo 2 di età più elevata e con minime comorbidità, la riduzione dell’1% dei valori di HbA1c si associava ad una riduzione del 37% delle complicanze microvascolari e del 21% di eventi avversi legati al diabete. Tuttavia come osservato negli studi ACCORD, ADVANCE, VADT, un controllo glicemico troppo stringente sembra esporre ad un aumentato rischio di ipoglicemie severe, ritenute responsabili dell’aumento, o quanto meno, della mancata riduzione di eventi cardiovascolari.
Nell’anziano gli episodi di ipoglicemia possono avere un impatto rilevante e numerose condizioni possono aumentarne il rischio, tra esse si possono ricordare:
– Ricerca di un controllo glicemico troppo stringente
– Coesistenza di un deficit cognitivo
– Errori nell’assunzione dei farmaci antidiabetici orali
– Incapacità di valutare il rapporto tra CHO/attività fisica
– Insufficiente comprensione da parte del paziente e/o del caregiver
– IRC, insufficienza epatica severa
– Terapia con sulfoniluree, insulina, glinidi
– Malnutrizione o scarsa alimentazione
– Neuropatia autonomica
– Ospedalizzazione recente
– Ridotta efficienza dei meccanismi controregolatori
– Politerapia
L’ipoglicemia, inoltre, può avere molteplici conseguenze più o meno gravi e le principali possono essere:
– Cadute, traumi contusivi
– Perdita di coscienza
– Inerzia clinica
– Complicanze cardiovascolari
– Aumento ponderale dovuto a “defence eating”
– Aumentato rischio di crisi comiziali
– Aumentato rischio di incidenti stradali
– Aumentato rischio di demenza
– Riduzione della qualità della vita
– Coma
– Ospedalizzazione
– Morte
Secondo il recente Position Statement 2016 viene suggerito un approccio alla scelta dei target glicemici più adatti a seconda della tipologia di paziente.
Con un paziente ad alto rischio di ipoglicemia, lunga storia di malattia diabetica, aspettativa di vita decurtata, importanti comorbidità, esiti cardiovascolari e scarsa compliance viene consigliato un approccio meno stingente per il trattamento dell’iperglicemia. Al contrario, un paziente con diagnosi di diabete recente, se non addirittura “naive”, lunga spettanza di vita, che non presenta comorbidità, non ha precedenti cardiovascolari e dimostra eccellente compliance e motivazione personale, permette al clinico che lo segue di attuare un management più intensivo al fine di ottenere il target glicemico prefissato (19).
Associando tali indicazioni generali alla precedente classificazione funzionale dei pazienti anziani otteniamo target più specifici e precisi di glicemia pre e post prandiale, di emoglobina glicata e di pressione arteriosa sistemica. La tabella 1 riporta i livelli degli obiettivi di trattamento nel soggetto diabetico anziano in relazione alle categorie di stato di salute.
Cosa preferire nell’anziano diabetico
Sempre ricorrendo alle indicazioni del Position Statement per il trattamento del paziente diabetico in generale è possibile estrapolare una linea da seguire per il paziente anziano.
La terapia nutrizionale riveste un ruolo di primaria importanza nella gestione della malattia diabetica, come da sempre sostenuto dalle più importanti società scientifiche internazionali (evidenza A).
Tuttavia, l’aspetto nutrizionale è tra i più critici nella cura dell’anziano affetto da diabete perché risente fortemente delle esigenze personali, del contesto sociale e delle comorbidità.
Dopo i 40 anni di età il fabbisogno calorico si riduce gradualmente di circa il 5% per decade fino ai 60 anni, si riduce del 10% tra i 60 e 70 anni e poi ulteriormente del 10% dopo i 70 anni. Questa riduzione del fabbisogno calorico si accompagna ad una riduzione della massa muscolare (sarcopenia). Inoltre, nell’anziano più che aspetti di denutrizione vanno ricercati aspetti di malnutrizione (20-21).
Se una dieta sana, uno stile di vita attivo e il controllo del peso corporeo non risultano sufficienti per il raggiungimento degli obiettivi di trattamento glicemico desiderato diviene necessario avviare una terapia farmacologica specifica, con antidiabetici orali e/o con insulina.
Ipoglicemizzanti orali
Per quanto concerne la terapia antidiabetica orale (Fig. 1) il primo step, dopo il fallimento dello stile di vita e della dieta, prevede l’avvio di metformina che potrà eventualmente essere associata ad un secondo principio attivo per ottimizzare il compenso glicemico (22).
Nel soggetto anziano sarebbe preferibile minimizzare la polifarmacoterapia antidiabetica perché ulteriori farmaci per il controllo glicemico garantiscono solo modesti miglioramenti in termini di riduzione dell’emoglobina glicata (HbA1c) (23-24), mentre incrementano il rischio di eventi avversi (25), ipoglicemia (26), interazioni farmacologiche (27) e comorbidità (28).
Anche la compliance terapeutica nell’anziano tende a ridursi con l’aumentare dei principi attivi che devono essere assunti (29).
Gli antidiabetici orali da preferire nell’anziano diabetico sono pertanto rappresentati da:
– Metformina: primo step nella cura del diabete dopo la modifica dello stile di vita, garantisce un buon controllo glicemico con riduzione dell’emoglobina glicata dell’1-2%, basso rischio di ipoglicemie, basso costo. Sicurezza cardiovascolare (30). Da scheda tecnica non presenta limiti d’età. Deve essere evitata in caso di insufficienza renale cronica (IRC), cardiaca e respiratoria severe, epatopatie gravi e acidosi. Può favorire intolleranza gastrointestinale. Il suo dosaggio deve essere individualizzato sulla base della velocità di filtrazione glomerulare (GFR) e non va utilizzata se GFR <30 ml/min.
– Inibitori della dipeptil-peptidasi-4 (iDPP4): discreto controllo glicemico e riduzione di HbA1c 0,8-1%, basso rischio di ipoglicemie, basso rischio di eventi avversi. Sicurezza cardiovascolare (31-32) e nei deficit cognitivi/demenze (33). Da scheda tecnica tutte le molecole sono utilizzabili fino a 75 anni, solo il vildagliptin e il sitagliptin anche nell’over 75. Il dosaggio deve essere individualizzato sulla base del GFR. Alcune molecole possono essere utilizzate fino a insufficienza renale teminale (sitagliptin, vildagliptin, linagliptin).
– Acarbosio: basso rischio di ipoglicemie, non reca effetti sistemici, medio/bassa efficacia sulla riduzione della HbA1c 0,4-0,9%, può favorire intolleranza gastrointestinale. Sicurezza cardiovascolare (34). Da scheda tecnica non presenta limiti per IRC lieve media, ma viene sconsigliato in caso di insufficienza epatica. Il suo dosaggio deve essere individualizzato sulla base delle transaminasi.
– Sulfoniluree: buona riduzione della HbA1c 1-2% e controllo dell’iperglicemia post prandiale, rischio medio/elevato di ipoglicemie, aumento di peso, la più sicura su questi aspetti al momento pare essere la gliclazide. Da scheda tecnica non presenta limiti per età ma per filtrato renale e/o funzione epatica scaduti. Il suo dosaggio deve essere individualizzato sulla base del GFR, non utilizzabile se GFR <30 ml/min.
– Glinidi: discreto controllo della glicemia post prandiale e riduzione della HbA1c di circa 0,9%. Rischio medio/elevato di ipoglicemia. Da scheda tecnica utilizzabili anche in caso di GFR ridotta (fino a 40 ml/min), sconsigliate in caso di paziente over 75 e in caso di insufficienza epatica severa. Da scheda tecnica è sconsigliato l’uso anche nei pazienti cardiopatici ischemici.
– Pioglitazione: buon controllo dell’iperglicemia e buona riduzione della HbA1c dell’ordine di circa 1,5%. Basso rischio di ipoglicemia ma incremento di peso per ritenzione di liquidi. Da scheda tecnica non ha limiti per età e GFR fino a 15 ml/min, tuttavia è sconsigliato in caso di insufficienza cardiaca, storia di neoplasia vescicale, osteoporosi, pregresse fratture e presenza di edemi.
– Gliflozine: discreto controllo dell’iperglicemia e buona riduzione della HbA1c dell’1%. Basso rischio di ipoglicemia, sicurezza cardiovascolare (35), perdita di peso. Da scheda tecnica non consigliate negli over 75 per mancanza di studi (canaglifozin e dapaglifozin) e negli over 85 (empaglifozin). Sconsigliato l’avvio per GFR <60 ml/min, se già in uso utilizzabili fino a GFR di 45 ml/min, non utilizzabili in caso di scompenso cardiaco di classe NHYA III-IV. Nell’anziano aumentano il rischio di deplezione volume e di acidosi metabolica non chetotica.
– Agonisti del GLP-1: buon controllo glicemico con buona riduzione di HbA1c di circa 1%, basso rischio di ipoglicemia. Disponibili a lunga e breve durata d’azione, favoriscono la perdita di peso. Da scheda tecnica sconsigliate nei pazienti over 75 per mancanza di studi, sconsigliate per IRC e insufficienza epatica severe. Possono indurre intolleranza gastrointestinale.
Terapia insulinica
Le indicazioni per l’avvio di terapia insulinica nell’anziano affetto da diabete mellito di tipo 2 sono (36):
USO TEMPORANEO:
– Malattie acute
– Periodo peri operatorio
– Trattamento steroideo
USO CRONICO:
– Controindicazioni all’utilizzo di antidiabetici orali (insufficienza renale e/o epatica)
– Intolleranza agli antidiabetici orali
– Fallimento della terapia con antidiabetici orali
Il ricorso alla terapia insulinica nel paziente anziano è frequentemente correlato al decadimento della funzione renale, al concomitante trattamento con steroidi e al fallimento della terapia con antidiabetici orali.
Nel momento in cui si rende necessario avviare uno schema insulinico occorre sempre far riferimento a quello che è il target per il paziente basandosi sulle classi funzionali precedentemente illustrate.
In figura 2 sono schematizzati i passi dell’introduzione dell’insulina in terapia che solitamente avviene con la basalizzazione del paziente e successivamente con l’eventuale avvio di insulina rapida ai pasti e/o il mantenimento di antidiabetici orali in associazione (37).
Ma quali insuline scegliere nell’anziano diabetico (38, 40)?
– Gli analoghi insulinici sarebbero da preferire alla insuline umane poiché mantengono la farmacocinetica in caso di IRC terminale
– Per “basalizzare” sarà da preferire il ricorso ad analoghi lenti senza picco (Degludec e Glargine 300) per il ridotto rischio di ipoglicemie specie notturne: titolare sempre
– Preferire analoghi rapidi a basso dosaggio: titolare sempre
– Premiscelate nei pazienti complessi e di difficile gestione domiciliare.
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