La persona con diabete tipo 1 e le immersioni subacquee

Matteo Andrea Bonomo1, Giovanni Careddu2, Gerardo Corigliano3, Paolo Di Bartolo4, Pasquale Longobardi5, Andrea Fazi6, Elena Cimino7, Elena Gamarra8, Umberto Valentini9

1SSD Diabetologia, ASST “Grande Ospedale Metropolitano Niguarda”, Milano;

2SSD Endocrinologia, Diabetologia e Malattie Metaboliche, ASL 3 Genova;

3Servizio di Diabetologia AID, ASL Napoli 1;

4UO di Diabetologia, Rete Clinica di Diabetologia Aziendale, Dipartimento Internistico di Ravenna, AUSL della Romagna;

5Centro Iperbarico Ravenna, Presidente Società Italiana Medicina Subacquea e Iperbarica (SIMSI);

6Sistema Integrato delle Emergenze, Agenzia Regionale Sanitaria, Regione Marche;

7UOC Medicina Generale ad indirizzo Metabolico Diabetologico, ASST Spedali Civili di Brescia;

8SCDU Endocrinologia, Diabetologia e Metabolismo, A.O.U. Città della Salute e della Scienza San Giovanni Battista “Le Molinette”, Torino;

9UOC Medicina Generale ad indirizzo Metabolico Diabetologico, ASST Spedali Civili di Brescia

DOI: 10.30682/ildia1901c

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PREMESSA

Per la prima volta, l’edizione 2018 degli “Standard di cura” italiani ha inserito le immersioni subacquee con autorespiratore fra le attività sportive consentite alla persona con diabete (1). Si tratta di una svolta importante, che anche nel nostro Paese porta finalmente, in un documento ufficiale di grande prestigio come gli “Standard”, un elemento di chiarezza su una questione da tempo molto dibattuta a livello internazionale, sulla quale si sono succedute anche negli ultimi anni posizioni contrastanti. Un’incertezza peraltro non ancora del tutto risolta, con atteggiamenti di maggiore o minore apertura, ed in alcuni casi di dubbio, se non di sostanziale chiusura, presenti sia nel mondo diabetologico sia in altre branche, come la Medicina dello Sport e la Medicina Iperbarica; lo stesso vale per l’ambiente della subacquea, in particolare della didattica.

Rimanendo nel campo della diabetologia, infine, dubbi e ripensamenti sulla accessibilità di questo sport hanno caratterizzato a lungo anche l’associazionismo più attento a queste tematiche. Se è infatti vero che, nel sito web della Associazione Nazionale Italiana Atleti Diabetici “ANIAD”, è da qualche anno prevista una sezione specificamente dedicata alla subacquea, dove si parla espressamente dello “sdoganamento” di questa attività, ed è disponibile un “Protocollo operativo per persone con diabete che intendono cimentarsi nella subacquea”, ancora nel 2014 un documento ufficiale della stessa “ANIAD” (“Il programma ottimale di attività fisica per le persone affette da diabete mellito”) riportava che: “… viene fortemente sconsigliata l’immersione subacquea perché richiede dei tempi obbligati per l’emersione che non sono compatibili con la gestione della crisi ipoglicemica”.

Da queste contraddizioni si può comprendere come siamo in realtà di fronte ad un problema non semplice, alla cui complessità concorrono implicazioni di varia natura: in prima istanza cliniche, ma anche di sicurezza, normative, medico-legali. Nei paragrafi che seguono si cercherà pertanto di fornire un inquadramento generale, partendo dalla fisiologia di questo particolare tipo di attività fisica, esaminandone i potenziali rischi specifici per la persona con diabete e le possibili soluzioni messe a punto per assicurarne una pratica in sicurezza. Verranno poi ricordate le principali esperienze condotte in vari Paesi, che sono state alla base del progressivo adeguamento delle linee-guida internazionali, per concludere con i programmi fin qui svolti e tuttora attivi a livello italiano, e con una discussione sulle prospettive oggi aperte dai progressi tecnologici in evoluzione.

CARATTERISTICHE DELLA ATTIVITÀ SUBACQUEA

Il nuoto, praticato in acque libere (mare, laghi, fiumi…) o in acque confinate (piscina), è considerato una delle attività sportive che meglio si adatta alle necessità della persona con diabete. È infatti un tipo di esercizio che mette in movimento la maggior parte dei muscoli somatici, contribuisce ad un armonico sviluppo e, se effettuato a livello non agonistico, presenta tutti i vantaggi di una tipica attività aerobica, quindi alattacida, praticabile ad ogni età. Inoltre per la ridotta spinta gravitazionale e per l’effetto “massaggio” dell’acqua migliora la circolazione, e non impatta con le teste metatarsali, notoriamente punto debole del piede del soggetto diabetico.

Molte di queste affermazioni sono in realtà applicabili, con ovvi adattamenti, anche alla attività subacquea, e in particolare alle immersioni con autorespiratore (“ARA” o, usando un termine anglosassone molto diffuso, “SCUBA”: “Self Contained Underwater Breathing Apparatus”). Per la parte che si svolge in acqua, le immersioni con ARA, in condizioni normali, sono infatti una attività aerobica a bassa intensità, comportante pinneggiamento lento e regolare e modesti movimenti delle braccia; dal punto di vista del dispendio energetico esse sarebbero quindi equiparabili al nuoto in superficie (2). Bisogna tuttavia considerare anche la fase di preparazione (vestizione, trasporto e montaggio della attrezzatura, raggiungimento del punto di immersione), la temperatura che può presentare escursioni termiche importanti (caldo in superficie, freddo in immersione), i possibili imprevisti (correnti, onde, intorbidamento) e, non ultimo, lo “stress” derivante, per i meno esperti, dal trovarsi in un ambiente “diverso” e, in profondità, quasi “ostile” (scarsa luminosità, difficoltà di comunicazione e di orientamento).

Tutte queste componenti fanno quindi della attività subacquea un esercizio discretamente impegnativo, sia fisicamente sia psicologicamente, che richiede equilibrio, tranquillità, ed una buona condizione fisica generale. Questo naturalmente vale per il soggetto diabetico come per qualunque altra persona; si tratta ora di esaminare se la condizione diabetica comporti, di per sé, problematiche e rischi particolari, e come essi vadano affrontati.

LA PERSONA CON DIABETE E LE IMMERSIONI CON ARA: RISCHI SPECIFICI

Esistono certamente alcuni rischi connessi alla pratica subacquea, principalmente dovuti all’aumento della pressione negli spazi aerei, alla aumentata pressione di azoto in profondità, a disturbi gastrointestinali e, soprattutto, alla patologia da decompressione (3). Si tratta però, fortunatamente, di evenienze rare e, per quanto concerne l’argomento di cui ci stiamo occupando, solo minimamente influenzate dalla presenza di una malattia diabetica non complicata e in buon compenso, prevenibili con una corretta preparazione del paziente e con l’adozione di misure precauzionali adeguate.

Un primo elemento aggiuntivo di criticità dovuto al diabete potrebbe essere ancora potenzialmente legato alla pressione ambientale, per un possibile aumento dell’assorbimento di insulina dai depositi s.c., con conseguente reazione ipoglicemica in immersione. Altri problemi possono derivare da una iperglicemia da stress o, all’opposto, da una ipoglicemia dovuta all’aumentato dispendio calorico. Vanno poi considerati eventuali disturbi gastroenterici in caso di gastroparesi nei soggetti con neuropatia autonomica (4).

Tutti i pericoli ora elencati devono essere conosciuti, e non sottovalutati, ma si può dire che buona parte di essi è ragionevolmente prevenibile con una accurata valutazione preliminare, che escluda le persone con chiare controindicazioni, e con una serie di misure precauzionali facilmente attuabili.

Pertanto, oltre a valutare attentamente la presenza di controindicazioni generali all’attività subacquea, è essenziale indagare possibili condizioni di rischio specifiche, conseguenti a particolari caratteristiche della malattia diabetica. Si tratta, in sintesi, di aspetti legati al controllo metabolico, alla sensibilità all’ipoglicemia, alla presenza di complicanze croniche, alla regolarità dei controlli clinici e, più in generale, alla “compliance” del paziente:

Scompenso metabolico

Oltre agli ovvi pericoli conseguenti ad un episodio di chetoacidosi in immersione (peraltro poco probabile, data la breve durata di un’immersione ricreativa), anche uno scompenso glicemico di minore entità, ma comunque caratterizzato da iperglicemia prolungata, potrebbe teoricamente comportare rischi seri, causando uno stato di disidratazione, considerato fra le cause favorenti la malattia da decompressione, una delle complicazioni più temibili delle immersioni con ARA.

Ipoglicemia non avvertita

Data la gravità del pericolo rappresentato dall’ipoglicemia, di cui si tratterà ampiamente nei prossimi paragrafi, il suo riconoscimento è evidentemente fondamentale per la sicurezza della persona che si immerge. La presenza di “hypoglycemia unawareness” rappresenta quindi un fattore di rischio importante, e questa condizione va attentamente indagata, ed esclusa, prima di autorizzare ogni forma di attività subacquea.

Complicanze croniche

Non vi sono, in realtà, evidenze del peggioramento di una pre-esistente microangiopatia diabetica nelle condizioni iperbariche proprie di un’immersione ricreativa, né è stato dimostrato che la presenza di queste complicanze comporti di per sé problemi di sicurezza durante l’attività subacquea; tuttavia viene considerato prudente evitare questa pratica sportiva quando sia documentato un quadro conclamato di nefropatia, o una retinopatia di grado superiore ad una forma non proliferante lieve. Lo stesso vale per la polineuropatia diabetica sensitivo-motoria, mentre una diagnosi di neuropatia autonomica rimanda al problema, prima ricordato, di possibili ipoglicemie inavvertite. Più evidente, invece, il rischio potenzialmente legato a complicanze macrovascolari, e in primo luogo cardiache, in un tipo di attività dove possono sempre verificarsi, spesso in maniera imprevista, situazioni di stress fisico o psicologico anche rilevante.

Affidabilità del paziente

Considerando le peculiarità del tipo di sport di cui ci stiamo occupando, i rischi ad esso potenzialmente connessi, la complessità di alcune procedure e, conseguentemente, l’attenzione e la precisione richieste per una loro corretta applicazione, è chiaro che un elemento di sicurezza preliminare deve consistere in una buona affidabilità di base del paziente. Al contrario, irregolarità nei controlli clinici e nell’automonitoraggio, incapacità a gestire l’ipoglicemia in modo efficace, scarsa attenzione alla relazione fra attività fisica, alimentazione ed oscillazioni glicemiche, difficoltà a rapportarsi in modo positivo con l’équipe curante, sono tutte caratteristiche che concorrono a configurare una situazione di rischio, e che andrebbero perciò attentamente valutate in fase di accertamenti preliminari.

Va comunque riconosciuto che anche una attenta selezione dei pazienti lascia inevitabilmente un margine di rischio, prevalentemente legato alla possibile insorgenza di ipoglicemia in immersione: è questa, infatti, la preoccupazione principale che ha determinato in passato le maggiori resistenze delle autorità competenti nei confronti dell’accesso alla subacquea da parte della persona con diabete, e che tuttora è alla base di atteggiamenti di chiusura non del tutto superati. È chiaro, infatti, che un episodio ipoglicemico sott’acqua risulta più difficilmente gestibile che in superficie, e che le conseguenze possono essere ben più gravi. Nell’esperienza sviluppatasi in questi anni, che verrà riportata nel capitolo seguente si è posta quindi la massima attenzione alla definizione di modelli di intervento finalizzati a minimizzare il rischio di ipoglicemia, puntando innanzitutto su misure di prevenzione in grado di consentire la pratica dell’immersione in condizioni di massima sicurezza.

ESPERIENZE INTERNAZIONALI, PROTOCOLLI E LINEE-GUIDA

Come ricordato inizialmente, il problema della partecipazione delle persone con diabete alle immersioni con ARA è stato per decenni una delle questioni più controverse all’interno della comunità subacquea internazionale. A causa dei potenziali rischi prima citati, in molti Paesi la subacquea è stata a lungo sconsigliata o addirittura “proibita” in presenza di diabete. La situazione è tuttavia in evoluzione, grazie ad una serie di esperienze e di ricerche sul campo condotte da gruppi ed organizzazioni operanti in diverse aree, che in alcuni casi hanno portato ad un significativo adeguamento della normativa.

U.S.A. e primi studi DAN

Negli Stati Uniti fino alla prima metà degli anni Novanta il diabete di tipo 1 è stato considerato una controindicazione assoluta allo SCUBA da parte di quasi tutte le organizzazioni del settore, fra le quali la “Undersea and Hyperbaric Medical Society” (UHMS), la “National Oceanic and Atmospheric Administration”, il “Divers Alert Network” (DAN) (5).

Anche in assenza di una autorizzazione ufficiale, tuttavia, la subacquea ha avuto da sempre una discreta diffusione fra le persone con diabete, e questo ha permesso di acquisire una serie di dati sulla reale sicurezza di questa pratica, rivelatisi poi di grande utilità nella discussione sviluppatasi negli ultimi anni, volta ad ottenere un adeguamento, in senso meno restrittivo, della regolamentazione in proposito.

In questa prospettiva, è stato di particolare interesse uno studio pubblicato nel 1993 (6) nell’ambito della ricerca DAN (Divers Alert Network, la principale organizzazione internazionale dedicata all’assistenza, alla sicurezza e alla ricerca medica subacquea), che su un totale di 115.300 membri, arrivò ad individuare 164 soggetti con DM, dei quali 129 insulino-trattati: in totale i subacquei con diabete riferirono oltre 27.000 immersioni senza complicazioni maggiori (7). Pur tenendo conto che il dato della frequenza di diabete era sicuramente sottostimato, in quanto, stanti le restrizioni allora vigenti, molto spesso la situazione diabetica non veniva dichiarata, i risultati potevano essere considerati rassicuranti, suggerendo una sostanziale sicurezza della attività subacquea anche per gli aspetti più direttamente collegati al controllo glicemico: furono riportati sintomi di ipoglicemia solo in alcuni casi, nessuno dei quali con perdita di coscienza.

Sulla base anche di queste rilevazioni, una prima apertura venne da un Comitato congiunto della UHMS e della American Diabetes Association (“Diabetes and Diving Committee”) riunitosi nel giugno 1994. In sostanza, nel documento conclusivo venne affermato il concetto che diabetici in buone condizioni generali, bene informati, e con un buon controllo della malattia, avrebbero potuto partecipare ad immersioni SCUBA, dopo un adeguato corso di formazione, ed applicando specifici protocolli di gestione (5). Nel contempo venivano stabiliti alcuni criteri di esclusione che individuavano i soggetti a maggior rischio, per frequenza di ipoglicemia o per la presenza di complicanze avanzate. Nella discussione venne comunque riconosciuta la carenza di dati scientifici sull’argomento, e la necessità di implementare la ricerca sui rapporti fra diabete e SCUBA.

Conferme della possibilità di immergersi in sicurezza anche in presenza di diabete insulino-trattato vennero in effetti da una serie di esperienze pubblicate negli anni Novanta, relative ad immersioni effettuate in condizioni strettamente controllate, in pazienti in buon compenso e non complicati. A questo scopo, un protocollo specifico, con un algoritmo basato sull’effettuazione di glicemie seriate nella fase precedente (-60’, -30’, -5/10’) ed immediatamente successiva all’immersione, venne messo a punto da George Burghen nel 1995: l’immersione era autorizzata con valori glicemici moderatamente elevati, stabili o con “trend” in salita; al contrario, una glicemia comunque in diminuzione imponeva uno “stop” alla attività programmata. La messa in pratica di queste indicazioni da parte di 32 subacquei con DMT1, permise la effettuazione di 146 immersioni, senza segni o sintomi di ipoglicemia (8). Lo stesso protocollo venne poi adottato, con qualche modifica che prevedeva anche l’introduzione di un nuovo segnale subacqueo (due dita a “L”, per “LOW”) per segnalare sintomi di ipoglicemia sott’acqua, da Steve Prosterman (9) ed utilizzato nel corso di campi residenziali per persone con diabete organizzati nelle Isole Vergini USA (Camp DAVI, “Diabetes Association of the Virgin Islands”). La applicazione di uno schema di questo genere (con un “range” di glicemie ammesse comprese fra 160 e 220 mg/dL) da parte di un gruppo di 7 giovani diabetici partecipanti ad un corso di addestramento in acque tropicali (Papua Nuova Guinea) con immersioni ripetute nell’arco di 6 giorni consecutivi, portò ad ottimi risultati, senza alcun episodio ipoglicemico (10). Indicazioni analoghe erano state definite negli stessi anni negli USA anche dalla “International Association for Handicapped Divers” e dalla Young Men’s Christian Association (YMCA) nell’ambito del “YMCA SCUBA PROGRAM” (11).

Un protocollo in parte simile a quello di Camp DAVI, ma meno rigoroso, venne adottato da DAN in uno studio iniziato nel 1997 e pubblicato nel 2004 (12), questa volta però non più nelle condizioni strettamente controllate, quasi sperimentali, delle esperienze prima citate, ma in una sequenza di immersioni relativamente libere, in un quadro quindi più simile alla comune pratica della subacquea ricreativa. Erano richiesti un discreto controllo metabolico nei 3 mesi precedenti (HbA1c ≤9%), la assenza di complicanze, e non dovevano essersi verificate nell’anno ospedalizzazioni per grave ipoglicemia o chetoacidosi; i partecipanti dovevano, infine, avere una buona conoscenza dei rapporti fra attività fisica ed equilibrio glicemico. Complessivamente presero parte allo studio 40 soggetti con diabete insulino-trattato, già subacquei certificati ed esperti; in totale furono effettuate 555 immersioni. Non furono registrati o riportati sintomi o complicazioni legati ad ipoglicemia, anche se nel 7% delle immersioni la glicemia scese sotto a 70 mg/dL. In 23 subacquei, per un totale di 84 episodi, si ebbero iperglicemie >300 mg/dL, ben tollerate. La conclusione degli Autori fu che, nel corso di immersioni subacquee ricreative effettuate in normali condizioni ambientali, persone con diabete mediamente controllato possono gestire i livelli glicemici in modo da evitare rischi ipoglicemici.

Il Workshop UHMS/DAN del 2005

L’insieme di queste esperienze portò infine, nel 2005, alla organizzazione di un Workshop convocato congiuntamente da UHMS e DAN, svoltosi a Las Vegas con la partecipazione di oltre 50 esperti internazionali. Lo scopo era di sviluppare linee-guida concordate sulle immersioni nelle persone con diabete, sulla base della letteratura esistente e delle esperienze fino ad allora condotte. Vennero messi a confronto i diversi protocolli in uso, e si giunse alla stesura di un documento di consenso articolato in tre sezioni: 1) selezione e valutazione delle persone con diabete idonee alla pratica subacquea; 2) modalità e limiti dell’immersione; 3) gestione della glicemia nella giornata di immersione.

Sul primo punto, venivano indicate come essenziali per esprimere un giudizio di idoneità alcune condizioni relative al controllo glicometabolico (nessun episodio di ipo- o iperglicemia gravi nell’anno precedente, assenza di “hypoglycemia unawareness”, HbA1c ≤9%) e la assenza di complicanze croniche (retinopatia più avanzata della forma non proliferante, significativa neuropatia periferica od autonomica, nefropatia con proteinuria, arteriopatia coronarica o significativa arteriopatia periferica). Si richiedeva poi una relazione recente del medico curante “esperto nel trattamento del diabete” attestante la situazione clinica e la capacità di autogestione del paziente (uso del glucometro, conoscenza delle principali variabili in grado di influire sui livelli glicemici), oltre a una visita di medicina subacquea non antecedente due mesi l’inizio delle immersioni. Tutte queste condizioni erano richieste alla valutazione iniziale, e in seguito controllate annualmente.

Quanto alla programmazione dell’immersione, si raccomandava una profondità non maggiore di 30 metri, una durata di non più di un’ora, evitando ambienti chiusi od ostruiti (grotte, tunnel, relitti, ecc.), senza necessità di soste obbligatorie di decompressione. Da evitare freddo e immersioni faticose. Si richiedeva inoltre che il compagno di coppia fosse informato della condizione diabetica del subacqueo, e di come intervenire in caso di ipoglicemia.

Per la gestione della glicemia, l’obiettivo indicato era un valore ≥150 mg/dL, stabile o in aumento prima dell’entrata in acqua. Come nel protocollo di Camp DAVI, erano raccomandati controlli seriati 60’, 30’ e subito prima di immergersi. Per raggiungere questo scopo si considerava una riduzione della dose di ipoglicemizzanti o di insulina la sera precedente o nel giorno stesso dell’immersione, oltre ad un eventuale aumento della assunzione di carboidrati. Raccomandata anche una adeguata idratazione.

Considerando, infine, l’eventualità di una ipoglicemia in immersione, era raccomandata la disponibilità in acqua di glucosio facilmente ingeribile (dopo risalita in coppia e stabilizzazione del galleggiamento) e di glucagone in superficie. Veniva acquisito anche il segnale “L” per indicare ipoglicemia in immersione.

Il protocollo che è qui stato sintetizzato, consultabile per esteso negli Atti pubblicati con il titolo “Diabetes and recreational diving: guidelines for the future” (13), è tuttora da considerare con la massima attenzione in quanto le indicazioni in esso contenute sono poi state alla base delle linee-guida e delle raccomandazioni prodotte negli anni seguenti in vari Paesi.

Altri Paesi

Spostandoci sul versante europeo, un notevole contributo al tema del quale ci stiamo occupando è venuto dal Regno Unito, dove, oltretutto, la situazione relativa al rapporto diabete-SCUBA ha iniziato a sbloccarsi più precocemente che in USA. Superando un bando assoluto in vigore dalla metà degli anni Settanta, dovuto ad una rigida presa di posizione del “Medical Committee” del British Sub-Aqua Club (BSAC), la normativa UK ha infatti avuto una svolta già nel 1991, quando, a seguito di numerose segnalazioni pervenute di immersioni effettuate con ottimi risultati, e senza complicazioni di rilievo pur in presenza di diabete mellito, le persone con diabete di tipo 1 e di tipo 2 vennero autorizzate a praticare attività subacquea, sotto la supervisione di organizzazioni professionali riconosciute come la già citata BSAC, la “Sub-Aqua Association”, e lo “Scottish Sub-Aqua Club”, tutte facenti riferimento alla consulenza scientifica del “UK Diving Medical Committee”. Tale autorizzazione era tuttavia subordinata ad una attenta selezione dei candidati, volta ad escludere la coesistenza di complicanze cardiovascolari o di altro genere. Questa relativa liberalizzazione ha permesso, tramite la somministrazione di un questionario “ad hoc”, di raccogliere notizie su 8.760 immersioni compiute da 323 subacquei, per la maggior parte (75%) con diabete insulino-trattato (14). Anche in questa casistica gli eventi avversi riconducibili alla patologia risultavano praticamente assenti: un solo episodio ipoglicemico in immersione, risolto autonomamente in acqua con la assunzione di glucosio per os.

Altre segnalazioni, ed altre proposte operative, nel complesso non dissimili da quelle ora ricordate, sono giunte in anni più recenti da alcuni altri Paesi europei (15-18) e dall’Australia (19-20); uno schema riassuntivo delle soluzioni proposte e della attuale situazione normativa in queste realtà è riportato nella tabella 1. All’interno di una sostanziale omogeneità di approccio, merita però segnalare come nelle esperienze condotte in Francia (15) e, soprattutto, in Svezia (17), elementi di approfondimento della dinamica dei valori glicemici in immersione, e della efficacia dei protocolli adottati per garantire la sicurezza dei subacquei con diabete, sono venuti anche dal monitoraggio continuo del glucosio, utilizzato retrospettivamente come strumento di indagine, analogamente a quanto, come vedremo, è stato fatto anche in Italia. Addirittura, le raccomandazioni della Società Svedese di Medicina Iperbarica (18) hanno inserito, fra le prerogative ritenute indispensabili per autorizzare l’attività subacquea in presenza di diabete, la effettuazione almeno annualmente di un test di monitoraggio continuo del glucosio.

La situazione in altre realtà, dove non sono stati peraltro prodotti dati nazionali originali, è tuttora eterogenea, con alcuni Stati che mantengono rigide limitazioni e altri invece dove la attività subacquea è consentita con alcune restrizioni. Esistono però “statement” ufficiali di alcune delle principali associazioni internazionali di medicina subacquea, che ormai da tempo hanno parzialmente “aperto” alla partecipazione di subacquei con diabete.

L’European Diving Technology Committee Medical sub-committee (EDTCmed) (21) e l’International Diving Medicine Executive Board (22) ritengono controindicazione assoluta solo il diabete con inadeguato controllo, disturbi metabolici in atto e frequenti episodi di ipoglicemia negli ultimi due anni. La idoneità medica all’attività subacquea è ammessa con alcuni limiti (immersione in curva di sicurezza, profondità massima 30 metri, rimozione della eventuale pompa insulinica) nei subacquei diabetici che abbiano superato un adeguato corso di formazione con supervisione medica. Questo protocollo è applicato dai medici accreditati nella piattaforma European Diving Medicine Databank (https://www.edmd.eu/).

L’ESPERIENZA ITALIANA: IL PROGETTO “DIABETE SOMMERSO”

Motivazioni di una scelta

In Italia il problema è stato sostanzialmente scotomizzato fino agli inizi degli anni 2000 anche se, come in altri Paesi, ci sono sempre stati appassionati di subacquea che si immergevano non dichiarando la propria condizione diabetica, quindi in assenza di una preparazione mirata e di specifiche misure di sicurezza.

Prendendo atto di questa realtà, e basandosi anche sulle esperienze che cominciavano a svilupparsi in più sedi a livello internazionale, nel 2004 è stato lanciato il progetto “Diabete Sommerso” (“DS”), su iniziativa del Centro di Diabetologia dell’Ospedale Niguarda di Milano, in collegamento con un gruppo di istruttori subacquei milanesi e con la stretta collaborazione dell’Associazione Diabetici della Provincia di Milano (23).

Alla base di questa scelta vi era la volontà di dimostrare, come si era iniziato a fare in quegli anni per altre attività sportive precedentemente considerate “off limits” (un tipico esempio è l’alpinismo ad alta quota), che un diabete ben controllato e non complicato non deve di per sé essere considerato una condizione escludente per un giovane in buone condizioni fisiche generali, al quale devono, invece, essere riconosciute le stesse potenzialità dei suoi coetanei non diabetici. Ma c’era anche la convinzione, maturata nel corso di una esperienza consolidata di confronto con giovani adulti affetti da diabete di tipo 1, che dalla pratica di un’attività affascinante, ma sotto molti aspetti impegnativa e complessa, richiedente efficienza fisica, conoscenze teoriche, preparazione tecnica e, soprattutto, concentrazione e autocontrollo, potessero derivare alla persona con diabete potenziali vantaggi in termini di autostima e di autorealizzazione. La “scommessa” era, quindi, che la riuscita in un’attività di questo tipo potesse tradursi nel tempo in un atteggiamento mutato nei confronti della malattia e della sua gestione, con ricadute su andamento clinico ed evoluzione a distanza e, fatto ancora più importante, sulla qualità di vita dei giovani protagonisti.

L’iniziativa si è progressivamente estesa negli anni successivi, incontrando il sostegno convinto dell’ANIAD, e sviluppando una positiva collaborazione con DAN Europe, che ha contribuito in maniera importante alla impostazione iniziale del progetto. Si è poi ottenuto il coinvolgimento di altre realtà operanti sul territorio nazionale: in particolare nella regione Marche, grazie al ruolo trainante della AFAID (Associazione Famiglie con Adolescenti e Infanti con Diabete) e dei professionisti subacquei del Monte Conero, e in Romagna, con l’adesione della UO Diabetologia e del Centro Iperbarico di Ravenna. L’espansione è poi proseguita più recentemente, con il coinvolgimento attivo di organizzazioni subacquee di altre Regioni: Lazio, Liguria, Toscana, Calabria, Sicilia (24).

Il protocollo tecnico-scientifico

Per quanto riguarda gli aspetti strettamente legati alla sicurezza in immersione, era stato inizialmente messo a punto un protocollo tecnico-scientifico che si rifaceva per gli aspetti principali a quello di CAMP DAVI, e che è stato poi minimamente modificato sulla scorta delle esperienze effettuate. Lo schema oggi utilizzato, riportato in sintesi nel Box 1, è in buona parte coincidente con le indicazioni del Workshop UHMS/DAN nel frattempo pubblicate nel 2005, ed è ora adottato anche dalla Società Italiana di Medicina Subacquea e Iperbarica (http://www.simsi.it/).

Gli obiettivi principali sono la prevenzione dell’ipoglicemia, il suo eventuale trattamento, la prevenzione della chetoacidosi, la pianificazione ottimale dell’immersione in sicurezza.

Per evitare complicazioni ipo- o iperglicemiche sono previste modificazioni della alimentazione e della terapia insulinica (con plurisomministrazioni o con microinfusore) sia nel giorno precedente sia nel giorno dell’immersione. Il punto cruciale riguarda però la gestione del periodo immediatamente precedente l’entrata in acqua; a questo scopo è stato definito un algoritmo, simile a quello UHMS/DAN e ad altri proposti nella letteratura internazionale, ma con alcune differenze riguardanti i valori glicemici adottati come “soglia” e la articolazione delle scelte conseguenti ai risultati ottenuti.

Il comportamento suggerito varia infatti in funzione dell’esito di una serie di controlli glicemici ravvicinati (60’, 30’ e 10’ prima dell’immersione), considerati sia nel loro valore assoluto sia, soprattutto, nella loro dinamica; le scelte conseguenti sono diversificate, spaziando dall’immersione immediata senza alcuna precauzione aggiuntiva, alla rinuncia alla stessa. Fra questi due estremi sono considerate situazioni intermedie, che comprendono interventi correttivi sotto forma di boli insulinici supplementari o, al contrario, di supplementi di carboidrati semplici. Lo scopo è di iniziare l’immersione con una situazione glicemica complessiva discretamente iperglicemica, in modo da evitare “ipo” nereve tempo trascorso sott’acqua o nella fase immediatamente successiva, evitando nel contempo eccessive elevazioni dei valori glicemici e, di conseguenza, eventi chetoacidosici. Il protocollo prevede anche una segnalazione subacquea aggiuntiva (Fig. 1), e una serie di comportamenti e di misure correttive nell’eventualità del verificarsi di sintomatologia ipoglicemica in profondità.

È infine programmata una ulteriore misurazione di glicemia capillare all’uscita dall’acqua. L’algoritmo, con le indicazioni operative che ne conseguono, è riportato in figura 2.

È chiaro però che, a monte di questi interventi diretti sulla glicemia, la sicurezza richiede anche una particolare attenzione nella pianificazione dell’immersione, con un’applicazione conservativa delle tabelle di immersione. Ci sono ovviamente limiti di profondità differenziati per il livello di brevetto, e comunque la raccomandazione di non superare mai i 30 metri di profondità, per limitare il rischio di narcosi d’azoto, sempre rimanendo all’interno della “curva di sicurezza”, eliminando così i problemi legati alla eventuale necessità di soste di decompressione.

L’intervento sulla didattica

L’esperienza italiana è stata inoltre caratterizzata dall’inserimento di tematiche diabetologiche fin dalla fase iniziale dei corsi di formazione alla subacquea, condotto di pari passo ed in stretta correlazione con l’addestramento più specificamente tecnico e professionale. Questa integrazione ha comportato l’aggiunta al programma convenzionale dei corsi Open Water Diver (OWD, che rappresenta il livello iniziale di tutte le principali didattiche sub) di un modulo integrativo direttamente curato da diabetologi esperti e da una dietista, sempre presenti alle lezioni teoriche e pratiche. I punti che vengono affrontati riguardano la fisiologia dell’esercizio fisico, l’adattamento terapeutico, ed altre questioni direttamente legate alla condizione diabetica. In particolare si è data rilevanza alla prevenzione dell’ipoglicemia in immersione, con la spiegazione e la sperimentazione pratica del protocollo illustrato nel paragrafo precedente. Il programma di addestramento pratico è stato inoltre ampliato, con l’inserimento di esercizi direttamente legati alla terapia diabetologia (fra l’altro: correzione dell’ipoglicemia in immersione, gestione pratica della terapia insulinica e dell’automonitoraggio glicemico in condizioni ambientali umide e disagevoli).

La certificazione di idoneità

Il percorso certificativo adottato nel progetto DS, ed inserito nel protocollo, fa riferimento ad un “team” multiprofessionale (diabetologo, istruttore subacqueo, medico subacqueo-iperbarico) nel quale ogni componente, per l’ambito di sua competenza, è deputato a esprimere un giudizio complessivo di idoneità alle immersioni, inserendo nella valutazione elementi specifici legati alla condizione diabetica.

La certificazione così conseguita, di validità annuale, deve essere presentata dal subacqueo con diabete al centro “diving” di appoggio, in occasione di ogni ciclo di immersioni.

Esperienza compiuta

Ambiti di intervento

La attività “sul campo” svoltasi nell’ambito del progetto Diabete Sommerso si è articolata in questi anni su livelli diversi, prevedendo sia la regolare effettuazione di corsi di addestramento per persone con diabete, sia la organizzazione di periodici campi residenziali, con immersioni ripetute, per subacquei già certificati. Oltre a questo, si è puntato ad estendere la cultura e le competenze sui rapporti fra diabete e subacquea, con lo svolgimento di corsi di formazione sul tema, dedicati a specialisti diabetologi e ad istruttori dei centri “diving”, con la prospettiva di giungere alla realizzazione di una rete di centri di riferimento accreditati, con competenze multi-professionali, diffusa sul territorio nazionale. A questa pratica si è affiancata costantemente una attività scientifica volta, da un lato, a raccogliere, archiviare ed elaborare dati sulle immersioni effettuate applicando il protocollo di sicurezza, in modo da giungere ad una sua validazione definitiva, dall’altro ad esaminare con metodi e tecnologie innovative l’andamento delle glicemie in immersione e nella fase post-diving.

La associazione ONLUS

Un contributo essenziale nel coordinamento e nella organizzazione di questa complessa progettualità è venuto dalla costituzione nel 2011 della Associazione “Diabete Sommerso ONLUS”, divenuta in breve un riferimento per tutte le persone a vario titolo interessate a questo programma. Oltre a subacquei con diabete, la Associazione riunisce infatti specialisti diabetologi, iperbaristi, medici subacquei, ed operatori più direttamente tecnici, favorendo un continuo confronto di esperienze e di competenze diverse.

I corsi di addestramento

Dal 2004 sono stati organizzati ogni anno corsi di primo livello OWD; le prime edizioni si sono tenute a Milano, in acque confinate (con uscita conclusiva in mare); successivamente sono state interessate altre sedi, in alcuni casi con corsi tenuti interamente in acque libere. A partire dal 2006 si è deciso di diversificare l’intervento formativo, autorizzando la frequenza a corsi di livello più avanzato (sempre nel rispetto dei limiti tecnici e di profondità riportati precedentemente): “Advanced Open Water”, “Rescue Diver” e, più recentemente, “NITROX”. Ad agosto 2018 avevano conseguito il brevetto OWD 94 persone con diabete di tipo 1, alcune delle quali hanno poi ottenuto certificazioni di livello superiore.

I campi residenziali: “quota 1000”

Non considerando le attività in “acque confinate”, o comunque relative alla fase di addestramento, in questi anni le persone certificate a vari livelli in accordo al protocollo DS hanno complessivamente effettuato oltre 1.000 immersioni in acque libere nel corso di una serie di “campi” residenziali (2005 e 2006 Ventotene, 2007 Tavolara, 2010 Hurgada, 2013 Ventotene, 2015 e 2016 Favignana, 2017 e 2018 Ustica). I dati sono attualmente in corso di elaborazione; si può comunque anticipare che in nessun caso si sono verificati problemi di rilievo, dal punto di vista tecnico o per quanto riguarda il controllo glicometabolico; in particolare, in rarissime occasioni si è reso necessario interrompere anticipatamente l’immersione a causa della comparsa di modesta sintomatologia ipoglicemica, sempre prontamente risolta con l’assunzione di carboidrati dopo la riemersione effettuata secondo le modalità previste. È però da rilevare che, ad una rivalutazione retrospettiva di questi episodi, si è sempre rilevata una applicazione non del tutto corretta del protocollo di sicurezza nella fase pre-immersione, essendo l’ entrata in acqua avvenuta con valori glicemici inferiori alla soglia o con una dinamica non rassicurante.

Il progetto “Deep Monitoring”

Negli anni 2005-2006, inserito nel più generale programma di Diabete Sommerso, è stato sviluppato un sottoprogetto, denominato “Deep Monitoring”, che prevedeva un approfondimento delle variazioni glicemiche in corso di immersione tramite l’applicazione di un sistema di monitoraggio continuo del glucosio retrospettivo (o “professionale”, PCGM). A questo scopo, 9 subacquei con diabete di tipo 1 hanno effettuato, nel corso di due successivi “stage” residenziali svoltisi nell’isola di Ventotene (LT), un totale di 27 immersioni avendo applicato un monitor CGM (CGMSR® Medtronic) appositamente modificato (Fig. 3) per consentirne il funzionamento in acqua e in profondità. La metodologia seguita e i risultati completi ottenuti sono stati pubblicati precedentemente (25). I nostri dati emersi dai tracciati CGM, con un modesto e progressivo calo dei valori di glucosio, e valori medi al nadir ridotti di meno del 20% rispetto al momento dell’entrata in acqua, senza mai raggiungere livelli francamente ipoglicemici, sono poi stati sostanzialmente confermati nel 2007 dal gruppo svedese di Adolfsson con lo stesso sistema di registrazione (17), ed evidenziano un “trend” del tutto analogo a quello da tempo noto per altre forme di attività aerobica in superficie.

L’utilizzo del PCGM in immersione è stato ripreso in anni più recenti, sfruttando la disponibilità dei nuovi sistemi “wireless” meno ingombranti (Fig. 4), di più facile gestione in acqua e con minore interferenza sulla normale attività in superficie e durante la notte. Questo sviluppo di “Deep Monitoring”, iniziato nel 2014 e tuttora in corso, prevede l’applicazione di un monitor iPro2® Medtronic per l’intera durata di un periodo di immersioni ricreative ripetitive. La finalità è di verificare su una più ampia casistica i dati dello studio precedente relativi alla dinamica delle concentrazioni di glucosio durante la attività subacquea, confermando in tal modo la affidabilità del protocollo di sicurezza in uso; a questa verifica si aggiunge però una analisi sul rischio ipoglicemico non immediato di una attività subacquea così impostata. A questo scopo viene condotto un esame approfondito dei tracciati PCGM nelle ore successive all’immersione e nel corso della notte, dopo immersioni singole o ripetute.

Risultati preliminari di questo studio sono stati presentati al 9° Workshop ATTD di Milano nel 2016: su un totale di 89 immersioni, l’andamento prevalente delle concentrazioni di glucosio si è confermato in discesa (Fig. 5), con un’entità media della massima riduzione pari al 20% (Fig. 6). In particolare, un calo glicemico significativo (almeno -5% del valore di entrata) si è registrato in 67/89 immersioni: la concentrazione media al nadir in queste registrazioni è stata pari a 133±38 mg/dL (-25%); nella grande maggioranza dei casi il punto più basso veniva raggiunto a fine immersione.

Guardando alle ore notturne, si sono ottenuti dati utili in 52 notti successive ad una o più immersioni durante la giornata: una ipoglicemia, definita come una concentrazione di glucosio <70 mg/dL in due consecutive misurazioni (quindi di durata ≥10’), si è avuta in 8 casi (15.4%), indipendentemente dal numero di immersioni effettuate nel giorno precedente (singola o multiple). Questa frequenza di ipoglicemie notturne era significativamente maggiore di quella (3.8%) riscontrata dagli stessi soggetti nella prima notte trascorsa al campo, quindi in assenza di immersioni immediatamente precedenti (p<0.01).

Altre esperienze italiane

Un approccio parzialmente diverso alla questione della sicurezza in immersione è stato sviluppato negli ultimi anni da DAN Europe, che ha messo a punto e sperimentato sul campo un sistema di monitoraggio continuo del glucosio Real-Time in grado di essere utilizzato in profondità. Il problema tecnico principale per un uso di questo tipo del RTCGM, con il quale ci si era confrontati anche all’inizio del percorso di DS, consiste però nella limitatissima trasmissione in acqua del segnale radio, quindi nella comunicazione fra sensore e lettore del dato. La soluzione adottata dai ricercatori DAN, che hanno utilizzato un sistema di monitoraggio RT DEXCOM G4®, è stata di mantenere una stretta contiguità fra il sensore s.c. e il lettore, appositamente modificato e scafandrato. Precedentemente era stata documentata in camera iperbarica una buona accuratezza del sensore in condizioni normo- e iperbariche. In questo modo sono stati monitorati due subacquei con diabete durante 28 immersioni in mare effettuate nell’arco di una settimana. I risultati di questo studio pilota (26) sono stati soddisfacenti, senza alcun incidente tecnico; anche in questo caso si è documentata una riduzione graduale dei valori di glucosio durante l’immersione, senza ipoglicemie di rilievo.

Il ricorso al RTCGM in immersione, come garanzia di sicurezza, è stato recentemente sperimentato anche in ambito pediatrico, dal gruppo dell’Ospedale Bambin Gesù di Roma (27), che ha utilizzato lo stesso sistema proposto da DAN in bambini e adolescenti con diabete di tipo 1, partecipanti al progetto “Dolci Abissi”, in una serie di immersioni in acque confinate, tutte portate a termine con buoni risultati.

Infine, un altro progetto di “diving” in pazienti con diabete di tipo 1 è stato proposto a Reggio Calabria dalla “Associazione Culturale Mediterranea per lo Studio delle Malattie Endocrino-Metaboliche”, MEDMET, in collaborazione con la “Ass. Sportiva Dilettantistica e Culturale MAGNA GRAECIA OUTDOOR”. Il progetto, che ha una struttura complessiva molto simile a quella di “Diabete Sommerso”, si rifà però direttamente al protocollo UHMS/DAN, quindi con qualche differenza nell’algoritmo di sicurezza.

LA QUESTIONE RTCGM

I risultati del progetto “Deep Monitoring”, e quelli che stanno emergendo dalla sua estensione, confermano la grande utilità del monitoraggio continuo ”professionale” del glucosio nello studio dell’equilibrio glicemico durante attività sportiva, analogamente a quanto già da tempo segnalato riguardo ad altri tipi di sport (28-32). Considerando anche che studi condotti in camera iperbarica (33) hanno dimostrato come l’aumento della pressione atmosferica non interferisca in modo determinante sulla “performance” dei sensori da noi utilizzati, i dati ottenuti consentono infatti di comprendere, molto meglio che con il SMBG tradizionale, conseguenze e rischi della specifica attività in esame, evidenziando “trend” di variazione, quantificandoli ed individuandone la tempistica. Queste informazioni sono evidentemente preziose nel definire precise strategie terapeutiche da adottare prima, durante e dopo la pratica sportiva, consentendo poi una valutazione approfondita della validità delle misure messe in atto.

Un discorso a parte merita, invece, la utilizzazione in immersione di sistemi CGM “Real Time”, alla quale si è fatto riferimento nel paragrafo precedente. Si tratta di un punto particolarmente delicato, che si collega strettamente alla discussione in atto nel mondo diabetologico riguardo alla affidabilità di un uso dei sistemi per il monitoraggio continuo del glucosio che sia pienamente sostitutivo delle misurazioni su sangue capillare, e non solamente aggiuntivo ad esse. In altre parole, si tratta di stabilire se la accuratezza di questi sistemi sia sufficientemente elevata da permettere al paziente di prendere decisioni terapeutiche autonome senza prima verificare il dato con un controllo su sangue capillare. Va ricordato che il parametro più comunemente utilizzato per la valutazione dell’accuratezza dei sensori utilizzati nei sistemi CGM è la “Mean Absolute Relative Deviation”, o “MARD”. Tutti i sensori oggi in uso hanno una MARD nettamente più alta (quindi meno buona) dei glucometri comunemente utilizzati per l’autocontrollo su sangue capillare, i migliori dei quali si attestano su MARD sotto al 5%; studi condotti “in silico” (34) hanno peraltro individuato una MARD <10% come “soglia” per considerare praticabile e sicuro il ricorso a provvedimenti terapeutici basati sulla misura ottenuta con il solo sensore s.c, senza ricorrere ad un controllo su sangue. Attualmente solo un numero limitato di sensori (35-36) si sono rivelati in grado di soddisfare questo requisito, mentre il monitor RT finora utilizzato in immersione (26-27), non rientra al momento nei parametri indicati, rendendo quindi problematico un suo direttamente “non aggiuntivo”.

Bisogna anche considerare che le indicazioni sopra riportate si riferiscono ad un uso del sensore in condizioni “normali”, dove un eventuale errore di lettura potrebbe determinare un comportamento incongruo (ad esempio un bolo correttivo di insulina non giustificato, con conseguente rischio di ipoglicemia) certamente pericoloso, ma nella maggior parte dei casi recuperabile, eventualmente con un intervento di terzi. Nel caso, invece, di una immersione subacquea, la decisione che il subacqueo potrebbe prendere in conseguenza di una lettura non accurata sarebbe di natura ben diversa: ad esempio, la mancata rilevazione di una ipoglicemia, in atto o incombente, potrebbe indurre a proseguire l’immersione in condizioni che, in realtà esporrebbero a conseguenze potenzialmente molto gravi, addirittura drammatiche. Fino a che non sarà stato raggiunto un livello di accuratezza molto elevato (ragionevolmente ancora maggiore del livello di MARD <10% indicato da Kovatchev, trattandosi di situazioni “non convenzionali”), anche se si risolvesse il problema della trasmissione del segnale, in immersione i sistemi CGM “Real-Time” dovrebbero pertanto, a nostro parere, essere utilizzati con grande cautela, considerata l’impossibilità di verificare il dato su sangue capillare.

CONCLUSIONI

Come è emerso da quanto riportato nella prima parte di questo articolo, in Italia ci si è avvicinati alla questione del rapporto fra diabete e SCUBA piuttosto tardivamente, quando in altri Paesi erano già in atto da anni esperienze importanti, con ampie casistiche che avevano portato a raccomandazioni e linee-guida prodotte dalle associazioni scientifiche e professionali del settore, e a prese di posizione che in alcuni casi sono state determinanti nell’ottenere dalle Autorità regolatorie modifiche sostanziali ad una normativa precedentemente molto restrittiva.

Dal punto di vista strettamente tecnico, l’approccio da noi seguito ha in buona parte fatto riferimento a quanto presente in letteratura, e il protocollo proposto nell’ambito di “Diabete Sommerso” non si è sensibilmente discostato da quelli in uso a livello internazionale. I risultati ottenuti nella esperienza italiana confermano in effetti la validità di un approccio mirato soprattutto sulla prevenzione dell’ipoglicemia e, più in generale, delle complicazioni metaboliche acute durante l’immersione e nelle ore immediatamente successive. Una attenta selezione dei candidati, un addestramento specificamente centrato sulla condizione diabetica, ed un monitoraggio glicemico ravvicinato nella fase pre-immersione con eventuali interventi di correzione immediati, in applicazione di un algoritmo che autorizza ad entrare in acqua solo in presenza di un “trend” glicemico del tutto rassicurante, garantisce oggi un margine di sicurezza veramente molto ampio. Su questa base, i tempi sembrano ormai maturi per una presa di posizione ufficiale delle Società Scientifiche diabetologiche, che porti ad un riconoscimento della accessibilità di questa disciplina sportiva per le persone con Diabete di tipo 1, o comunque insulino-trattate, purché siano soddisfatte le condizioni preliminari prima ricordate. Una posizione comune di questo tenore da parte della comunità diabetologica dovrebbe poi essere la base dalla quale muovere per un confronto con altre Società Scientifiche, e con le Autorità regolatorie, per giungere anche in Italia ad una normativa finalmente chiara a favore di uno “sdoganamento” di questo sport per le persone con diabete.

Se da questo punto di vista si tratta, in pratica, di allinearsi a quanto ormai riconosciuto a livello internazionale, merita però, in conclusione, segnalare alcune peculiarità che hanno fin dall’inizio caratterizzato il modo con il quale nel nostro Paese ci si è approcciati al problema. Per quanto simile ad altri documenti prodotti altrove, il protocollo di “Diabete Sommerso” si caratterizza, infatti per una maggiore prudenza nei livelli glicemici adottati come soglia di sicurezza, e soprattutto per una valorizzazione del ruolo dello specialista diabetologo, a partire dall’iter certificativo e dalla fase di formazione e di addestramento.

Questo orientamento è facilmente comprensibile tenendo conto che, a differenza da quanto avvenuto nella maggior parte delle altre realtà nazionali, dove si sono mosse prevalentemente organizzazioni professionali subacquee o specialistiche mediche di settore (medici subacquei o iperbaristi), in Italia l’attenzione a questo problema è stata sollevata da subito in ambito diabetologico.

Un “imprinting” di questo genere, che comportava naturalmente una particolare sensibilità ad una serie di tematiche proprie della nostra specialità, ha fatto sì che l’intero progetto si sia via via arricchito di nuove valenze di tipo formativo ed educazionale che ne fanno oggi un modello applicabile in un ambito più generale. Sfruttando la forte motivazione derivante da una attività sportiva particolarmente “sfidante”, il progetto è infatti arrivato a configurarsi come un percorso educativo all’autogestione consapevole della malattia, componente essenziale per il raggiungimento di una buona qualità di vita, oltre che di un buon controllo metabolico nel tempo, indispensabile per prevenire le complicanze croniche tipiche della malattia.

RINGRAZIAMENTI

L’esperienza italiana di “Diabete Sommerso” è nata e si è sviluppata grazie all’entusiasmo e all’impegno di tante persone, con diabete e non, che in questi anni hanno partecipato e contribuito al progetto. Un ringraziamento particolare va a tutto lo “staff” della Associazione “Diabete Sommerso ONLUS” attivo sul campo (e sott’acqua…).

Nella fase iniziale di lancio del progetto, un fondamentale e prezioso supporto scientifico, tecnico ed organizzativo è stato fornito da tutta l’équipe di “DAN EUROPE”.

Un appoggio importantissimo nella promozione dell’iniziativa, nel reclutamento dei pazienti, nella gestione dei corsi è inoltre venuto dalle Associazioni di volontariato delle diverse sedi: Associazione Diabetici della Provincia di Milano (ADPMi), Associazione Famiglie con Adolescenti e Infanti con Diabete (AFAID Marche), Associazione Diabetici della Provincia di Ravenna (ADPR).

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ACRONIMI E ABBREVIAZIONI

ADPMi: Associazione Diabetici della Provincia di Milano

ADPR: Associazione Diabetici della Provincia di Ravenna

ADS: Australian Diabetes Society

AFAID: Associazione Famiglie con Adolescenti e Infanti con Diabete

ANIAD: Associazione Nazionale Italiana Atleti Diabetici

ARA: AutoRespiratore ad Aria

ATTD: Advanced Technologies & Treatments for Diabetes

BSAC: British Sub-Aqua Club

CGM: Continuous Glucose Monitoring

CHO: Carboidrati

CSII: Continuous Subcutaneous Insulin Infusion

DAN: Divers Alert Network

DAN EUROPE: Divers Alert Network Europe (Sezione europea di DAN)

DAVI: Diabetes Association of the Virgin Islands

DM: Diabete Mellito

DMT1: Diabete Mellito tipo 1

DS: Diabete Sommerso

EDTCmed: European Diving Technology Committee Medical sub-committee

FFESSM: Fédération Française d’Études et de Sports Sous-Marins

GAV: Giubbotto ad Assetto Variabile (“Jacket” in inglese: sacco espandibile indossabile, a forma di giubbotto, in cui viene immessa direttamente dalla bombola aria in quantità regolabile per il mantenimento del corretto assetto in immersione)

GM : Glucometro

MARD: Mean Absolute Relative Deviation

NITROX: NITRogen+Oxygen (miscela per autorespiratori iperossica, a ridotta percentuale di azoto)

OWD: Open Water Diver (Certificazione subacquea di primo livello: autorizza immersioni fino a 18 metri di profondità nell’adulto, all’interno della curva di sicurezza)

PCGM: Professional Continuous Glucose Monitoring

RD: Retinopatia Diabetica

RT: Real-Time

RTCGM: Real-Time Continuous Glucose Monitoring

SCUBA: Self Contained Underwater Breathing Apparatus

SHMS: Swedish Hyperbaric Medicine Society

SMBG: Self-Monitoring of Blood Glucose

UK: United Kingdom

UHMS: Undersea and Hyperbaric Medical Society

YMCA: Young Men’s Christian Association

 

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