Francesco Francini Pesenti, Paolo Tessari
Dipartimento di Medicina, Azienda Ospedaliera-Università di Padova
DOI: 10.30682/ildia1803c
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L’iperglicemia è un riscontro frequente nei pazienti in nutrizione artificiale (NA) (1). Tale condizione può essere imputabile ad una preesistente alterazione del metabolismo glucidico o allo stress causato da patologie acute quali traumi, ustioni, interventi chirurgici e sepsi, condizioni caratterizzate da aumento della gluconeogenesi, della glicogenolisi e dell’insulinoresistenza indotte dall’aumento degli ormoni controregolatori e delle citochine. Nel primo caso spesso si tratta di soggetti anziani destinati alla NA a lungo termine (2), mentre la seconda condizione si riscontra in pazienti acuti, spesso ricoverati in terapia intensiva e destinati alla NA per tempi più brevi (3).
L’iperglicemia aggrava la prognosi del paziente ospedalizzato (4), sia critico che non critico. Il trattamento dell’iperglicemia in corso di NA si basa sulla terapia ipoglicemizzante, in particolare sull’insulina, e sulla modulazione dei macronutrienti, soprattutto nel caso della Nutrizione Enterale (NE).
La Nutrizione Enterale nel paziente diabetico
La Nutrizione Enterale (NE) consiste nel somministrare formule liquide a pazienti che non possono alimentarsi per bocca ma conservano un tratto gastro-intestinale sufficientemente integro per garantire un adeguato assorbimento di nutrienti. La NE viene effettuata attraverso sonde naso-enteriche in poliuretano o in silicone posizionate nello stomaco (sonde naso-gastriche o SNG, gastrostomie chirurgiche e endoscopiche o PEG) o nel piccolo intestino (digiunostomie chirurgiche, digiunostomie endoscopiche percutanee). Le formule utilizzate sono miscele di carboidrati, proteine e lipidi, addizionate di minerali e vitamine. In commercio sono disponibili formulazioni standard e prodotti con composizione modificata per adeguarsi a specifiche condizioni, tra le quali l’iperglicemia.
Nelle formule standard l’apporto energetico è fornito all’incirca per il 50% da carboidrati (CHO), per il 30% da grassi e per il 20% da proteine. I CHO sono presenti in forma di maltodestrine e i grassi come trigliceridi a lunga catena (LCT) e a media catena (MCT) originati, rispettivamente, da olio di soia e di cocco. In alcuni prodotti la componente lipidica è costituita esclusivamente da LCT.
Sul mercato sono attualmente disponibili numerose formule specializzate per la NE nel paziente diabetico o iperglicemico (Tab. 1). Le caratteristiche peculiari di questi prodotti rispetto alle formulazioni standard consistono in: 1) riduzione della percentuale di energia fornita dai carboidrati; 2) presenza di carboidrati a lento assorbimento (a basso indice glicemico); 3) aumento della quota lipidica con elevato tenore di acido oleico; 4) aggiunta di fibra alimentare.
In queste formule la copertura energetica rappresentata dai carboidrati varia da percentuali attorno al 30% fino al 45%. La riduzione dell’apporto glucidico è compensata dall’aumento dei grassi. Nei prodotti standard i carboidrati sono presenti prevalentemente sotto forma di maltodestrine, brevi catene lineari composte da 3-20 molecole di glucosio unite tra loro con legami α-1,4, caratteristica che determina un indice glicemico superiore a 100 (4).
Nelle formule per diabetici le maltodestrine sono in tutto o in parte sostituite da amido a lento assorbimento (tapioca), glucidi semplici a basso indice glicemico, quali fruttosio, isomaltulosio e sucromalto e da alcoli poliossidrilici (polioli), come il maltitolo. La tapioca è l’amido ricavato dal tubero dell’albero di manioca, il cui indice glicemico è circa 60 (5). L’isomaltulosio è un disaccaride costituito da una molecola di glucosio e una di fruttosio, unite con un legame α-1,6, naturalmente presente nel miele e nella canna da zucchero e prodotto commercialmente tramite fermentazione batterica del saccarosio. Rispetto a quest’ultimo, l’isomaltulosio ha un assorbimento più lento per la difficoltà dell’intestino di scindere i legami α-1,6 (6). Il sucromalto è una miscela di zuccheri ottenuta tramite azione enzimatica su saccarosio e sciroppo di mais. Nella miscela sono presenti fruttosio, leucrosio e altri saccaridi a catena più lunga, con presenza di legami α-1,3 e α-1,6. Il sucromalto è lentamente ma completamente assorbibile (indice glicemico 53) e apporta circa 4 kcal/g (7).
La componente lipidica è costituita da LCT ad alto tenore in acidi grassi monoinsaturi (MUFA), rivelatisi utili a migliorare il controllo metabolico nel paziente diabetico (8). Tutte le formule specifiche contengono fibra alimentare e alcune anche sostanze ad attività antiossidante (Tab. 1).
I trials clinici sull’efficacia delle formule specializzate hanno in genere alcune limitazioni metodologiche, soprattutto a causa della bassa numerosità dei soggetti valutati. Gli studi di confronto tra formule specifiche e standard effettuati su pazienti diabetici non critici (Tab. 2) evidenziano un miglior controllo metabolico a favore delle prime, con riduzione della glicemia media, dell’emoglobina glicata (HbA1c) e del fabbisogno insulinico (9-13).
Nel paziente acuto, diabetico e non, i pochi studi prospettici di confronto tra le due tipologie di formule non forniscono dati univoci (Tab. 3). Infatti alcuni autori riportano un miglioramento metabolico con riduzione del fabbisogno insulinico a favore delle prime (14) mentre altri non mettono in luce alcuna differenza (15-16). Un recente studio retrospettivo ha confrontato l’impatto clinico e l’influenza sui costi di ospedalizzazione tra le due tipologie di formule enterali su una popolazione di pazienti con diabete tipo 2 (DM2) degenti in terapia intensiva (ICU). Furono confrontati i 158 pazienti trattati con formula specifica e 794 pazienti nutriti con formula standard (SF). Nel primo gruppo furono osservate riduzione della mortalità, delle giornate di degenza in terapia intensiva, del fabbisogno insulinico e dei costi di degenza (17).
La Nutrizione Parenterale nel paziente diabetico
La Nutrizione Parenterale (NP) consiste nell’infondere i nutrienti per via venosa e deve essere riservata ai soggetti che non possono essere alimentati per via enterale (18). In genere la NP viene effettuata infondendo sacche commerciali “all in one”, contenenti glucosio e aminoacidi (sacche binarie) o glucosio, aminoacidi e emulsioni lipidiche (sacche ternarie) dove circa il 50% delle calorie è rappresentato da glucosio.
Il paziente in NP frequentemente si trova in una delle condizioni patologiche che abbiamo visto poter incrementare la glicemia. A ciò va aggiunto che, in caso di somministrazione endovenosa dei nutrienti, il venir meno della stimolazione incretinica per il mancato passaggio del cibo nel canale gastroenterico peggiora ulteriormente l’omeostasi del glucosio.
L’iperglicemia è riportata in oltre la metà dei pazienti trattati con NP (19). Nonostante questa elevata prevalenza, non sono attualmente disponibili sacche commerciali specifiche per pazienti iperglicemici e solo qualora l’ospedale disponga di un servizio per l’allestimento di sacche galeniche (compounding) vi è la possibilità di personalizzare l’apporto di nutrienti, compreso il glucosio, secondo il giudizio del medico.
La quantità di glucosio infuso con la NP correla direttamente con la mortalità sia nei pazienti critici (20) che non critici (21), fenomeno da collegare alla più difficile gestione della glicemia e al negativo impatto della variabilità glicemica sul paziente in NP (22). Mentre nel paziente destinato alla NP a lungo termine è impossibile limitare la quantità di destrosio, a meno di non disporre dell’allestimento compounding, nel paziente acuto ciò viene realizzato ritardando di qualche giorno l’avvio della NP rispetto all’ingresso in terapia intensiva e iniziando la nutrizione endovenosa con bassi apporti energetici (<20 kcal/kg/die) ed elevati apporti proteici (2 g/kg/die), approccio che migliora la prognosi del paziente in terapia intensiva quando non è possibile alimentarlo con la NE (23-24).
Un aspetto tuttora controverso è la via di somministrazione dell’insulina, che può essere infusa a livello sottocutaneo (a boli o tramite pompa) o miscelata ai nutrienti all’interno delle sacche. L’infusione sottocutanea di insulina regolare presenta l’inconveniente di esporre al rischio di ipoglicemia nel caso di interruzione improvvisa della NP. Al fine di contenere il numero di somministrazioni e il rischio di ipoglicemie, alcuni autori hanno proposto l’impiego di insuline a lenta durata d’azione, evidenziando come in pazienti stabili, la terapia con insulina lenta glargine sottocute consenta un controllo glicemico sovrapponibile a quello ottenuto con insulina regolare (25).
L’insulina pronta può essere inserita direttamente all’interno delle sacche, in proporzioni da 1 UI/10 g a 1 UI/5 g di glucosio, così eliminando il rischio di ipoglicemia da interruzione della NPT. Tale soluzione presenta tuttavia l’inconveniente di un’incerta e variabile biodisponibilità dell’ormone. I dati sull’assorbimento dell’insulina introdotta nelle sacche differiscono a seconda delle condizioni nelle quali sono stati condotti gli studi, ma tutti confermano un’importante riduzione della biodisponibilità dell’ormone una volta posto all’interno di sistemi infusionali in materiale plastico.
L’insulina è attirata elettrostaticamente e inattivata dall’etil-vinil acetato, la sostanza di cui sono attualmente costituiti sacche e deflussori per NPT (26-27).
I nutrienti stessi influiscono sulla biodisponibilità dell’insulina, che è aumentata dalla concentrazione di aminoacidi aromatici e dalla presenza di elementi traccia e vitamine (28-29). La biodisponibilità dell’insulina, molecola lipofila, è influenzata in maniera importante dalla presenza di emulsioni lipidiche. In sacche contenenti insulina umana ricombinante allestite mediante compounding automatizzato, dopo 24 ore l’ormone verrebbe recuperato in percentuali variabili tra il 2,5 e il 72,5% nelle sacche dove erano miscelate emulsioni lipidiche, mentre in quelle prive di lipidi l’insulina veniva trattenuta quasi completamente (30). Va sottolineato come nelle sacche con miscele prive di lipidi l’insulina fosse già quasi del tutto indisponibile subito dopo l’allestimento, mentre in quelle con lipidi la percentuale di ormone rilasciato al termine delle 24 ore fosse proporzionale alla dose immessa. Chiaramente, sono necessari ulteriori studi per verificare l’effettiva biodisponibilità dell’insulina nelle sacche per nutrizione artificiale.
Nell’incertezza circa le modalità di somministrazione dell’insulina in corso di NP totale, alcuni autori suggeriscono che nei pazienti iperglicemici ospedalizzati sia preferibile l’infusione sottocutanea con frequenti misurazioni della glicemia, in considerazione dell’incostante composizione delle sacche e della variabilità del quadro clinico in grado di modificare, rispettivamente, la biodisponibilità e il fabbisogno dell’ormone. Al contrario, in caso di NP domiciliare a lungo termine, la costante composizione delle miscele nutrizionali e la stabilità del quadro clinico, rendono vantaggiosa la scelta dell’infusione dell’insulina all’interno delle sacche (31). La questione rimane tuttavia ancora aperta e necessita di ulteriori evidenze per individuare le ottimali modalità di somministrazione insulinica nei pazienti iperglicemici trattati con NP.
Conclusioni
La NA nei pazienti diabetici presenta alcuni aspetti tuttora controversi e che offrono numerosi spunti per un ulteriore approfondimento scientifico. Nel caso delle formule per NE specializzate, è necessario definire con miglior precisione la tipologia dei carboidrati e dei grassi nonché il loro rapporto ottimale all’interno delle miscele, identificando inoltre quali siano i pazienti destinatari (diabetici in NE a lungo termine o pazienti con iperglicemia indotta in parte o del tutto da stress). Nel caso della NP totale, oltre ad auspicare la futura disponibilità di formulazioni a ridotto apporto glucidico, occorre definire con maggior precisione quali siano le modalità preferibili di somministrazione dell’insulina nelle diverse condizioni cliniche.
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