La Nutrizione Artificiale (NA) nel diabete mellito.
Parte prima: Fisiologia del metabolismo dei substrati in corso di NA ed effetti del diabete*
Paolo Tessari(1), Francesco Francini Pesenti(2)
(1)Malattie del Metabolismo, Dipartimento di Medicina DIMED, Università di Padova; (2)Nutrizione Clinica, Azienda Ospedaliera di Padova
* La seconda parte dell’articolo, Protocolli di Nutrizione Artificiale nel paziente iperglicemico, sarà pubblicata sul n. 3 della rivista, online da ottobre 2018.
DOI: 10.30682/ildia1802c
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Premessa
L’alterata omeostasi dei substrati metabolici (glucosio, lipidi, aminoacidi e proteine), che si verifica del diabete mellito non adeguatamente trattato, è dovuta in primo luogo ad un deficit (assoluto o relativo) della secrezione insulinica, che può essere associato ad una resistenza all’azione dell’ormone. Gli effetti dell’insulina sul metabolismo dei substrati sono infatti molteplici (1-3) (Tab. 1), e, di conseguenza, condizioni di insulino-deficienza e/o di resistenza comportano l’assenza o la riduzione delle attese funzioni fisiologiche dell’ormone.
Le alterazioni nel metabolismo dei substrati energetici indotte da carenza di secrezione/azione insulinica avvengono in generale nella stessa direzione per tutti e tre i gruppi di substrati, anche se con entità differente tra le due forme principali di diabete (di tipo 1 o di tipo 2). Tali alterazioni si manifestano sia nelle condizioni di post-assorbimento (cioè dopo il breve digiuno notturno), sia, e ancor più marcatamente, in corso di alimentazione/nutrizione, quando cioè vengono somministrati substrati di origine esogena, per via enterale o parenterale. Nell’alimentazione fisiologica come pure nella Nutrizione Artificiale (NA), infatti, i substrati esogeni, una volta assorbiti, si mescolano indistintamente nel torrente circolatorio con quelli analoghi di origine endogena, creando condizioni dinamiche di disequilibrio che rappresentano una difficile sfida alle terapie di normalizzazione metabolica.
La NA nel diabete può essere indicata e/o resa necessaria, analogamente a quanto si verifica nel paziente non diabetico, da condizioni cliniche particolari che di per sé possono aggravare il deficit di secrezione e di azione insulinica della malattia diabetica e, quindi, rendere ancor più difficile il raggiungimento dell’omeostasi metabolica. È infatti noto che condizioni di “stress” di varia natura o origine riducono ad esempio la sensibilità insulinica (4-5). Perciò, l’obiettivo di un buon controllo metabolico in senso lato, da ottenersi mediante la terapia farmacologica e/o nutrizionale, può rivelarsi estremamente complesso da raggiungere nel soggetto con diabete ricoverato in ospedale in condizioni critiche e di “stress”, e per il quale si renda necessaria la NA, sia orale che parenterale.
Fattori clinici potenzialmente compromettenti l’equilibrio metabolico possono includere il tipo e la gravità della malattia acuta di per sé, una pre-esistente malnutrizione, la coesistenza di uno stato febbrile, effetti post-traumatici recenti, la concomitante terapia farmacologica ecc., che possono rendere tutti alquanto difficile il mantenimento del metabolismo entro limiti fisiologici e rendere particolarmente ardua la sfida che si presenta al nutrizionista.
Il focus prevalente nei riguardi del controllo metabolico in NA del paziente con diabete mellito è naturalmente posto sul glucosio. La glicemia infatti rappresenta il parametro metabolico da un lato con rilevanti, immediati ed evidenti effetti clinici, dall’altro anche quello di più facile e comune misurazione. È stato ripetutamente dimostrato il ruolo dei livelli di glicemia nel paziente critico, su morbilità e mortalità a breve e medio termine (6-8). Tuttavia, in corso di NA devono essere considerati anche altri obiettivi metabolici oltre a quelli comunemente considerati (cioè quelli sul glucosio, sugli elettroliti, sul pH e sul bilancio di liquidi), estesi cioè agli acidi grassi, agli aminoacidi (e alle proteine) e al bilancio energetico globale.
L’iperglicemia nel paziente ospedalizzato: significato, outcome clinico, e livelli terapeutici target
L’iperglicemia che si presenta nel paziente ospedalizzato e in condizioni critiche può riguardare tre situazioni-tipo (9) (Fig. 1). Il soggetto può essere già conosciuto come diabetico, oppure manifestare per la prima volta un’iperglicemia, che a sua volta può regredire, più o meno rapidamente, alla risoluzione del quadro clinico acuto, oppure persistere (10-12). In ogni caso, l’iperglicemia del paziente ricoverato in condizioni critiche dovrebbe essere sempre considerata un’iperglicemia associata allo “stress”. Infatti, in un soggetto con diabete già noto, la condizione clinica acuta si somma all’effetto del diabete e può esacerbare e rendere più difficile il controllo glicemico; d’altra parte, lo “stress” medesimo può di per sé rivelare un’iperglicemia come prima manifestazione di un diabete mellito (in paziente predisposto), oppure può indurre una dis-glicemia transitoria che può regredire con la risoluzione della condizione acuta. L’iperglicemia da stress è in ogni caso considerata un fattore di rischio di diabete incidente (13).
Sulla definizione di “stress”, sia di natura fisica che psicologica, esistono varie formulazioni (14-16). In particolare, persistono incertezze sulla caratterizzazione soprattutto per quello di natura psicologica.
L’iperglicemia nel paziente “critico” è riconosciuta come fattore prognostico negativo per morbilità e mortalità (6-9, 17-21). Il suo impatto non dipenderebbe solo dai valori assoluti di iperglicemia, ma anche (e pare in maniera preponderante) dalla pre-esistenza o meno della condizione diabetica. Paradossalmente, l’impatto prognostico dell’iperglicemia appare peggiore in un paziente non noto per essere diabetico (8-9), e meno negativo se invece lo era, indipendentemente dai valori assoluti di glicemia raggiunti. Pur tenendo conto di tali condizioni, i livelli di glicemia correlano comunque con l’outcome a breve e a lungo termine (8-9, 17-21). Al contrario, altri autori ipotizzano che l’iperglicemia e la resistenza insulinica nel contesto di una malattia acuta, rappresentino una risposta adattativa conservata nell’evoluzione che aumenta la probabilità di sopravvivenza (22).
I valori target a cui mantenere un paziente in corso di NA hanno subito delle modificazioni in anni recenti. I pioneristici studi di van den Berghe (17-18) condotti in pazienti chirurgici in ICU e sottoposti prevalentemente a chirurgia cardiotoracica, assieme a quelli di altri autori (23), proponevano uno stretto controllo glicemico, mantenuto tra 80-110 mg/dl, come strategia per una migliore prognosi per morbilità e mortalità. Tuttavia, a seguito di successive rivalutazioni degli effetti indesiderati di tali obiettivi glicemici, in particolare quelli legati ad ipoglicemie anche gravi, con un aumento di mortalità e morbilità per ipoglicemia, i target glicemici sono stati resi meno stringenti. Valori di glicemia a digiuno di 140 mg/dl, e/o di glicemia random <180 mg/dl, sono oggi considerati più appropriati (8, 24-27).
Effetti dell’insulina e degli ormoni contro-regolatori su produzione e utilizzo dei substrati
Un riassunto schematico dei molteplici effetti dell’insulina sul metabolismo dei substrati energetici è riportato nella tabella 1. In generale, essa ne riduce la comparsa in circolo dai depositi endogeni e/o ne inibisce la neo-produzione. Essa inibisce infatti la produzione/rilascio di glucosio dalla glicogenolisi e dalla gluconeogenesi (28), il rilascio degli acidi grassi dai depositi adiposi inibendo la lipolisi (29) e l’ossidazione degli acidi grassi a corpi chetonici aumentando l’espressione di malonil-CoA (30), inibisce il rilascio degli aminoacidi dalla degradazione proteica (31-33), la transaminazione e la neosintesi di aminoacidi non essenziali (alanina) (34-35).
Nel contempo, l’insulina aumenta la rimozione periferica dei substrati. Essa stimola infatti l’utilizzo glicolitico, ossidativo e non ossidativo (=glicogenosintesi) del glucosio, aumenta la liposintesi (=l’esterificazione degli acidi grassi a trigliceridi) ma anche la lipogenesi (36) (=la neosintesi di acidi grassi a partenza dall’acetil-CoA), ed infine, stimola l’utilizzo degli aminoacidi nella sintesi proteica, sia a livello di proteine circolanti, come l’albumina (37), che tissutali (38) (muscolo scheletrico). Gli effetti in vivo dell’insulina sulla stimolazione della sintesi proteica dell’organismo in toto e tissutale sono tuttavia meglio evidenziabili in presenza di eu- o di iper-aminoacidemia. In ultima analisi, l’insulina inibisce l’immissione in circolo dei vari substrati energetici e ne facilita la rimozione favorendone l’utilizzazione metabolica. Mediante questi meccanismi, essa tende quindi a mantenere la concentrazione dei substrati ai livelli basali, conservando quindi l’omeostasi metabolica. Tali effetti si manifestano sia in condizioni di post-assorbimento, cioè dopo il (breve) digiuno notturno, che durante alimentazione, inclusa la NA sia per via enterale che parenterale.
L’effetto relativo dell’insulina sulla inibizione della comparsa in circolo dei vari substrati metabolici è tuttavia quantitativamente differente. Cioè, a parità di variazioni di concentrazioni di insulina, le risposte di concentrazione e/o flusso dei singoli substrati sono di entità differente. Nella figura 2 sono riportati i livelli di insulina che sopprimono del ~50% rispetto al basale i flussi dei principali substrati, derivati da studi sperimentali nell’uomo (31, 39-40). L’inibizione semi-massimale in vivo della lipolisi avviene alle minori concentrazioni di ormone (tra 9-10 µU/ml), quella della produzione endogena di glucosio a valori intermedi (~20 µU/ml, quella del rilascio di aminoacidi e della chetogenesi ai valori più elevati (35-38 µU/ml). Ne consegue che la sensibilità agli effetti dell’ormone sui singoli metaboliti è inversamente proporzionale alle concentrazioni necessarie per ottenerne l’effetto semi-massimale. Tali effetti differenziali vanno tenuti presenti quando insulina esogena viene somministrata nel corso di infusione enterale o parenterale di miscele nutrizionali complesse.
Per riportarci a condizioni pratiche di NA, nella tabella 2 sono schematicamente riportate le relazioni tra unità di insulina somministrata per via endovenosa nelle 24 h, e le concentrazioni plasmatiche di insulina misurate e/o attese, in un soggetto di peso, altezza e superficie corporea standard. Come si può verificare, nell’ambito delle dosi di insulina frequentemente somministrate in NA (30-100 U/die), i livelli attesi di ormone rientrano nei limiti dei valori di ED50 e/o di quelli che danno la massima inibizione sul rilascio dei singoli substrati. Anche se va sottolineato che i valori di ED50 riportati non sono stati tutti ottenuti nelle stesse condizioni sperimentali (solo quelli relativi al glucosio derivano da studi in cui veniva mantenuta l’euglicemia, quelli relativi agli altri substrati senza la prevenzione della caduta insulino-mediata delle loro concentrazioni), queste considerazioni sottolineano comunque il fatto che la risposta all’insulina nel rilascio dei singoli substrati in vivo è marcatamente differente.
Effetti del diabete di tipo 1 e di tipo 2 sui substrati metabolici
Nel diabete di tipo 1 in condizioni di insulino-deficienza si osservano le più rapide e marcate modificazioni delle concentrazioni dei substrati (41-46) (Tab. 3). Le concentrazioni di glucosio, aminoacidi, acidi grassi liberi e corpi chetonici aumentano anche marcatamente (di 2-3 volte o più rispetto a quelle fisiologiche), per l’assenza dell’effetto insulinico di inibizione sul loro rilascio e/o produzione, e di stimolo sulla loro utilizzazione. Per quanto riguarda gli aminoacidi, un marcato aumento si osserva per gli aminoacidi a catena ramificata (leucina, isoleucina e valina) e per gli aromatici (fenilalanina, tirosina, triptofano), molto sensibili all’insulina, mentre le concentrazioni di altri aminoacidi possono essere moderatamente aumentate, normali o addirittura ridotte (nel caso di alcuni aminoacidi gluconeogenetici, rimossi dal circolo perché utilizzati per la produzione di glucosio).
L’efficacia dell’insulina (cioè, l’insulino-sensibilità) sul metabolismo e sui meccanismi di “normalizzazione” dei vari substrati nel T1DM, non è uniforme. Mentre la soppressione della produzione endogena di glucosio è normale, la stimolazione del suo utilizzo periferico è ridotta di circa il 30% (47-48). La soppressione della lipolisi è invece normale (49). L’inibizione della degradazione proteica, valutata in relazione ai livelli di insulina necessari per mantenere una fisiologica velocità di proteolisi “basale”, è stata riportata come ~normale (45) (cioè, le concentrazioni necessarie di insulina per la normalizzazione sono simili a quelle dei soggetti non diabetici) o moderatamente ridotta (50) (i livelli di insulina necessari sono 2-3 volte maggiori di quelli dei soggetti non diabetici). Si deve tuttavia considerare che, in corso di somministrazione periferica (sottocutanea o endovenosa) di insulina, i livelli portali della stessa e il risultante gradiente porto-sistemico sono inferiori a quanto si verifica in condizioni fisiologiche, nelle quali l’insulina secreta dal pancreas perfonde come primo organo il fegato. Ciò può quindi condizionare l’interpretazione sull’esistenza o meno di una ridotta sensibilità di insulina a concentrazioni para-basali della stessa. Il gradiente porto-sistemico di insulina infatti è circa di 1.30 (=il fegato estrae il ≈25% dell’insulina portale). Ciononostante, i livelli di insulina necessari per normalizzare il turnover proteico in corso di somministrazione periferica sono superiori a quanto atteso dall’assenza del gradiente porto-sistemico. Inoltre, in corso di infusioni sequenziali di insulina a dosi sovra-fisiologiche e farmacologiche, la soppressione della proteolisi è comunque risultata deficitaria nel T1DM (51). Queste osservazioni sono quindi compatibili con l’esistenza di una resistenza alla soppressione insulino-indotta della proteolisi nel T1DM. La stimolazione della sintesi proteica invece è stata riportata essere normale (45, 50).
Nel diabete di tipo 2 non adeguatamente trattato dalla terapia, l’iperglicemia è un dato costante, variabile di entità ma spesso assai elevata (Tab. 3). Le concentrazioni di acidi grassi liberi sono di solito aumentate, mentre le concentrazioni circolanti di aminoacidi possono essere normali (52-53) o solo moderatamente aumentate (46). In pazienti con insulino-resistenza e/o obesità associata gli aminoacidi a catena ramificata possono essere decisamente aumentati (54).
L’effetto dell’insulina su concentrazione, produzione e utilizzo del glucosio nel T2DM è riportato come universalmente ridotto, anche in misura rilevante (39, 55). Anche la soppressione insulino-indotta della lipolisi, e lo stimolo all’utilizzo non ossidativo degli acidi grassi, sono deficitari nel T2DM (39). La soppressione insulino-mediata della proteolisi, in presenza di concentrazioni ~basali di insulina, è risultata in genere leggermente ridotta (52-53, 56-60). Anche in tal caso valgono le considerazioni sopra riportate per il diabete di tipo 1. Tuttavia, la soppressione insulino-mediata della proteolisi è risultata normale a valori più elevati e/o sovra-fisiologici di insulina (60-65). La stimolazione della sintesi proteica, inclusa quella dell’albumina (64), è risultata invece essere normale (53), anche se altri autori la riportano come ridotta (65).
In conclusione, la presenza nel diabete di tipo 1 di insulino-resistenza nei confronti dell’utilizzo periferico del glucosio e della soppressione della proteolisi, e nel diabete di tipo 2 nei confronti della soppressione della produzione epatica di glucosio e della lipolisi, della stimolazione dell’utilizzo periferico del glucosio e della lipogenesi, può condizionare l’omeostasi e l’utilizzo dei substrati metabolici in corso di NA. Per superare tali difetti di azione dell’ormone, può essere quindi necessario aumentare le dosi e/o la velocità di infusione dell’insulina. In tali condizioni, va tenuto presente che ogni aumento delle velocità di infusione di insulina avrà verosimilmente un impatto maggiore su quei substrati che sono più sensibili ai livelli dell’ormone.
Ormoni controregolatori, diabete e substrati metabolici
Alla condizione di alterata omeostasi metabolica del paziente ricoverato concorrono vari fattori. A parte la malattia acuta o cronica di per sé (epatica, renale, cardiaca, respiratoria, settica, post-traumatica, neoplastica ecc.), possono giocare un ruolo particolare la secrezione esagerata di ormoni contro-regolatori nelle condizioni di “stress”, come pure anche la terapia farmacologica in atto. Nella tabella 4, accanto agli effetti diretti della condizione di insulino-deficienza di per sé (colonna di sinistra), tipica soprattutto del diabete di tipo 1, sul metabolismo dei substrati energetici, sono schematicamente riportati quelli dei singoli ormoni dello “stress” (altrimenti definiti come “controregolatori”), come pure gli effetti attesi della terapia insulinica che dovrebbe appunto controbilanciare quelli degli ormoni controregolatori.
Dal punto di vista terminologico, la definizione di “ormoni controregolatori” si applica comunemente ai loro effetti sul glucosio (in genere opposti a quelli dell’insulina), e appaiono tali anche sul metabolismo degli acidi grassi e degli aminoacidi, ma con alcune eccezioni. Ad esempio, epinefrina ed ormone della crescita hanno effetti “anabolici” sul metabolismo delle proteine, imitando quindi quelli dell’insulina anche se parzialmente. Sono stati infatti dimostrati effetti di inibizione della proteolisi per l’epinefrina (66) e di stimolo della sintesi proteica per l’ormone della crescita (67).
La valutazione del ruolo relativo di ciascuno dei fattori e condizioni, che concorrono a determinare lo squilibrio glicemico e metabolico in senso lato nel paziente “critico”, è spesso difficile o addirittura impossibile. Frequentemente è lo stesso decorso clinico ad associarsi all’evoluzione del controllo metabolico e al pattern ormonale, nel senso di un miglioramento o di un aggravamento. È anche evidente come il risultato complessivo sul metabolismo dei singoli substrati sia la risultante di opposti effetti ormonali, che possono anche variare a seconda della specifica condizione clinica.
Effetti dei substrati sul loro medesimo metabolismo
Nelle complesse interrelazioni che si verificano tra ormoni e substrati nel controllo del metabolismo non vanno dimenticate anche quelle di autoregolazione diretta tra i substrati metabolici medesimi. Nella tabella 5 sono schematicamente riportati tali effetti, in particolare sulla velocità di comparsa in circolo (Ra) e sulla velocità di scomparsa (Rd) dei substrati. Un determinato substrato può avere effetti di autoregolazione sul proprio metabolismo o su quello di altri substrati, anche attraverso meccanismi di controllo a livello cerebrale (68-71). Per il glucosio, gli aminoacidi, e gli acidi grassi liberi, l’aumento della rispettiva concentrazione ne riduce la comparsa in circolo, e/o ne aumenta l’utilizzo. Per quanto riguarda il glucosio, la riduzione della produzione endogena è del -50%-60%, per inibizione rapida della glicogenolisi (=risparmio di glicogeno epatico), ed una inibizione più ritardata della gluconeogenesi (=risparmio di piruvato, aminoacidi gluconeogenetici, glicerolo). Per gli aminoacidi, l’effetto diretto sul loro rilascio dalla proteolisi endogena è del -10%-20% (essendo comunque dipendente dalle concentrazioni), mentre per gli acidi grassi liberi rilasciati dalla lipolisi, è del ~50%. Vi è inoltre una complessa rete di effetti crociati. Ad esempio, il glucosio può aumentare la produzione di aminoacidi gluconeogenetici, mentre non ha effetti diretti sulla proteolisi (misurata come Ra di aminoacidi essenziali) (72) e ha effetti di soppressione (idea “classica”) oppure nulli (dati più recenti) (73) sulla lipolisi. Gli aminoacidi possono aumentare la produzione di glucosio (via gluconeogenesi) ma inibire l’utilizzazione insulino-mediata dello stesso (74). Gli acidi grassi liberi aumentano la produzione del glucosio e ne inibiscono l’utilizzo, mentre riducono (75) oppure non modificano (76) il rilascio di leucina dalla proteolisi e la sua ossidazione. Nelle relazioni tra aminoacidi e chetogenesi, per definizione e/o in teoria, quelli chetogenetici (leucina, isoleucina, fenilalanina, lisina, triptofano, tirosina) la dovrebbero aumentare, mentre alanina, glutammina e acido glutammico la diminuirebbero. I corpi chetonici riducono il rilascio di alanina, a conferma della relazione inversa tra corpi chetonici e alanina. Da notare che tali effetti sono stati prevalentemente misurati in soggetti non diabetici.
Ruolo dell’estrazione splancnica sul metabolismo dei substrati
Nella nutrizione artificiale (NA), i substrati energetici, una volta infusi e.v., o somministrati per os. (quindi digeriti ed assorbiti), e successivamente metabolizzati, entrano in un pool comune con i substrati energetici endogeni già presenti nell’organismo. Vi sono tuttavia delle differenze peculiari tra somministrazione endovenosa vs. per via orale (fisiologica, o per sondino nasogastrico, o PEG). Nella via endovenosa, i substrati raggiungono nella stessa misura tutti i tessuti, “sfuggendo” quindi alla captazione epatica (al “primo passaggio”), che invece ha luogo nella somministrazione orale. Nella via orale infatti, i substrati assorbiti devono obbligatoriamente attraversare il filtro epatico dove vengono estratti in varia misura prima di essere riversati nelle vene sovra-epatiche e raggiungere i tessuti periferici. L’estrazione splancnica al primo passaggio del glucosio è di circa il ~50% (77), quella degli acidi grassi del ~10%, quella degli aminoacidi a catena ramificata del 10-20% (78-79), quella degli aminoacidi aromatici (fenilalanina) del 40-60% (79), quella di alanina a glutamina del 70-90% (80-81). Può essere rilevante le differenza nella via di somministrazione (orale vs parenterale) nel contesto della NA? Certamente tali effetti devono essere tenuti in considerazione, in particolar modo in soggetti affetti da patologie epatiche, nelle quali la capacità estrattiva del fegato può essere ridotta, sia per un deficit metabolico che per la presenza di shunt posto-sistemico.
Conclusioni
Lo studio del metabolismo dei substrati energetici, nell’organismo in toto e a livello d’organo, sia in condizioni fisiologiche che patologiche, ha fornito importanti informazioni che possono risultare di utilità nella nutrizione artificiale, in particolare nel paziente iperglicemico che necessita di terapia insulinica.
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