Rubrica Opinioni a Confronto a cura di Anna Solini1, Agostino Consoli2
1Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università degli Studi di Pisa; 2Dipartimento di Medicina e Scienze dell’Invecchiamento, Università degli Studi di Chieti-Pescara “G. D’Annunzio”
In questo numero de il Diabete la sezione “Opinioni a Confronto” ospita un contributo concepito in modo non convenzionale. Il tema, la cardiomiopatia diabetica, richiama una tavola rotonda tenutasi nel corso del 50° Congresso Nazionale SID nel 2014. Amalia Gastaldelli ed Anna Leonardini, insieme a due loro giovani collaboratrici, sulla base delle loro competenze specifiche e della grande esperienza nell’ambito della fisiopatologia del metabolismo glicolipidico (la prima) e della biologia molecolare del miocardiocita (la seconda) discutono in modo integrato il ruolo della glucotossicità e della lipotossicità nella patogenesi di questa gravissima complicanza della malattia diabetica, analizzando in dettaglio i meccanismi cellulari e molecolari di danno. Di particolare interesse e rilievo appare anche la presentazione degli effetti sulla performance cardiaca di terapie già clinicamente disponibili (diete diverse, farmaci ipoglicemizzanti, chirurgia bariatrica) e di strategie innovative, tra cui spicca la terapia rigenerativa.
Il prodotto finale è, a nostro avviso, una snella ma completa overview su un argomento complesso e dibattuto, che ci auguriamo sia in grado di suscitare interesse e curiosità nei lettori, fornendo numerosi spunti per eventuali approfondimenti.
La cardiomiopatia diabetica
DISCUSSANT
Amalia Gastaldelli1 e Melania Gaggini1, Anna Leonardini2 e Rossella D’Oria2
1Laboratorio per il Rischio Cardiometabolico, Istituto di Fisiologia Clinica Consiglio Nazionale delle Ricerche, Pisa; 2Dipartimento dell’Emergenza e dei Trapianti di Organi, Sezione di Medicina Interna, Endocrinologia, Andrologia e Malattie Metaboliche, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”
Introduzione
Le malattie cardiovascolari sono la principale causa di morbilità e di mortalità tra la popolazione diabetica. Evidenze sperimentali e cliniche suggeriscono che i soggetti diabetici sono predisposti a una cardiomiopatia, indipendente da disturbi macro e microvascolari concomitanti. La “cardiomiopatia diabetica” è caratterizzata da una precoce alterazione della funzione diastolica, accompagnata dallo sviluppo di ipertrofia e apoptosi dei cardiomiociti e fibrosi miocardica. La fisiopatologia è complessa e multifattoriale e l’incremento dello stress ossidativo rappresenta un fattore chiave. Da un punto di vista fisiopatologico, da anni è nota l’influenza dell’aumento dei livelli ematici degli acidi grassi liberi, dell’iperglicemia e dell’iperinsulinemia nell’insorgenza delle alterazioni che compaiono a carico dei cardiomiociti in presenza di diabete.
[protected]
> Scarica l’articolo in formato PDF
Introduzione
Le malattie cardiovascolari sono la principale causa di morbilità e di mortalità tra la popolazione diabetica. Evidenze sperimentali e cliniche suggeriscono che i soggetti diabetici sono predisposti a una cardiomiopatia, indipendente da disturbi macro e microvascolari concomitanti. La “cardiomiopatia diabetica” è caratterizzata da una precoce alterazione della funzione diastolica, accompagnata dallo sviluppo di ipertrofia e apoptosi dei cardiomiociti e fibrosi miocardica. La fisiopatologia è complessa e multifattoriale e l’incremento dello stress ossidativo rappresenta un fattore chiave. Da un punto di vista fisiopatologico, da anni è nota l’influenza dell’aumento dei livelli ematici degli acidi grassi liberi, dell’iperglicemia e dell’iperinsulinemia nell’insorgenza delle alterazioni che compaiono a carico dei cardiomiociti in presenza di diabete.
Nello sviluppo e progressione della cardiomiopatia diabetica qual è l’attore principale, il grasso o il muscolo?
Amalia Gastaldelli e Melania Gaggini
Sia il grasso che il muscolo cardiaco giocano un ruolo importante. Quando parliamo di grasso cardiaco intendiamo sia quello che si deposita intorno al cuore (come grasso epicardico e extrapericardico) che quello interno ai cardiomiociti (intramiocardico) (1). Il tessuto adiposo è costituito da diversi tipi di adipociti con differenti caratteristiche metaboliche (2). La funzione primaria del tessuto adiposo è quella di sintetizzare e accumulare trigliceridi (TG) come una riserva di energia. In risposta alle esigenze metaboliche i TG vengono idrolizzati dagli enzimi lipolitici in acidi grassi non esterificati (FFA) e rilasciati nel sangue per essere utilizzati dagli altri organi come fonte di energia tramite la β-ossidazione nei mitocondri (2). Inoltre, gli adipociti possono secernere sostanze come le adipochine, ad esempio la leptina, l’adiponectina, l’interleuchina 6 (IL-6), proteina chemotattica per i monociti (MCP-1) o il fattore di necrosi tumorale (TNF-alfa) e la resistina (Fig. 1), che svolgono un ruolo importante sia nel metabolismo che nell’attivazione immunologica e infiammatoria (3).
Ci siamo chiesti se e come il grasso, in particolare quello cardiaco, possa avere un ruolo nello sviluppo della cardiomiopatia diabetica. Diversi studi hanno evidenziato che la quantità di grasso epicardico è aumentata proporzionalmente al numero di componenti della sindrome metabolica, in particolare una maggiore circonferenza vita, alta concentrazione di lipoproteine a bassa densità (LDL) e ridotti valori di HDL, diabete e aumento della pressione diastolica (1, 4-7). Il grasso epicardico copre circa l’80% del cuore, circondando i vasi coronarici e per questo è anche considerato un grasso perivascolare (1). Data la sua posizione anatomica, vicino al miocardio e senza una vera e propria barriera fisica con le arterie coronarie, il grasso epicardico può esercitare un ruolo sia meccanico che fisiologico nel metabolismo cardiaco. La sua localizzazione infatti fa sì che la secrezione di adipochine, fattori di crescita, coagulazione e il rilascio di FFA avvenga direttamente nelle arterie coronarie (3). Potrebbe inoltre rilasciare angiotensinogeno (Agt), il peptide precursore dell’angiotensina, che può essere secreto anche dal tessuto adiposo (1).
Tra meccanismi noti che promuovono il danno del miocardio in presenza di diabete ci sono processi di glicazione, disfunzione endoteliale, alterazioni del sistema nervoso autonomico, attivazione del sistema renina-angiotensina (RAS), aumento dello stress ossidativo e disfunzione mitocondriale, infiammazione e cascata infiammatoria, insulino resistenza con alterato metabolismo dei cardiomiociti, glucotossicità e lipotossicità (4).
L’insulino resistenza è, insieme alla disfunzione della beta-cellula, una delle principali cause del diabete di tipo 2. L’accumulo di grasso cardiaco è associato sia allo stato infiammatorio che di insulino resistenza, anche in soggetti non diabetici con funzione ventricolare normale (6, 8-9). Soggetti insulino resistenti tendono ad accumulare sia grasso epicardico che intramiocardico. Tuttavia non tutti gli studi hanno dimostrato una relazione tra il grasso epicardico e la disfunzione cardiaca. Questo risultato può essere spiegato dal fatto che solo quando il grasso diventa “disfunzionante” secerne sostanze pro-infiammatore e pro-aterogene (10), ed evidenziando che i dati di imaging da soli, non sempre riflettono una condizione patologica. L’insulino resistenza è presente non solo a livello del muscolo (a), ma anche di altri organi tra cui il tessuto adiposo (b), con mancata soppressione della lipolisi nonostante gli alti valori di insulina circolanti, del fegato (c), con un’eccessiva produzione di glucosio, del pancreas (d), con un’alterata secrezione di insulina, e anche del cuore (e) con un alterato metabolismo del muscolo cardiaco (10).I pazienti con coronaropatia (CAD o Coronary Artery Disease) mostrano uno stato di insulino resistenza generalizzato, anche a livello del miocardio, e tendono ad accumulare grasso epicardico (1).
Il grado di resistenza all’effetto dell’insulina nel promuovere l’assorbimento di glucosio può essere quantificato usando la tomografia ad emissione di positroni (PET). Utilizzando questa tecnica durante infusione di insulina è stato dimostrato che, nei pazienti con diabete mellito di tipo 2, non solo si ha resistenza all’insulina a livello muscolare, ma si osserva anche una compromissione dell’assorbimento del glucosio da parte del miocardio. Il muscolo cardiaco dei soggetti diabetici utilizza fino al 40% di glucosio in meno, e in questi pazienti si ha steatosi cardiaca associata alla diminuzione della funzione cardiaca (11). L’accumulo dei trigliceridi nei cardiomiociti può verificarsi anche in tempi brevi in presenza di iperglicemia e iperinsulinemia. Nello studio di Winhofer e colleghi (12), dopo solo 6 ore di iperglicemia associata a iperinsulinemia si è osservato unaumento dei trigliceridi intramiocardici, nonostante ci fosse una soppressione della lipolisi, un aumento della frazione di eiezione e una diminuzione del volume diastolico. Queste alterazioni metaboliche vanno in parallelo con le alterazioni della funzione miocardica (12).
Lipotossicità e grasso cardiaco
L’obesità, l’insulino resistenza e il diabete sono spesso accompagnati da iperlipidemia. L’aumento degli FFA nel plasma porta ad un conseguente aumento dell’assorbimento degli acidi grassi nel cuore (8). In condizioni di digiuno, quando l’insulina è bassa, il metabolismo cardiaco si basa principalmente sull’utilizzo di acidi grassi. In presenza di insulino resistenza del tessuto adiposo le concentrazioni sistemiche di FFA sono elevate a causa di un’ eccessiva lipolisi, comportando un maggiore assorbimento di FFA a livello cardiaco. A causa degli elevati livelli di insulina circolanti e ad una ridotta capacità da parte del cuore di ossidare questo surplus di acidi grassi, gli FFA vengono per lo più riesterificati a trigliceridi (1, 10). Questo è causa della presenza di una disfunzione mitocondriale, molto comune nei soggetti con diabete di tipo 2 (13). L’accumulo intracellulare di trigliceridi nel muscolo cardiaco porta a lipotossicità, con sintesi di acidi grassi a catena lunga, acyl-CoA, ceramidi e diacilglieroli (Fig. 1), che a loro volta influiscono sia a livello del metabolismo cardiaco che della funzione cardiaca, determinando una diminuita contrattilità cardiaca (13-14). Studi su modelli murini geneticamente mutati hanno evidenziato come nei cuori di animali diabetici e/o obesi l’accumulo di queste sostanze è associato alla disfunzione contrattile del muscolo cardiaco (cardiomiopatia lipotossica). Anche i pazienti con insulinoresistenza, hanno una compromissione del metabolismo energetico, mostrando una diminuzione del rapporto fosfo-creatina (PCR)/ATP, correlata con l’aumento dell’accumulo di grasso ectopico sia cardiaco che epatico (1, 10). È possibile che ci sia un’associazione diretta tra aumento dell’utilizzo degli acidi grassi da parte del miocardio e diminuita energia miocardica, che può essere una delle cause di disfunzione cardiaca in soggetti con diabete di tipo 2 (15). Utilizzando le tecniche “omiche” si stanno cercando dei marcatori circolanti di lipotossicità cardiaca che potranno essere usati sia per lo screening precoce di malattia che per valutare gli effetti dei trattamenti.
Anna Leonardini, Rossella D’Oria
Ai meccanismi molecolari menzionati dalla mia collega si aggiungono le alterazioni di processi omeostatici come l’apoptosi, l’autofagia e lo stress del reticolo endoplasmatico, le alterazioni nella regolazione genica e le modifiche post-traslazionali di proteine strutturali e del segnale (Fig. 2). Queste alterazioni sono state riscontrate non solo nei cardiomiociti, ma anche nelle cellule staminali cardiache (CSC), importanti nei processi di turn-over cellulari del cuore. Evidenze crescenti supportano il concetto che una alterazione del compartimento delle CSC giochi un ruolo chiave nella patogenesi della cardiomiopatia diabetica e sia coinvolta nell’insorgenza della disfunzione cardiaca (16). Nei cuori diabetici è stato dimostrato che le CSC sono ridotte e manifestano una minore capacità proliferativa. Questo determina la perdita di tessuto cardiaco contrattile, ipertrofia compensatoria dei cardiomiociti e fibrosi riparativa.
Apoptosi
L’apoptosi è la più nota forma di morte cellulare programmata e la sua fine regolazione è essenziale per mantenere l’omeostasi dei tessuti in condizioni fisiologiche. L’apoptosi dei cardiomiociti correla con i livelli di glicemia e gioca un ruolo causale nello sviluppo della cardiomiopatia diabetica in quanto è coinvolta nel processo di transizione dalla ipertrofia compensata a quella non compensata nel cuore diabetico. Uno studio condotto su biopsie cardiache prelevate da soggetti con cardiomiopatia dilatativa dimostra che la concomitante presenza di diabete determina un aumento dell’apoptosi cellulare dei cardiomiociti, delle cellule endoteliali e dei fibroblasti; si osserva anche un incremento dei livelli di necrosi di queste cellule, sebbene di minore entità rispetto a quello determinato dall’apoptosi (17). Anche l’esposizione delle CSC umane a stimoli che mimano l’ambiente diabetico (come acqua ossigenata ed acidi grassi liberi) si è dimostrata in grado di determinare un aumento dei livelli di apoptosi di queste cellule (18).
Autofagia
Recentemente notevole attenzione è stata rivolta ad una forma alternativa di morte cellulare programmata, l’autofagia, che in condizioni normali è un meccanismo protettivo per rimuovere porzioni di citoplasma, proteine e organelli danneggiati. Una sua de-regolazione in difetto o in eccesso è coinvolta in diverse patologie ed è responsabile della morte cellulare. In questo processo di degradazione, porzioni di citoplasma e organelli sono sequestrati in una vescicola a doppia membrana (autofagosoma) e trasportati ai lisosomi per la degradazione e l’eventuale riciclaggio delle macromolecole risultanti. Se l’autofagia nel cuore sia benefica o dannosa rimane controverso. Recentemente diversi studi hanno indagato il ruolo dell’autofagia nello sviluppo della cardiomiopatia diabetica sia nel diabete tipo 1 che nel tipo 2. In modelli sperimentali di diabete mellito tipo 1, in cui il diabete è stato indotto mediante somministrazione di streptozotocina (19-20) o in topi transgenici OVE26 che sviluppano un quadro clinico simile al diabete mellito di tipo 1 all’esordio si osserva un riduzione dei livelli di autofagia dimostrato da una riduzione dei marcatori tipici di questo processo (19). In modelli sperimentali di diabete di tipo 2, una dieta ad alto contenuto in grassi determina un aumento dei livelli di autofagia (21). Analogamente in CSC l’esposizione all’eccesso di palmitato determina un incremento dei livelli di questo processo (22). Ad oggi, comunque, il contributo dell’autofagia alla patogenesi della cardiomiopatia diabetica non è stato del tutto chiarito.
Modifiche nella regolazione genica
Un altro meccanismo che promuove il danno dei cardiomiociti e delle CSC nel diabete sono le modifiche nella regolazione genica. L’attivazione di specifici fattori di trascrizione, i microRNA (miRNA) e meccanismi epigenetici, quali la metilazione e la acetilazione, hanno recentemente suscitato molto interesse nell’ambito della fisiopatologia della cardiomiopatia diabetica.
In particolare i miRNA sono delle piccole sequenze di RNA (circa 18-25 nucleotidi) che non codificano per proteine, ma regolano l’espressione genica a livello trascrizionale e post-trascrizionale. I miRNA possono essere secreti dalle cellule che li producono in microparticelle o in complessi con proteine che legano l’RNA o in complessi lipoproteici con le HDL. Queste specie prevengono la degradazione dei miRNA in circolo, rendendoli stabili. I miRNA sono importanti nella regolazione di varie funzioni cellulari che conducono a scompenso cardiaco, ipertrofia, aritmie, fibrosi, infarto del miocardio, cardiomiopatia dilatativa, apoptosi. È importante sottolineare che ogni miRNA può essere responsabile di più alterazioni a livello cellulare in quanto è in grado di regolare più geni. Perché i miRNA possono essere importanti nella cardiomiopatia diabetica? Se le alterazioni cardiache in presenza di diabete non sono diagnosticate o la diagnosi arriva tardivamente lo scompenso cardiaco progredisce ed arriva nelle fasi più avanzate della malattia (23). Il dosaggio di specifici miRNA rilasciati in circolo dai cardiomiociti potrebbe permettere di identificare la malattia nelle fasi precoci e iniziare così un trattamento in grado di prevenirne l’evoluzione (23). In alcuni studi è stato osservato che le malattie cardiache determinano nei cardiomiociti alterazioni a carico di differenti miRNA quali il miRNA 1, 133, 208 e 499. In particolare, studi preliminari in modelli sperimentali di cardiomiopatia diabetica hanno evidenziato alterazioni a carico dei miRNA 1 e 133. Ad oggi non sono stati identificati miRNA nell’uomo rilasciati in circolo dai cardiomiociti e dalle CSC danneggiate dal diabete che possano essere utili per identificare le alterazioni cardiache in fasi precoci; pertanto saranno necessari ulteriori studi per la loro identificazione.
Le modifiche epigenetiche (4) possono influenzare l’espressione e la funzione dei geni coinvolti nell’insorgenza e nella progressione della cardiomiopatia diabetica senza alterare la sequenza del DNA. I cambiamenti epigenetici avvengono a seguito di vari fattori (es. fattori ambientali, stile di vita) e possono influenzare la funzione dei geni. La modificazione istonica, in particolar modo l’acetilazione, è il principale meccanismo epigenetico che regola l’espressione genica. L’equilibrio tra acetilazione/deacetilazione degli istoni è mantenuto attraverso le attività di due enzimi: l’istone acetiltransferasi che catalizza l’acetilazione istonica e l’istone deacetilasi che rimuove i gruppi acilici. Esistono 4 classi di deacetilasi. Vi sono evidenze che le deacetilasi di classe II siano capaci di sopprimere l’ipertrofia cardiaca mentre quelle di classe I sarebbero in grado di promuoverla. Nei cuori diabetici di topi db/db, il danno renale indotto dalla nefrectomia monolaterale incrementava l’acetilazione miocardica dell’istone 3 e questo correlava con un incremento dell’espressione dei geni correlati alla cardiomiopatia e all’ipertrofia cardiaca (24). Queste osservazioni suggeriscono una interazione tra uremia e ipertrofia cardiaca nel diabete tipo 2 attraverso un meccanismo mediato dalle modifiche epigenetiche dell’istone 3 nei cardiomiociti.
Un altro meccanismo epigenetico ben noto è la metilazione del DNA. Si realizza principalmente su sequenze CpG a livello della regione regolatoria 5’ di molti geni. Utilizzando cardiomiociti di ratti in cui il diabete è stato indotto mediante somministrazione di streptozotocina è stato dimostrato che l’aumento dell’espressione del gene che codifica p21 e l’inibizione di quello che codifica la ciclina D1, entrambe proteine coinvolte nella regolazione del ciclo cellulare, sono regolati rispettivamente dalla demetilazione e dalla ipermetilazione che ne determina una induzione o una repressione (25). Pertanto le modifiche epigenetiche, che hanno il potenziale di influenzare l’espressione dell’intero genoma, possono rappresentare un meccanismo non ancora completamente chiarito in grado di contribuire alla patogenesi della cardiomiopatia diabetica. L’individuazione di tali eventi è di fondamentale importanza poiché, a differenza dei geni, che non possono essere modificati, i cambiamenti epigenetici sono reversibili, tanto che alcuni farmaci in grado di causare modifiche epigenetiche sono da tempo usati nel trattamento del cancro e dell’epilessia.
Infine un ulteriore meccanismo molecolare che promuove il danno dei cardiomiociti in presenza di diabete sono le modificazioni post-traslazionali di proteine strutturali e di segnale come la glicosilazione (26). L’iperglicemia determina nei cardiomiociti e nei precursori l’attivazione della via delle esosamine che gioca un ruolo centrale nella produzione di un intermedio, la N-acetilglucosamina, responsabile della glicosilazione di diverse proteine strutturali e di segnale. L’aumento della glicosilazione determina alterazioni a carico dei cardiomiociti che causano ipertrofia ed alterazioni che conducono in ultima analisi a disfunzione diastolica e sistolica.
Cosa si può fare per prevenire o attenuare i danni del diabete?
Amalia Gastaldelli e Melania Gaggini
Diversi studi hanno evidenziato che i cambiamenti dello stile di vita riducono il rischio di malattie cardio-metaboliche e migliorano la funzionalità cardiaca. L’esercizio fisico aumenta la spesa energetica, la funzione mitocondriale e la funzione endoteliale (1, 10). Per quanto riguardo il grasso ectopico, in particolare quello cardiaco, si è osservata una riduzione del grasso epicardico solo nei soggetti che perdevano peso, e quindi in quelli che si sottoponevano ad una dieta ipocalorica (1, 10). Non solo la quantità di calorie ma anche la composizione della dieta è importante, dal momento che il tipo di grassi e di zuccheri influenza il metabolismo. Recenti studi hanno evidenziato che alcuni tipi di acidi grassi saturi, come l’acido palmitico, sono particolarmente lipotossici e alcuni tipi di zuccheri, come il fruttosio, sono associati a insulino resistenza a livello epatico, aumentando la produzione e i livelli circolanti di glucosio e quindi la glucotossicità.
In soggetti con livelli di obesità grave, l’intervento di chirurgia bariatrica comporta una perdita di peso importante, che si associa ad un miglioramento del metabolismo glucidico e lipidico (10). La perdita di peso avviene si a livello sottocutaneo che ectopico, con riduzione di grasso epatico e cardiaco. I risultati dello studio svedese SOS a dieci anni hanno mostrato non solo una regressione della prevalenza ed incidenza del diabete nel 75% dei soggetti, ma anche una riduzione dell’iperlipidemia e dell’ipertensione nel 70% dei soggetti (10). Di conseguenza la mortalità per malattie cardio-metaboliche sembra fortemente ridotta nei soggetti con obesità grave sottoposti a chirurgia dell’obesità rispetto a quelli che invece cercano di dimagrire con la dieta.
Tutti gli interventi farmacologici che migliorano la sensitività all’insulina e riducono la glicemia risultano benefici per il metabolismo cardiaco, in quanto riducono la glucotossicità. Se a questo si aggiunge una perdita di peso (fortemente consigliata nei soggetti sovrappeso/obesi), al miglioramento del controllo glicemico si aggiunge un miglioramento della lipotossicità. Tra i farmaci ipoglicemizzanti che comportano una riduzione di peso, i farmaci incretinici, quali gli analoghi dell’ormone GLP-1, hanno dimostrato di avere anche proprietà protettive a livello cardiovascolare (10). Recettori del GLP-1 sono stati trovati non solo nel pancreas ma anche nel cuore e sulla parete endoteliale, spiegando così il rapporto tra la terapia incretinica e riduzione del rischio cardiovascolare (10). Studi con analoghi del GLP-1 hanno osservato un miglioramento della funzione cardiaca e del metabolismo cardiaco di glucosio e FFA, con riduzione del peso e del grasso ectopico.
Anna Leonardini, Rossella D’Oria
Terapie convenzionali
È evidente che un miglioramento del compenso glicometabolico può ridurre gli effetti dannosi del diabete sui cardiomiociti e sulle CSC. In realtà non sono disponibili raccomandazioni relative alla scelta di farmaci ipoglicemizzanti più appropriati da utilizzare nei pazienti con cardiomiopatia diabetica in quanto esistono poche evidenze in letteratura. Ad esempio, la metformina sembrerebbe avere una azione cardioprotettiva, nonostante ad oggi non ci siano dati sul suo ruolo nella cardiomiopatia diabetica umana. Comunque, in acuto, nell’animale essa ha dimostrato di ridurre l’area infartuale e in vitro di regolare l’autofagia e ridurre l’apoptosi in un modello sperimentale di diabete tipo 1 (19).
Negli ultimi anni numerose evidenze nell’uomo e negli animali hanno mostrato gli effetti benefici della terapia incretinica a livello cardiovascolare (Fig. 2). In modelli sperimentali animali gli agonisti del recettore del GLP-1 hanno dimostrato di ridurre l’area infartuale. Una recente metanalisi condotta per valutare gli effetti degli agonisti del recettore del GLP-1 sugli eventi cardiovascolari mostra la sicurezza di queste terapie nel paziente diabetico (13). Questo aspetto verrà ulteriormente esplorato e valutato nel prossimo futuro da studi sulla sicurezza cardiovascolare attualmente in corso. Anche numerosi studi preclinici hanno dimostrato gli effetti protettivi degli inibitori della DPP-IV sul miocardio. In topi la delezione genetica della DPP-IV riduce la zona infartuale e migliora la sopravvivenza (27). La sicurezza delle terapie basate sugli inibitori della DPP-IV è stata rinforzata dal risultato di due studi clinici sulla sicurezza cardiovascolare, il SAVOR-TIMI e l’EXAMINE che utilizzavano rispettivamente il saxagliptin e l’alogliptin. Entrambi i trial hanno dimostrato una sostanziale neutralità, cioè una sicurezza a livello di rischio cardiovascolare, anche se non hanno evidenziato un effetto protettivo. L’unico dato che dovrà essere ancora oggetto di ulteriori valutazioni è quello emerso dallo studio SAVOR: un piccolo numero di casi di ospedalizzazione per scompenso cardiaco, in eccesso rispetto al gruppo di controllo, ma senza che questa condizione abbia aumentato il rischio di mortalità.
Approcci innovativi
Tra i nuovi approcci al trattamento della cardiomiopatia (Fig. 2) vi è la terapia genica (28). Essa potrebbe superare le anomalie molecolari dei cardiomiociti e delle CSC disfunzionali. La terapia con NGF (nerve growth factor) somministrato mediante vettori adenovirali potrebbe proteggere i cardiomiociti e promuovere la riparazione tissutale dopo il danno. Analogamente in presenza di diabete è stata dimostrata la riduzione di Pim3 e di PI3K la cui mancanza espone i cardiomiociti e le CSC adaumentata apoptosi, fibrosi e scompenso cardiaco. In modelli sperimentali animali la somministrazione di Pim-1 e PI3K mediante vettori adenovirali previene la fibrosi, l’apoptosi e lo sviluppo di scompenso cardiaco. Vettori adenovirali per il trattamento delle patologie cardiache hanno dimostrato di essere sicuri in studi clinici in fase 1 e 2, ed in particolare sembrano promettenti i risultati di uno studio in fase 2 in pazienti con scompenso cardiaco.
Terapie basate sui miRNA (28) potrebbero rappresentare un ulteriore approccio nei pazienti diabetici con patologia cardiaca. La ricerca in questo campo deve ancora compiere passi in avanti per identificare specifici miRNA alterati in presenza di cardiomiopatia diabetica. Anche queste terapie sono molto promettenti. Ad oggi anti-miRNA sono utilizzati con successo in studi clinici per il trattamento dell’epatite C, e vi sono già studi clinici in fase 2 in cui questa terapia risulta ben tollerata.
Infine, la terapia rigenerativa basata sulle cellule staminali è un approccio molto promettente per il trattamento della cardiomiopatia diabetica (29). Dal 2000 ad oggi sono stati condotti numerosi studi, con cellule staminali per il ripristino della funzione cardiaca. Gli studi condotti con cellule staminali non cardiache hanno dato risultati poco soddisfacenti. Numerosi limiti nell’utilizzo di questo tipo di cellule staminali devono ancora essere superati; tra questi, la durata limitata e la scarsa maturazione delle cellule in situ, la mancata ricreazione di strutture tridimensionali, l’insorgenza di aritmie cardiache dopo l’iniezione delle cellule, la limitata diffusione delle cellule nell’area di destinazione, la limitata sopravvivenza cellulare. Negli ultimi anni sono state identificate e utilizzate per la terapia rigenerativa CSC adulte. I risultati sono incoraggianti ma sono necessari ulteriori evidenze per confermarne l’efficacia. Inoltre, alla luce della ridotta sopravvivenza e della aumenta senescenza cellulare delle CSC in presenza di diabete, sarà importante individuare target molecolari che regolino questi processi in modo da condizionare in vitro queste cellule prima di un loro reimpianto.
Conclusioni
In conclusione, sia la presenza di grasso cardiaco che la disfunzione dei cardiomiociti e delle CSC sono critici nel determinare l’inizio e l’evoluzione della cardiomiopatia diabetica. L’identificazione di nuove terapie in grado di superare queste anormalità ridurrà la morbidità e la mortalità associata alle complicanze cardiache che si manifestano in presenza di diabete.
BIBLIOGAFIA
- Gastaldelli A, Morales MA, Marraccini P, Sicari R. The role of cardiac fat in insulin resistance. Curr Opin Clin Nutr Metab Care 15: 523-528, 2012.
- Zechner R, Zimmermann R, Eichmann TO, Kohlwein SD, Haemmerle G, Lass A, Madeo F. FAT SIGNALS–lipases and lipolysis in lipid metabolism and signaling. Cell Metab 15: 279-291, 2012.
- Sacks HS, Fain JN: Human epicardial adipose tissue: a review. American heart journal 153: 907-917, 2007.
- Bugger H, Abel ED. Molecular mechanisms of diabetic cardiomyopathy. Diabetologia 57: 660-671, 2014.
- Iozzo P, Lautamaki R, Borra R, Lehto HR, Bucci M, Viljanen A, Parkka J, Lepomaki V, Maggio R, Parkkola R, Knuuti J, Nuutila P. Contribution of glucose tolerance and gender to cardiac adiposity. J Clin Endocrinol Metab 94: 4472-4482, 2009.
- Sironi AM, Petz R, De Marchi D, Buzzigoli E, Ciociaro D, Positano V, Lombardi M, Ferrannini E, Gastaldelli A. Impact of increased visceral and cardiac fat on cardiometabolic risk and disease. Diab Med 29: 622-627, 2012.
- Iacobellis G, Leonetti F. Epicardial adipose tissue and insulin resistance in obese subjects. J Clin Endocrinol Metab 90: 6300-6302, 2005.
- Kankaanpaa M, Lehto HR, Parkka JP, Komu M, Viljanen A, Ferrannini E, Knuuti J, Nuutila P, Parkkola R, Iozzo P. Myocardial triglyceride content and epicardial fat mass in human obesity: relationship to left ventricular function and serum free fatty acid levels. J Clin Endocrinol Metab 91: 4689-4695, 2006.
- Nyman K, Graner M, Pentikainen MO, Lundbom J, Hakkarainen A, Siren R, Nieminen MS, Taskinen MR, Lundbom N, Lauerma K. Cardiac steatosis and left ventricular function in men with metabolic syndrome. J Cardiovasc Magn Reson 15: 103, 2013.
- Morelli M, Gaggini M, Daniele G, Marraccini P, Sicari R, Gastaldelli A. Ectopic fat: the true culprit linking obesity and cardiovascular disease? Thromb Haemost 110: 651-660, 2013.
- Rijzewijk LJ, Jonker JT, van der Meer RW, Lubberink M, de Jong HW, Romijn JA, Bax JJ, de Roos A, Heine RJ, Twisk JW, Windhorst AD, Lammertsma AA, Smit JW, Diamant M, Lamb HJ. Effects of hepatic triglyceride content on myocardial metabolism in type 2 diabetes. J Am Coll Cardiol 56: 225-233, 2010.
- Winhofer Y, Krssak M, Jankovic D, Anderwald CH, Reiter G, Hofer A, Trattnig S, Luger A, Krebs M. Short-term hyperinsulinemia and hyperglycemia increase myocardial lipid content in normal subjects. Diabetes 61: 1210-1216, 2012.
- Duncan JG. Mitochondrial dysfunction in diabetic cardiomyopathy. Biochim Biophys Acta 1813: 1351-1359, 2011.
- Szendroedi J, Roden M. Ectopic lipids and organ function. Current opinion in lipidology 20: 50-56, 2009.
- Abel ED. Myocardial insulin resistance and cardiac complications of diabetes. Curr Drug Targets Immune Endocr Metabol Disord 5: 219-226, 2005.
- Rota M, LeCapitaine N, Hosoda T, Boni A, De Angelis A, Padin-Iruegas ME, Esposito G, Vitale S, Urbanek K, Casarsa C, Giorgio M, Luscher TF, Pelicci PG, Anversa P, Leri A, Kajstura J. Diabetes promotes cardiac stem cell aging and heart failure, which are prevented by deletion of the p66shc gene. Circ Res 99: 42-52, 2006.
- Kuethe F, Sigusch HH, Bornstein SR, Hilbig K, Kamvissi V, Figulla HR. Apoptosis in patients with dilated cardiomyopathy and diabetes: a feature of diabetic cardiomyopathy? Horm Metab Res Hormon- und Stoffwechselforschung 39: 672-676, 2007.
- Laviola L, Leonardini A, Melchiorre M, Orlando MR, Peschechera A, Bortone A, Paparella D, Natalicchio A, Perrini S, Giorgino F. Glucagon-like peptide-1 counteracts oxidative stress-dependent apoptosis of human cardiac progenitor cells by inhibiting the activation of the c-Jun N-terminal protein kinase signaling pathway. Endocrinology 153: 5770-5781, 2012.
- Xie Z, Lau K, Eby B, Lozano P, He C, Pennington B, Li H, Rathi S, Dong Y, Tian R, Kem D, Zou MH. Improvement of cardiac functions by chronic metformin treatment is associated with enhanced cardiac autophagy in diabetic OVE26 mice. Diabetes 60: 1770-1778, 2011.
- He C, Zhu H, Li H, Zou MH, Xie Z. Dissociation of Bcl-2-Beclin1 complex by activated AMPK enhances cardiac autophagy and protects against cardiomyocyte apoptosis in diabetes. Diabetes 62: 1270-1281, 2013.
- Xu X, Hua Y, Nair S, Zhang Y, Ren J. Akt2 knockout preserves cardiac function in high-fat diet-induced obesity by rescuing cardiac autophagosome maturation. J Mol Cell Biol 5: 61-63, 2013.
- D’Oria R, Leonardini A, Incalza M, Caccioppoli C, Andrulli Buccheri V, Orlando M, Natalicchio A, Perrini S, Laviola L, Giorgino F. Exendin-4 previene l’autofagia indotta dal palmitato in progenitori cardiaci umani bloccando la produzione di ceramide e l’attivazione di p38 MAPK. il Diabete 2014: CO36.
- Rawal S, Manning P, Katare R. Cardiovascular microRNAs: as modulators and diagnostic biomarkers of diabetic heart disease. Cardiovas Diabetol 13: 44, 2014.
- Gaikwad AB, Sayyed SG, Lichtnekert J, Tikoo K, Anders HJ. Renal failure increases cardiac histone h3 acetylation, dimethylation, and phosphorylation and the induction of cardiomyopathy-related genes in type 2 diabetes. Am J Pathol 176: 1079-1083, 2010.
- Monkemann H, De Vriese AS, Blom HJ, Kluijtmans LA, Heil SG, Schild HH, Golubnitschaja O. Early molecular events in the development of the diabetic cardiomyopathy. Amino Acids 23: 331-336, 2002.
- Mellor KM, Brimble MA, Delbridge LM. Glucose as an agent of post-translational modification in diabetes – New cardiac epigenetic insights. Life Sci 129: 48-53, 2015.
- Sauve M, Ban K, Momen MA, Zhou YQ, Henkelman RM, Husain M, Drucker DJ. Genetic deletion or pharmacological inhibition of dipeptidyl peptidase-4 improves cardiovascular outcomes after myocardial infarction in mice. Diabetes 59: 1063-1073, 2010.
- Huynh K, Bernardo BC, McMullen JR, Ritchie RH. Diabetic cardiomyopathy: mechanisms and new treatment strategies targeting antioxidant signaling pathways. Pharmacol Ther 142: 375-415, 2014.
- Ptaszek LM, Mansour M, Ruskin JN, Chien KR: Towards regenerative therapy for cardiac disease. Lancet 379: 933-942, 2012.
[/protected]