Isole pancreatiche e fonti alternative di beta-cellule per la sostituzione della funzione endocrina nel diabete di tipo 1

Silvia Pellegrini, Elisa Cantarelli, Valeria Sordi, Rita Nano, Lorenzo Piemonti

Diabetes Research Institute, IRCCS Istituto Scientifico San Raffaele, Milano

Riassunto

Nei pazienti con diabete di tipo 1 (T1D) le β-cellule sono selettivamente distrutte da un attacco autoimmune. La loro sostituzione con nuove cellule che producono insulina costituisce una possibile cura per il diabete. Il campo del trapianto di isole ha compiuto, negli ultimi 15 anni, enormi passi avanti: dalla rivoluzione del protocollo di Edmonton nel 2000, infatti, sono stati riportati progressi sia nella sopravvivenza che nel funzionamento delle isole trapiantate mediante l’utilizzo di nuove strategie mirate a migliorare l’attecchimento del tessuto nel ricevente e di nuove terapie immunosoppressive sempre più efficaci. Tuttavia la disponibilità di organi da donatore e la necessità di una terapia immunosoppressiva per il ricevente rimangono forti limitazioni a un più ampio utilizzo di questo approccio. Di conseguenza, l’impegno e gli investimenti nella ricerca di fonti alternative di cellule che producono insulina sono ingenti. Un’alternativa in campo da decenni ma con nuove recenti prospettive è l’uso di cellule da donatori non umani, come i maiali. Anche indurre la proliferazione di β-cellule preesistenti è un’opzione interessante, che ha recentemente visto accendersi nuove speranze con lo sviluppo di nuove linee β-cellulari umane. Tuttavia, al momento, il candidato più promettente per la sostituzione β-cellulare è la cellula staminale. Questa infatti costituisce una potenziale fonte di β-cellule infinita e di facile accesso. In particolare, l’ottimizzazione delle strategie in vitro per differenziare le cellule staminali embrionali umane (ESC) in cellule β mature che secernono insulina ha compiuto notevoli progressi e ha recentemente portato alla prima sperimentazione clinica per il trattamento del T1D con le cellule staminali. Infine, la dimostrazione che è possibile derivare cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC) umane da cellule somatiche, ha prospettato la possibilità che una quantità sufficiente di cellule β possa essere ottenuta direttamente dal paziente stesso attraverso riprogrammazione e differenziazione cellulare, suggerendo che nel futuro sarà possibile effettuare una terapia cellulare senza necessità di immunosoppressione.

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Introduzione

L’IDF (International Diabetes Federation) ha stimato che 415 milioni di persone nel mondo oggi sono affette da diabete, un numero destinato ad aumentare a 642 milioni nel 2040 (http://www.diabetesatlas.org). Il diabete di tipo 1 (T1D) rappresenta circa il 10% di questi casi. La somministrazione di insulina esogena, un monitoraggio regolare della glicemia e una dieta controllata sono al momento le condizioni fondamentali per il trattamento dell’iperglicemia in tutti i pazienti con T1D. Sebbene sia un farmaco salva-vita, l’insulina non è però in grado di ripristinare la regolazione fisiologica della glicemia (1), non è sufficiente a prevenire né i pericolosi episodi di ipoglicemia né le complicanze a lungo termine (2) e l’aspettativa di vita di questi pazienti rimane più bassa rispetto a quella della popolazione generale (3). Nonostante siano state recentemente sviluppate nuove tecnologie come l’insulina a lento rilascio o i microinfusori, in grado di migliorare significativamente il controllo glicemico e la qualità di vita dei pazienti con T1D (4), terapie sicure ed efficaci per la regolazione fisiologica dei livelli di glucosio in circolo rimangono ancora una sfida. L’unica cura definitiva possibile per questa patologia consiste nella sostituzione della massa β-cellulare distrutta dall’attacco autoimmune con delle nuove β-cellule, capaci di rilevare i livelli di glucosio circolante e secernere quantità di insulina appropriate. Dalla letteratura emerge chiaro il fatto che la sostituzione β-cellulare, anche quando non porta al raggiungimento dell’insulino indipendenza, è in grado di proteggere da ipoglicemie gravi, di ridurre i livelli di emoglobina glicata (HbA1c) e di rallentare la progressione delle complicanze micro vascolari nei pazienti con T1D (5). Ad oggi, gli unici approcci clinici disponibili in grado di ripristinare la massa β-cellulare in pazienti con T1D sono il trapianto di pancreas o di isole pancreatiche. Quest’ultimo consiste nell’infusione di cellule endocrine nella vena porta del ricevente e richiede una procedura chirurgica minimamente invasiva se confrontata con il trapianto di pancreas in toto (6-8). Il campo del trapianto di isole si è evoluto notevolmente negli ultimi trent’anni grazie agli incredibili sforzi della comunità mondiale di ricercatori e ha visto un continuo miglioramento nel processo di isolamento delle isole e delle tecniche di trapianto associate a una migliore gestione clinica del paziente e allo sviluppo di protocolli di induzione e mantenimento dell’immunosoppressione più efficaci (9). In aggiunta, il trapianto di isole pancreatiche rappresenta una piattaforma perfetta per lo sviluppo di terapie cellulari finalizzate al ripristino della funzione β-cellulare che utilizzano fonti alternative di β-cellule, quali isole xenogeniche o cellule producenti insulina derivate dalla differenziazione di cellule staminali. Questo articolo descrive lo stato dell’arte del trapianto di isole e le fonti alternative di β-cellule più promettenti per la sostituzione della funzione endocrina nel diabete (Fig. 1).

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Saranno riportate le scoperte più recenti, le sperimentazioni cliniche in corso (Tab. 1) e discussi i potenziali sviluppi futuri delle terapie cellulari.

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Sostituzione della funzione ß-cellulare con isole pancreatiche allogeniche

La procedura di trapianto di isole pancreatiche è un’opzione terapeutica sempre più diffusa nei soggetti con T1D instabile. Gli studi clinici in corso reclutano infatti soggetti con T1D di età compresa tra i 18 e 65 anni caratterizzati da instabilità metabolica (i.e. ipo-, iper-glicemia, chetoacidosi) nonostante la tradizionale terapia insulinica (10). Può essere eseguita come (i) trapianto di sole isole (Islet Transplant Alone, ITA) in pazienti con T1D non uremici, (ii) trapianto simultaneo di isole e rene (Simultaneous Islet-Kidney, SIK) in soggetti con malattia renale allo stadio terminale oppure (iii) trapianto di isole dopo rene (Islet After Kidney, IAK) se il paziente ha già ricevuto trapianto di rene. Nel modello animale, il primo tentativo di isolamento e trapianto di isole pancreatiche in ratti diabetici è stato riportato nel 1972 da Ballinger e Lacy (11) e un anno dopo Kemp e i suoi collaboratori proposero il fegato come sito più adatto per l’infusione delle isole (12). Cinque anni più tardi fu effettuato il primo trapianto di isole nell’uomo utilizzando una terapia immunosoppressiva a base di azatioprina e corticosteroidi (13). Da allora numerosi sforzi e progressi sono stati fatti in questo campo per ottimizzare il protocollo di isolamento delle isole umane (14), migliorare la terapia immunosoppressiva (15) e stabilire il numero ottimale di isole da trapiantare per kg di peso corporeo del ricevente (16), fino ad arrivare nel 2000 alla pubblicazione del “Protocollo di Edmonton”. Il gruppo di Edmonton infatti ha riportato il 100% di raggiungimento dell’insulino indipendenza in 7 pazienti affetti da T1D dopo infusione di isole pancreatiche (ottenute da più donatori di pancreas) in presenza di un protocollo di immunosoppressione senza steroidi (17). Questo lavoro è stato fondamentale nella storia del trapianto di isole perché ha dimostrato che le isole pancreatiche infuse nella vena porta di pazienti con T1D sono in grado di attecchire nel ricevente e funzionare ripristinando l’insulino indipendenza. Pochi anni dopo lo stesso gruppo ha riportato la sopravvivenza e la funzione delle isole trapiantate a 2 anni dal trapianto, valutate mediante la presenza di C-peptide circolante e l’insulino indipendenza, presenti rispettivamente nel 73% e nel 31% dei soggetti trapiantati (18). Uno studio ha recentemente riportato un aggiornamento su una coorte di 36 pazienti arruolati nello studio internazionale “Immune Tolerance Network” con una funzione β-cellulare preservata fino a 12 anni dopo il trapianto; tutti i pazienti hanno mantenuto livelli di HbA1c <7,0%, dimostrando la presenza di una massa β-cellulare funzionante nel lungo periodo, nonostante una graduale diminuzione di C-peptide nel corso del tempo. Inoltre il lungo follow-up di questo studio clinico dimostra che la procedura di trapianto di isole pancreatiche è associata ad una funzione renale stabile ed è sicura, in quanto non è correlata a infezioni gravi, tumori maligni o episodi gravi di ipoglicemia (19).

Dall’introduzione del Protocollo di Edmonton, il programma di trapianto di isole pancreatiche si è diffuso in nord America, Europa e Australia e numerosi protocolli clinici alternativi per il trapianto di isole sono stati condotti allo scopo di superare i limiti della procedura migliorando così i risultati clinici ottenuti. Il report più recente pubblicato dal Collaborative Islet Transplant Registry (CITR, www.citregistry.org) riporta dati provenienti da 864 riceventi di un trapianto di isole allogeniche (686 ITA e 178 IAK) e 1679 infusioni nel periodo 1999-2012 e dimostra un marcato aumento della percentuale di soggetti che raggiungono l’insulino indipendenza, valutata a 3 anni dall’infusione: 27% nel periodo 1999-2002, 37% nel periodo 2003-2006 e 44% nel periodo 2007-2010. Anche altri parametri spesso utilizzati come indicatori della sopravvivenza e funzionalità delle isole trapiantate come livelli di C-peptide >0,3 ng/ml, riduzione dei valori di HbA1c, scomparsa di episodi gravi di ipoglicemia e stabilizzazione dei valori di glicemia sono mantenuti più a lungo nel periodo 2007-2010 (20). Risultati positivi sono stati recentemente riportati anche da numerosi altri gruppi europei. Il programma di trapianto di isole pancreatiche in Gran Bretagna ha riportato il raggiungimento dell’insulino indipendenza nell’80% dei pazienti trapiantati 2 anni dopo la prima infusione con una riduzione significativa degli episodi gravi di ipoglicemia e il raggiungimento e mantenimento di valori di HbA1c <7,0% nel 70% dei riceventi (21). Il gruppo di Lille e il Swiss-French GRAGIL Network hanno riportato rispettivamente il 50% e il 75% di insulino indipendenza a 5 anni dal trapianto (22-23). Questa forte riduzione del numero di casi in cui si è registrata perdita della funzione β-cellulare dopo trapianto nel corso del tempo dimostra che i nuovi farmaci sviluppati sono in grado di migliorare l’attecchimento e la sopravvivenza delle isole pancreatiche e di proteggere il trapianto dalla risposta alloimmune de novo e dalla ri-stimolazione della risposta autoimmune pre-esistente nel paziente con T1D. In particolare il periodo 1999-2006 è stato caratterizzato dal Protocollo di Edmonton che prevedeva una terapia di induzione con l’antagonista del recettore dell’IL-2 (i.e. Daclizumab) e una terapia di mantenimento con l’inibitore di mTOR (mammalian target of rapamycin, i.e. Sirolimus) in combinazione con l’inibitore della calcineurina (CNI, i.e. Tacrolimus). Negli anni 2006-2010 il regime immunosoppressivo è stato modificato utilizzando nel periodo peri-trapianto anticorpi depletanti le cellule T in presenza o in assenza di inibitori del TNF-α (i.e. Etanercept) (24-25) e l’inibitore di mTOR o inibitori della IMPDH (inosina monofosfato deidrogenasi, i.e. Mycophenolic acid) in combinazione con CNI per la terapia di mantenimento (26-27). Recentemente è stato descritto un efficiente protocollo di induzione basato sull’uso di Alemtuzumab (anti-CD52) per la deplezione dei linfociti associato con una migliore funzione nel lungo periodo (28) e un regime immunosoppressivo che non prevede l’utilizzo di CNI (29).Negli ultimi anni inoltre sono stati sperimentati nuovi farmaci in studi preclinici e clinici: ad esempio molecole che hanno come target pathways costimolatori nelle cellule del sistema immune e/o molecole di adesione come LFA-1, CTLA4-Ig, PD-1/PD-L1 e CD40 (30-32) o recettori per chemochine (CXCR1/2)(33). Gli avanzamenti fatti nell’ultimo decennio hanno permesso il raggiungimento di risultati clinici simili a quelli ottenuti dopo trapianto di pancreas in toto (34). Ad oggi tuttavia la scarsità di pancreas da donatore cadavere, unica fonte disponibile di isole pancreatiche umane per l’utilizzo in clinica, limita fortemente l’applicazione del trapianto di isole ad un maggior numero di pazienti. Numerosi gruppi stanno cercando di identificare fonti alternative di β-cellule, come ad esempio isole pancreatiche xenogeniche, linee β-cellulari immortalizzate e cellule staminali potenzialmente in grado di differenziare in cellule β secernenti insulina.

Sostituzione della funzione ß-cellulare con isole pancreatiche xenogeniche

L’utilizzo di isole pancreatiche provenienti da altre specie rappresenta una valida alternativa in grado di soddisfare la necessità del numero elevato di isole richiesto per il trapianto. In questo campo numerosi gruppi hanno valutato il possibile utilizzo di isole provenienti da maiale per diversi motivi: (i) l’insulina di maiale può sostituire l’insulina umana poiché i due ormoni differiscono tra di loro solo per un aminoacido; (ii) le isole di maiale regolano i livelli di glucosio nello stesso intervallo fisiologico delle isole umane; (iii) è possibile ottenere un numero elevato di isole di maiale seguendo gli stessi protocolli utilizzati e ottimizzati per l’isolamento di isole umane e (iv) i maiali possono essere geneticamente modificati per rendere le loro isole più idonee al trapianto nell’uomo (35). Nel 1994 Groth trapiantò per la prima volta cluster di cellule endocrine fetali di maiale in pazienti con T1D dimostrando che il tessuto endocrino-pancreatico di maiale è in grado di sopravvivere nell’uomo, nonostante i risultati clinici ottenuti fossero insoddisfacenti (36). Ad oggi tuttavia due problemi limitano l’utilizzo in clinica delle isole di maiale: (i) il rischio di un rigetto iperacuto poiché il sistema immunitario umano possiede anticorpi pre-formati diretti contro il galattosio-α1,3-galattosio (Gal), un saccaride non espresso dalle cellule umane ma presente su quelle porcine (37) e (ii) il rischio di zoonosi, poiché le sequenze retrovirali endogene presenti nel genoma di cellule di maiale (PERV) sono in grado di infettare cellule umane in vitro e potrebbero venire attivate dopo il trapianto (38). I promettenti risultati ottenuti in un modello di xenotrapianto di isole di maiale in primati non umani (NHP) ha fornito le basi per indagare il potenziale utilizzo di isole xenogeniche come possibile opzione terapeutica per il T1D. Infatti diversi studi dimostrano la sopravvivenza di isole di maiale di origine neonatale (39) o adulta (40) in NHP in presenza di terapia immunosoppressiva. Inoltre un recente studio ha dimostrato che isole pancreatiche isolate da minipig e infuse in NHP diabetici sono in grado di attecchire e ripristinare la normoglicemia in 4 riceventi su 5 per più di 6 mesi in presenza di farmaci immunosoppressori a basse dosi e di trapianto adottivo di cellule T regolatorie autologhe (41). Inoltre, allo scopo di risolvere il problema della potenziale immunogenicità delle isole di maiale, alcuni gruppi hanno sviluppato maiali geneticamente ingegnerizzati (modificando l’espressione di antigeni come Gal o inserendo geni in grado di inibire la risposta immunitaria come l’inibitore del pathway del fattore tissutale (hTFPI), CD39 o CTLA4-Ig) le cui isole trapiantate in NHP sono in grado di sopravvivere (42-43). Anche l’incapsulamento di isole pancreatiche xenogeniche rappresenta una valida alternativa per limitare la reazione immune, poiché le isole racchiuse all’interno di una sfera fatta di una membrana biocompatibile risultano protette dall’attacco del sistema immune del ricevente (44). I promettenti risultati ottenuti negli studi preclinici utilizzando il modello stringente di trapianto di isole di maiale in NHP (45) e il mantenimento della funzione di isole di maiale neonatale incapsulate trapiantate in un paziente con T1D in assenza di immunosoppressione (46) hanno aperto la strada allo studio delle potenzialità dello xenotrapianto di isole in studi clinici più estesi. Il primo studio clinico è avvenuto in Messico: il co-trapianto di isole neonatali di maiale con cellule del Sertoli inserite in un dispositivo sottocutaneo ricoperto di collagene ha però riportato risultati deludenti in dodici pazienti con T1D in assenza di terapia immunosoppressiva (47). Analogamente, in Cina il trapianto di isole di maiale neonatale in ventidue soggetti con T1D, trattati con farmaci immunosoppressori, ha dato risultati clinici trascurabili (48). Altri studi clinici di fase 1/2 in corso sono condotti dalla società neozelandese Living Cell Technologies™ in Russia, Argentina e Nuova Zelanda (clinicaltrial.gov: NCT01739829, NCT01736228, NCT00940173). Isole neonatali di maiale incapsulate in microcapsule di alginato (DIABECELL®) sono state trapiantate in due diverse dosi (circa 5000 IEQ / Kg e 10.000 IEQ / kg) in quattro soggetti con T1D per gruppo. Nel gruppo che ha ricevuto la dose più alta, tutti e quattro i pazienti hanno mostrato un miglioramento significativo dell’HbA1c. Questa infatti è stata mantenuta ad un livello di <7% per 600 giorni con una significativa riduzione della frequenza di eventi ipoglicemici non avvertiti. Inoltre, in questo studio clinico, in nessuno dei pazienti sono stati rilevati anticorpi contro PERV, indicando l’assenza di trasmissione e infezioni da PERV (http://dx.doi.org/10.1016/j.ebiom.2016.08.034 e http://dx.doi.org/10.1016/j.virusres.2016.08.012). Ad oggi comunque, nessun paziente diabetico ha raggiunto l’insulino indipendenza in seguito a xenotrapianto di isole. In sintesi, i risultati ottenuti riguardanti la prolungata sopravvivenza delle isole di maiale trapiantate e i dati in merito alla sicurezza della procedura di xenotrapianto sono molto incoraggianti e nonostante diverse questioni critiche debbano ancora essere risolte, questa strategia terapeutica potrà rappresentare una valida alternativa alle isole umane nel prossimo futuro.

Sostituzione con linee di ß-cellule immortalizzate

A differenza del sangue, della pelle e dell’intestino, che sono tessuti con un ricambio cellulare relativamente rapido, le β-cellule delle isole pancreatiche sono una popolazione cellulare quiescente, con un tasso proliferativo trascurabile (eccetto che nel primo anno di vita o durante la gravidanza) (49). Nel corso degli ultimi 30 anni sono stati fatti molti tentativi per cercare di generare linee β-cellulari umane ma la produzione di insulina da parte di queste cellule è sempre risultata estremamente bassa o limitata a pochi passaggi (50-51). Nel 2005, Narushima e colleghi hanno riportato con successo la creazione di una linea β-cellulare umana funzionale chiamata NACKT-15, che sembrava essere promettente per la terapia cellulare del diabete (52), ma dopo questa pubblicazione non sono più stati riportati aggiornamenti riguardanti questa linea cellulare. Nel 2011 sono state generate delle linee β-cellulari umane infettando cellule di pancreas fetale umano con un vettore lentivirale esprimente SV40LT (Simian Vacuolating Virus 40 TAg T Antigen) e hTERT (human telomerase reverse transcriptase). Una delle linee cellulari generate con questa strategia, chiamata EndoC-βH1, è stata ulteriormente caratterizzata ed è risultata essere in grado di secernere insulina in risposta allo stimolo del glucosio, è stabile in coltura per almeno 80 passaggi ed esprime molti marcatori specifici delle β-cellule (e non marcatori di altre cellule pancreatiche) (53). Con l’obiettivo di una traslazione clinica, sono state poi create altre due generazioni di linee β-cellulari umane: la linea immortalizzata condizionale EndoC-βH2, basata sull’excisione Cre-mediata dei transgeni immortalizzanti (54), e la linea EndoC-βH3, in cui il transgene necessario all’immortalizzazione può essere efficacemente rimosso con l’aggiunta di tamoxifene. In entrambi i casi l’excisione porta a un arresto della proliferazione e a un elevato incremento delle caratteristiche specifiche delle β-cellule come l’espressione, il contenuto e la secrezione di insulina (http://dx.doi.org/10.1016/j.molmet.2015.09.008). Ulteriori studi sono necessari per determinare la reale sicurezza di queste cellule e il loro potenziale applicativo.

Sostituzione con ß-cellule derivate dalle cellule staminali

Attualmente il differenziamento delle cellule staminali offre molte possibilità per la terapia cellulare di malattie legate all’alterazione di un solo tipo cellulare come il T1D. Le cellule staminali sono, per definizione, cellule indifferenziate che possiedono sia il potenziale di differenziare in una grande varietà di tipi cellulari specializzati che l’abilità di andare incontro a numerosi cicli di divisione cellulare mantenendo comunque il loro stato di cellule indifferenziate. I primi tentativi di differenziamento si sono focalizzati sull’utilizzo di cellule staminali adulte, in quanto molti tessuti offrono la possibilità di derivare cellule progenitrici in grado di differenziare in cellule β pancreatiche. Tuttavia fino ad ora nessuna delle fonti analizzate ha dimostrato di essere in grado di produrre “vere” β-cellule in grado di secernere insulina in risposta al glucosio e di normalizzare la glicemia in animali diabetici (55). Al momento la fonte più promettente per terapie di sostituzione cellulari è costituita dalle cellule staminali pluripotenti, sia embrionali che indotte.

Cellule staminali embrionali

A causa della loro capacità di auto-rinnovarsi e di differenziare in ogni tipo cellulare, le cellule staminali embrionali (ESC) sono sempre state considerate la fonte più promettente per terapie di sostituzione cellulare. Infatti lo sviluppo di linee di ESC derivate dalla massa cellulare interna di embrioni umani (56) ha offerto la possibilità di generare in grande quantità qualsiasi tipo di cellula specializzata, incluse le β-cellule pancreatiche. La Novocell, una società focalizzata sull’utilizzo di cellule staminali per il diabete, dal 2010 ViaCyte (http://viacyte.com), ha sviluppato un protocollo di differenziamento di ESC umane in β-cellule che riproduce in vitro le varie fasi dell’organogenesi pancreatica che avvengono in vivo. Questo protocollo consente il differenziamento delle ESC in varie fasi successive: da endoderma definitivo a intestino posteriore primitivo, poi endoderma pancreatico, progenitori delle cellule endocrine pancreatiche e, infine, cellule endocrine che producono ormoni. Con il loro protocollo di differenziamento a 5 stadi, il gruppo di ViaCyte è riuscito ad ottenere circa il 7% di cellule in grado di esprimere alti livelli di pro-insulina che viene processata, anche se in maniera inefficiente, a insulina e C-peptide (57). Altri due gruppi, usando differenti condizioni di coltura, hanno poi confermato che le ESC sono in grado differenziare in cellule che producono insulina, anche se con un’efficienza di differenziamento inferiore (58-59).

Successivamente il gruppo di ViaCyte ha ulteriormente migliorato i risultati ottenuti ottimizzando il protocollo di differenziamento e trapiantando le cellule progenitrici pancreatiche ottenute dal differenziamento delle ESC in un modello murino; le cellule infuse, dopo 3 mesi in vivo, sono risultate in grado di differenziare in cellule endocrine mature, capaci di regolare i livelli di glucosio nel sangue dopo l’induzione farmacologica del diabete (60). Lo stesso gruppo ha recentemente descritto un sistema scalabile e standardizzato per la produzione di progenitori pancreatici funzionali a partire da ESC umane migliorando ulteriormente il loro protocollo per la linea cellulare di ESC CyT49 (61). Infine, il 29 ottobre 2014, ViaCyte ha annunciato l’inizio di un trial clinico di fase 1/2 (clinicaltrial.gov: NCT02239354) e il trapianto del primo paziente con cellule producenti insulina derivate dalle ESC. Le cellule sono state trapiantate in un dispositivo costituito da una membrana porosa impermeabile alle cellule, chiamato “Encaptra® drug delivery system”. Questo dispositivo è stato creato con l’obiettivo di proteggere le cellule impiantate da un possibile attacco del sistema immunitario, di contenerle permanentemente all’interno e di prevenirne la potenziale distribuzione lontano dal sito di impianto. Questa è la prima volta in cui viene provata nell’uomo una terapia di sostituzione β-cellulare basata sulle ESC per la terapia del diabete e rappresenta il culmine di un decennio di sforzi da parte del team ViaCyte. Nel frattempo altri gruppi hanno descritto protocolli di differenziamento modificati o implementati utilizzando una combinazione di citochine e molecole a basso peso molecolare come fattori di crescita dei fibroblasti (FGFs), inibitori del pathway di Sonic hedgehog (KAAD-cyclopamine o SANT-1), Acido Retinoico, Nicotinammide, attivatori della proteina chinasi C (PKC) (Indolactam V o PdBU) o inibitori del pathway di TGFβ (Alk5 inhibitor, Dorsomorphin o Noggin) (62-64). Degni di nota sono in particolare le strategie di differenziamento adottate dai gruppi di ricerca guidati da Melton e Kieffer (65-66). Questi due gruppi hanno riportato la generazione in vitro del 20-50% di cellule insulino (o C-peptide) positive a partire da ESC umane. Se trapiantate in topi immunodeficienti diabetici queste cellule sono in grado di ripristinare uno stato di normoglicemia dopo 2 (65) o 6 settimane (66) dal trapianto; questo rappresenta un significativo passo in avanti rispetto ai 2-3 mesi di tempo necessari con il trapianto delle cellule progenitrici pancreatiche derivate dalle ESC (60). In ogni caso comunque, rimangono da investigare mediante una comparazione diretta differenze e similitudini fra queste simil-β-cellule generate da questi gruppi di ricerca.

Nonostante i significativi successi ottenuti, tre problemi limitano ancora l’utilizzo in clinica delle cellule producenti insulina derivate dal differenziamento delle ESC. Prima di tutto, data la loro pluripotenza, le cellule indifferenziate sono in grado di portare alla formazione di teratomi in vivo e il trapianto di cellule differenziate non selezionate potrebbe portare alla formazione di tumori causati dalla presenza di alcune cellule indifferenziate residue (60). Sono stati fatti molti tentativi volti all’identificazione di marcatori di superficie in grado di selezionare cellule progenitrici pancreatiche (67-68) ma la reale sicurezza delle cellule selezionate necessita di ulteriori studi. Un altro problema irrisolto riguarda l’evidenza che linee diverse di ESC possiedono una differente propensità a dare origine a cellule pancreatiche (69); di conseguenza andrebbero provate (con protocolli di differenziamento modificati ad hoc) molte linee cellulari al fine di identificare un set di linee di ESC in grado di facilitare un matching genetico fra donatore e paziente e quindi prevenire il rigetto delle cellule trapiantate e l’utilizzo di una terapia immunosoppressiva a vita. L’ultimo grande problema, che attualmente limita l’utilizzo delle ESC in molti paesi del mondo, è la presenza di questioni di tipo etico relative alla distruzione di embrioni umani per la produzione di queste linee cellulari.

Cellule staminali pluripotenti indotte 

Per superare questi ostacoli ottenendo ugualmente cellule pluripotenti, il gruppo del Professor Yamanaka (vincitore del premio Nobel nel 2012 per questa scoperta) nel 2006 è riuscito a riprogrammare cellule murine somatiche adulte in cellule pluripotenti attraverso l’espressione forzata di 4 geni (OCT4, SOX2, KLF4 e c-MYC) e le ha rinominate cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC) (70). Un anno più tardi, il gruppo di Yamanaka e altri due gruppi hanno riprodotto il processo di riprogrammazione utilizzando però cellule somatiche umane (71-72). Cellule iPS umane e murine sono risultate altamente comparabili alle ESC in quanto mostravano la stessa morfologia, la stessa capacità proliferativa, avevano attività telomerasica simile, un cariotipo normale, esprimevano marcatori di superficie e geni caratteristici delle ESC, erano in grado di formare teratomi in vivo e di differenziare nelle cellule dei tre foglietti germinativi in vitro (70-72).

Sono state provate diverse strategie per differenziare le iPSC in cellule capaci di produrre insulina con nuovi protocolli o modificando quelli derivati dall’esperienza delle ESC. Il primo articolo che ha riportato la differenziazione di iPSC umane in cellule secernenti insulina con successo risale al 2008, quando il gruppo di Zhang ha adattato il protocollo di differenziazione in quattro passaggi sviluppato per le ESC da Jiang J. e colleghi (59) e ha ottenuto per la prima volta in vitro cellule simili alle β-cellule da fibroblasti umani riprogrammati. Sfortunatamente, l’efficienza del processo di differenziazione era molto bassa e il contenuto di C-peptide totale era significativamente più basso rispetto alle β-cellule adulte (73). Studi successivi si sono focalizzati sulle condizioni di coltura allo scopo di incrementare l’efficienza di differenziazione delle iPSC in cellule secernenti insulina; per esempio nel 2010 il gruppo guidato da Yupo Ma ha applicato un protocollo risultato efficiente per differenziare le ESC murine (74) alle iPSC derivate da fibroblasti murini adulti. Con questo protocollo di differenziamento hanno ottenuto da iPSC murine fino al 50% di cellule capaci di secernere insulina in risposta a stimoli di glucosio e di ripristinare la normoglicemia se trapiantate in topi diabetici (75). Rimane da confermare se lo stesso protocollo di differenziamento sia in grado di avere la stessa efficienza nel differenziamento delle iPSC umane. Un anno più tardi è stato riportato il differenziamento di iPSC umane in cellule secernenti insulina in risposta al glucosio usando un protocollo che, comparato con quello di Viacyte, richiedeva l’aggiunta di due molecole: Indolactam V e GLP-1 (62). L’efficienza di differenziamento era molto bassa: sono state ottenute solo 1,29% di cellule insulino-positive in vitro e la loro capacità di secernere insulina in vivo non è stata verificata (76). Risultati incoraggianti sono stati riportati da diversi altri studi in vitro che hanno usato protocolli che mimano i meccanismi dello sviluppo pancreatico che avvengono in vivo per guidare il differenziamento delle iPSC in simil-β-cellule (77-81) ma con un’efficienza più bassa rispetto alle ESC. Cellule secernenti insulina, sebbene con bassa efficienza, sono state generate anche dalla riprogrammazione di fibroblasti di due pazienti affetti da diabete (82) aprendo la strada non solo a una terapia di sostituzione cellulare autologa per il T1D, ma anche a modelli di studio in vitro di questa malattia. Negli ultimi anni due importanti gruppi hanno descritto per la prima volta che cellule pancreatiche derivate dal differenziamento di cellule staminali pluripotenti (sia embrionali che indotte) sono capaci di curare il diabete in modelli murini (65-66). Il gruppo di Melton, in particolare, ha descritto un protocollo di differenziamento in vitro di 4-5 settimane che coinvolge una combinazione di passaggi sequenziali usando fattori che agiscono sulla segnalazione all’interno di numerosi pathways, inclusi quelli di WNT, Activina, Hedgehog, TGFβ, Acido Retinoico e inibitori della γ-secretasi, in grado di portare alla generazione del ~50% di cellule doppio-positive per C-peptide e Nxk6.1 sia da ESC che da iPSC (65). Un altro significativo passo avanti è stato recentemente pubblicato dal gruppo di Harvard: cellule producenti insulina, ottenute a partire da cellule staminali pluripotenti umane, incapsulate con derivati di alginato (83) e trapiantate intra-peritoneo in topi diabetici sono in grado di normalizzare la glicemia in assenza di immunosoppressione (84). Questi risultati hanno portato alla nascita di una società, chiamata Semma Therapeutics (http://www.semma-tx.com/) focalizzata sullo sviluppo di una terapia cellulare per il diabete basata sull’utilizzo di ESC o iPSC.

In conclusione, le iPSC conservano le stesse proprietà essenziali delle ESC, inclusa l’abilità di differenziare in β-cellule, ma offrono il vantaggio di permettere la generazione autologa di cellule che potrebbero essere usate per la terapia cellulare. Ad oggi il più grande problema delle iPSC, che attualmente preclude ancora il loro uso in clinica, è correlato a una loro caratteristica intrinseca: in quanto cellule pluripotenti, anche le iPSC determinano la formazione di tumori quando trapiantate in animali immunodeficienti. Altri problemi sono causati dal processo di riprogrammazione stesso, poiché per la trasfezione dei fattori di riprogrammazione sono utilizzati vettori retrovirali integranti che potrebbero causare mutagenesi inserzionale interferendo con la trascrizione di geni e inducendo la formazione di tumori (72). Per superare questi ostacoli, sono state sviluppate varie strategie: la rimozione dell’oncogene c-Myc dal set di geni richiesto per la riprogrammazione (85) o l’uso di nuove classi di vettori per la riprogrammazione che non integrano nel genoma dell’ospite (86) diminuendo in tal modo drasticamente il rischio di tumorigenesi senza alterare la pluripotenza. Un’altra strategia per ottimizzare la sicurezza delle cellule ottenute è quella proposta da un gruppo di ricercatori dell’Università della California di San Francisco, che ha recentemente pubblicato un protocollo di riprogrammazione e differenziamento che consente di ottenere il 7% di cellule pancreatiche in grado di produrre insulina a partire da fibroblasti umani senza passare da una fase intermedia di cellule pluripotenti (87). Concludendo, le iPSC offrono una grande speranza per la terapia di sostituzione cellulare per il diabete, ma sono ancora necessari nuovi sforzi per rendere sia più sicuri che più efficienti i processi di riprogrammazione e differenziazione. Dovrebbe anche essere considerato che, sebbene le iPSC offrano una grande speranza per la terapia di sostituzione cellulare per il diabete, una potenziale traslazione nei pazienti con T1D richiederebbe strategie atte a evitare il ripresentarsi della risposta autoimmune, mediante lo sviluppo di una terapia immunosoppressiva selettiva o di un dispositivo di incapsulamento per la loro immunoprotezione (88).

Conclusioni

La somministrazione esogena di insulina nei pazienti con T1D è una terapia in grado di tenere sotto controllo la malattia, ma non può mimare la fisiologia di secrezione delle β-cellule e, di conseguenza, non è in grado di eliminare il rischio dello sviluppo delle severe complicanze secondarie associate alla patologia. Grandi successi sono stati raggiunti nel campo del trapianto di isole pancreatiche, soprattutto grazie all’introduzione di nuove strategie di immunosoppressione. Con il progressivo superamento dei limiti legati al trapianto di isole pancreatiche, la terapia cellulare diventerà la scelta di elezione per una platea sempre più ampia di pazienti affetti da T1D. In questo scenario ci sarà bisogno di un numero sempre maggiore di cellule producenti insulina e questo bisogno sta spingendo fortemente la ricerca di sorgenti di β-cellule alternative al donatore cadavere a cuore battente. Le isole xenogeniche hanno una grande potenzialità e studi recenti hanno compiuto progressi significativi nel controllo del rigetto di antigeni xeno. Inoltre, sono state generate delle nuove linee di β-cellule immortalizzate e la loro applicazione in sicurezza è al momento oggetto di studi approfonditi. Attualmente però, i passi avanti più significativi sono stati fatti nel campo delle cellule staminali: sono ormai molteplici le fonti che descrivono che cellule umane pluripotenti (sia derivate dall’embrione che dalla cellula adulta mediante riprogrammazione) sono in grado di generare in vitro precursori pancreatici e/o β-cellule funzionanti e di curare il diabete in modelli animali. Inoltre, è attualmente in corso negli Stati Uniti e in Canada una sperimentazione clinica con cellule insulino-secernenti derivate da cellule staminali embrionali trapiantate in pazienti con T1D. L’approccio con cellule staminali inoltre può essere sinergico con altre innovazioni in via di sviluppo come la generazione di dispositivi immuno-isolanti ed espiantabili, fondamentali per consentire terapie cellulari senza bisogno di immunosoppressione e per superare il rischio di formazione di tumori derivati dalle cellule staminali. È verosimile ed auspicabile che queste esperienze insieme cambieranno nel futuro il modo in cui viene trattato il T1D e porteranno a nuove possibili terapie per i pazienti affetti da questa patologia.

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