Insulina Biosimilare: è “uguale” al farmaco originator?

a cura di Anna Solini1, Agostino Consoli

1Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università degli Studi di Pisa; 2Dipartimento di Medicina e Scienze dell’Invecchiamento, Università degli Studi di Chieti-Pescara “G. D’Annunzio” 

Nel Settembre 2014 l’Agenzia Europea dei Medicinali (European Medicines Agency – EMA) ha rilasciato l’autorizzazione all’immissione in commercio del primo biosimilare dell’insulina, con il nome commerciale di Abasaglar. Si tratta del biosimilare dell’insulina glargine, che ha ottenuto la rimborsabilità in classe A il 2 Febbraio 2016.

Con la commercializzazione del primo biosimilare si è naturalmente innescato un dibattito nella comunità clinica su quanto il biosimilare sia “uguale” al farmaco originator, su quanto, cioè, la necessaria non “identità” si traduca comunque in un “clinicamente uguale”. L’evidenza che abbiamo oggi a disposizione ci consente di affermare che la molecola biosimilare e la molecola originator siano sostanzialmente interscambiabili nella pratica clinica o qualche aspetto merita ancora di essere approfondito? In questo nella rubrica Opinioni a Confronto di questo numero Massimo Boemi (con il contributo di Federica D’Angelo) e Francesca Porcellati (con il contributo di Geremia Bolli e Carmine Fanelli) esprimono le loro opinioni su questo argomento. Come apprezzerete, una sostanziale similarità di vedute viene declinata dai due gruppi di discussant con delle interessanti vene di differenza che siamo sicuri forniranno utili spunti di riflessione per tutti. Buona Lettura.

DISCUSSANT

Massimo Boemi1, Federica D’Angelo1, Francesca Porcellati, Geremia B. Bolli, Carmine G. Fanelli2

1UOC Malattie Metaboliche e Diabetologia INRCA-IRCCS, Ancona; 2Dipartimento di Medicina, Università degli Studi di Perugia

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L’insulina Biosimilare è “clinicamente uguale” all’originator

Massimo Boemi, Federica D’Angelo

Il farmaco biosimilare

I biosimilari sono medicinali simili ai farmaci biologici originatori non più soggetti a copertura brevettuale, autorizzati dall’Agenzia Europea dei Medicinali come simili per qualità, efficacia e sicurezza al prodotto biologico di riferimento (1). EMA, infatti, definisce un farmaco biosimilare come “un prodotto biologico contenente una versione del principio attivo del farmaco biologico originale già autorizzato (prodotto di riferimento) in EU (European Economic Area (EEA)” (2).

È importante, quindi, prima di tutto effettuare una distinzione tra prodotti di tipo biologico/biotecnologico e prodotti di sintesi chimica.

Secondo il Position Paper di AIFA, “I medicinali biologici, intendendo con tale termine anche quelli biotecnologici, cioè ottenuti con biotecnologie, sono farmaci il cui principio attivo è rappresentato da una sostanza prodotta o estratta da un sistema biologico – tali prodotti sono a volte definiti medicinali biologici in senso stretto – oppure derivata da una sorgente biologica attraverso procedimenti di biotecnologia, comprendenti le tecnologie di DNA ricombinante, l’espressione controllata di geni codificanti proteine biologicamente attive nei procarioti o negli eucarioti, metodi a base di ibridomi e di anticorpi monoclonali – o biotecnologici” (1). Quindi, i prodotti biologici sono molecole più complesse e di dimensioni maggiori rispetto ai prodotti non biologici, la cui complessità può essere riprodotta solo da organismi viventi (1).

Appare quindi evidente la differenza tra una cosiddetta “small molecule”, molecola di sintesi chimica facilmente riproducibile, le cui copie prendono il nome di “farmaci equivalenti” o “generici”, e un prodotto biotecnologico, come il farmaco biosimilare, molecola estremamente più complessa, la cui produzione prevede numerosi step altamente controllati e processi di estrazione e purificazione a partire da substrati cellulari/animali che hanno subito specifici procedimenti di ingegnerizzazione genetica (3-4).

Data la complessità, il processo produttivo richiede competenza ed esperienza elevate nell’ambito della produzione di farmaci biotecnologici, oltre alla garanzia di controlli ben più accurati, durante ogni singolo passaggio produttivo, di quanto avviene per una piccola molecola di sintesi chimica (5). Un prodotto biosimilare presenta una sequenza aminoacidica identica a quella del prodotto di riferimento, ma, proprio in virtù della complessità produttiva che caratterizza tutti i farmaci biologici, la struttura finale non può essere del tutto identica a quella dell’originator. Questo concetto non è, quindi, un “limite” del farmaco biosimilare in sé, ma una caratteristica intrinseca di tutti i prodotti biologici e biotecnologici (1, 5-6). Per questo motivo le Autorità Regolatorie effettuano controlli estremamente rigorosi per la caratterizzazione e il controllo di qualità e di sicurezza dei medicinali biologici, ed, in particolare, per l’immissione in commercio di un biosimilare, richiedono l’esecuzione di un programma di ricerca e sviluppo ampio e articolato.

Questo lungo e complesso programma di studi costituisce un’ulteriore differenza con quanto richiesto per un farmaco generico, per la cui immissione in commercio è necessario un solo studio di bioequivalenza (7-8).

Il programma di studi richiesto ad un farmaco biosimilare ha lo scopo di dimostrare la biosimilarità con il prodotto di riferimento tramite criteri molto stringenti e prevede un processo denominato “full comparability exercise”, ovvero l’insieme di una serie di procedure di confronto graduale volte ad escludere che le lievi differenze naturalmente presenti in tutti i prodotti biologici, si traducano in differenze clinicamente rilevanti dal punto di vista di efficacia, sicurezza ed immunogenicità, tra il biosimilare e l’originator (1, 5).

Gli step fondamentali di questo processo comprendono:

1.Studi di comparabilità fisico-chimiche e biologiche (comparazione di qualità)

2.Studi pre-clinici (comparazione pre-clinica)

3.Studi clinici (comparazione clinica) (1, 5).

La comparazione di qualità costituisce la fase più rilevante e critica nel programma di sviluppo di un biosimilare ed include un’elevata mole di studi estremamente specifici per la caratterizzazione del prodotto rispetto all’originator; questa fase costituisce il test più sensibile per la dimostrazione della biosimilarità (5, 7). L’elevata sensibilità di tali studi di qualità è tale da rendere estremamente improbabile, una volta dimostrata la biosimilarità in questa fase, che si possano rilevare differenze nei successivi studi clinici (7). Le fasi successive comprendono la comparazione pre-clinica, con studi di farmacodinamica (PD) e tossicologia in vivo su animali e, quindi, la comparazione clinica, con studi di farmacocinetica (PK) e PD e studi di efficacia, sicurezza ed immunogenicità (5, 9-10).

Lo scopo di tali studi clinici non è, in realtà, quello di valutare efficacia e sicurezza del prodotto in sé, quanto di verificare l’effettiva sovrapponibilità di tali parametri con il prodotto di riferimento, per il quale efficacia e sicurezza sono già stati analizzati. Il principio fondamentale, infatti, è che, una volta che il biosimilare abbia dimostrato, attraverso i numerosi e stringenti studi richiesti, la sovrapponibilità con l’originator, il comportamento clinico non possa differire in modo significativo da quanto già verificato con esso (5). Questo è il motivo per cui, per un biosimilare, non viene ritenuta necessaria l’esecuzione di un’elevata mole di studi clinici, in quanto la biosimilarità è stata abbondantemente dimostrata negli studi pre-clinici e di qualità. In particolare, ad esempio, in genere viene richiesto a livello Regolatorio un solo studio clinico di fase III e, nel caso del biosimilare di glargine, è stata volontariamente scelta l’esecuzione di due studi clinici di fase III, per includere entrambe le popolazioni di pazienti con diabete, di tipo 1 e di tipo 2 (16-17). Con lo stesso principio, posta la dimostrazione di biosimilarità precedente e comprovata dai vari studi eseguiti, viene applicata la cosiddetta “estrapolazione dei dati” dal farmaco originator al biosimilare, principio normativo e scientifico ben consolidato che permette l’approvazione di un biosimilare per tutte le indicazioni e le popolazioni per le quali il prodotto di riferimento è stato studiato ed approvato (5-6, 19).

Il controllo effettuato dalle Autorità Regolatorie per l’immissione in commercio di un farmaco biosimilare, quindi, è estremamente rigoroso, tanto che molti altri biosimilari, compresi biosimilari dell’insulina glargine, hanno provato ad ottenere l’autorizzazione all’immissione in commercio in EU, ma non hanno superato gli standard stringenti richiesti da EMA (12).

Pertanto, è possibile affermare che un biosimilare approvato all’immissione in commercio da un Ente Regolatorio come EMA può essere considerato a tutti gli effetti “un altro prodotto biologico di alta qualità” (7).

Il biosimilare dell’insulina glargine 

Il biosimilare dell’insulina glargine (LY IGlar) presenta una struttura aminoacidica identica a quella della glargine originator (IGlar): si tratta di un peptide a 2 catene contenente 53 aminoacidi. La catena A è composto da 21 aminoacidi e la catena B è composta da 32 aminoacidi. Come nell’insulina umana, LY IGlar contiene 2 legami disolfuro intercatena e un legame disolfuro intracatena. LY IGlar differisce dall’insulina umana in quanto l’aminoacido asparagina in posizione A21 è sostituito dalla glicina e 2 arginine sono aggiunte alla porzione C-terminale della catena B. Questi cambiamenti spostano il punto isoelettrico in modo tale che l’analogo sia solubile a pH acido, ma meno solubile a pH fisiologico neutro. Una volta iniettato, l’analogo dell’insulina precipita nell’ambiente a pH neutro del sito di iniezione sottocutanea, ritardando l’assorbimento e prolungando la durata d’azione, senza un picco pronunciato nel profilo di azione nel tempo (Fig. 1).

28_1_Clinico_Tab1

Il programma di sviluppo del biosimilare dell’insulina glargine ha seguito specificatamente le linee guida EU per i prodotti biosimilari ed anche altre linee guida specifiche per indicazione come riportato nella tabella seguente (11):

LY IGlar è, quindi, andato incontro a numerosi studi preclinici di caratterizzazione biochimica e fisicochimica, quindi a studi clinici di farmacocinetica e farmacodinamica di fase I, ed infine a due studi clinici di fase III, condotti rispettivamente nei soggetti con diabete di tipo 1 e di tipo 2 (11, 13-18).

28_1_Opinioni_Fig1

Gli studi in vitro

Tra i numerosi studi preclinici, uno in particolare ha valutato la similarità farmacologica in vitro di LY IGlar e IGlar tramite una serie di dettagliate analisi in vitro, quali:

affinità di legame per i recettori di insulina e IGF-1

attività funzionale misurata tramite autofosforilazione dei residui tirosinici dei recettori insulinici

valutazione metabolica dell’attività lipogenetica de novo per la sintesi di trigliceridi a partire dal glucosio

valutazione della mitogenicità in un saggio di proliferazione cellulare

Tutti questi parametri non hanno mostrato differenze significative tra i due prodotti (11-12).

Il programma clinico (Tab. 2)

28_1_Opinioni_Tab2

Il programma clinico di fase I ha previsto un totale di sei studi di bioequivalenza (5 studi di PK / PD [ABEA, ABEI, ABEM, ABEN e ABEO] e 1 studio di farmacologia clinica [ABEE]). Sono inoltre stati effettuati 2 studi clinici randomizzati controllati di fase III: lo studio ABEB nel diabete di tipo 1 e lo studio ABEC nel diabete di tipo 2 (11, 13-18). 

Il programma clinico di fase I

L’obiettivo degli studi di fase I è stato quello di stabilire che il biosimilare di glargine (LY IGlar) avesse un profilo di PK e di PD simile a quello della glargine originator (IGlar).

Sono stati condotti cinque studi biofarmaceutici (ABEO, ABEA, ABEI, ABEM e ABEN). Alcuni di questi studi hanno confrontato il biosimilare di glargine con la glargine originator commercializzata in Europa e US e, quindi, approvata da Autorità Regolatorie con standard scientifici e regolatori simili, come EMA e FDA, secondo quanto previsto dalle linee guida EMA e al fine di dimostrare la validità degli studi con IGlar commercializzata in EU e in US (11, 19).

Inoltre, il profilo farmacologico clinico di LY IGlar è stato confrontato con quello di IGlar nello studio ABEE, condotto in soggetti con diabete di tipo 1, che ha dimostrato che LY IGlar ha una durata di azione simile a quella di IGlar in uno studio di clamp euglicemico.

Riassumendo i risultati dei vari studi di fase I:

Gli studi comparativi di PK / PD (ABEA e ABEO) hanno dimostrato una somiglianza in termini di PK / PD tra LY IGlar e IGlar, somministrati ad un dosaggio di 0,5 U/Kg (13).

Gli studi di biodisponibilità relativa (ABEI e ABEM), che hanno esaminato una serie di parametri di PK / PD a tre diversi dosaggi di LY IGlar e IGlar non hanno mostrato differenze statisticamente significative tra le due formulazioni di insulina con qualunque dose utilizzata (15).

Lo studio ABEE è stato condotto in pazienti con diabete di tipo 1 ed ha dimostrato simili effetti farmacodinamici e simile durata d’azione tra LY IGlar e IGlar, in uno studio di clamp euglicemico (14).

Tutti gli studi (eccetto l’ABEI) presentavano un disegno cross-over. I profili di farmacocinetica e farmacodinamica sono stati valutati in studi di clamp euglicemico della durata di 24 ore in tutti gli studi eccetto lo studio ABEE, in cui il clamp euglicemico ha avuto la durata di 42 ore (11).

Tutti gli studi eccetto l’ABEE sono stati condotti in volontari sani, secondo quanto previsto dalle Autorità Regolatorie (2, 20-21). In tutti gli studi sono stati effettuati aggiustamenti per i livelli di c-peptide secondo il metodo di Owen (11). I parametri primari di farmacocinetica valutati sono stati: l’area sotto la curva della concentrazione sierica nel tempo da 0 a 24 ore (AUC (0-24)) ed i valori di concentrazione sierica massima (Cmax), mentre i parametri primari di farmacodinamica valutati sono stati: la quantità totale di glucosio infusa durante lo studio di clamp (clamp Gtot) e la velocità di infusione massima di glucosio durante lo studio di clamp (Rmax). Gli studi di confronto di PK e PD, ABEA e ABEO, erano prospetticamente disegnati e con una potenza statistica adeguata per definire la somiglianza della PK e PD, sulla base del criterio di bioequivalenza dell’intervallo di confidenza al 90% (CI) per il rapporto tra le medie geometriche dei minimi quadrati (LY IGlar/IGlar) dei parametri primari di PK e PD all’interno dell’intervallo compreso tra 0,80-1,25. Inoltre, secondo la linea guida della CHMP (Committee for Medicinal Products for Human Use), sono stati forniti anche l’IC al 95% per il rapporto fra le medie geometriche dei minimi quadrati per i parametri primari di PD (Tab. 3).

28_1_Opinioni_Tab3

Il programma clinico di fase III

Il programma di studi clinici di fase III è stato disegnato per confrontare l’efficacia e la sicurezza di LY IGlar versus IGlar nei pazienti con diabete mellito di tipo 1 e di tipo 2. Il programma ha coinvolto due importanti studi multinazionali di non inferiorità, i cui obiettivi erano di dimostrare la non inferiorità di LY IGlar rispetto a IGlar in termini di variazione di HbA1c rispetto al basale (a 24 settimane) in pazienti con diabete di tipo 1 che ricevevano anche l’insulina prandiale (studio ABEB, ELEMENT 1) e diabete di tipo 2 che ricevevano anche OAD (studio ABEC, ELEMENT 2). L’endpoint primario di entrambi gli studi era la variazione dell’HbA1c rispetto al basale alla settimana 24; lo studio ELEMENT-1 ha compreso anche una estensione a 52 settimane di trattamento.

ELEMENT-116

Lo studio ELEMENT 1 è uno studio prospettico, multinazionale, randomizzato, a bracci paralleli, con confronto attivo, in aperto, con un periodo di trattamento di 24 settimane seguito da un periodo di estensione di 28 settimane e 4 settimane di follow-up post-trattamento, eseguito in pazienti con T1DM in terapia basal bolus da almeno 1 anno. Il trattamento basale poteva essere costituito da NPH, detemir o, in oltre l’80% dei casi, glargine (Fig. 2). 536 pazienti sono stati assegnati in modo casuale a ricevere un trattamento con LY IGlar o IGlar, con una conversione delle dosi unitarie dalle dosi di insulina basale pre-studio, in combinazione con insulina lispro ai pasti.

28_1_Opinioni_Fig2

L’outcome primario di efficacia pre-specificato era la variazione di HbA1c dal basale all’endpoint (settimana 24).

Gli outcome secondari comprendevano:

  • Non inferiorità di IGlar rispetto a LY IGlar
  • Variazione dell’HbA1c nel tempo
  • Glicemia a digiuno
  • Profili di SMBG a 7 punti
  • Percentuale di pazienti con HbA1c <7% o ≤6,5%
  • Variazioni del peso corporeo
  • Dose di insulina
  • Ipoglicemie
  • Eventi avversi
  • Reazioni allergiche e nel sito d’iniezione
  • Incidenza di anticorpi anti-insulina

Alla settimana 24, LY IGlar e IGlar sono state associate ad una diminuzione significativa dell’HbA1c dal basale alla settimana 24. La variazione media di HbA1c rispetto al basale è stata di -0.35% per il gruppo LY IGlar e -0.46% per il gruppo IGlar, con una conseguente differenza media (95% CI) tra i trattamenti rispetto al basale di 0.11% (-0.005 -0.217%; p <0.061). LY IGlar ha raggiunto l’outcome primario, risultando non inferiore a IGlar nei margini di non inferiorità 0.4% e 0.3%. Anche tutti gli outcome secondari, sia in termini di efficacia che di dosaggio utilizzato o di variazione nel peso corporeo, sono risultati non significativamente diversi tra LY IGlar e IGlar.

Per quanto riguarda la sicurezza, gli eventi avversi sono risultati rari e di lieve entità per entrambi i gruppi e non significativamente diversi tra le due glargine, così come nessuna differenza significativa è stata riscontrata in incidenza di ipoglicemie totali, notturne e severe.

La similarità in termini di efficacia e sicurezza di LY IGlar rispetto a IGlar nei pazienti con T1DM è stata verificata sia nella popolazione totale che nei pazienti che già effettuavano terapia con IGlar al baseline e sono stati randomizzati a ricevere LY IGlar (22).

28_1_Opinioni_Fig3

ELEMENT-217

Lo studio ELEMENT-2 è uno studio prospettico, di fase III, randomizzato, a gruppi paralleli, multinazionale, con confronto attivo, in doppio cieco che ha confrontato LY IGlar una volta al giorno con IGlar una volta al giorno per un periodo di studio di 24 settimane seguito da 4 settimane di follow-up post trattamento. Lo studio è stato condotto in pazienti con diabete di tipo 2 non adeguatamente controllati con almeno 2 farmaci antidiabetici orali (OAD); tali pazienti potevano essere insulino-naïve o già trattati con IGlar (circa il 40% dei pazienti) in combinazione con almeno 2 OAD (Fig. 3).

L’outcome primario di efficacia pre-specificato era la variazione di HbA1c dal basale all’endpoint (settimana 24).

Gli outcome secondari comprendevano:

  • Non inferiorità di IGlar rispetto a LY IGlar
  • Variazione dell’HbA1c nel tempo
  • Glicemia a digiuno
  • Profili di SMBG a 7 punti
  • Percentuale di pazienti con HbA1c <7% o ≤6.5%
  • Variazioni del peso corporeo
  • Dose di insulina
  • Ipoglicemie
  • Eventi avversi
  • Reazioni allergiche e nel sito d’iniezione

Incidenza di anticorpi anti-insulina

Alla settimana 24 entrambi i gruppi presentavano una significativa diminuzione rispetto al basale di HbA1c, con un valore di -1.29% per il gruppo trattato con LY IGlar e -1.34% per il gruppo con IGlar. La differenza media (95% CI) tra i gruppi in termini di cambiamento di HbA1c rispetto al basale è stato dello 0.052% (-0.070 a 0.175%). LY IGlar ha raggiunto l’outcome primario, risultando non inferiore a IGlar nei margini di non inferiorità 0.4% e 0.3%. Anche tutti gli outcome secondari, sia in termini di efficacia che di dosaggio utilizzato o di variazione nel peso corporeo, sono risultati non significativamente diversi tra LY IGlar e IGlar.

Per quanto riguarda la sicurezza, gli eventi avversi sono risultati rari e di lieve entità per entrambi i gruppi e non significativamente diversi tra le due glargine, così come nessuna differenza significativa è stata riscontrata in incidenza e rate di ipoglicemie totali, notturne e severe.

La similarità in termini di efficacia e sicurezza di LY IGlar rispetto a IGlar nei pazienti con T2DM è stata verificata sia nella popolazione totale che nei pazienti che già effettuavano terapia con IGlar al baseline e sono stati randomizzati a ricevere LY IGlar (22).

Immunogenicità

Il profilo immunologico di LY IGlar è stato valutato in entrambi gli studi di fase III, Element 1 e 2, e, quindi, in soggetti con T1 e T2 DM, attraverso numerosi parametri, tra i quali:

  • Percentuale di pazienti con anticorpi rilevabili
  • Risposta anticorpale emersa con il trattamento (Treatment-Emergent Antibody Response, TEAR)
  • Eventi allergici emersi con il trattamento
  • Relazione tra gli outcome clinici (HbA1c, dose di insulina basale e ipoglicemia totale) e status TEAR
  • In tutti questi parametri non sono emerse differenze tra i due trattamenti, confermando una immunogenicità simile tra LY IGlar e IGlar (18, 23).

Conclusioni

In conclusione, la qualità e sicurezza di un prodotto biosimilare risiedono in due principali garanzie: competenza ed esperienza nella produzione di farmaci biologici e rigoroso controllo da parte di Agenzie Regolatorie come EMA, che richiedono e valutano accuratamente numerosi studi di qualità, preclinici e clinici, al fine di garantire la biosimilarità con il prodotto di riferimento a standard molto elevati. Tale concetto è talmente valido da rendere possibile affermare che “quando a un biosimilare viene concessa l’autorizzazione all’immissione in commercio in un’area sottoposta a una regolamentazione molto rigida come l’EU, l’approvazione si fonda su un solido processo scientifico di sviluppo che garantisce un equilibrio rischi-benefici comparabile” (7).

Il biosimilare dell’insulina glargine, recentemente immesso sul mercato, è andato incontro a numerosi studi, di qualità, pre-clinici e clinici di fase I e III, che hanno dimostrato la sovrapponibilità con l’originator in tutti i parametri analizzati, compresi efficacia, sicurezza ed immunogenicità, ed è, ad oggi, l’unico biosimilare dell’insulina che è riuscito a superare i rigidi controlli di un’Agenzia Regolatoria molto severa in questo ambito, come l’EMA.


L’insulina biosimilare è “clinicamente uguale” all’originator, ma…
Francesca Porcellati, Geremia Bolli, Carmine Fanelli

La recente commercializzazione del primo biosimilare di insulina glargine (11) ha introdotto, anche nel mondo della diabetologia, la complessa problematica dei farmaci biosimilari, già da tempo discussa in numerose altre discipline specialistiche tra cui l’oncologia, l’ematologia e la reumatologia. Il termine “biosimilari” fa riferimento a quei farmaci biologici/biotecnologici il cui principio attivo è analogo, ma non identico per processo di caratterizzazione e produzione, a quello del medicinale di riferimento, già autorizzato all’immissione in commercio e per il quale sia scaduta la copertura brevettuale (24). L’European Medicine Agency (EMA) approva, come “biosimilare” di un’insulina originale, una molecola di insulina sintetizzata con la tecnologia del DNA ricombinante con riproduzione della medesima struttura primaria (sequenza amino-acidica), sovrapponibili caratteristiche in vitro, e in grado di dimostrare in vivo nelle persone con diabete pari efficacia (nel ridurre la glicemia) e sicurezza rispetto alla molecola originale (19). Fra gli aspetti di sicurezza, rilevanza viene data alla potenziale immunogenicità del biosimilare rispetto al prodotto originator.

L’insulina è una proteina, e pertanto un biosimilare dell’insulina non può che essere un’altra proteina, una copia “conforme”, creare la quale ovviamente richiede un processo complesso, con numerosi passaggi necessariamente diversi per il biosimilare rispetto alla molecola biologica di riferimento, se non altro perché il biosimilare è prodotto da un’azienda diversa, con strumentazione diversa, in sede geografica diversa. La differenza risiede anche nei tempi delle tappe di biosintesi, di fermentazione, nei reattivi chimici e biologici impiegati nella sintesi finale, nei tempi di reazione dei singoli passaggi, ecc. Differenti possono essere anche le cellule utilizzate per il clonaggio molecolare (Escherichia Coli o Saccaromices Cervisiae), con la conseguenza di una potenzialmente diversa antigenicità del biosimilare rispetto al farmaco biologico di riferimento (25). Il differente processo produttivo rende pertanto ragione del perché l’insulina biosimilare e il suo prodotto di riferimento, pur condividendo la stessa struttura primaria, non potranno mai essere identici, ma solo simili in termini di qualità, efficacia e sicurezza. Si parla pertanto di “similarità” piuttosto che di “uguaglianza” del farmaco biosimilare con il biologico/biotecnologico di riferimento, ritenendo il processo di produzione di tali farmaci talmente caratterizzante da poter affermare che “il prodotto è il processo di produzione” (26). L’autorizzazione all’immissione in commercio di un farmaco biosimilare è un processo rigorosamente e scrupolosamente regolato dalle Agenzie Regolatorie. L’EMA per prima, ha stilato apposite linee guida per l’approvazione dei farmaci biosimilari (27-28). Proprio partendo dalle premesse sopra ricordate, le linee guida obbligano il farmaco biosimilare a sottostare ad un full comparability exercise attraverso cui si dimostri che, da un punto di vista fisico-chimico, preclinico e clinico, il farmaco biosimilare e il farmaco di riferimento siano sovrapponibili. In particolare, stante la premessa che il biosimilare non può essere identico al farmaco originale, la definizione di “simile” si applica quando le differenze riscontrate nei trials clinici di riferimento siano considerate “non clinicamente rilevanti” nei riguardi del trattamento del paziente. Il comparability exercise richiesto dall’EMA per l’insulina biosimilare richiede, 1) che in vitro il biosimilare sia simile all’insulina di riferimento riguardo al legame e fosforilazione dei recettori insulinici, all’affinità per il recettore IGF-1, proprietà adipogenetica e mitogenetica, 2) che farmacocinetica (PK) e farmacodinamica (PD) del biosimilare siano simili a quelle dell’originator, 3) che nei pazienti con diabete l’insulina biosimilare sia efficace (riduca l’emoglobina glicata) in modo simile rispetto al prodotto di riferimento con incidenza simile di eventi avversi ed ipoglicemie, 4) che l’antigenicità del biosimilare sia simile a quella del farmaco biologico originator.

Il comparability exercise non è pertanto disegnato per valutare efficacia e sicurezza del farmaco biosimilare per sè, ma piuttosto per dimostrare la comparabilità, in termini di qualità, efficacia e sicurezza, con il prodotto di riferimento.

Gli studi in vitro

Gli studi pre-clinici di confronto comparativo rispetto al farmaco biologico originator non hanno mostrato differenze significative in termine di legame ai recettori di insulina (isoforma A e B) e loro fosforilazione, così come al recettore di IGF-1, e di adipogenesi. Anche la mitogenicità, testata su linee cellulari maligne, è risultata essere sovrapponibile tra i due prodotti (29). Non è stato invece studiato il “residency time” o “off-rate” dell’insulina biosimilare dal recettore insulinico, che ha dimostrato assoluta sicurezza con l’originator (30).

Gli studi in vivo di PK e PD

I criteri EMA di bioequivalenza negli studi di PK (obiettivo primario) di fase I richiedono che l’intervallo di confidenza del 90% del rapporto tra la media della AUC e della Cmax tra il farmaco di riferimento e il biosimilare rientri nel limite prestabilito di 80-125%, accettando, quindi, un margine di variabilità abbastanza ampio (45%). Inoltre, i criteri EMA ritengono appropriata l’equivalenza prodotta sulla base di uno studio di clamp euglicemico (iperinsulinemico), con l’iniezione singola (s.c) di insulina e in doppio-cieco. Per quanto riguarda la PD le misure da determinare sono l’AUC dell’infusione di glucosio (GIR) dall’inizio alla fine del clamp, l’inizio d’azione e le AUC parziali, verosimilmente da analizzare secondo i criteri di equivalenza della PK, anche se ciò non viene direttamente espresso nella raccomandazione. Tenendo conto di tali criteri, le proprietà farmacocinetiche e farmacodinamiche del biosimilare di glargine sono state valutate in volontari non diabetici (13, 15) ed un parametro di farmacodinamica (durata d’azione) studiato in persone affette da diabete tipo 1 (14). In volontari sani, l’iniezione sottocutanea di 0.5 U/kg del biosimilare produce sovrapponibili parametri di PK e PD rispetto alla stessa dose del farmaco di riferimento, dal momento che il 90% dell’intervallo di confidenza del rapporto tra medie geometriche risulta completamente compreso nell’intervallo prestabilito 0.80-1.25 (13). Sempre condotto su soggetti non diabetici, un ulteriore studio ha confrontato gli effetti della somministrazione s.c. di 0.3 e 0.6 U/kg del biosimilare rispetto all’originator, mostrando incrementi sovrapponibili dei parametri di PK/PD nella curva dose-risposta senza differenze significative tra i due trattamenti (15). A tale riguardo è tuttavia necessario considerare come lo studio della farmacocinetica e farmacodinamica insulinica in soggetti non diabetici, che presentano pertanto una “normale” secrezione endogena di insulina, sia potenzialmente in grado di fornire conclusioni confondenti, come recentemente puntualizzato (31).

28_1_Clinico_Fig4

È ben noto come la PK, valutata in soggetti sani, non è necessariamente espressione del solo assorbimento dell’insulina iniettata, potendo anche riflettere il contributo della secrezione insulinica endogena, dal momento che la metodica RIA misura l’insulinemia “totale” non distinguendo tra componente esogena (insulina inettata) ed endogena (insulina prodotta) (32). Anche i parametri di PD possono essere inficiati dalla presenza di una “normale” attività β-cellulare. Per esempio, il precoce declino dell’attività biologica dell’insulina NPH in confronto alla stabilità del profilo biologico di glargine, ben consolidato nel diabete tipo 1 (33-34) non è più apprezzabile nei soggetti sani, ove la secrezione endogena contribuisce a prolungare la durata di azione e la potenza biologica dell’insulina protaminata (32, 35). Pertanto la similarità delle caratteristiche PK-PD in soggetti sani tra il biosimilare di glargine ed il prodotto di riferimento, non autorizza necessariamente ad estrapolare le stesse conclusioni al diabete tipo 1. D’altra parte va riconosciuto che le agenzie regolatorie ammettono studi di PK/PD in soggetti normali, anche se EMA riconosce che studi in persone con diabete tipo 1 consentono una più corretta interpretazione.

Ulteriori limitazioni delle osservazioni sperimentali condotte sui soggetti sani (13, 15) sono la dose insulinica di 0.5 U/kg, poco rappresentativa di quella comunemente utilizzata nella pratica clinica quotidiana ed il disegno dello studio che prevedeva necessariamente le valutazioni di farmacocinetica e farmacodinamica effettuate dopo una “singola” iniezione insulinica e non allo “steady-state”, modello che riflette più adeguatamente lo scenario clinico (31-32).

L’unico studio di PK-PD in soggetti con diabete tipo 1, ha valutato gli effetti della somministrazione di 0.3 U/kg di insulina biosimilare in maniera comparativa con l’originator, sempre dopo la first injection (14). La durata di azione espressa come tempo al quale la glicemia saliva da 100 a oltre 150 mg/dl, non ha mostrato differenze sostanziali tra i due trattamenti. Oltre al disegno dello studio, anche in questo caso non allo steady-state, il clamp mostra dal punto di vista più squisitamente tecnico, un ostacolo interpretativo ai dati di PK-PD, dato dalla presenza di una GIR positiva al momento della somministrazione sottocutanea dell’insulina in studio (tempo 0’ del clamp). L’infusione di glucosio già prima dell’iniezione di insulina, probabile espressione di una sovrainsulinizzazione durante il periodo del cosiddetto feed-back insulinico precedente il clamp e necessario per stabilizzare la glicemia dei soggetti in studio, crea difficoltà nell’interpretare i dati di farmacocinetica e farmacodinamica più rilevanti (31-32). D’altra parte va osservato che questo errore tecnico è presente sia con il biosimilare che con l’originator, anche se sarebbe stato auspicabile che entrambe le insuline fossero state studiate con una metodica più appropriata (31). Un aspetto critico del metabolismo in vivo dell’insulina glargine, al momento non ancora studiato con il prodotto biosimilare, riguarda la rapida metabolizzazione, dopo somministrazione sottocutanea, dell’insulina nei due metaboliti M1 e M2. Tale processo è stato estesamente indagato con il farmaco di riferimento, sia nel diabete tipo 1 (36) che nel diabete tipo 2 (37), utilizzando la cromatografia liquida accoppiata alla spettrometria di massa tandem, che non cross-reagisce con l’insulina umana e con l’analogo dell’insulina.

In definitiva, la convincente similarità delle proprietà PK-PD tra il prodotto biosimilare e l’originator, è stata descritta nei soggetti non-diabetici (13, 15) adempiendo alle richieste di EMA. Sarebbe stato auspicabile avere più dati (di maggiore rilevanza clinica) nei pazienti con diabete tipo 1 studiati allo steady-state.

Gli studi in vivo di fase III

L’analisi comparativa di efficacia tra l’insulina biosimilare e il prodotto originator è stata valutata con due 2 studi di fase 3, prospettici, randomizzati, multicentrici, a due bracci con controllo attivo, della durata di 52 e 24 settimane. Nel primo studio (ELEMENT 1), in pazienti con diabete mellito di tipo 1, la riduzione dell’emoglobina glicata al termine di 6 e 12 mesi non era significativamente diversa con il biosimilar rispetto al riferimento (entrambi associate ad insulina prandiale in regime basal-bolus) come ha dimostrato il margine di differenza per l’A1C che era inferiore a 0.4 e anche a 0.3 (non-inferiorità). Anche l’incidenza di ipoglicemia, gli effetti sul peso corporeo e gli eventi avversi in generale, non erano differenti (16).

Simili risultati sono stati ottenuti anche nei pazienti con diabete mellito di tipo 2 (ELEMENT 2), sia precedentemente trattati con glargine che insulina-naive, ove l’analisi comparativa tra biosimilare e originator, entrambi in associazione ad altri farmaci anti-iperglicemizzanti, ha confermato il criterio di non-inferiorità in merito alla riduzione dell’emoglobina glicata. Gli effetti sul peso, l’incidenza di ipoglicemia ed eventi avversi, erano sovrapponibili con le due insuline (17).

L’antigenicità nei pazienti con diabete di tipo 1 e di tipo 2

Una proteina biosimilare può in teoria dar luogo ad antigenicità diversa rispetto alla molecola originale per i tanti motivi prima ricordati. Per l’insulina, l’esperienza di qualche decennio fa degli anticorpi anti-insulina e dei loro effetti deleteri sul controllo glicemico ha condizionato la necessità di un’attenta valutazione da parte dell’EMA di questo aspetto con il biosimilare rispetto al farmaco di riferimento. Il profilo di immunogenicità è stato seguito nei due studi comparativi di fase III prima menzionati. ELEMENT 1 (16), ha coinvolto 532 pazienti con diabete tipo 1, randomizzati al trattamento con il biosimilare o con glargine di riferimento. L’80% dei pazienti alla randomizzazione era già in trattamento con insulina glargine. I pazienti presentavano un’età media di 41±13 anni, ed una durata media di malattia pari a 16±11 anni. Anticorpi anti-insulina erano documentabili in 45 (17%), 73 (27.5%) e 107 (40.4%) pazienti trattati con il biosimilare, al baseline dopo 24 e 52 settimane rispettivamente. I pazienti randomizzati a glargine originator presentavano anticorpi in 55 (20.6%), 59 (22.1%) e 105 (39.3%) casi al baseline, dopo 24 e 52 settimane, rispettivamente (11). Le differenze nei livelli di titolo anticorpale o nella percentuale di pazienti con titolo positivo rimanevano sovrapponibili durante l’intero periodo di studio.

Lo studio ELEMENT 2 (17), ha randomizzato 730 soggetti con diabete tipo 2 all’insulina biosimilare ed al farmaco originator. I pazienti presentavano un’età media di 59±10 anni, con una durata media di malattia di 11±6.8 anni; 290 erano già in trattamento con insulina glargine, mentre 440 erano insulina-naïve. Un incremento di due volte del titolo anticorpale risultava sia nel braccio con il biosimilare che con l’originator, tuttavia maggiore incidenza di livelli di anticorpi si riscontrava nel sottogruppo di pazienti già trattati prima dello studio con glargine A fine studio (24° settimana), la percentuale di positività anticorpale era di 29/151 (19.2%) vs 11/139 (7.9%), p=0.006, biosimilare vs originator rispettivamente (11). Secondo la valutazione dell’EMA, tale risultato era da considerare legato alla casualità dal momento che vi era già una differenza al baseline e che il dato non veniva confermato dai risultati di ELEMENT 1, condotto su una popolazione più sensibile, per l’elevato background di autoimmunità proprio del diabete tipo 1. Un recente studio ha analizzato la potenziale interferenza degli anticorpi prodotti in risposta al biosimilare e all’originator, con il controllo glicemico e l’ipoglicemia, senza che emergesse nessuna differenza fra le due insuline (18).

CONCLUSIONI

L’insulina glargine è stata commercializzata nel maggio dell’anno 2000 e nel giro di pochi anni ha totalmente soppiantato l’utilizzo, nel diabete tipo 1, della precedente insulina basale, la “vecchia” NPH, introdotta nel mercato nel 1946. Nel corso del tempo, glargine si è progressivamente imposta come insulina basale leader anche nel trattamento del diabete tipo 2. Questo straordinario successo commerciale è stato ed è giustificato, dai sensibili benefici clinici per i pazienti rispetto a NPH: riduzione delle ipoglicemie, specie notturne, minore variabilità glicemica, maggiore flessibilità e maneggevolezza per una durata d’azione più prolungata con una copertura di 24 ore. Nessun dubbio sul fatto che glargine sia stata la vera evoluzione e rivoluzione nel campo della sostituzione insulinica basale degli ultimi decenni, considerazione che mantiene il suo significato anche alla luce delle più recenti opzioni terapeutiche rappresentate dall’insulina degludec e dalla nuova formulazione U300 di glargine. Pertanto non meraviglia che il primo biosimilare nel campo della terapia insulinica sia stato proprio quello di glargine e che altre aziende (Merck, Biocon) stiano sviluppando altri biosimilari di glargine.

È indiscusso come i farmaci biosimilari potranno svolgere un ruolo cruciale anche nel campo della terapia insulinica consentendo una maggiore diffusione della cura ed un più largo accesso ad essa e contribuendo, nel contempo, alla sostenibilità finanziaria dei sistemi sanitari.

Il punto di forza del biosimilare di glargine è rappresentato dal fatto che il suo dossier ha superato il processo di valutazione richiesto dall’EMA per la designazione di biosimilarità, basato su regole rigide e molto strette. Le procedure comparative step-wise hanno mostrato, in complesso, risultati del tutto convincenti, se si esclude il punto sopra discusso relativo agli studi di PK-PD.

Per definizione, un biosimilare non può essere superiore all’originator, ed è simile, non identico all’originator. La similarità approvata da EMA non significa necessariamente intercambiabilità, non significa switch incondizionato, non significa totale sovrapponibilità clinica. L’aspetto della sostituibilità che ben conosciamo (e a volte discutiamo) nel campo dei medicinali equivalenti (“generici”), non può essere semplicisticamente traslato a quello dei farmaci biologici/biotecnologici. Sono necessari studi di sorveglianza post-marketing relativi alla safety (ed in particolare all’aspetto dell’immunogenicità) ed efficacia per confermare il profilo di sovrapponibilità clinica del farmaco biosimilare vs quello di riferimento nella pratica clinica, nella real life. Analogamente è auspicabile la produzione di ulteriori risultati e/o studi a supporto della intercambiabilità e switch tra i due prodotti specie nel caso di switch ripetuti. Questo aspetto è particolarmente rilevante considerando il fatto che parliamo di una malattia cronica e di una terapia che il paziente si somministra ogni giorno, nel caso del diabete tipo 1 life-long. Sarebbe peraltro importante verificare un eventuale incremento del titolo di anticorpi anti-insulina nel caso di switch multipli. Gli studi che regolamentano l’autorizzazione all’immissione in commercio di un farmaco decretano la nascita del prodotto, nel caso del farmaco biosimilare ne costituiscono il punto di forza, tuttavia la vera vita del farmaco inizia dopo la sua commercializzazione. EMA affida la decisione della sostituibilità dell’originator con il biosimilare alle autorità nazionali competenti dei differenti Stati Membri, e lascia la decisione dello switch al medico. È peraltro auspicabile che continui ad essere il medico a decidere se prescrivere l’originator o il biosimilare di insulina, e che al farmacista non venga delegato il potere di consegnare al paziente un prodotto diverso da quello prescritto.

AIFA non ha dato indicazioni diverse dall’EMA in merito allo switch, rimandando al medico la decisione di effettuarlo o meno, considerando che per il paziente non vi saranno vantaggi in termini di efficacia, sicurezza e immunogenicità. La responsabilità, direttamente o indirettamente derivante da tale scelta, è pertanto sostanzialmente a carico del medico. In assenza di indicazioni diverse da parte del ministero, il consiglio di prestare cautela nel proporre lo switch, e di proporre oltre all’originator anche il biosimilare ai pazienti di nuova diagnosi, sembra essere ragionevole. È peraltro verosimile che nello switch, un ruolo lo giocheranno anche i pazienti che potrebbero obiettare alla proposta del cambio della preparazione insulinica, dopo anni di uso ed esperienza con un tipo di insulina al quale possono essersi affezionati.

La domanda-titolo iniziale è se l’insulina biosimilare è veramente uguale al farmaco originator. La risposta è no, non è uguale, ma simile, come ampiamente discusso. È essenzialmente solo una interpretazione “semantica” quella che guiderà la scelta prescrittiva fra biosimilare e farmaco originator.

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