Marcello Lotti
Dipartimento di Scienze Cardiologiche, Toraciche e Vascolari, Sezione di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Padova
Il particolato (particulate matter, PM) è un inquinante presente soprattutto nell’atmosfera dei centri urbani composto da metalli, minerali, composti organici di carbonio, aerosol ed altre sostanze. Viene identificato e la concentrazione misurata in base alle sue dimensioni granulomeriche, ad esempio: PM10 (tutte le particelle con diametro inferiore a 10μm), PM2.5 (inferiori a 2.5μm) e particelle ultrafini (inferiori a 0.1μm).
Numerosi studi hanno analizzato i rapporti tra l’inquinamento urbano da PM di varia granulometria e il diabete di tipo 2. Inizialmente ci si interrogò se i soggetti diabetici fossero maggiormente suscettibili agli effetti del PM sull’apparato cardiovascolare (1-2). Infatti, alla base di questa domanda vi erano i numerosi studi epidemiologici che avevano coerentemente messo in evidenza associazioni positive tra esposizione a PM e diversi effetti cardiovascolari acuti e cronici (3). Successivamente, l’attenzione fu posta invece sull’esposizione prolungata a PM come autonomo fattore di rischio nell’insorgenza e nella mortalità per diabete di tipo 2 (4-5).
Però i risultati di studi più recenti, che hanno analizzato un elevato numero di eventi cardiovascolari in rapporto all’esposizione a PM, non appaiono più solidamente coerenti. Mentre in Cina, ad esempio, le robuste associazioni positive tra mortalità e ammissioni ospedaliere per malattie cardiovascolari e le concentrazioni giornaliere medie di PM sono state confermate (6), in Gran Bretagna non vi è invece chiara evidenza di associazioni, sia con numerosi inquinanti atmosferici che con il PM (7). Risultati che indubbiamente riflettono il diverso livello di inquinamento nei due studi perché a Pechino il livello medio giornaliero di PM2.5 era circa 10 volte più elevato di quello misurato in Gran Bretagna. Analogamente, le stime sugli effetti cardiovascolari delle esposizioni di lungo termine al PM hanno evidenziato in taluni studi rischi aumentati (8-9) mentre in altri queste associazioni erano deboli o non osservabili (10-11). Ne consegue che i diversi livelli di inquinamento urbano possono comportare una maggior o minor difficoltà nel misurarne l’impatto sulla salute con l’uso dello studio epidemiologico (12).
In questo quadro delineare i rapporti tra inquinamento da PM, diabete di tipo 2 e malattie cardiovascolari diventa complesso, come del resto risulta dai risultati delle numerose rassegne della letteratura e delle meta-analisi recentemente pubblicate (13-17). Lo scopo di questo lavoro non è quello di analizzare esaustivamente la ormai vasta letteratura sull’argomento quanto di evidenziare le luci e le ombre sulle attuali conoscenze dei rapporti tra PM diabete di tipo 2 e malattie cardiovascolari, in cui conferme e differenze tra gli studi possono trovare numerose spiegazioni tra le quali, probabilmente rilevante, deve essere sottolineata la variabilità qualitativa e quantitativa dell’esposizione.
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Diabete e suscettibilità agli effetti acuti del PM
Nelle ore/giorni successivi ad incrementi della concentrazione di PM nell’aria urbana sono stati osservati sia eccessi di morbilità e mortalità per infarto del miocardio (e di altre patologie cardiovascolari) che l’aggravamento dei fattori di rischio di malattia coronarica, quali la variabilità della frequenza cardiaca (HRV), la funzione endoteliale l’infiammazione e la coagulazione, alterazioni spesso presenti nei pazienti affetti da diabete di tipo 2. Da un’analisi dei principali studi che hanno esplorato gli effetti acuti dell’esposizione a PM emerge una maggiore suscettibilità dei pazienti diabetici rispetto ai soggetti senza malattia.
In uno studio di mortalità è stata osservata una associazione positiva tra numerosi inquinanti (tra i quali PM10 e PM2.5) e la mortalità giornaliera per diabete in pazienti già affetti da malattie cardiovascolari (18). Altri studi hanno osservato che i ricoveri ospedalieri per malattie cardiovascolari correlabili al PM10 erano più frequenti nei diabetici rispetto agli individui senza la malattia diabetica e la percentuale di aumento dei ricoveri all’incremento di 10µgm3 di PM10 era maggiore nei pazienti con un’età superiore a 75 anni (1-2).
Uno studio di follow-up di 9 anni su 4295 donne americane ha confrontato le correlazioni tra PM10 e HRV in donne diabetiche, con intolleranza glucidica e senza malattia (19). Nelle donne diabetiche con valori più elevati di insulina o dell’indice di rischio nel modello omeostatico di valutazione dell’insulino resistenza (HOMA-IR) vi era una correlazione inversa più forte rispetto agli altri gruppi tra concentrazioni di PM10 e HRV. Di rilievo l’osservazione che questa associazione era molto forte anche nelle donne con intolleranza glucidica ed invece si riduceva drasticamente nelle donne senza alterazioni del metabolismo glucidico. Risultati simili sono stati riportati in uno studio su 497 maschi anziani in cui l’associazione inversa tra PM2.5 e HRV è risultata più forte nei soggetti affetti da diabete di tipo 2 (20).
In uno studio di esposizione controllata ad aria filtrata ed a 50 mg/m3 di particelle ultrafini di carbonio per 2 ore, effettuato su 17 volontari affetti da diabete di tipo 2 stabile, nelle 48 ore successive l’esposizione a particelle ultrafini sono stati osservati un aumento modesto della frequenza cardiaca ed una riduzione della HRV (21).
In uno studio su 61 pazienti con diabete di tipo 2 o con intolleranza glucidica è stato evidenziato un maggior effetto acuto dell’inquinamento da PM10 e PM2.5 e particelle ultrafini sulla HRV in soggetti che presentavano polimorfismo di singoli nucleotidi correlati, negli studi di associazione genome-wide, alle alterazioni del ritmo cardiaco (22).
In uno studio su 227 pazienti con diabete di tipo 1 e 2 e su 43 soggetti a rischio (con intolleranza glucidica o storia familiare di diabete) l’esposizione a PM2.5 era associata ad una ridotta reattività vascolare nitroglicerina-mediata solo nei pazienti diabetici e con un maggiore effetto nei pazienti affetti da diabete di tipo 2 (23).
Analogamente, uno studio su 22 pazienti diabetici ha evidenziato una ridotta funzione endoteliale, valutata mediante ecografia dell’arteria brachiale, nelle 24 ore successive agli aumenti di PM2.5 (24).
Uno studio su 137 pazienti diabetici riporta un aumento dell’attivazione piastrinica e dei leucociti circolanti, 2 ore dopo un significativo aumento della concentrazione di PM10. La risposta proinfiammatoria è stata associata anche all’esposizione cronica, valutata dal carico di particelle di carbonio nei macrofagi alveolari (25). Infine, in 34 pazienti con sindrome metabolica dopo esposizione controllata per 2 ore a particelle ultrafini ambientali sono state osservati una riduzione del plasminogeno e della trombomodulina ematici e un aumento della proteina C reattiva plasmatica, associati ad alterazioni elettrocardiografiche (26).
L’insieme dell’evidenza porta quindi a concludere che i pazienti affetti da diabete di tipo 2 sono particolarmente suscettibili agli effetti acuti cardiovascolari del PM. Rimane da chiarire quale sia il significato clinico delle alterazioni dei fattori di rischio conseguenti all’esposizione al PM, cioè se e come siano correlate alla morbilità e mortalità per eventi acuti cardiovascolari nei soggetti diabetici.
Esposizione a PM e insorgenza del diabete di tipo 2
Le recenti metaanalisi che hanno preso in esame gli studi epidemiologici disponibili concludono per una debole ma significativa associazione tra esposizione a lungo termine al PM ed altri inquinanti e mortalità prevalenza ed incidenza di diabete di tipo 2 (13-17).
Uno studio prospettico su una coorte di 2.1 milioni di adulti (1991-2001) ha rivelato che un aumento di 10µ/m3 di esposizione a PM2.5 era associato ad un aumentato rischio di mortalità correlata al diabete (5).
Una correlazione positiva tra esposizione a PM2.5 nell’arco di tre anni e la prevalenza delle diagnosi di diabete è stata osservata nella popolazione adulta degli Stati Uniti, per cui ad un incremento di 10µ/m3 di PM2.5 corrispondeva un aumento di prevalenza pari all’1% (27). Analoghi risultati sono stati riportati in uno studio di popolazione effettuato in Svizzera in cui è risultata una prevalenza pari al 5.5% (28).
Uno studio prospettico di coorte su 62012 adulti non diabetici (2006-2010) ha evidenziato un’aumentata incidenza di diabete debolmente associata ad incrementi di 10µ/m3 di PM2.5 (4), che è stata confermata da una successiva meta-analisi (15).
Una correlazione significativa è stata anche riscontrata tra ricoveri ospedalieri per diabete ed esposizioni sia a lungo che a breve termine a PM2.5, con una maggior aumento di ricoveri in seguito ad esposizioni a lungo termine (29).
In uno studio su 1023 soggetti anziani è stata osservata una associazione tra medie annuali di PM10, PM2.5 ed altri inquinanti gassosi e iperglicemia, aumento di emoglobina A1c e marker di infiammazione (30). È stata rilevata una analoga associazione anche tra più elevati livelli di HbA1c al momento della diagnosi di diabete ed i livelli di PM10 nella zona di residenza (31).
Invece, un follow-up di 12- 21 anni su 1775 donne non diabetiche all’inizio dello studio, di età compresa tra 54 e 55 anni, ha riscontrato una dubbia associazione positiva tra incidenza di diabete ed esposizione a PM10 solo nelle donne che all’inizio dello studio avevano elevati liveli plasmatici del fattore C3 del complemento (32). Analogamente, uno studio prospettico durato dal 1995 al 2005 su 4204 donne afroamericane di Los Angeles riporta un’associazione non significativa tra aumenti di 10µ/m3 di PM2.5 ed incidenza di diabete di tipo 2 (33). Infine, non è stata trovata associazione tra esposizione nei 12 mesi antecedenti a PM2.5 e PM10 ed incidenza di diabete in due coorti di 74412 donne e 15048 uomini, anche se nelle donne è stata trovata una associazione quando l’esposizione fu valutata sulla base alla distanza di residenza dalle strade con traffico automobilistico (34).
Uno studio sugli effetti a breve termine dell’esposizione subacuta a PM2.5 (4-5 ore al dì per 5 giorni) suggerisce un ruolo causale del particolato nell’insorgenza del diabete. In 25 soggetti sani all’aumento di 10µgm3 di PM2.5 è stata osservata una correlazione positiva con l’HOMA-IR (+ 0.7) e negativa con la HRV (SDNN – 13.1 ms) (35).
In conclusione, gli studi epidemiologici sulle associazioni causali tra esposizione prolungata al particolato, specialmente al PM2.5, ed insorgenza del diabete di tipo 2 hanno dato nel loro insieme risultati debolmente positivi, anche se taluni studi non confermano questa associazione. Differenze che sono forse spiegabili con l’imprecisione della valutazione dell’esposizione sia al PM che ad altri inquinanti atmosferici. D’altro canto, la correlazione positiva tra HOMA-IR e PM2.5 rende plausibile un’associazione causale.
Le ipotesi sui meccanismi
Effetti infiammatori, protrombotici e lo stress ossidativo sono stati associati all’esposizione a PM in numerosi studi e rappresentano i meccanismi sinora più esplorati per spiegare una relazione causale tra esposizione a PM e insorgenza/aggravamento di malattie cardiovascolari (3). Ciò nonostante i risultati sugli effetti infiammatori a breve termine dell’esposizione a PM non sono univoci, forse a causa della difficoltà di distinguere l’infiammazione legata all’esposizione a PM da quella che caratterizza le malattie che vengono esacerbate (36).
Le numerose ipotesi sui meccanismi che potebbero spiegare l’associazione tra diabete e inquinamento atmosferico sono state recentemente riassunte (37). L’evidenza del ruolo dell’infiammazione causata dal PM nell’esacerbazione del diabete (30-31, 35) si affianca a quella osservata nell’aggravamento delle malattie cardiovascolari (3, 36) anche se non mancano anche nel caso del diabete i dati discordanti.
Così, mentre l’esposizione personale di 24 ore a PM10 in 25 diabetici è stata correlata positivamente con marker di infiammazione, stress ossidativo e alterazioni della funzione cardiovascolare (38) e l’esposizione a PM2.5 nei 6 giorni antecedenti è stata associata positivamente in 92 pazienti diabetici con marker di infiammazione quali sICAM, VCAM, vWH (39), anche se non sempre con significatività statistica, vi sono anche studi negativi. Ad esempio, in uno studio longitudinale su 809 soggetti maschi di razza bianca l’esposizione a carbon black nei due giorni precedenti il prelievo, ma non quella al PM2.5, correla con le concentrazioni nel siero della molecola di adesione intercellulare (sICAM-1). Un effetto più pronunciato è stato osservato nei soggetti obesi ma non nei diabetici (40).
Più convincenti sono invece i risultati di alcuni studi sperimentali sul topo che indicano l’influenza dell’esposizione a lungo termine a PM2.5 sul metabolismo glucidico e l’infiammazione. Questa esposizione causa intolleranza glucidica ed aumento del HOMA-IR (41) mentre un’esposizione più elevata e più breve, iniziata a 3 settimane di età, causa insulino resistenza e infiammazione sui topi wild type, alterazioni che però si attenuano in quelli knok-out per NADPH P47phox-/-, suggerendo in tal modo che gli effetti del PM possano essere mediati dalla NADPH ossidasi (42). Infine, in un altro studio su topi l’esposizione per 10 settimane ad elevate concentrazioni di PM2.5 aggravava l’insulino resistenza e l’infiammazione viscerale indotte dall’obesità (43).
Un rapido effetto di disequilibrio autonomico mediato centralmente potrebbe essere la causa dell’alterata sensibilità all’insulina (44) e dell’infiammazione periferica (45), che spiegherebbe anche l’associazione coerentemente osservata tra la riduzione della HRV, intolleranza glucidica e infiammazione, anche se non si può escludere che questi effetti siano indipendenti. Uno schema rappresentativo dei possibili meccanismi attraverso i quali il PM causa effetti acuti cardiaci è riportato nella figura 1.
Conclusioni
L’evidenza che il diabete di tipo 2 sia associato all’esposizione al PM appare largamente coerente, anche se debole, ed è quindi plausibile l’ipotesi che l’inquinamento da PM, così pervasivo negli ambienti urbani, rappresenti un ulteriore fattore di rischio per il diabete di tipo 2. Considerando il numero di individui esposti al PM, pur in presenza di associazioni deboli, si prospetta un rilevante problema di salute pubblica.
La suscettibilità del diabetico agli effetti acuti cardiovascolari del PM sembra legata alla pre-esistenza di lesioni coronariche (18), analogamente a quanto è stato osservato in un numeroso gruppo di soggetti sottoposti a coronarografia (46).
Indubbiamente il diabetico subisce gli effetti pro-infiammatori del PM, probabilmente più rilevanti clinicamente che in soggetti non affetti dal diabete, considerando che si tratta di una malattia caratterizzata da un sostenuto basso livello di infiammazione, da una sproporzionata formazione di specie reattive dell’ossigeno e dal reclutamento/attivazione di cellule immunitarie nei depositi come nel tessuto adiposo viscerale (47).
Rimangono però numerose aree di ignoranza e soprattutto incertezze legate a vari fattori. Questi includono la notevole diversità dei protocolli di studio impiegati, quali ad esempio le modalità di misura dell’esposizione (individuale, da centraline fisse, con derivazioni modellistiche), la presenza di altri inquinanti anch’essi significativamente associati agli effetti acuti cardiovascolari talora ma non sempre valutata (48), e i diversi lag impiegati. Inoltre, manca spesso negli studi time-series la valutazione di un possibile effetto harvesting (49). Infine, sono necessarie informazioni quali potrebbero derivare, ad esempio, da studi di correlazione dose-risposta in seguito ad esposizioni controllate al PM e da studi sugli effetti del PM in rapporto alla gravità della malattia diabetica.
In conclusione, non vi è ancora un’adeguata comprensione di quale sia il peso relativo del PM e delle sue interazioni con altri fattori di rischio noti nell’insorgenza e nella storia naturale del diabete di tipo 2. Sarà necessario comprendere quali possano essere gli effetti del PM sulle β cellule, sugli ormoni contro-regolatori come il glucagone, sui meccanismi insulinotropi, come anche su possibili meccanismi centrali quali quelli ipotalamici che regolano appetito e sazietà o quelli autonomici che regolano l’infiammazione periferica (37).
È in ogni caso evidente che questo inquinante rappresenta un ulteriore fattore di rischio modificabile che contribuisce alla morbilità e mortalità per diabete di tipo 2 e per le sue complicanze cardiovascolari.
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