Inibitori SGLT2 e protezione cardio e nefrovascolare: quali meccanismi?

Giorgio Sesti1, Riccardo C. Bonadonna2, Enzo Bonora3, Paola Fioretto4, Andrea
Giaccari5, Francesco Giorgino6, Roberto Miccoli7, Francesco Purrello8, Anna Solini9,Stefano Del Prato7
1Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Università Magna Grecia, Catanzaro; 2Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Parma; 3Dipartimento di Medicina, Università di Verona; 4Dipartimento di Medicina, Università di Padova; 5Divisione di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo, Università del Sacro Cuore, Roma; 6Dipartimento dell’Emergenza e dei Trapianti di Organi, Università di Bari; 7Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa; 8Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Catania; 9Dipartimento di Patologia Chirurgica, Università di Pisa

INTRODUZIONE

Al volgere del nuovo secolo una rivoluzione è accaduta nel campo del trattamento della terapia del diabete tipo 2. Dopo decenni nel corso dei quali insulina, sulfoniluree e metformina sono stati gli unici rimedi terapeutici, improvvisamente si è resa disponibile tutta una serie di nuovi farmaci per la terapia del diabete tipo 2. La rivoluzione, però, non sta semplicemente nell’accresciuto numero di farmaci quanto nel fatto che alcuni di questi hanno completamente ribaltato conoscenze che hanno fatto la storia del diabete. La glicosuria è stata per secoli il segno patognomonico del diabete. Già nel 400 a.C. nel Suhsruta Samhita, un antico testo sanscrito di medicina, si parla di “urina mielata”. Nel II secolo d.C. Galeno, medico romano, pensava che il diabete fosse una malattia dei reni e 12 secoli più tardi è Paracelso a raccomandare la pratica di assaggiare le urine per porre la diagnosi di diabete. Il “gusto dolce” delle urine è riscoperto un paio di secoli più tardi da Thomas Willis per arrivare nel 1176 quando Matthew Dobson isola lo zucchero nelle urine dei soggetti con diabete. Da allora la determinazione della glicosuria è divenuta un test fondamentale sia per la diagnosi che per la verifica degli effetti della terapia anti-iperglicemizzante. Ma il diabete non è l’unica condizione associata ad aumento dell’escrezione urinaria di glucosio. Alla fine del XIX secolo, infatti, si scopre che la somministrazione di florizina, isolata nel 1855 da de Koninck dalla corteccia di alcune piante, causava glicosuria. Nel frattempo il mondo diabetologico continua a guardare alla glicosuria come un indice di cattivo controllo glicemico fino a quando, alla fine degli anni Ottanta, De Fronzo e Rossetti dimostrano che la semplice riduzione della glicemia conseguente all’aumentata escrezione urinaria di glucosio indotta dalla somministrazione di florizina nell’animale da esperimento, comportava un miglioramento della secrezione e dell’azione insulinica. Quelle osservazioni gettano le basi per la ricerca di inibitori più specifici del riassorbimento tubulare del glucosio, anche alla luce dell’identificazione e caratterizzazione dei sistemi di co-trasporto sodio-glucosio e della loro specifica distribuzione. Quelle ricerche si sono tradotte in farmaci oggi utilizzati in clinica: gli inibitori SGLT2, canagliflozin, dapagliflozin, empagliflozin, e altre molecole ancora in fase di sviluppo. Con l’introduzione di questi farmaci la valutazione “negativa” attribuita alla glicosuria si ribalta, divenendo essa un indicatore di efficacia di trattamento. Se questo di per sé è rivoluzionario, gli inibitori SGLT2 hanno generato anche un’altra e forse anche più importante “rivoluzione”. La presentazione dei dati di EMPA-REG OUTCOME® in occasione del Congresso Annuale EASD a Stoccolma nel 2015 fu accolta con un applauso fragoroso. Il trattamento con empagliflozin riduceva in modo significativo il rischio di mortalità cardiovascolare, di mortalità per tutte le cause e di ospedalizzazione per insufficienza cardiaca con un effetto dimostrabile già dopo poche settimane di trattamento. Allo stupore e soddisfazione hanno, ovviamente, fatto seguito numerose domande. Quali sono i meccanismi del beneficio cardiovascolare? L’effetto positivo riguarda tutte le fasi della malattia diabetica? Qual è l’effetto sul rene? Quale il bilancio tra effetti benefici ed effetti collaterali… Tutte queste domande sono state oggetto di due giorni di discussione tra gli autori di questo documento che offre, di quell’incontro, una sintesi ripercorrendo una a una le domande più comuni che la comunità diabetologica si pone.

[protected]

>Scarica l’articolo in formato PDF

QUALI SONO GLI EFFETTI DEGLI INIBITORI DI SGLT2 SUGLI OUTCOME CARDIOVASCOLARI?

Nel discutere gli effetti degli inibitori di SGLT2i sugli outcome cardiovascolari, si deve necessariamente iniziare dai risultati dello studio EMPA-REG OUTCOME® (1-2). Lo studio ha confrontato l’effetto di Empagliflozin (EMPA) ai dosaggi di 10 o 25 mg di rispetto al placebo (PLB) in aggiunta a terapia standard somministrati per un tempo medio di 3,1 anni a 7.020 pazienti affetti da Diabete Mellito di Tipo 2 (T2DM) ad alto rischio cardiovascolare (Tab. 1).

29_2_Rassegna_1_Tab.1

L’outcome primario composito era rappresentato dall’occorrenza di morte per cause cardiovascolari; infarto miocardico non fatale; ictus non fatale (Major Adverse Cardiovascular Events MACE 3). L’outcome secondario principale aggiungeva al MACE-3 l’ospedalizzazione per angina instabile (MACE-4).

Lo studio prevedeva la valutazione della significatività statistica in termini di non-inferiorità in prima battuta e, quindi, di superiorità.

Per quanto riguarda l’outcome primario, nel gruppo EMPA si sono verificati 490 eventi su 4.687 pazienti (10,5%), nel gruppo di controllo 282 su 2.333 pazienti (12,1%), con un Rischio Relativo (RR) di 0,86 (CI 95% 0,74-0,99) con una differenza significativa dal punto di vista statistico a favore di EMPA sia per non-inferiorità (p<0,001) che per superiorità (p=0,04). Quando gli eventi venivano considerati individualmente, l’effetto protettivo risultava largamente giustificato dalla riduzione delle morti (Fig. 1) per cause cardiovascolari (RR 0,62, 0,49-0,77, p=0,001), mentre veniva riscontrata una riduzione non significativa per l’infarto miocardico non fatale (RR 0,87, 0,70-1,09, p=0,22) e un trend non significativo per un aumento del rischio di ictus non fatale (RR 1,24, 0,92-1,67, p=0,16).

29_2_Rassegna_1_Fig.1

Per quanto riguarda l’outcome secondario MACE-4, sono stati osservati 599 eventi nel gruppo EMPA (12,8%) e 333 eventi nel gruppo PLB (14,3%), con un RR di 0,89 (CI 95% 0,78-1,01) significativo che raggiungeva la significatività per quanto riguarda la non-inferiorità (p<0,001) ma non per la superiorità.

Nel gruppo EMPA veniva inoltre dimostrata una significativa riduzione delle morti per ogni causa (RR 0,68, CI 95% 0,57-0,82, p=0,02) e dell’ospedalizzazione per insufficienza cardiaca (RR 0,65, 0,50-0,85, p=0,02) (Fig. 2).

29_2_Rassegna_1_Fig.2

L’efficacia in termini di cardioprotezione evidenziata dallo studio è forse meglio espressa dal Number Needed to Treat (NNT, cioè il numero di pazienti che occorre trattare per un dato periodo di tempo per prevenire un evento). In EMPA-REG OUTCOME®, l’NNT era di 39 pazienti trattati per tre anni. Questo numero è particolarmente interessante alla luce del fatto che la maggioranza dei pazienti reclutati aveva già in atto un efficace trattamento dei maggiori fattori cardiovascolari. A titolo comparativo è utile ricordare che nello studio 4S (3) condotto in un’epoca quando ancora il trattamento dei fattori di rischio era agli albori, lo NNT era di 56 pazienti trattati con simvastatina per 5 anni. Analogamente, l’NNT calcolato nello studio HOPE con ramipril in pazienti nei quali già più frequente era ormai l’uso di statine, era di 56 pazienti trattati per 5 anni (Fig. 3).

29_2_Rassegna_1_Fig.3

I risultati di EMPA-REG OUTCOME® suggeriscono pertanto un’efficacia che va oltre quella offerta dalla protezione cardiovascolare con un efficace trattamento con statine e ACE-inibitori (ACE-I). Vale a questo proposito ricordare che in EMPA-REG OUTCOME® il 75% dei soggetti era in trattamento con statine e l’80% con un ACE-I, o un antagonista recettoriale dell’angiotensina.

L’effetto del trattamento con EMPA sulla riduzione del rischio di ospedalizzazione osservato in EMPA-REG OUTCOME®è stato oggetto di una specifica analisi (4) che ha evidenziato una significativa riduzione dell’outcome composito, di ospedalizzazione per insufficienza cardiaca o morte per cause cardiovascolari nei pazienti trattati con EMPA (RR: 0,66 CI95%: 0,55-0,79; p=0,001) così come ridotti erano i singoli outcome relativi all’insufficienza cardiaca (Fig. 4): ospedalizzazione o morte per insufficienza cardiaca (0,61, p<0,001); ospedalizzazione per insufficienza cardiaca (0,65, p=0,002); insufficienza cardiaca grave riferita dallo sperimentatore (0,69, p=0,001) e ospedalizzazione per ogni causa (0,89, p=0,003).

29_2_Rassegna_1_Fig.4

Mentre per EMPA siamo in possesso dei risultati di uno studio di outcome cardiovascolare, per altri SGLT2i gli studi sono in corso e i loro risultati saranno disponibili nei prossimi tempi. Sussiste comunque la seguente domanda: quanto osservato in EMPA-REG OUTCOME® può considerarsi un effetto di classe? A questa domanda si è cercato di rispondere con l’analisi dei dati in larga parte derivati dall’insieme degli studi registrativi delle diverse molecole. La recente meta-analisi di Wu et al. (5) ha preso in considerazione i dati disponibili per Canagliflozin (CANA), Dapagliflozin (DAPA), EMPA, Ertugliflozin, Ipragliflozin, Luseogliflozin e Tofogliflozin relativamente a sei documentazioni inviate alle autorità regolatorie e 57 studi clinici per un numero complessivo di 70.910 pazienti con diabete tipo 2. Il trattamento con SGLT2i si associava a una significativa riduzione di MACE3 (morte cardiovascolare, ictus non fatale, infarto miocardico non fatale; RR 0,84; p=0,006), MACE plus (0,85, p=0,008), morte per cause cardiache (0,63, p<0,0001) e morte per ogni causa (0,71, p<0,0001). Non significativa era la riduzione del rischio di infarto del miocardio (0,88, p=0,18) o ospedalizzazione per angina instabile (0,95, p=0,70), mentre significativo era l’incremento del rischio di ictus non fatale (1,30, p=0,049). L’analisi non evidenziava differenze tra i vari SGLT2i (Fig. 4). A conclusioni simili è giunta la meta-analisi di Monami et al. (6) che ha preso in considerazione 71 studi per un numero complessivo di 47.287 partecipanti e in linea con i risultati di quella di Sonesson et al. (7) che includeva 9.339 pazienti dei quali 5.936 trattati con DAPA. In quest’ultima meta-analisi gli autori suggerivano un possibile effetto benefico di DAPA sugli outcome cardiovascolari sia nella popolazione complessiva (RR 0,77, CI95% 0,54-1,10), in quella con storia di malattia cardiovascolare (0,80, 0,53-1,22) e pazienti anziani con pregressa malattia cardiovascolare e ipertensione (0,91, 0,51-1,64) oltre a confermare una riduzione significativa del rischio di ospedalizzazione per insufficienza cardiaca.

I risultati di EMPA-REG OUTCOME®sono stati, sotto certi aspetti, superiori alle attese ma in ogni caso solidi come recentemente discusso da S. Kaul (8) almeno per quattro motivi 1) gli outcome di mortalità erano pre-specificati; 2) il numero di eventi era elevato; 3) i due dosaggi utilizzati (10 e 25 mg) presentano un profilo coerente di risultati, 4) il beneficio è stato tale da indurre la Food and Drug Administration (FDA) ad approvare una formale indicazione di cardioprotezione.

In conclusione, lo studio EMPA-REG OUTCOME®, ad oggi l’unico grande studio di outcome cardiovascolare completato con gliflozine, suggerisce un beneficio di EMPA sugli outcome cardiovascolari (MACE-3). Le più recenti meta-analisi sono coerenti con questi risultati anche per altri SGLT2i, suggerendo un probabile effetto di classe che dovrà, tuttavia, essere confermato dagli studi in corso quali DECLARE (9) e CANVAS (10).

HIGHLIGHT

Lo studio EMPA-REG OUTCOME® dimostra una riduzione significativa della mortalità per l’outcome MACE-3 (morte per cause cardiovascolari; infarto miocardico non fatale; ictus non fatale).

Si tratta dell’unico grande studio con SGLT2i sugli eventi cardiovascolari completato.

Le meta-analisi disponibili suggeriscono risultati analoghi per le altre molecole, soprattutto per quanto riguarda l’insufficienza cardiaca.

Gli studi di outcome cardiovascolare tuttora in corso saranno definitivi per dimostrare se i benefici riscontrati in EMPA-REG OUTCOME® rappresentino un probabile effetto classe.

QUALI SONO GLI EFFETI DEGLI INIBITORI SGLT2 SUGLI OUTCOME RENALI?

L’uso degli SGLT2i non è approvato in pazienti con filtrato glomerulare stimato (eGFR) <60 ml/min/1,73 m2 (inizio terapia) e <45 ml/min/1,73 m2 (prosecuzione della terapia). Questa limitazione non è dovuta a motivi di sicurezza ma alla ridotta efficacia ipoglicemizzante che si associa alla perdita di filtrato glomerulare (11).

Schernthaner et al. (12) in una meta-analisi degli studi con CANA), DAPA e EMPA condotti in pazienti con insufficienza renale lieve-moderata hanno osservato che gli SGLT2i riducono l’escrezione urinaria di albumina (AER).

Yale J-F et al. (13) hanno riportato che in pazienti con T2DM e malattia renale cronica (CKD) di stadio 3 il trattamento con CANA ai dosaggi di 100 mg e 300 mg/die per la durata di 26 settimane si associava ad un’iniziale riduzione di eGFR che tendeva poi a mantenersi nel tempo e a diminuzione statisticamente significativa di AER rispetto al PLB. Cefalu et al. (14), nello studio CANTATASU, hanno confrontato CANA con glimepiride allo scopo di valutarne sicurezza e efficacia. Nei gruppi in trattamento con CANA 100 mg e 300 mg è stata osservata un’iniziale riduzione dell’eGFR che non si aggravava nel tempo ma anzi tendeva a stabilizzarsi a valori vicini al basale. Al contrario, nel gruppo in trattamento con glimepiride si osservava una progressiva riduzione di eGFR di 5 ml/min. In una successiva analisi dello stesso studio, Heerspink et al. (15) hanno osservato che CANA era in grado di rallentare il declino della funzione renale rispetto a glimepiride, indipendentemente dagli effetti sulla glicemia. Nello studio CANTATA-SU l’andamento dell’eGFR e dell’albuminuria è stato valutato anche come rapporto albumina/creatinina urinaria (ACR) sia nell’intera coorte che in un sottogruppo con ACR >30 mg/g. In entrambe le analisi, il gruppo trattato con sulfonilurea ha mostrato un peggioramento statisticamente significativo dell’eGFR, mentre il gruppo in trattamento con CANA, dopo un’iniziale riduzione del eGFR, ha mostrato una stabilizzazione dei valori. Il gruppo dei soggetti in trattamento con CANA 300 mg ha mostrato, inoltre, una riduzione dell’ACR pari all’11,2% (p=0,01) rispetto a glimepiride. Nell’analisi del sottogruppo con ACR >30 mg/g, il trattamento con CANA continuava ad associarsi a una riduzione dell’ACR.

Effetti analoghi sono stati osservati da Heerspink et al. (16) in un’analisi post-hoc di studi con DAPA in confronto a PLB condotti in pazienti diabetici in trattamento stabile con bloccanti del sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAAS). Il trattamento con DAPA 10 mg era associato a una riduzione dell’ACR rispetto al gruppo in trattamento con PLB già dopo 4 settimane. Tale riduzione raggiungeva il 33% rispetto al gruppo con PLB dopo 12 settimane di trattamento. Anche con DAPA si osservava un’iniziale riduzione dell’eGFR con un successivo ripristino dei valori iniziali analogamente a quanto si osserva con l’uso dei farmaci bloccanti il RAAS. Inoltre, è stata osservata una riduzione dell’albuminuria (-23,5%) nei soggetti in trattamento con DAPA dopo correzione per altri fattori confondenti quali riduzione della HbA1c, della glicemia a digiuno, della pressione sistolica e del peso corporeo.

In una analisi post-hoc (17) Fioretto et al. hanno confrontato gli effetti di DAPA 5 mg e 10 mg e PLB in pazienti con CKD di stadio 3 e micro- o macro-albuminuria al basale e dopo due anni di trattamento. Nel gruppo con DAPA 5 mg si osservava una riduzione del 43,8% di ACR e, in quello trattato con DAPA 10 mg, una riduzione del 57,2% dopo correzione per l’effetto del placebo (Fig. 5).

29_2_Rassegna_1_Fig.5

L’effetto di DAPA si manteneva anche quando la variazione di ACR veniva corretta per la riduzione di HbA1c, pressione ed eGFR. I pazienti in trattamento con DAPA più frequentemente passavano a una categoria con albuminuria più bassa, mentre i pazienti in trattamento con PLB passavano più frequentemente a una categoria con albuminuria peggiore. Infine, per quanto riguarda l’eGFR, si osservava la tipica riduzione iniziale, seguita da una stabilizzazione con una variazione complessiva tra -2% e -4% rispetto ai valori basali. Kohan et al. (18) in un’analisi di 12 studi in cui erano stati utilizzati dosaggi di DAPA da 2,5 mg a 10 mg per una durata di 102 settimane hanno osservato una riduzione del eGFR nella prima settimana, seguito da un progressivo ripristino dei valori prossimi a quelli basali.

Cherney et al. (19) hanno effettuato un’analisi aggregata dei dati disponibili su EMPA in pazienti con micro- e macro-albuminuria. Gli autori hanno osservato che il trattamento con EMPA determinava una riduzione dell’albuminuria sia nei pazienti con micro- (-32% vs PLB; p<0,001) che in quelli con macro-albuminuria (-41% vs PLB; p<0,001). Anche in questo caso le differenze tra i trattamenti rimanevano significative dopo correzione per le riduzioni di HbA1c, peso e pressione arteriosa.

I dati renali più solidi al momento disponibili sono quelli forniti dallo studio EMPA-REG OUTCOME® (20) dove gli outcome renali erano pre-specificati come outcome non primari e sono stati oggetto di analisi post-hoc. I dati renali di EMPA-REG OUTCOME®appaiono tuttavia molto solidi. Della popolazione al basale dello studio il 26% era rappresentato da pazienti con un eGFR <60 ml/min/1,73 m2, il 29% de aveva micro-albuminuria e l’11% macro albuminuria. Il gruppo in trattamento con EMPA ha presentato una minore incidenza di comparsa o peggioramento della nefropatia durante lo studio (RR 0,61, p<0,001) (Fig. 6), una ridotta progressione alla macro- albuminuria (0,65, p<0,001), un minore rischio di raddoppio della creatinina serica (0,54, p<0,001), un minore ricorso alla terapia sostitutiva renale (0,45, p<0,004) rispetto al gruppo in trattamento con PLB.

29_2_Rassegna_1_Fig.6

Non è stata osservata, invece, una riduzione dell’insorgenza di micro-albuminuria in pazienti normo-albuminurici suggerendo che il trattamento con EMPA sia più efficace in prevenzione secondaria che primaria. Il trattamento con EMPA ha mostrato una riduzione statisticamente significativa rispetto al PLB relativamente all’endpoint composito costituito da raddoppio della creatininemia, inizio di terapia sostitutiva renale, morte per cause renali (0,54, p<0,001).

In EMPA-REG OUTCOME®il filtrato glomerulare ha avuto un andamento analogo a quanto mostrato negli studi sopra riportati, con una riduzione iniziale di eGFR, seguita da un ripristino dai valori a livelli basali. I risultati sono simili sia nella coorte totale che nei sotto-gruppi di pazienti con eGFR inferiore o superiore a 60 ml/min/1,73m2. Dopo la sospensione del trattamento, è stato osservato un aumento dei valori di eGFR, a conferma della natura emodinamica dell’azione di EMPA, analogamente a quanto osservato con i bloccanti del RAAS. Infine, il gruppo trattato con EMPA ha mostrato una minore incidenza di insufficienza renale acuta e danno renale acuto, inteso come peggioramento acuto della funzione renale.

Sarà interessante valutare i risultati di studi attualmente in corso come lo studio CREDENCE specificamente disegnato per valutare gli endpoint renali con l’uso di CANA in pazienti con malattia renale cronica per confermare l’effetto di classe della protezione renale osservata nello studio EMPA-REG OUTCOME®.

HIGHLIGHT

Gli inibitori di SGLT2 riducono rapidamente e persistentemente l’albuminuria nei pazienti con micro- e macro-albuminuria.

Non vi sono evidenze che il trattamento con SGLT2 inibitori prevenga lo sviluppo di micro-albuminuria in soggetti normo-albuminurici.

Gli inibitori di SGLT2 determinano una rapida riduzione del GFR che ritorna ai valori basali nei pazienti con normale funzione renale. nei pazienti con CKD 3 dopo un’iniziale riduzione del GFR si verifica una stabilizzazione del parametro.

Lo studio EMPA-REG OUTCOME® ha dimostrato, in pazienti con malattia cardiovascolare, una riduzione della perdita di GFR indipendentemente dal grado di funzione renale.

Il trattamento con empaglifozin si accompagna, nei pazienti con malattia cardiovascolare, a riduzione del rischio di sviluppare proteinuria, del tempo di raddoppio della creatinina e del tempo di raggiungimento della dialisi.

SGLT2 E PROTEZIONE NEFRO E CARDIO VASCOLARE, QUALI MECCANISMI?

Diversi studi (15, 21-24) hanno documentato come l’uso degli SGLT2i si associ a una iniziale riduzione di eGFR seguita da una stabilizzazione dello stesso e a una riduzione della escrezione urinaria di albumina (Albumin Excretion Rate, AER) con una maggior percentuale di pazienti che passano a una classe inferiore di albuminuria e una minore percentuale di pazienti che progrediscono da micro- a macro-albuminuria rispetto al PLB.

Nel valutare i possibili meccanismi di protezione renale da parte degli SGLT2i, sono di particolare interesse tre aspetti: 1. la dissociazione dell’efficacia anti-ipertensiva da quella ipoglicemizzante o di calo ponderale; 2. il ruolo dell’iperfiltrazione e della sua correzione; 3. i meccanismi di riduzione della AER, con particolare riguardo alla sinergia con i farmaci attivi sul sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAAS).

Ferrannini et al. (11) hanno osservato come, dopo somministrazione di SGLT2i, sia l’assorbimento che l’escrezione di glucosio aumentino all’aumentare della filtrazione, con un andamento parallelo e lineare, senza apparente evidenza di una soglia per la glicosuria o di saturazione dell’assorbimento. La glicosuria aumenta in modo lineare in funzione di GFR e della glicemia e quindi la sua entità può essere ragionevolmente prevista nel singolo individuo. La relazione tra GFR e entità della glicosuria implica che i pazienti con malattia renale cronica (CKD) abbiano un’importante riduzione della quantità di glucosio escreto in risposta a SGLT2i rispetto ai pazienti con normale GFR. Questo sembra non accadere per la pressione arteriosa. Heerspink et al. (15) hanno osservato una glicosuria ridotta in pazienti diabetici con eGFR <60 ml/min/1,73 m2 trattati con CANA, mentre l’effetto anti-ipertensivo del farmaco era preservato. In una analisi presentata come comunicazione al Congresso dell’American Diabetes Association del 2015 (25), Cherney et al. hanno riportato una progressiva riduzione della riduzione di HbA1c nel gruppo dei pazienti trattati con EMPA 25 mg rispetto al gruppo PLB in pazienti diabetici con alterata funzione renale stratificati per valori decrescenti di eGFR: il gruppo con i valori più bassi (<30 ml/min/1,73 m2)non mostrava nessuna differenza significativa (p=0,812) rispetto al PLB (Fig. 7).

29_2_Rassegna_1_Fig.7

Al contrario, la riduzione della pressione arteriosa sistolica (PAS) rimaneva significativa. Il meccanismo di questa dissociazione non è chiaro. È stato suggerito che i pazienti con CKD possano essere più Na+-sensibili; di conseguenza, anche se la natriuresi e la contrazione della volemia dopo SGLT2i sono proporzionalmente inferiori in presenza di CKD, questi pazienti possono manifestare un’aumentata sensibilità a variazioni anche minime della volemia, con effetti ipotensivanti persistenti. In alternativa, si può ipotizzare che l’effetto anti-ipertensivo degli SGLT2i in questi pazienti sia maggiore perché i valori pressori di partenza sono più elevati. A supporto di questo meccanismo è l’osservazione che l’aggiunta di un diuretico tiazidico al trattamento con SGLT2i non induce un ulteriore miglioramento dei valori pressori, mentre l’aggiunta di un farmaco attivo sul RAAS riduce ulteriormente la pressione. È possibile che la contrazione della volemia secondaria all’aumentata diuresi induca una modesta attivazione del RAAS correggibile dal concomitante uso di un ACE-inibitore o di un AT1 antagonista. In effetti, è stato descritto un aumento di renina, aldosterone, angiotensina. È stato anche ipotizzato che l’attivazione del RAAS possa indurre un aumento della espressione degli SGLT2 e del riassorbimento tubulare di Na+. Un certo ruolo di potenziamento dell’effetto anti-ipertensivo potrebbe essere anche svolto dall’aumento di ACE2, che è un peptide vasodilatatore, mentre non sono descritti né una aumentata biodisponibilità di ossido nitrico (NO) né una attivazione del sistema nervoso simpatico.

Diversi dati supportano il ruolo dell’iperglicemia nella genesi dell’iperfiltrazione glomerulare, e dell’iperfiltrazione come determinante di una successiva, più rapida perdita di GFR nel paziente diabetico. Persson et al. (26) ipotizzano che l’iperglicemia induca iperfiltrazione attraverso l’aumentato riassorbimento di sodio e glucosio a livello del tubulo prossimale, con riduzione del carico di sodio a livello della macula densa renale e attivazione del meccanismo di compensazione tubulo-glomerulare, dilatazione dell’arteriola glomerulare afferente che, in assenza di dilatazione dell’arteriola efferente, comporta un aumento della filtrazione glomerulare. Quest’alterazione dell’emodinamica renale ha conseguenze ancora maggiori nei pazienti ipertesi, dove viene a mancare il meccanismo di protezione del glomerulo nei confronti dell’aumento pressorio, rappresentato dalla costrizione dell’arteriola afferente (Fig. 8).

29_2_Rassegna_1_Fig.8

Ruggenenti et al. (27) hanno osservato, in pazienti affetti da T2DM, una rapida progressione verso la micro- e la macro-albuminuria nel 23,4% dei pazienti iperfiltranti rispetto al 10,6% di quelli non iperfiltranti. La rilevanza clinica dell’iperfiltrazione glomerulare risiede anche nella sua associazione con un aumentato rischio cardiovascolare. Luo et al. (28) analizzando i dati del China National Stroke Registry hanno osservato una maggiore frequenza di ictus ricorrente e morte per ictus nei pazienti con T2DM con filtrato glomerulare <45 o >120 ml/min/1,73 m2. Altay et al. (29), in pazienti diabetici stratificati per presenza di cardiopatia ischemica, hanno trovato una relazione diretta tra elevati valori di filtrato glomerulare e aumentato rischio di morte e malattia coronarica (Fig. 9).

29_2_Rassegna_1_Fig.9

Cherney et al. (30) hanno studiato in modo approfondito l’effetto della somministrazione di SGLT2i in pazienti diabetici di tipo 1. Nel modello ipotizzato dagli autori lo SGLT2i comporta un maggiore apporto di sodio alla macula densa, con una conseguente costrizione dell’arteriola afferente, riduzione della pressione intraglomerulare e riduzione della iperfiltrazione. Heerspink et al. (31) sottolineano il ruolo dell’adenosina nell’azione renale degli SGLT2i: La SGLT2 inibizione ripristina un corretto flusso tubulare distale e un corretto rilascio di NaCl alla macula densa, aumentando la produzione locale di adenosina e la vasocostrizione dell’arteriola afferente con attenuazione dello stato di iperfiltrazione.

Perkovic et al. (32) hanno confrontato gli effetti emodinamici renali degli SGLT2i con gli effetti ottenuti attraverso il blocco del RAAS. Gli SGLT2i agiscono aumentando il tono dell’arteriola afferente, mentre il blocco del RAAS riduce il tono dell’arteriola efferente. Entrambi i trattamenti possono inizialmente indurre una modesta riduzione del GFR, che – in seguito – si stabilizza, con una successiva riduzione dell’albuminuria. L’uso contemporaneo di un bloccante del RAAS e di un SGLT2i, con la contemporanea costrizione dell’arteriola afferente e la dilatazione dell’arteriola efferente, potrebbe però trasformarsi da condizione nefroprotettiva in elemento potenzialmente rischioso per il rene in presenza di ipotensione sistemica o di disidratazione con ipoperfusione renale severa. Tuttavia, dagli studi condotti (dove la maggior parte dei pazienti trattati con SGLT2i assumevano anche farmaci attivi sul RAAS), non sono emerse evidenze in tal senso, probabilmente perché i meccanismi di autoregolazione renale non sono compromessi dall’azione di questi farmaci.

Per quanto riguarda l’albuminuria, non esistono studi che abbiano le variazioni di AER come end-point primario. Un’analisi post-hoc di Fioretto et al. (17) mostra che Dapagliflozin riduce l’albuminuria in pazienti con T2DM e compromissione renale seguiti per due anni. Cherney et al. (19) hanno osservato che la terapia con EMPA riduce la micro- e la macro-albuminuria indipendentemente dalla riduzione di HbA1c, pressione arteriosa e peso.

Infine, dati del tutto preliminari suggeriscono una riduzione del Peptide Natriuretico Atriale da parte degli SGLT2i (33, 31). Non è emerso, invece, un coinvolgimento dell’ossido nitrico nelle modificazioni emodinamiche, come anche è incerto il coinvolgimento del sistema nervoso simpatico.

Infine, è stato ipotizzato che gli effetti emodinamici renali degli SGLT2i attraverso la riduzione dell’albuminuria, della PA e tramite il ripristino dell’omeostasi del sodio, la riduzione del pre- e post-carico ventricolare, possano contribuire all’effetto protettivo cardiovascolare di questi farmaci (31).

HIGHLIGHT

Gli sglt2i inducono una riduzione del filtrato glomerulare stimato (egfr) seguita da una stabilizzazione dello stesso, e una riduzione dell’albuminuria, esercitando quindi un ruolo nefro-protettivo rafforzato dalla nota efficacia anti-ipertensiva.

Il miglioramento del egfr è indipendente da glicemia e bp (effetto diretto).

L’associazione degli sglt2i con farmaci attivi sul sistema renina angiotensina aldosterone si traduce in una ulteriore riduzione della pressione arteriosa.

Il tono adrenergico non sembra essere modificato dagli
sglt2i; tuttavia i dati al riguardo sono ancora scarsi, incerti i dati su un’eventuale coinvolgimento del sistema nervoso simpatico.

La riduzione della pressione intra-glomerulare per effetto del rispristino della risposta della arteriola afferente (riattivazione del feedback tubulo-glomerulare) potrebbe essere uno dei meccanismi dell’azione sull’emodinamica renale.

I meccanismi di protezione renale potrebbero, direttamente o indirettamente, spiegare anche il miglioramento degli outcome cardiovascolari.

GLI EFETTI DEGLI INIBITORI DI SGLT2 SUGLI OUTCOME CARDIOVASCOLARI POSSO ESSERE SPIEGATI DALLA RIDUZIONE DEI FATTORI DI RISCHIO?

Gli inibitori di SGLT-2 hanno un effetto favorevole su numerosi fattori di rischio cardiovascolare: dalla glicemia alla pressione arteriosa, dal peso corporeo (in particolare il grasso viscerale) all’acido urico, dai marcatori dell’infiammazione e dello stress ossidativo alla microalbuminuria, dalla disfunzione endoteliale ad alcune componenti del profilo lipidico (34-36, 6) (Fig. 10).

29_2_Rassegna_1_Fig.10

È pertanto ipotizzabile che il trattamento con un farmaco che possieda tutti questi effetti possa comportare benefici cardiovascolari. Tuttavia, diversi studi clinici randomizzati con farmaci anti-iperglicemici come rosiglitazione (37), lixisenatide (38) e inibitori della dipeptidil-peptidasi-4 (39-40) che pure sembrano avere uno o più di questi effetti non hanno mostrato un miglioramento degli endpoint. I risultati di questi studi devono, quindi, suggerire prudenza nell’estrapolare dall’effetto sugli endpoint intermedi a quello sugli hard endpoint.

Nello studio EMPA-REG OUTCOME® gli importanti effetti su mortalità totale e cardiovascolare sembrano prescindere dall’azione di EMPA sui classici fattori di rischio quali glicemia, profilo lipidico, pressione arteriosa e peso corporeo.

Nei soggetti trattati con EMPA la differenza di HbA1c era circa 0,7% a 12 settimane, 0,5% a 108 settimane e 0,3% alla fine dello studio con una differenza media di 0,4-0,5% e, quindi, clinicamente trascurabile, almeno per quanto riguarda il rischio cardiovascolare (Fig. 11).

29_2_Rassegna_1_Fig.11

È opportuno anche sottolineare che il risultato potrebbe essere influenzato da un diverso uso dei farmaci anti-iperglicemizzanti. Lo studio prevedeva l’intensificazione della terapia come da linee guida. Questo ha comportato, nel braccio di controllo, un maggiore uso di insulina (11,5 vs. 5,8%) e di sulfoniluree (7,0 vs. 3,8%), farmaci che sono stati di per sé associati, secondo alcuni autori, a un maggiore rischio cardiovascolare (41). Il peso corporeo si riduceva di circa 3 Kg nei pazienti trattati con EMPA rispetto a quelli a PLB, con una concomitante riduzione di circa 2 cm della circonferenza addominale (Fig. 12).

29_2_Rassegna_1_Fig.12

Queste differenze, per quanto statisticamente significative, non sembrano, da sole, essere in grado di spiegare una così evidente riduzione dell’endpoint primario.

Ad esempio, nello studio Look Ahead (51) una riduzione del peso anche maggiore non ha comportato una riduzione significativa degli eventi cardiovascolari.

La pressione arteriosa sistolica era circa 4 mmHg e la diastolica circa 2 mmHg più bassa nei trattati con EMPA, senza significative variazioni della frequenza cardiaca. Quest’ultima, addirittura, presentava una certa riduzione nei primi mesi di trattamento, fenomeno che è stato interpretato come indice di miglioramento dell’attività del sistema nervoso autonomo (Fig. 13).

29_2_Rassegna_1_Fig.13

Con una riduzione di questa entità ci si poteva attendere un potenziale effetto sugli eventi cardiovascolari (42) (Fig. 14).

29_2_Rassegna_1_Fig.14

Peraltro, questa riduzione non sembra spiegare i risultati osservati in EMPA-REG OUTCOME®, nel quale, il rischio per ictus, evento solitamente correlato con la pressione arteriosa, presentava addirittura una tendenza all’aumento. Volendone anche considerare l’effetto positivo, la riduzione della pressione non può certo spiegare la rapida divaricazione del rischio di mortalità cardiovascolare e di ospedalizzazione per insufficienza cardiaca che caratterizzano EMPA-REG OUTCOME®. Ad esempio, nello studio micro-HOPE, la riduzione dei livelli pressori ottenuta con ramipril comportava sì una riduzione del rischio cardiovascolare che non si manifestava, però se non a partire dal secondo anno di trattamento (43). L’aggiunta di EMPA al trattamento in atto si è accompagnato a cambiamenti assoluti di pari entità (3-4 mg/dl) e nella stessa direzione (aumento) del colesterolo LDL e del colesterolo HDL, senza quindi significative variazioni del loro rapporto. Solidi dati epidemiologici evidenziano come un aumento del colesterolo HDL di questa entità non sia rilevante in termini di riduzione del rischio cardiovascolare, mentre un aumento del colesterolo LDL di queste dimensioni sia sostanzialmente trascurabile (44-46).

Il gruppo trattato con EMPA ha mostrato una riduzione dei valori di uricemia di 0,4 mg/dl rispetto al PLB, una differenza non trascurabile. Per quanto, dal punto di vista epidemiologico, esista una relazione tra livelli di acido urico e rischio cardiovascolare, ancora dibattuto è il ruolo dell’uricemia come fattore causale di aterosclerosi (47-48).

Un altro parametro significativamente più alto nei soggetti trattati con EMPA rispetto ai controlli è l’ematocrito. L’aumento è verosimilmente attribuibile alla contrazione del volume plasmatico per l’effetto diuretico del farmaco, anche se recenti osservazioni suggeriscono che l’inibizione SGLT2 comporti un aumento dell’eritropoietina e, quindi, dell’eritrogenesi (49). Come ricordato, la contrazione del volume plasmatico in EMPA-REG OUTCOME®non si associava a aumento della frequenza cardiaca, suggerendo che la gittata cardiaca rimanesse sui livelli di inizio del trattamento. A parità di flusso ematico, un aumento dell’ematocrito può tradursi in un maggiore apporto di ossigeno ai tessuti. L’aumentata disponibilità di ossigeno al cuore, unitamente alla riduzione del pre- e del post-carico, al miglioramento del metabolismo miocardico e di conseguenza della funzione diastolica e sistolica, potrebbe, quindi, essere invocato per spiegare almeno alcuni dei benefici cardiovascolari osservati (50).

Nel tentativo di spiegare i risultati di EMPA-REG OUTCOME® è stata recentemente eseguita una mediate analysis i cui risultati sono stati presentati all’ultimo Congresso dell’American Diabetes Association. Questa analisi prevedeva l’inclusione, come covariata, della variazione rispetto al basale oppure il valore medio durante lo studio (updated mean) di glicemia a digiuno, HbA1c, peso corporeo, circonferenza addome, pressione arteriosa, frequenza cardiaca, parametri lipidici, filtrato glomerulare, albuminuria, ematocrito, albuminemia e acido urico. In questa analisi il fattore più significativamente associato ad alcuni endpoint cardiovascolari era la variazione dell’ematocrito. La sua introduzione nel modello statistico si traduceva in un aumento dell’Hazard Ratio (HR) per morte cardiovascolare da 0,62 a 0,79 (variazione del 52%). Un effetto, pur non significativo, veniva riscontrato anche per le variazioni dell’uricemia, dell’albuminemia e della escrezione urinaria di albumina (AER), mentre i classici fattori di rischio cardiovascolare, quali ad esempio HbA1c o pressione arteriosa, non mostravano un sostanziale impatto.

Come già ricordato, gli effetti cardiovascolari in EMPA-REG OUTCOME®si sono manifestati in tempi rapidi (settimane/mesi) il che ha fatto ipotizzare che i meccanismi posti in atto non agiscano sulla parete arteriosa. Alcuni autori attribuiscono l’effetto cardioprotettivo non tanto alla variazione dei fattori di rischio aterogeno (51), quanto invece all’azione emodinamica di EMPA. Tuttavia, non è possibile escludere che agli effetti emodinamici si possano sommare nel tempo agli effetti favorevoli sulla biologia della placca aterosclerotica e, quindi, sul circolo coronarico. A questo proposito è anche opportuno ricordare come gli eventi acuti cardiovascolari siano legati più all’instabilità di placca che alla progressione del suo spessore e che la placca instabile può andare incontro a rottura per effetto di variazioni metaboliche o pressorie acute. Infine, vanno considerati gli effetti relativamente modesti ma concomitanti su più fattori di rischio cardiovascolare. La stima dell’impatto sulla mortalità cardiovascolare di variazioni simultanee di glicemia, pressione e peso corporeo corrisponde approssimativamente alla riduzione della mortalità cardiovascolare osservata in EMPA-REG OUTCOME®. Si tratta di una stima molto teorica e probabilmente imprecisa ma serve a ricordare come variazioni anche modeste di alcuni fattori di rischio nel diabete tipo 2 possono determinare benefici importanti quando ottenute con approcci terapeutici privi di effetti avversi (ad esempio ipoglicemia, aumento di peso corporeo, ecc.).

HIGHLIGHT

Nello studio EMPA-REG OUTCOME® la terapia con empagliflozin ha determinato una riduzione di glicemia, peso corporeo, pressione arteriosa e uricemia, oltre che un aumento del colesterolo hdl e dell’ematocrito.

La combinazione di effetti favorevoli, seppure apparentemente limitati, su molteplici fattori di rischio può aver contribuito alla riduzione degli eventi CV.

Si può ipotizzare che l’effetto cardiovascolare favorevole, osservato nella fase iniziale dello studio possa non essere legato alla variazione dei classici fattori di rischio mentre gli effetti a lungo termine potrebbero essere sostenuti anche da tali variazioni.

GLI EFETTI DEGLI INIBITORI DI SGLT2 SUGLI OUTCOME CARDIOVASCOLARI POSSONO ESSERE SPIEGATI DALL’UTILIZZO DI SUBSTRATI ENERGETICI ALTERNATIVI?

I risultati di EMPA-REG OUTCOME®sono superiori a quanto inizialmente atteso. Per spiegare questo aspetto, Ferrannini et al. (52) da un lato e Mudaliar et al. (53) dall’altro, hanno elaborato un’ipotesi metabolica secondo la quale l’uso di SGLT2i favorirebbe l’utilizzo cardiaco e renale di substrati energetici alternativi al glucosio. L’ipotesi parte dall’osservazione che con gli SGLT2i si determina un aumento del rapporto glucagone/insulina, una riduzione della glicemia, un modesto aumento degli acidi grassi liberi (FFA) e un incremento dei corpi chetonici. L’ipotesi presuppone un’attivazione della chetogenesi e un’aumentata utilizzazione dei corpi chetonici, in particolare di beta-idrossibutirrato (b-HB), a livello del cuore e del rene, laddove l’ossidazione di questo substrato richiederebbe meno ossigeno rispetto al glucosio (Fig. 15).

29_2_Rassegna_1_Fig.15

In assenza di insulina, b-HB e acidi grassi liberi (FFA) sono il principale substrato energetico del muscolo cardiaco, mentre in presenza di iperinsulinemia i substrati principali sono rappresentati da glucosio e piruvato (52-54). Come osservato in un precedente studio di Iozzo et al. (55) la maggiore estrazione di glucosio in presenza di iperinsulinemia si accompagna a una migliorata frazione di eiezione ventricolare. Tale effetto è meno evidente nei pazienti diabetici, nei quali l’estrazione di glucosio da parte del cuore è minore anche in presenza di insulina. Il cuore, infine, se sottoposto a pacing atriale, presenta un’estrazione frazionaria di b-HB costante in presenza di aumentato consumo di ossigeno ad indicare una capacità di utilizzare quantità via via crescenti di b-HB in funzione dell’aumentato lavoro (52, 56).

L’utilizzo di SGLT2i comporterebbe quindi una maggiore disponibilità di b-HB, ossia di un substrato captato dal cuore (ma anche dal rene) anche in assenza di insulina e più efficiente dal punto di vista energetico con una minore richiesta di consumo di ossigeno, maggiore efficienza energetica dell’idrolisi di ATP, miglioramento del lavoro cardiaco, riduzione dello stress ossidativo, stimolazione della biogenesi mitocondriale, e riduzione del rischio aritmogeno.

L’ipotesi metabolica proposta da Mudaliar e Henry (53) è sempre basata sul b-HB quale substrato con particolare efficienza energetica. Il b-HB produrrebbe, infatti, più energia (243,6 kcal/mol di due unità di carbonio) rispetto al piruvato (185,7 kcal/mol) e al glucosio (223,6 kcal/mol). In corso di trattamento con EMPA la maggior disponibilità di b-HB si tradurrebbe, quindi, in una maggiore utilizzazione a livello cardiaco e renale a sostegno degli effetti protettivi del farmaco si questi due organi (Figg. 16 e 17).

29_2_Rassegna_1_Fig.16

29_2_Rassegna_1_Fig.17

L’ipotesi necessita di opportuna validazione anche per l’esistenza di dati non necessariamente concordi con questa ipotesi metabolica. Già in passato, era stato proposto che l’iperchetonemia che si può riscontrare in soggetti con insufficienza cardiaca (IC) potesse rappresentare un tentativo di compenso metabolico per migliorare l’efficienza contrattile miocardica. Bedi et al. (57), in soggetti non diabetici con insufficienza cardiaca, hanno osservato un aumento dei livelli di FFA circolanti, ma livelli miocardici bassi sia di acidi grassi che di acetil-carnitina. Analogamente, gli autori hanno osservato aumentati livelli circolanti di b-HB, ma concentrazioni intra-miocardiche ridotte. Questa dissociazione suggerirebbe una compromissione del trasporto transmembrana di b-HB nei cardiomiociti. Il che porta a concludere che nel cuore dei pazienti con insufficienza cardiaca esiste una ridotta disponibilità sia di FFA, substrato teoricamente svantaggioso, che di b-HB, substrato di cui si postula un aumentato consumo nel tentativo di recuperare, per via metabolica, una migliore efficienza del lavoro esterno cardiaco. Negli stessi pazienti sono stati osservati livelli intramiocardici aumentati di acetil-CoA, primo substrato del ciclo degli acidi tricarbossilici (TCA) e una ridotta disponibilità di succinil-CoA, prodotto in una tappa successiva dello stesso ciclo. Questo dato suggerisce una minore funzionalità del ciclo dei TCA con accumulo di substrati all’ingresso del ciclo. In una siffatta situazione non è chiaro se l’aumentata disponibilità extra-cellulare, ma non intra-cellulare, di b-HB svolga un ruolo positivo, negativo o neutro. Non a caso, Lopaschuk (58) sostiene un’ipotesi metabolica esattamente opposta: cioè che EMPA proteggerebbe il cuore non attraverso un aumento, bensì mediante una riduzione dell’utilizzazione di b-HB. Secondo l’autore, il generalizzato minore utilizzo di b-HB in corso di trattamento con EMPA, comporterebbe da una parte l’aumento dei livelli circolanti di b-HB e dall’altra una ridotta competizione di questo con gli altri substrati, favorendo la disponibilità di glucosio, substrato che, in diversi organi, cuore in primis, si tradurrebbe in un miglioramento della funzione d’organo.

Anche questa ipotesi non è però immediatamente dimostrabile. Mather et al. (59) in uno studio con tomografia ad emissione di positroni (PET) hanno rilevato che nel cuore di soggetti normali e diabetici la somministrazione di insulina, che favorisce l’uso preferenziale di glucosio, non migliora l’efficienza energetica rispetto al lavoro esterno. Il glucosio, che pure è una molecola con rapporto P/O decisamente migliore del palmitato, non sembra essere in grado di migliorare efficienza del miocardio. Se la predizione erra nel caso del glucosio, nulla ci garantisce che debba colpire il segno nel caso del b-HB.

Per approfondire l’aspetto del risparmio di ossigeno a livello miocardico, è stata simulata la situazione energetica di un cuore normale dopo digiuno notturno, in cui la produzione energetica deriva in larghissima parte da b-HB e palmitato calcolando il contributo di glucosio, piruvato, palmitato, b-HB e glutammina per una produzione totale di 8,04 mmol/min di ATP con un consumo di ossigeno 1,67 mmol/min. Se si ipotizza un raddoppio del contributo energetico fornito dal b-HB totalmente a spese del palmitato, si può calcolare che per la produzione di 8,04 mmol/min di ATP devono essere consumate 1,61 mmol/min di ossigeno, con un risparmio del 3,8% del consumo di ossigeno. Lo stesso tipo di calcolo suggerisce che a livello del rene un siffatto shift energetico comporterebbe un risparmio del 3,9% di ossigeno (Bonadonna R, comunicazione personale). In pratica, risparmi di entità molto limitata.

Infine ancora rimane da definire la natura dell’aumento dei corpi chetonici in corso di trattamento con SGLT2i. Da un lato si ipotizza un’attivazione della chetogenesi, dall’altro una ridotta utilizzazione dei corpi chetonici a livello dei tessuti periferici. Intrigante a questo proposito è il dato di Daniele et al. (60) che riporta come la capacità di sintetizzare ATP in vitro dei mitocondri del muscolo scheletrico di soggetti trattati con DAPA, crolli drammaticamente. Da un lato, questo dato fa sorgere domande circa la funzionalità, nel soggetto diabetico, dei mitocondri di altri parenchimi, inclusi miocardio e rene; dall’altro, suggerisce che, durante trattamento con SGLT2i, l’aumento dei corpi chetonici circolanti potrebbe essere dovuto, non alla aumentata produzione epatica quanto alla ridotta utilizzazione a livello del muscolo scheletrico.

In conclusione, l’ipotesi metabolica come potenziale spiegazione degli effetti clinici ottenuti con EMPA, è complessa e necessita di una dimostrazione sperimentale motivo per il quale darà adito a un robusto corpus di studi.

HIGHLIGHT

L’ipotesi metabolica propone che l’utilizzo degli sglt2i sposti il metabolismo verso l’uso di corpi chetonici (soprattutto idrossibutirrato) come substrato energetico alternativo al glucosio. Questo avverrebbe nel rene e cuore ma non nel muscolo scheletrico.

In un modello energetico che ipotizza una riduzione del 50% dell’uso degli acidi grassi liberi ed il raddoppio dell’estrazione di idrossibutirrato il risparmio di ossigeno calcolato è -3-5%.

Nel cuore scompensato dei soggetti non diabetici l’efficienza di utilizzo idrossibutirrato è potenzialmente limitata.

In alternativa a tale ipotesi, è stato proposto che l’effetto protettivo degli sglt2i sia dovuto non all’uso preferenziale ma all’inibizione dell’utilizzo di idrossibutirrato, con minore competizione delle vie metaboliche per il glucosio.

IN QUALI PAZIENTI AD ALTO RISCHIO CARDIOVASCOLARE è INDICATA LA TERAPIA CON GLI INIBITORI DI SGLT2?

Per una risposta più esauriente può essere più utile scomporre il quesito principale in cinque quesiti specifici facendo riferimento soprattutto ai dati forniti dallo studio EMPA-REG OUTCOME®e cioè l’unico trial cardiovascolare finora disponibile con un SGLT2i-inibitore.

Quale popolazione di pazienti ha mostrato benefici CV e renali in EMPA-REG Outcome®?

EMPA-REG OUTCOME® (1-2) è un ampio studio condotto in pazienti con T2DM e pregressa malattia cardiovascolare. I pazienti di EMPA-REG OUTCOME® avevano un’età media di 63 anni comparabile nei tre gruppi PLB e EMPA 10 mg e 25 mg. L’HbA1c media basale era di 8,08% nel gruppo PLB; 8,06 nel gruppo EMPA 10 mg; 8,06 nel gruppo EMPA 25 mg. La terapia anti-iperglicemizzante di base era simile nei tre gruppi con un uso di insulina confrontabile (PLB: 48,6%; EMPA 10 mg: 48,3%; EMPA 25 mg: 47,8%). Il 26% della popolazione dello studio presentava una eGFR <60 ml/min/1,73m2. Il 47% dei pazienti aveva un pregresso infarto miocardico (IM) e il 10% insufficienza cardiaca (IC) senza differenze nei tre gruppi di trattamento. L’Indice di Massa Corporea (BMI) era di 30 kg/m2 nei trattati e nei controlli. La maggioranza dei pazienti era in trattamento per vari fattori di rischio cardiovascolare (80% ACE inibitori, 77% statine; 82% acido acetilsalicilico) in coerenza con il fatto che tutti i pazienti erano in prevenzione secondaria. In sostanza la popolazione dello studio EMPA-REG OUTCOME® per la quale è stata dimostrata un’efficacia in termini di protezione cardiovascolare è una popolazione di soggetti tendenzialmente anziani, in sovrappeso o obesi, con controllo glicemico non soddisfacente nonostante terapie anti-iperglicemizzanti combinate spesso con il ricorso alla terapia insulinica, con compromissione aterosclerotica di almeno un distretto vascolare arterioso (coronarie, arterie cerebrali, e/o arterie degli arti inferiori) per il quale era in atto un’appropriata prevenzione cardiovascolare secondaria.

Vi è evidenza che il beneficio fosse diverso in base al profilo di rischio CV?

La sub-analisi dei sottogruppi con diverso profilo di rischio cardio-vascolare non ha evidenziato differenze per l’outcome primario, fatta eccezione par i pazienti che presentavano la sola malattia cerebrovascolare, nei quali è emerso un RR per MACE-3 di 1,15 rispetto allo 0,86 della popolazione totale. Bisogna però usare cautela nell’interpretare questo tipo di risultati in primo luogo perché questo non era un primary outcome e perché il potere statistico scema per il numero necessariamente piccolo una volta distinti i sottogruppi. Fitchett et al. (4) osservano che nei pazienti di EMPA-REG OUTCOME® la presenza o assenza di Insufficienza Cardiaca (IC) non modificava il beneficio del trattamento: in particolare per l’ospedalizzazione per IC il RR era 0,65 nella popolazione totale, 0,59 nei pazienti senza storia di IC e 0,75 in quelli con storia di IC. Analogamente, il beneficio osservato sulla progressione della nefropatia non variava in funzione del diverso profilo di rischio CV. In conclusione, i dati di EMPA-REG mostrano che in pazienti con diabete tipo 2 e pregressa storia di malattia cardiovascolare il trattamento con EMPA fornisce una protezione che è indipendente dal profilo di rischio CV di base e dalla presenza o assenza di IC.

Vi è evidenza che il beneficio fosse diverso in base al grado di compromissione renale?

L’outcome renale è stato specifico oggetto di una sub-analisi dello studio EMPA-REG OUTCOME® nella quale la popolazione dello studio è stata suddivisa in base a eGFR: ≥90; <90-60; <60 (2). Nei tre gruppi non sono state riscontrate differenze significative per l’outcome primario (p=0,2), per la morte per cause cardiovascolari (p=0,15), per l’ospedalizzazione per IC e la morte o ospedalizzazione per IC. In una successiva analisi, Wanner et al. (20) hanno esplorato l’effetto di EMPA sull’outcome renale in funzione di valore basali di eGFR (<45; 45-<60; 60-<90; ≥90). Anche in questo caso né i valori di eGFR né la presenza o assenza di micro/macroalbuminuria avevano influenza alcuna sugli outcome renali (frequenza di raddoppio della creatininemia, di inizio di terapia sostitutiva renale e di morte per cause renali). Pazienti con eGFR <60 o ≥60 non mostravano differenze nella frequenza e gravità degli eventi avversi. Infine, il beneficio del trattamento rimaneva invariato anche in pazienti con eGFR <60 e microalbuminuria.

I risultati ottenuti con altri SGLT2i sono in linea con quelli di EMPA-REG OUTCOME®. Nell’analisi di Fioretto et al. (17) il trattamento di pazienti affetti da T2DM e malattia renale cronica stadio III con DAPA si associava, rispetto al trattamento con placebo a una riduzione della AER. Dati simili sono stati osservati per CANA (15).

In conclusione, i dati disponibili suggeriscono che la cardioprotezione conferita dagli SGLT2i sarebbe indipendente dal grado di funzione renale (definito in base a eGFR o AER). Peraltro, al momento, gli SGLT2i continuano a non essere indicati per un eGFR <45 ml/min/1,73 m2 mentre per un eGFR <60 ml/min/1,73 m2 non si può iniziare il trattamento, o se il trattamento è già in corso, si deve ridurre il dosaggio a 10 mg/die. Questa mancanza di indicazione è da attribuirsi più alla ridotta efficacia anti-iperglicemica e non tiene conto, al momento, dei benefici osservati in particolare in EMPA-REG OUTCOME® a livello cardiaco e renale.

Vi sono pazienti ad alto rischio CV in cui gli SGLT2 inibitori non sono indicati?

In linea generale gli SGLT2i andrebbero usati con cautela nei soggetti con età >65 anni, soprattutto in presenza di ipotensione ortostatica o evidenze di riduzione del volume plasmatico o condizioni favorenti. Al momento non trovano indicazione, come già discusso, in presenza di malattia renale cronica, più specificamente non trovano indicazione per un eGFR <45 ml/min/1,73 m2 mentre per un eGFR <60 ml/min/1,73 m2 non si può iniziare il trattamento, o se il trattamento è già in corso, si deve ridurre il dosaggio a 10 mg/die. Inoltre, gli SGLT2i non trovano indicazione nei soggetti con frequenti infezioni genitali o del tratto urinario, in caso di deficit di insulina o rischio di chetoacidosi

Leiter et al. (61) in uno studio condotto in pazienti con T2DM trattati con DAPA (n=482) o PLB (n=480) in aggiunta a terapia standard, stratificati per età (<65 e ≥65 anni), ha dimostrato come l’efficacia di DAPA sia indipendente dalla classe di età. Nei pazienti con età >75 anni, al termine di 24 settimane di trattamento, l’efficacia di DAPA era simile a quella riscontrata nella popolazione generale dello studio sia per quanto riguarda l’HbA1c (-0,2%, da -0,6 a -0,2%), il peso (-2,4 kg, da -3,7 a -1,1 kg) e la PAS (-3,5, da -10,8 a -3,8 mmHg). Questi risultati venivano confermati anche dopo 52 settimane di trattamento con l’eccezione della pressione arteriosa che non risultava più statisticamente diversa rispetto al trattamento con PLB. Solo in questo stesso gruppo di soggetti si riscontrava un più frequente un peggioramento della funzione renale.

In sintesi, usando gli SGLT2i in pazienti ad alto rischio CV valgono le stesse cautele consigliate nella popolazione generale di diabetici tipo 2 con particolare attenzione nei pazienti più anziani in quanto a maggiore rischio di peggioramento della funzione renale o di episodi di riduzione del volume circolante.

I benefici osservati in EMPA-REG OUTCOME® possono essere estrapolati a pazienti con diagnosi di diabete più recente e senza complicanze CV?

La meta-analisi di Sonesson et al. (7) ha incluso pazienti trattati con DAPA con un profilo di rischio CV meno severo di quello dei pazienti di EMPA-REG OUTCOME® suggerendo come anche in questi soggetti l’outcome cardiovascolare apparisse migliorato. Questa analisi è però limitata dal basso numero di eventi, dalla breve durata degli studi e dal carattere retrospettivo dell’indagine. La meta-analisi di Wu et al. (5) include una popolazione di 70.910 soggetti con T2DM con età compresa tra i 48 e i 68 anni e una percentuale di donne che varia dal 14% al 56% trattati con EMPA, DAPA o CANA. Lo studio riporta un beneficio nella riduzione dei MACE con EMPA e DAPA ma non con CANA. Un’analoga meta-analisi è quella compiuta da Tang et al. (62) su 37 studi per un totale di 29.859 pazienti. Nei vari confronti solo EMPA risultava statisticamente associata a una riduzione del rischio di mortalità per tutte le cause (RR 0,67, 95% CI 0,56-0,81) e di eventi cardiovascolari maggiori (0,81, 95% CI 0,70-0,93). Gli autori specificano tuttavia che il risultato è largamente influenzato dai risultati di EMPA-REG OUTCOME®. Infine, nella meta-analisi di Savarese et al. (39) EMPA si associava a una significativa riduzione del rischio di morte per tutte le cause (0,69; 95% CI: 0,58-0,82), di morte CV (0,62; 95% CI: 0,50-0,77) e IC (0,66; 95% CI: 0,51-0,84), senza effetti sul rischio di IM e ictus. CANA riduceva in maniera significativa il rischio di IM (0,48; 95% CI: 0,24-0,99), senza effetto sulla mortalità e sugli outcome CV mentre per DAPA non si mostravano effetti sulla mortalità o gli outcome CV.

I risultati, come ben si nota, non sono univoci e quindi non è chiaro se i benefici osservati nella popolazione di pazienti ad alto rischio CV di EMPA-REG OUTCOME® possano, tout court, estendersi anche ai pazienti con durata di malattia più breve e a più basso rischio CV e all’uso delle altre molecole della classe. Va però ricordato il carattere esplorativo delle meta-analisi e la variabilità dei risultati (ben evidente) che può essere il risultato dei criteri adottati per la selezione degli studi da includere e le metodologie di analisi impiegate. Solo studi clinici controllati e prospettici come DECLARE con DAPA e CANVAS con CANA, attualmente in corso, potranno fornire elementi chiarificatori.

HIGHLIGHT

I benefici sugli outcome CV e sulla ospedalizzazione per scompenso cardiaco osservati con EMPA si riferiscono a pazienti con T2DM ad alto rischio per la presenza di CVD conclamata (anche senza eventi CV), in trattamento spesso con insulina (50%), e con vari farmaci CV. L’effetto protettivo non mostra segni di eterogeneità per alcuno dei fattori considerati (tipologia di CVD, età, A1c, BMI, HF, funzionalità renale…).

I benefici sugli outcome renali osservati con EMPA non mostrano segni di eterogeneità per alcuno dei fattori considerati, in particolare la tipologia di CVD e la funzionalità renale o l’entità della albuminuria).

SGLT2i appaiono efficaci anche per eGFR <60/45 ml/min. Il rapporto rischio-beneficio potrebbe richiedere ulteriori verifiche soprattutto nei pz più anziani.

Le Linee Guida della Canadian Diabetes Association 2016 indicano che gli SGLT2i, in particolare EMPA dovrebbero essere la scelta subito dopo la metformina in pazienti con T2DM e CVD.

Rimangono aperte le questioni relative alla prevenzione primaria di CVD e CKD nonché riguardo alla possibilità di un effetto classe per quanto riguarda gli outcome cardiovascolari.

Qual è il profilo di sicurezza e tollerabilità degli inibitori di SGLT2 nei soggetti ad alto rischio cardiovascolare?

Negli ultimi due anni la Food and Drug Administration (FDA) ha pubblicato una serie di avvisi di sicurezza relativi all’uso di alcuni SGLT2i, generando a volte allarme ma soprattutto discussione sul profilo di sicurezza di questi farmaci, anche alla luce degli evidenti effetti cardio- e nefro-protettivi evidenziati da EMPA-REG OUTCOME®. In questa breve revisione cercheremo di fare il punto delle situazioni di maggior interesse.

Chetoacidosi/chetoacidosi euglicemica (DKA/ eDKA)

FDA ha pubblicato un avviso di sicurezza relativo all’insorgenza di chetoacidosi (DKA) che si presenterebbe caratteristicamente in presenza di glicemia pressoché normale (chetoacidosi euglicemica, eDKA) in pazienti trattati con SGLT2i (63). I bassi livelli di glicemia sono l’ovvio risultato dell’effetto glicosurico degli SLT2i, mentre un aumento dei corpi chetonici pare giustificato dall’aumentata disponibilità di acidi grassi indotta dal  passaggio dal metabolismo glucidico a quello lipidico e dall’aumento, a livello portale, del rapporto glucagone: insulina. Una ridotta utilizzazione a livello del muscolo scheletrico potrebbe ulteriormente contribuire all’accumulo in circolo di corpi chetonici (64). Ciononostante, in un’analisi condotta sugli oltre 40.000 soggetti coinvolti negli studi registrativi di CANA, DAPA ed EMPA la frequenza di DKA non ha superato lo 0,1% (65). Un’analoga frequenza, simile tra bracci attivi e braccio di controllo con PLB, è stata riscontrata nel trial EMPA-REG OUTCOME® che ha seguito oltre 7.000 pazienti con T2DM per almeno 3 anni (2). Tang et al. (66), in una meta-analisi di 10 studi randomizzati (13.134 pazienti) hanno confrontato la frequenza di DKA nei pazienti trattati con SGLT2i rispetto a quelli in trattamento con altri farmaci per diabete senza documentare alcun aumento del rischio con SGLT2i. Gli autori, tuttavia, considerano che condizioni quali il marcato deficit di insulina, il Latent Autoimmune Diabetes of Adult (LADA), e le condizioni di stress (interventi chirurgici, infezioni, ecc.) possono favorire l’insorgenza di DKA. In linea con questa osservazione Ogawa e Sagakuchi (67), esaminando gli episodi di DKA riportati con CANA hanno sottolineato come 11 dei 13 episodi erano insorti in soggetti con diabete tipo 1 (condizione priva di indicazione da parte delle Autorità Competenti caratterizzata da deficit di secrezione endogena di insulina) mentre per gli altri due casi, si è trattato di pazienti sottoposti a procedure di chirurgia addominale con successivo digiuno.

Alla luce dei possibili meccanismi che sottendono l’aumento dei livelli di corpi chetonici, la raccomandazione più prudente è di sospendere il trattamento con SGLT2i in presenza di eventi stressanti quali interventi chirurgici, procedure diagnostiche invasive, gravi infezioni in modo analogo a quanto già avviene con il trattamento con metformina evitandone l’uso nei pazienti con diabete tipo 1 per i quali non esiste, al momento, indicazione formale (Fig. 18).

29_2_Rassegna_1_Fig.18

Infezioni dell’apparato genitale (GI)

L’infezione dell’apparato genitale (GI) è l’evento avverso più frequente associato all’uso degli SGLT2i, evento che più caratteristicamente interessa il sesso femminile con una prevalenza di candidosi (69-74). Li et al. (68) in una meta-analisi di 52 studi clinici randomizzati (36.689 pazienti) hanno osservato una maggiore frequenza di GI nei pazienti in trattamento con CANA, DAPA, ed EMPA rispetto ai controlli, con un OR che va da 3,21 (CI95% 2,08-4,93) per DAPA 2,5 mg a 5,23 (CI95% 3,86-7,09) per CANA 300 mg e 3,78 per EMPA 10 mg (CI95% 2,92-4,89). Johnsson et al. (69) in un’analisi di 12 studi registrativi con DAPA (3.512 trattati; 1.393 controlli) hanno riportato un’incidenza di GI dello 0,9% nel gruppo a PLB, del 4,1% nel gruppo DAPA 2,5 mg, del 5,7% nel gruppo DAPA 5 mg e del 4,8% nel gruppo DAPA 10 mg. Del Prato et al. (70) in uno studio di confronto tra DAPA (406 pazienti) e glipizide (408 pazienti) hanno evidenziato un’incidenza di GI del 14,3% nei trattati e del 2,9% nei controlli. Per quanto riguarda EMPA, Haring et al. (71) su 638 pazienti (10 mg=217; 25 mg=214; PLB=207 pazienti) hanno rilevato una frequenza di GI significativamente superiore nei trattati rispetto al PLB (0% PLB; 3,7% EMPA 10 mg; 4,7% EMPA 25 mg). Per CANA Bode et al. (72) hanno osservato un’aumentata frequenza di GI nel gruppo trattato (2,5% PLB; 14,5% CANA 100 mg; 14,4 CANA 300 mg). Anche nello studio EMPA-REG OUTCOME®, le infezioni generali erano di gran lunga l’effetto collaterale più frequente (1).

A fronte della loro relativamente frequente comparsa, le infezioni genitali sono usualmente di lieve entità, rispondono ai comuni presidi antibiotici o anti-micotici e raramente comportano l’interruzione del trattamento. È opportuno, con l’inizio della terapia con SGLT2i un adeguato counseling” relativamente all’igiene intima al fine di minimizzare questi episodi. Un’osservazione recente è quella di una minore evidenza delle GI quando, ad esempio, DAPA veniva utilizzata in combinazione con inibitori DPP4 (73), anche se studi ad hoc potrebbero essere necessari per valutare se questo fenomeno sia clinicamente significativo.

Infezioni delle vie urinarie (UTI)

L’analisi di Rizzi e Trevisan (74) riporta un aumento non statisticamente significativo della frequenza di UTI in pazienti trattati con SGLT2i. Johnsson et al. (69) nella loro analisi di studi randomizzati, osservano nel gruppo PLB una percentuale di UTI del 3,7%; la corrispondente percentuale con DAPA 2,5 mg è stata del 3,6% per aumentare a 4,3% e 5,7% con DAPA 5 e 10 mg, rispettivamente. Del Prato et al. (70) hanno registrato, nel corso di 4 anni di follow-up, una frequenza cumulativa di UTI del 13,5% nel gruppo DAPA rispetto al 9,3% del gruppo glipizide. Per quanto riguarda EMPA, lo studio di Haring et al. (71) registravano UTI nel 5,1% dei pazienti trattati con EMPA 10 mg; nel 5,6% dei pazienti trattati con EMPA 25 mg e nel 4,9% dei pazienti del gruppo a PLB. Lo studio EMPA-REG OUTCOME® (1-2) già più volte citato, non evidenzia aumento alcuno del rischio di UTI nel gruppo trattato con EMPA. Per quel che riguarda CANA, Nyiriesy et al. (75) in uno studio di fase 2 su 198 soggetti trattati per 12 settimane non hanno trovato differenze nell’incidenza di UTI. Ugualmente Usiskin et al. (76) in un’analisi aggregata di quattro studi di fase 3 con CANA 100 mg e 300 mg su 2.313 pazienti trattati per 26 settimane, non hanno rilevato differenze statisticamente significative. Infine Bode et al. (72) nello studio di fase 3 su 714 pazienti trattati per 104 settimane con CANA o PLB registrava un’incidenza di UTI del 10,1% nel gruppo PLB (237 pazienti); del 14,5% nel gruppo CANA 100 mg (241 pazienti) e del 16,1% nel gruppo CANA 300 mg (236 pazienti).

In sintesi, il progressivo aumento dei dati sembra indicare, al massimo, un modesto aumento di infezione delle vie urinarie, anche in questo caso di modesta entità e di facile controllo con l’abituale terapia antimicrobica. Infine, non sono state segnalate sinora infezioni severe delle alte vie urinarie (pielonefriti) con l’uso di questi farmaci.

Fratture

Nel 2015, la FDA ha pubblicato un aggiornamento delle avvertenze relative al rischio di fratture in pazienti in trattamento con CANA (77). Bilezkian et al. (78) in uno studio su pazienti anziani con T2DM trattati con CANA hanno osservato una riduzione della densità ossea (BMD) all’anca e un aumento dei marcatori di riassorbimento osseo. Watts et al. (79) analizzando nove studi con CANA e lo studio CANVAS (80) hanno osservato, nell’analisi aggregata degli otto studi non-CANVAS (5.867 pazienti), un’incidenza simile di fratture nel gruppo CANA (1,7%) e nel gruppo controllo (1,5%). Nei pazienti dello studio CANVAS, il gruppo trattato ha presentato un’incidenza di fratture del 4% a fronte del 2,6% nel gruppo PLB. Nella popolazione generale l’incidenza delle fratture era del 2,7% con CANA e del 1,9% nel gruppo di controllo. Gli autori concludono che le ragioni di questa differenza non sono note e ipotizzano che trattandosi di pazienti più anziani e a maggior rischio cardiovascolare, possa esserci un maggior numero di cadute legato alla riduzione pressoria. Tang et al. (81) hanno effettuato un’ampia meta-analisi su 38 studi clinici randomizzati su CANA, DAPA e EMPA con una popolazione totale di 30.384 pazienti. La percentuale di fratture è stata di 1,59% nel gruppo SGLT2i, e 1,56% nel gruppo di controllo, con una differenza non statisticamente significativa. Nessun segnale di aumento del rischio di fratture veniva riscontrato nello studio EMPA-REG.

Si può concludere per una sostanziale sicurezza per DAPA ed EMPA per quanto riguarda il rischio di fratture ossee, mentre i risultati per CANA non sono univoci ma lo studio CANVAS saprà fornire elementi interpretativi più solidi.

Insufficienza renale acuta, alterazioni del potassio

Nel giugno 2016 la FDA ha emesso un nuovo avviso di sicurezza, questa volta relativo a 101 casi di danno renale acuto (acute kidney injury) in pazienti in trattamento con SGLT2i (73 CANA, 28 DAPA) (82). Quando il rischio di danno renale acuto veniva valutato, ad esempio con un’ampia meta-analisi come quella di Storgaard et al. (83) (34 studi clinici randomizzati, 9.154 pazienti) non si poteva, però, riscontrare alcun aumento del rischio per questo evento avverso. A conclusioni simili è giunta la meta-analisi di Wu et al. (5) già citata in questo documento.

Per quanto riguarda la possibilità di ipo- o iper-potassiemia, Yavin et al. (84) in un’analisi aggregata di 13 studi randomizzati a DAPA (2.360 pazienti) o PLB (2.295 pazienti) non registrava episodi di alterazioni elettrolitiche significative. Weir et al. (85) in un’analisi aggregata di studi su CANA per un totale di 2.936 pazienti, riportano che nei pazienti trattati con CANA con 100 mg o 300 mg si potevano osservare solo modesti incrementi medi percentuali della potassiemia con lievi, non significative, alterazioni degli altri elettroliti.

Altre evidenze di rischio e conclusioni

A parte le iniziali dubbie segnalazioni di un aumento del rischio di neoplasia della vescica riportate con DAPA tutti i successivi dati hanno smentito una qualsivoglia associazione di tutti i componenti della classe degli SGLT2i e il rischio di neoplasia (86).

L’ultimo avviso di sicurezza di FDA fa riferimento a un aumentato tasso di amputazioni a livello distale. Pochi o pressoché nulli sono i dettagli forniti e la stessa FDA conclude che queste osservazioni necessitano di ulteriori verifiche (87).

Infine, cautela è stata suggerita con l’uso degli SGLT2i in concomitanza con i diuretici dell’ansa per un maggiore possibile rischio di disidratazione, ipovolemia, e riduzione della funzione renale. Al contrario non paiono esistere interazioni con ACE-inibitori o inibitori del sistema renina-angiotensina, combinazione per la quale è stata anche suggerito un potenziale vantaggio (88).

La farmacovigilanza e gli studi a lungo termine potranno fornire ulteriori dati, mentre per la pratica quotidiana rimane fondamentale la semplice ma importante norma dell’approfondita conoscenza della scheda tecnica dei singoli farmaci utilizzati.

HIGHLIGHT

La chetoacidosi è un evento avverso prevedibile che può verificarsi soprattutto in condizioni particolari (insufficienza beta cellulare, lada, stress fisici, interventi chirurgici) che il medico dovrà valutare preventivamente per istruire il paziente.

Le infezioni genitali sono l’evento avverso più comune, e generalmente sono di lieve entità.

Le infezioni del tratto urinario non sono rilevanti.

Non esistono dati conclusivi su un eventuale aumentato rischio di fratture, comunque numericamente limitato.

Non si rilevano alterazioni significative degli elettroliti.

Non si rilevano segnali di rischio neoplastico.

BIBLIOGRAFIA

1. Zinman B, Inzucchi SE, Lachin JM, et al. Rationale, design, and baseline characteristics of a randomized, placebo-controlled cardiovascular outcome trial of empagliflozin (EMPA-REG OUTCOMETM). Cardiovasc Diabetol 13: 102, 2014 doi: 10.1186/1475-2840-13-102.

2. Zinman B, Wanner C, Lachin JM, et al. Empagliflozin, Cardiovascular Outcomes, and Mortality in Type 2 Diabetes. N Engl J Med 373(22): 2117-2128, 2015 doi:10.1056/NEJMoa1504720.

3. Scandinavian simvastatin study group. Randomised trial of cholesterol lowering in 4444 patients with coronary heart disease: the Scandinavian Simvastatin Survival Study (4S). Lancet (London, England) 344(8934): 1383-1389, 1994. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/7968073. Accessed November 17, 2016.

4. Fitchett D, Zinman B, Wanner C, et al. Heart failure outcomes with empagliflozin in patients with type 2 diabetes at high cardiovascular risk: results of the EMPA-REG OUTCOME® trial. Eur Heart J 37(19): 1526-1534, 2016. doi:10.1093/eurheartj/ehv728.

5. Wu JHY, Foote C, Blomster J, et al. Effects of sodium-glucose cotransporter-2 inhibitors on cardiovascular events, death, and major safety outcomes in adults with type 2 diabetes: A systematic review and meta-analysis. Lancet Diabetes Endocrinol 4(5): 411-419, 2016. doi:10.1016/S2213-8587(16)00052-8.

6. Monami M, Dicembrini I, Mannucci E. Effects of SGLT-2 inhibitors on mortality and cardiovascular events: a comprehensive meta-analysis of randomized controlled trials. Acta Diabetologica http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/27488726. Published August 4, 2016. Accessed December 21, 2016.

7. Sonesson C, Johansson PA, Johnsson E, Gause-Nilsson I. Cardiovascular effects of dapagliflozin in patients with type 2 diabetes and different risk categories: a meta-analysis. Cardiovasc Diabetol 15: 37, 2016. doi:10.1186/s12933-016-0356-y.

8. Kaul S. Is the Mortality Benefit with Empagliflozin in Type 2 Diabetes Mellitus Too Good to Be True? Circulation 134(2): 94-96, 2016. doi:10.1161/CIRCULATIONAHA.116.022537.

9. ClinicalTrials.gov. Multicenter Trial to Evaluate the Effect of Dapagliflozin on the Incidence of Cardiovascular Events – Full Text View – ClinicalTrials.gov. https://www.clinicaltrials.gov/ct2/show/NCT01730534?term=TIMI+declare&rank=1. Accessed November 19, 2016.

10. ClinicalTrials.gov. CANVAS – CANagliflozin cardioVascular Assessment Study (CANVAS). https://clinicaltrials.gov/ct2/show/NCT01032629. Published 2016. Accessed November 19, 2016.

11. Ferrannini E, Veltkamp SA, Smulders RA, Kadokura T. Renal glucose handling: impact of chronic kidney disease and sodium-glucose cotransporter 2 inhibition in patients with type 2 diabetes. Diabetes Care 36(5): 1260-1265, 2013. doi:10.2337/dc12-1503.

12. Schernthaner G, Mogensen CE, Schernthaner G-H. The effects of GLP-1 analogues, DPP-4 inhibitors and SGLT2 inhibitors on the renal system. Diabetes Vasc Dis Res 11(5): 306-323, 2014. doi:10.1177/1479164114542802.

13. Yale J-F, Bakris G, Cariou B, et al. Efficacy and safety of canagliflozin in subjects with type 2 diabetes and chronic kidney disease. Diabetes Obes Metab 15(5): 463-473, 2013. doi:10.1111/dom.12090.

14. Cefalu WT, Leiter LA, Yoon K-H, et al. Efficacy and safety of canagliflozin versus glimepiride in patients with type 2 diabetes inadequately controlled with metformin (CANTATA-SU): 52 week results from a randomised, double-blind, phase 3 non-inferiority trial. Lancet (London, England) 382(9896): 941-950, 2013. doi:10.1016/S0140-6736(13)60683-2.

15. Heerspink HJL, Desai M, Jardine M, Balis D, Meininger G, Perkovic V. Canagliflozin Slows Progression of Renal Function Decline Independently of Glycemic Effects. J Am Soc Nephrol. August 2016. doi:10.1681/ASN.2016030278.

16. Heerspink HJL, Johnsson E, Gause-Nilsson I, Cain VA, Sjöström CD. Dapagliflozin reduces albuminuria in patients with diabetes and hypertension receiving renin-angiotensin blockers. Diabetes Obes Metab 18(6): 590-597, 2016. doi:10.1111/dom.12654.

17. Fioretto P, Stefansson B V, Johnsson E, Cain VA, Sjöström CD. Dapagliflozin reduces albuminuria over 2 years in patients with type 2 diabetes mellitus and renal impairment. Diabetologia 59(9): 2036-2039, 2016. doi:10.1007/s00125-016-4017-1.

18. Kohan DE, Fioretto P, Johnsson K, Parikh S, Ptaszynska A, Ying L. The effect of dapagliflozin on renal function in patients with type 2 diabetes. J Nephrol 29(3): 391-400, 2016. doi:10.1007/s40620-016-0261-1.

19. Cherney D, Lund SS, Perkins BA, et al. The effect of sodium glucose cotransporter 2 inhibition with empagliflozin on microalbuminuria and macroalbuminuria in patients with type 2 diabetes. Diabetologia 59(9): 1860-1870, 2016. doi:10.1007/s00125-016-4008-2.

20. Wanner C, Inzucchi SE, Lachin JM, et al. Empagliflozin and Progression of Kidney Disease in Type 2 Diabetes. N Engl J Med 375(4): 323-334, 2016. doi:10.1056/NEJMoa1515920.

21. Perkovic V, Jardine M, Vijapurkar U, Meininger G. Renal effects of canagliflozin in type 2 diabetes mellitus. Curr Med Res Opin 31(12): 2219-2231, 2015. doi:10.1185/03007995.2015.1092128.

22. Yale J-F, Bakris G, Cariou B, et al. Efficacy and safety of canagliflozin over 52 weeks in patients with type 2 diabetes mellitus and chronic kidney disease. Diabetes, Obes Metab 16(10): 1016-1027, 2014. doi:10.1111/dom.12348.

23. Kohan DE, Fioretto P, Tang W, List JF. Long-term study of patients with type 2 diabetes and moderate renal impairment shows that dapagliflozin reduces weight and blood pressure but does not improve glycemic control. Kidney Int 85(4): 962-971, 2014. doi:10.1038/ki.2013.356.

24. Wanner C, Inzucchi SE, Lachin JM, et al. Empagliflozin and Progression of Kidney Disease in Type 2 Diabetes. N Engl J Med 375(4): 323-334, 2016. doi:10.1056/NEJMoa1515920.

25. Cooper M, Cherney D, Crowe S, Johansen O, Lund S, HJ W. A Phase III Randomised, Double-blind, Placebo-controlled, Parallel Group, Efficacy and Safety Study of BI 10773 (10 mg, 25 mg) Administered Orallly, Once Daily Over 24 Weeks in Patients With Type 2 Diabetes Mellitus With Insufficient Glycaemic Control Des. In: American Diabetes Association Meeting, 2015, 1177-P, 2015 http://adisinsight.springer.com/trials/700057731.

26. Persson P, Hansell P, Palm F. Tubular reabsorption and diabetes-induced glomerular hyperfiltration. Acta Physiol (Oxf) 200(1): 3-10, 2010. doi:10.1111/j.1748-1716.2010.02147.x.

27. Ruggenenti P, Porrini EL, Gaspari F, et al. Glomerular hyperfiltration and renal disease progression in type 2 diabetes. Diabetes Care 35(10): 2061-2068, 2012. doi:10.2337/dc11-2189.

28. Luo Y, Wang X, Wang Y, et al. Association of glomerular filtration rate with outcomes of acute stroke in type 2 diabetic patients: results from the China National Stroke Registry. Diabetes Care 37(1): 173-179, 2014. doi:10.2337/dc13-1931.

29. Altay S, Onat A, Özpamuk-Karadeniz F, Karadeniz Y, Kemaloğlu-Öz T, Can G. Renal hyperfiltrators are at elevated risk of death and chronic diseases. BMC Nephrol 15: 160, 2014 doi:10.1186/1471-2369-15-160.

30. Cherney DZI, Perkins BA, Soleymanlou N, et al. Renal hemodynamic effect of sodium-glucose cotransporter 2 inhibition in patients with type 1 diabetes mellitus. Circulation 129(5): 587-597, 2014. doi:10.1161/CIRCULATIONAHA.113.005081.

31. Heerspink HJL, Perkins BA, Fitchett DH, Husain M, Cherney DZI. Sodium Glucose Cotransporter 2 Inhibitors in the Treatment of Diabetes Mellitus. Circulation 134(10): 752-772, 2016. doi:10.1161/CIRCULATIONAHA.116.021887.

32. Perkovic V, Jardine M, Vijapurkar U, Meininger G. Renal effects of canagliflozin in type 2 diabetes mellitus. Curr Med Res Opin 31(12): 2219-2231, 2015. doi:10.1185/03007995.2015.1092128.

33. Wang Y, Xu L, Yuan L, et al. Sodium-glucose co-transporter-2 inhibitors suppress atrial natriuretic peptide secretion in patients with newly diagnosed Type 2 diabetes. Diabet Med. 33(12): 1732-1736, 2016. doi:10.1111/dme.13107.

34. Inzucchi SE, Zinman B, Wanner C, et al. SGLT-2 inhibitors and cardiovascular risk: proposed pathways and review of ongoing outcome trials. Diabetes Vasc Dis Res. 12(2):90-100, 2015. doi:10.1177/1479164114559852.

35. Dziuba J, Alperin P, Racketa J, et al. Modeling effects of SGLT-2 inhibitor dapagliflozin treatment versus standard diabetes therapy on cardiovascular and microvascular outcomes. Diabetes Obes Metab 16(7): 628-635, 2014. doi:10.1111/dom.12261.

36. Scheen AJ. SGLT2 Inhibitors: Benefit/Risk Balance. Curr Diab Rep 16(10): 92, 2016. doi:10.1007/s11892-016-0789-4.

37. Nissen SE, Wolski K. Effect of Rosiglitazone on the Risk of Myocardial Infarction and Death from Cardiovascular Causes. N Engl J Med 356(24): 2457-2471, 2007. doi:10.1056/NEJMoa072761.

38. Pfeffer MA, Claggett B, Diaz R, et al. Lixisenatide in Patients with Type 2 Diabetes and Acute Coronary Syndrome. N Engl J Med 373(23): 2247-2257, 2015. doi:10.1056/NEJMoa1509225.

39. Savarese G, D’Amore C, Federici M, et al. Effects of Dipeptidyl Peptidase 4 Inhibitors and Sodium-Glucose Linked coTransporter-2 Inhibitors on cardiovascular events in patients with type 2 diabetes mellitus: A meta-analysis. Int J Cardiol 220: 595-601, 2016. doi:10.1016/j.ijcard.2016.06.208.

40. Scirica BM, Braunwald E, Raz I, et al. Heart Failure, Saxagliptin, and Diabetes Mellitus: Observations from the SAVOR-TIMI 53 Randomized TrialCLINICAL PERSPECTIVE. Circulation 130(18): 1579-1588, 2014. doi:10.1161/CIRCULATIONAHA.114.010389.

41. Ekström N, Svensson A-M, Miftaraj M, et al. Cardiovascular safety of glucose-lowering agents as add-on medication to metformin treatment in type 2 diabetes: report from the Swedish National Diabetes Register. Diabetes Obes Metab 18(10): 990-998, 2016. doi:10.1111/dom.12704.

42. Katsanos AH, Filippatou A, Manios E, et al. Blood Pressure Reduction and Secondary Stroke Prevention: A Systematic Review and Metaregression Analysis of Randomized Clinical Trials. Hypertens (Dallas, Tex 1979) 69(1): 171-179, 2017. doi:10.1161/HYPERTENSIONAHA.116.08485.

43. Effects of ramipril on cardiovascular and microvascular outcomes in people with diabetes mellitus: results of the HOPE study and MICRO-HOPE substudy. Heart Outcomes Prevention Evaluation Study Investigators. Lancet (London, England) 355(9200): 253-259, 2000. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/10675071. Accessed January 22, 2017.

44. Silverman MG, Ference BA, Im K, et al. Association Between Lowering LDL-C and Cardiovascular Risk Reduction Among Different Therapeutic Interventions. JAMA 316(12): 1289, 2016. doi:10.1001/jama.2016.13985.

45. Baigent C, Keech A, Kearney PM, et al. Efficacy and safety of cholesterol-lowering treatment: prospective meta-analysis of data from 90,056 participants in 14 randomised trials of statins. Lancet 366 (9493): 1267-1278, 2005. doi:10.1016/S0140-6736(05)67394-1.

46. Ray K, Wainwright NWJ, Visser L, et al. Changes in HDL cholesterol and cardiovascular outcomes after lipid modification therapy. Heart 98(10): 780-785, 2012. doi:10.1136/heartjnl-2011-301405.

47. Zoppini G, Targher G, Bonora E. The role of serum uric acid in cardiovascular disease in Type 2 diabetic and non-diabetic subjects: A narrative review. J Endocrinol Invest 34(11): 881-886, 2011. doi:10.1007/BF03346733.

48. Zoppini G, Targher G, Negri C, et al. Elevated Serum Uric Acid Concentrations Independently Predict Cardiovascular Mortality in Type 2 Diabetic Patients. Diabetes Care 32(9): 1716-1720, 2009. doi:10.2337/dc09-0625.

49. Sano M, Takei M, Shiraishi Y, Suzuki Y. Increased Hematocrit During Sodium-Glucose Cotransporter 2 Inhibitor Therapy Indicates Recovery of Tubulointerstitial Function in Diabetic Kidneys. J Clin Med Res 8(12): 844-847, 2016. doi:10.14740/jocmr2760w.

50. Sattar N, McLaren J, Kristensen SL, Preiss D, McMurray JJ. SGLT2 Inhibition and cardiovascular events: why did EMPA-REG Outcomes surprise and what were the likely mechanisms? Diabetologia 59(7): 1333-1339, 2016. doi:10.1007/s00125-016-3956-x.

51. Fitchett DH, Udell JA, Inzucchi SE. Heart failure outcomes in clinical trials of glucose-lowering agents in patients with diabetes. Eur J Heart Fail. September 2016. doi:10.1002/ejhf.633.

52. Ferrannini E, Mark M, Mayoux E. CV Protection in the EMPA-REG OUTCOME Trial: A “Thrifty Substrate” Hypothesis. Diabetes Care 39(7): 1108-1114, 2016. doi:10.2337/dc16-0330.

53. Mudaliar S, Alloju S, Henry RR. Can a Shift in Fuel Energetics Explain the Beneficial Cardiorenal Outcomes in the EMPA-REG OUTCOME Study? A Unifying Hypothesis. Diabetes Care 39(7): 1115-1122, 2016. doi:10.2337/dc16-0542.

54. Ferrannini E, Natali A, Brandi LS, et al. Metabolic and thermogenic effects of lactate infusion in humans. Am J Physiol 265(3 Pt 1): E504-12, 1993. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/8214058. Accessed December 2, 2016.

55. Iozzo P, Chareonthaitawee P, Rimoldi O, Betteridge D, Camici P, Ferrannini E. Mismatch between insulin-mediated glucose uptake and blood flow in the heart of patients with Type II diabetes. Diabetologia 45(10): 1404-1409, 2002. doi:10.1007/s00125-002-0917-3.

56. Camici PG, Marraccini P, Lorenzoni R, et al. Coronary hemodynamics and myocardial metabolism in patients with syndrome X: response to pacing stress. J Am Coll Cardiol. 17(7): 1461-1470, 1991. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/2033177. Accessed December 2, 2016.

57. Bedi KC, Snyder NW, Brandimarto J, et al. Evidence for Intramyocardial Disruption of Lipid Metabolism and Increased Myocardial Ketone Utilization in Advanced Human Heart Failure. Circulation. 133(8): CIRCULATIONAHA.115.017545, 2016. doi:10.1161/CIRCULATIONAHA.115.017545.

58. Lopaschuk GD, Verma S. Empagliflozin’s Fuel Hypothesis: Not so Soon. Cell Metab 24(2): 200-202, 2016. doi:10.1016/j.cmet.2016.07.018.

59. Mather KJ, Hutchins GD, Perry K, et al. Assessment of myocardial metabolic flexibility and work efficiency in human type 2 diabetes using 16-[ 18 F]fluoro-4-thiapalmitate, a novel PET fatty acid tracer. Am J Physiol – Endocrinol Metab 310(6): E452-E460, 2016. doi:10.1152/ajpendo.00437.2015.

60. Daniele G, Xiong J, Solis-Herrera C, et al. Dapagliflozin Enhances Fat Oxidation and Ketone Production in Patients With Type 2 Diabetes. Diabetes Care 39(11): 2036-2041, 2016. doi:10.2337/dc15-2688.

61. Leiter LA, Cefalu WT, de Bruin TWA, Gause-Nilsson I, Sugg J, Parikh SJ. Dapagliflozin Added to Usual Care in Individuals with Type 2 Diabetes Mellitus with Preexisting Cardiovascular Disease: A 24-Week, Multicenter, Randomized, Double-Blind, Placebo-Controlled Study with a 28-Week Extension. J Am Geriatr Soc 62(7): 1252-1262, 2014. doi:10.1111/jgs.12881.

62. Tang H, Fang Z, Wang T, Cui W, Zhai S, Song Y. Meta-Analysis of Effects of Sodium-Glucose Cotransporter 2 Inhibitors on Cardiovascular Outcomes and All-Cause Mortality Among Patients With Type 2 Diabetes Mellitus. Am J Cardiol 118(11): 1774-1780, 2016. doi:10.1016/j.amjcard.2016.08.061.

63. Food and Drug Administration. FDA Drug Safety Communication: FDA warns that SGLT2 inhibitors for diabetes may result in a serious condition of too much acid in the blood. http://www.fda.gov/Drugs/DrugSafety/ucm446845.htm. Published 2015. Accessed November 21, 2016.

64. Ogawa W, Sakaguchi K. Euglycemic diabetic ketoacidosis induced by SGLT2 inhibitors: possible mechanism and contributing factors. J Diabetes Investig 7(2): 135-138, 2016. doi:10.1111/jdi.12401.

65. Rosenstock J, Ferrannini E. Euglycemic diabetic ketoacidosis: A predictable, detectable, and preventable safety concern with sglt2 inhibitors. Diabetes Care 38(9): 1638-1642, 2015. doi:10.2337/dc15-1380.

66. Tang H, Li D, Wang T, Zhai S, Song Y. Effect of sodium-glucose cotransporter 2 inhibitors on diabetic ketoacidosis among patients with type 2 diabetes: A meta-analysis of randomized controlled trials. Diabetes Care 39(8): e123-e124, 2016. doi:10.2337/dc16-0885.

67. Ogawa W, Sakaguchi K. Euglycemic diabetic ketoacidosis induced by SGLT2 inhibitors: possible mechanism and contributing factors. J Diabetes Investig 7(2): 135-138, 2016. doi:10.1111/jdi.12401.

68. Li D, Wang T, Shen S, Fang Z, Dong Y, Tang H. Urinary tract and genital infections in patients with type 2 diabetes treated with sodium-glucose cotransporter 2 inhibitors: a meta-analysis of randomized controlled trials. Diabetes, Obes Metab. November 2016. doi:10.1111/dom.12825.

69. Johnsson KM, Ptaszynska A, Schmitz B, et al. Urinary tract infections in patients with diabetes treated with dapagliflozin. J Diabetes Complications 27(5): 473-478, 2010. doi:10.1016/j.jdiacomp.2013.05.004.

70. Del Prato S, Nauck M, Durán-Garcia S, et al. Long-term glycaemic response and tolerability of dapagliflozin versus a sulphonylurea as add-on therapy to metformin in patients with type 2 diabetes: 4-year data. Diabetes, Obes Metab 17(6): 581-590, 2015. doi:10.1111/dom.12459.

71. Häring H-U, Merker L, Seewaldt-Becker, Elke Weimer M, Meinicke T, Broedl UC, Woerlel HJ. Empagliflozin as Add-On to Metformin in Patients With Type 2 Diabetes: A 24-Week, Randomized, Double-Blind, Placebo-Controlled TrialNo Title. Diabetes Care. 37(6):1650-1659, 2014. doi:doi/10.2337/dc13-2105.

72. Bode B, Stenlöf K, Harris S, et al. Long-term efficacy and safety of canagliflozin over 104 weeks in patients aged 55-80 years with type 2 diabetes. Diabetes, Obes Metab 17(3):294-303, 2015. doi:10.1111/dom.12428.

73. Matthaei S, Catrinoiu D, Celi??ski A, et al. Randomized, Double-Blind trial of triple therapy with saxagliptin add-on to dapagliflozin plus metformin inpatientswith type 2 Diabetes. Diabetes Care 38(11): 2018-2024, 2015. doi:10.2337/dc15-0811.

74. Rizzi M, Trevisan R. Genitourinary infections in diabetic patients in the new era of diabetes therapy with sodium. Nutr Metab Cardiovasc Dis 26: 963-1070, 2016.

75. Nyirjesy P, Zhao Y, Ways K, Usiskin K. Evaluation of vulvovaginal symptoms and Candida colonization in women with type 2 diabetes mellitus treated with canagliflozin, a sodium glucose co-transporter 2 inhibitor. Curr Med Res Opin 28(7): 1173-1178, 2012. doi:10.1185/03007995.2012.697053.

76. Usiskin K, Kline I, Fung A, Mayer C, Meininger G. Safety and Tolerability of Canagliflozin in Patients With Type 2 Diabetes Mellitus: Pooled Analysis of Phase 3 Study Results. Postgrad Med 126(3): 16-34, 2014. doi:10.3810/pgm.2014.05.2753.

77. Center for Drug Evaluation and Research. Drug Safety and Availability – FDA Drug Safety Communication: FDA revises label of diabetes drug canagliflozin (Invokana, Invokamet) to include updates on bone fracture risk and new information on decreased bone mineral density. http://www.fda.gov/Drugs/DrugSafety/ucm461449.htm. Published 2016. Accessed November 20, 2016.

78. Bilezikian JP, Watts NB, Usiskin K, et al. Evaluation of Bone Mineral Density and Bone Biomarkers in Patients With Type 2 Diabetes Treated With Canagliflozin. J Clin Endocrinol Metab 101(1): 44-51, 2016. doi:10.1210/jc.2015-1860.

79. Watts NB, Bilezikian JP, Usiskin K, et al. Effects of Canagliflozin on Fracture Risk in Patients With Type 2 Diabetes Mellitus. J Clin Endocrinol Metab 101(1): 157-166, 2016. doi:10.1210/jc.2015-3167.

80. Neal B, Perkovic V, de Zeeuw D, et al. Rationale, design, and baseline characteristics of the Canagliflozin Cardiovascular Assessment Study (CANVAS) – A randomized placebo-controlled trial. Am Heart J 166(2): 217-223.e11, 2013. doi:10.1016/j.ahj.2013.05.007.

81. Tang HL, Li D., Zhang JJ, et al. Lack of Evidence for a Harmful Effect of Sodium-Glucose Cotransporter 2 (SGLT2) Inhibitors on Fracture Risk among Type 2 Diabetes Patients: A Network and Cumulative Meta-Analysis of Randomized Controlled Trials. Diabetes, Obes Metab 2: 1-20, 2016. doi:10.1111/dom.12742.

82. Food and Drug Administration. FDA Drug Safety Communication: FDA strengthens kidney warnings for diabetes medicines canagliflozin (Invokana, Invokamet) and dapagliflozin (Farxiga, Xigduo XR). http://www.fda.gov/Drugs/DrugSafety/ucm505860.htm. Published 2016. Accessed November 21, 2016.

83. Storgaard H, Gluud LL, Bennett C, et al. Benefits and Harms of Sodium-Glucose Co-Transporter 2 Inhibitors in Patients with Type 2 Diabetes: A Systematic Review and Meta-Analysis. PLoS One 11(11): e0166125, 2016. doi:10.1371/journal.pone.0166125.

84. Yavin Y, Mansfield TA, Ptaszynska A, Johnsson K, Parikh S, Johnsson E. Effect of the SGLT2 Inhibitor Dapagliflozin on Potassium Levels in Patients with Type 2 Diabetes Mellitus: A Pooled Analysis. Diabetes Ther 7(1): 125-137, 2016. doi:10.1007/s13300-015-0150-y.

85. Weir MR, Kline I, Xie J, Edwards R, Usiskin K. Effect of canagliflozin on serum electrolytes in patients with type 2 diabetes in relation to estimated glomerular filtration rate (eGFR). Curr Med Res Opin 30(9): 1759-1768, 2014. doi:10.1185/03007995.2014.919907.

86. Ptaszynska A, Johnsson KM, Parikh SJ, de Bruin TWA, Apanovitch AM, List JF. Safety Profile of Dapagliflozin for Type 2 Diabetes: Pooled Analysis of Clinical Studies for Overall Safety and Rare Events. Drug Saf 37(10): 815-829, 2014. doi:10.1007/s40264-014-0213-4.

87. Food and Drug Administration. Drug Safety and Availability – FDA Drug Safety Communication: Interim clinical trial results find increased risk of leg and foot amputations, mostly affecting the toes, with the diabetes medicine canagliflozin (Invokana, Invokamet); FDA to investigate. http://www.fda.gov/Drugs/DrugSafety/ucm500965.htm. Accessed November 23, 2016.

88. Kojima N, Williams JM, Slaughter TN, et al. Renoprotective effects of combined SGLT2 and ACE inhibitor therapy in diabetic Dahl S rats. Physiol Rep 3(7), 2015. doi:10.14814/phy2.12436.

Si ringrazia il dott. Salvatore Bianco di AKROS BioScience s.r.l.
per il servizio di Medical Writing

 

[/protected]