Indagine sull’atteggiamento del diabetologo nei confronti dell’ipoglicemia nel paziente con diabete

Roberto Miccoli
Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università degli Studi di Pisa

L’importanza dello stretto controllo glicemico per ridurre il rischio delle complicanze micro- e macrovascolari è indiscutibile, ma numerose barriere ostacolano il suo raggiungimento. L’ipoglicemia costituisce un’importante limitazione per il raggiungimento di un buon controllo nel diabete tipo 1, mentre viene ancora considerato un problema minore nella cura del diabete tipo 2, mentre i più recenti trial clinici hanno evidenziato frequenza e rischi di questo evento.
Di contro, nella pratica clinica quotidiana l’impatto dell’ipoglicemia associata all’uso di farmaci anti-iper- glicemici è sottostimato e spesso confinato al solo trattamento insulinico.
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Stime recenti indicano che l’ipoglicemia interessa il 12%- 30% dei pazienti con diabete tipo 2, a seconda del tratta- mento (1-3). L’ipoglicemia è stata associata ad un aumentato rischio di complicanza cardiovascolare (4), riduzione in qualità della vita (5), eccesso di alimentazione a scopo preventivo e conseguente aumento del peso corporeo (6). Inoltre, l’ipoglicemia rimane una causa maggiore di ospedalizzazione per cause farmacologiche (7) e aumento del costo del diabete (8).
Alla luce di queste considerazioni, SID ha lanciato, con il supporto incondizionato di Novo Nordisk, una survey concernente la percezione e il comportamento del diabe- tologo italiano nei confronti dell’ipoglicemia.

METODI
Un questionario composto da 32 items è stato reso acces- sibile sul sito www.siditalia.it. Il questionario conteneva quesiti relativi a:

  • sistema raccolta dati (item 1-6)
  • educazione/informazione (7-13)
  • caratteristiche dell’ipoglicemia (14-18) fattori di rischio dell’ipoglicemia (19-23) qualità di vita (24)
  • formazione (25-26)

 

FAD ECM “il Diabete”

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Una volta eseguito con successo il test di valutazione e compilato il questionario di valutazione dell’evento, sarà cura della Segreteria ECM della SID far pervenire l’attestato ECM del corso ai diretti interessati nei tempi e nelle modalità stabiliti dalla regolamentazione vigente.

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I dati sono stati raccolti su data base relazionale e ela- borati mediante SPSS. I risultati sono espressi come media +- deviazione standard, frequenze assolute o relative.

RISULTATI
Sono stati raccolti i dati di 165 questionari. L’età media del campione era di 51±10 anni senza differenze di sesso (M/F, 51/49%). Il tasso di risposta ai vari items variava dal 64% al 90%.
Il 60% dei partecipanti alla survey dichiara di utilizzare una cartella clinica informatizzata che, però, permette di raccogliere informazioni specifiche sull’ipoglicemia solo nel 43% dei casi. La frequenza con cui vengono registrati i dati sull’ipoglicemia varia in funzione delle sue caratte- ristiche. Mentre il 76% dei partecipanti afferma di regi- strare i casi d’ipoglicemia severa (su supporto cartaceo o informatizzato), il 53% dichiara di registrare tutti gli epi- sodi di ipoglicemia <70 mg/dl (53%), mentre il 9,4% e il 12% registra solo quelli con glicemie <60 mg/dl e <50 mg/dl, rispettivamente. Solo il 14% degli operatori è in possesso dei dati relativi alla frequenza di ipoglicemia severa nella propria popolazione.
L’educazione/informazione del paziente viene svolta nella maggior parte dei casi dal medico (38%) e, in minor misura, dall’infermiere (28%) utilizzando la comunicazione orale (19%) a volte associata alla distribuzione di materia- le educativo (29%). Nel 30% dei casi si utilizzano formali sessioni di educazione individuale. Il tempo medio indi- cato per l’educazione relativa all’ipoglicemia risulta <10 minuti nel 64% dei casi, compreso tra 10-20 minuti nel 37% e nel 3% dei casi si va oltre i 20 minuti. Nelle visite successive alla prima, l’argomento ipoglicemia occupa un tempo variabile tra <5 minuti (45%) e tra 5-10 minuti (53%). Nell’ambito di questi contatti, con il paziente vengono af- frontati gli aspetti dei sintomi dell’ipoglicemia (25%), del trattamento dell’ipoglicemia lieve (20%), del trattamento dell’ipoglicemia severa con glucagone (9%), delle modalità di correzione della terapia (8%) o di esecuzione dell’auto- monitoraggio glicemico (9%). Nel 20% dei casi questi ar- gomenti vengono trattati globalmente ma un protocollo standardizzato sull’ipoglicemia viene utilizzato solo dal 36% dei partecipanti.
Nella maggior parte dei casi (44%) la fonte delle informa- zioni relativa agli episodi ipoglicemici è rappresentato dal diario (cartaceo o informatizzato) dell’automonitoraggio
domiciliare. Da segnalare che il 20% dei pazienti comuni- ca tali informazioni al proprio medico tramite telefono.
I 2/3 dei partecipanti presta adeguata attenzione al ri- schio della hypoglicemia unawareness che, nella quasi totali- tà di casi, viene indagata mediante colloquio mirato. In caso di ipoglicemia severa oltre a rivalutare lo schema terapeutico (34%), si interviene sull’aspetto educativo (34%), sul monitoraggio domiciliare (20%) e viene verificata la presenza di hypoglycemia unawareness (15%).
I rischi più frequentemente associati all’ipoglicemia sono gli eventi cardio- (24%) e cerebro-vascolari (22%), i traumi (22%) e il rischio di morte (4%). Conseguenze psicologiche e sociali sono associate all’ipoglicemia nel 14% e 10% dei casi. Minoritaria è la percentuale di operatori (5%) che considerano i costi sanitari dell’ipoglicemia un problema. La hypoglycemia unawareness o pregressi episodi di ipoglicemia severa sono considerati ostacoli al raggiungimento di un controllo glicemico ottimale nel 30% e 25% dei casi, rispettivamente. Altrettanto il paziente con lunga dura- ta di malattia (16%) e il bambino con diabete (14%) sono percepiti come condizioni nelle quali il raggiungimento del target glicemico è più problematico. La paura dell’ipo- glicemia quale ostacolo all’accettazione della terapia vie- ne considerato molto importante dal 70% dei partecipanti che attribuisce un valore >7 in una scala di valutazione compresa tra 1-10. La stessa paura dell’ipoglicemia sem- bra condizionare l’atteggiamento del medico nella scelta terapeutica nel 50% dei casi (punteggio >7), soprattutto quando gli episodi ipoglicemici sono severi.
L’impatto dell’ipoglicemia nei confronti della qualità del- la vita è ritenuta molto importante dall’86% dei casi. Secondo i partecipanti alla survey, la prevenzione dell’i- poglicemia potrebbe essere migliorata dalla disponibilità di personale dedicato per l’educazione terapeutica (38%), di maggiori risorse per materiale educativo (24%) e per il monitoraggio glicemico (25%). Minore impatto viene at- tribuito a una maggiore circolazione dei dati relativi agli episodi ipoglicemici (13%).
Infine, il 63% dei partecipanti considera insufficienti i contenuti sull’ipoglicemia offerti dai programmi di educazione continua.

CONCLUSIONI
I risultati di questa indagine, per quanto basata su un numero di questionari limitati, offre una serie di considerazioni sulla percezione e attitudine degli operatori diabetologici nei confronti dell’ipoglicemia farmacologi- camente indotta nel paziente con diabete tipo 2.
La prima riflessione riguarda la definizione d’ipoglice- mia. Se si assume che l’ipoglicemia è quanto viene registrato, ben si può notare come diversi sono i livelli di glicemia utilizzati per identificare il livello soglia. Un’eventuale rilevazione del “fenomeno ipoglicemia” richie- derebbe, quindi, un consenso sulla definizione d’ipo- glicemia. Ovviamente un accordo sulla definizione non risolve il problema della disparità dei mezzi di registra- zione e quindi di un’affidabile estrapolazione e confronto dei dati raccolti in vari database.
Le conseguenze dell’ipoglicemia sembrano essere rela- tivamente chiare all’operatore diabetologico in termini sia di rischio sia di limitazione al raggiungimento dell’o- biettivo terapeutico. Colpisce invece la scarsa attenzione che il diabetologo sembra attribuire al possibile impatto dell’ipoglicemia sui costi diretti e indiretti del diabete. Il dato sembra piuttosto consolidato in letteratura, ma forse la nostra classe medica non ha ancora sufficienti elementi conoscitivi per apprezzare il significato che una terapia razionale può avere sulla gestione economico-sociale della malattia.
A questa riflessione può essere ricondotta anche l’appa- rente disparità che il questionario fa emergere in termini di processi formativi della persona con diabete. Questo risultato sprona alla definizione di programmi educazionali quanto più uniformi, strutturati e condivisi nella comunità diabetologica possibilmente che, grazie anche alla preparazione di kit educativi comuni, possa facilitare la comunicazione degli elementi base della percezione, prevenzione e trattamento dell’ipoglicemia. La richiesta di una maggior disponibilità di personale dedicato per l’educazione terapeutica, di maggiori risorse per mate- riale educativo e per il monitoraggio glicemico può essere letta come una dichiarazione di limitazione del tempo da dedicare a processi educativi organizzati. Purtroppo, il nostro sistema sanitario poco concede all’educazione terapeutica, mentre l’empowerment della persona con dia- bete è una procedura in grado di migliorare gli outcome clinici e ridurre i costi del trattamento.
Il rischio d’ipoglicemia è percepito dal diabetologo come un ostacolo al raggiungimento degli obiettivi terapeuti- ci. La metà circa dei medici che hanno risposto al que- stionario dichiara di essere fortemente condizionata dal rischio d’ipoglicemia e soprattutto di quella severa. Questo condizionamento è riflesso anche dalla dichiarazione che l’argomento ipoglicemia dovrebbe ricevere una maggiore attenzione con programmi di formazione ad hoc.
Nel complesso, i risultati di questa survey suggeriscono una sufficiente sensibilità a proposito del rischio d’ipogli- cemia farmacologicamente indotta, una sufficiente co- noscenza delle condizioni che ne favoriscono la comparsa e delle implicazioni cliniche sia per quanto riguarda le complicanze che l’interferenza con il raggiungimento del buon controllo glicemico. Poco apprezzate sono invece le implicazioni sui costi associati all’ipoglicemia. Dal que- stionario emerge anche la necessità di:

  1. Standardizzazione della definizione di ipoglicemia;
  2. Sistemi di rilevazione e raccolta dati confrontabili;
  3. Uniformi processi di educazione della persona con diabete;
  4. Una maggiore attività formativa su ipoglicemia ed ele- menti correlati.


BIBLIOGRAFIA

1. Barnett AH, et al. Curr Med Res Opin 26: 1333-1342, 2010.

2. Budnitz DS, et al. N Engl J Med 365: 2002-2012, 2011.

3. Foley JE, et al. Vasc Health Risk Manag 6: 541-548, 2010.

4. Jennings AM, et al. Diabetes Care 12: 203-208, 1989.

5. Jermendy G, et al. Health Qual Life Outcomes 31; 6: 88, 2008.

6. Jönsson L, et al. Value Health 9: 193-198, 2006.

7. McEwan P, et al. Diabetes Obes Metab 12: 431-436, 2010.

8. Stargadt T, et al. Health Qual Life Outcomes 22; 7: 91, 2009.

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