Carmine Fanelli
Dipartimento di Medicina Interna, Scienze Endocrine e Metaboliche, Università degli Studi di Perugia
L’ipoglicemia iatrogena è la complicanza più comune della terapia ipoglicemizzante condotta con insulina, sulfoniluree e glinidi, mentre è meno comune con gli altri antidiabetici orali. È più frequente nei pazienti con diabete di tipo 1 rispetto a quelli con diabete di tipo 2, e nei soggetti con un deficit più marcato di secrezione insulinica e maggiore durata di malattia. È responsabile di una compromissione acuta delle condizioni intellettuali e fisiche del paziente e, se prolungata o grave, può determinare confusione, convulsioni, perdita di coscienza e perfino la morte.[protected]
L’ipoglicemia aumenta il rischio di eventi cardiovascolari (1-2), di demenza (3), di fratture (6) e di mortalità generale (8). Inoltre, riduce la qualità di vita (4-5), genera paura nei confronti della terapia ipoglicemizzante (7) con ricadute negative sulla adesione del paziente al trattamento e aumenta i costi sanitari del diabete (9). La prevenzione del rischio di ipoglicemia è quindi uno de- gli obiettivi principali che i pazienti e i diabetologi devono perseguire continuamente nel corso della terapia, soprattutto se intensiva. Ne consegue pertanto che oggi il buon controllo glicemico o il controllo glicemico ottimizzato non significa solo il raggiungimento e il mantenimento della glicemia quasi-normale, ma anche la riduzione a livelli accettabili del rischio di ipoglicemia. La visita diabetologica deve comprendere necessaria- mente la rilevazione degli episodi di ipoglicemia con l’obiettivo di caratterizzarli prima di tutto per la gravità e, per quelli non gravi di definirne le caratteristiche cli- niche (sintomatiche o asintomatiche) e identificarne la frequenza e i fattori favorenti. In generale, gli episodi di ipoglicemia grave vengono facilmente ricordati dai pazienti o dai loro familiari perché richiedono l’assistenza del paziente da parte di altre persone (parenti o amici) o il ricovero in ospedale per il trattamento. Verosimilmente tutti (o quasi tutti) i pazienti che hanno avuto un’ipoglicemia grave informano il proprio diabetologo. Per questo sorprende il dato della survey promossa dalla SID sull’atteggiamento del diabetologo nei confronti dell’ipo- glicemia nel paziente con diabete, da cui risulta che solo il 75% degli operatori registra i casi di ipoglicemia grave (su supporto cartaceo o informatizzato) e solo il 14% degli operatori è in possesso dei dati relativi alla frequenza di ipoglicemia grave nella propria popolazione. Una spiega- zione per questa incongruenza può essere ricercata nel fatto che almeno il 50% degli operatori che utilizza una cartella clinica informatizzata non ha a disposizione un campo specifico dedicato all’ipoglicemia. Inoltre, sorprende la disomogeneità con cui sono registrati gli even- ti ipoglicemici riguardo al valore soglia di definizione dell’ipoglicemia. Infatti, 9,4% e 12% degli operatori registrano solo episodi con glicemie inferiori a 60 e 50 md/dl, rispettivamente, mentre il 53% registra episodi di ipoglicemia <70 mg/dl. Questo significa che non vi è un con- senso tra gli operatori sulla definizione di ipoglicemia e che è necessaria una standardizzazione.
Le risposte alla survey che riguardano l’educazione, le informazioni che gli operatori danno ai pazienti, il tempo a questi dedicato durante la prima e le visite successive, il tipo di operatore e le modalità che gli operatori stessi utilizzano per istruire il paziente sulla gestione delle ipoglicemie non sono del tutto uniformi. Questo in parte dipende probabilmente dal sistema organizzativo del singolo centro di diabetologia. Tuttavia, l’educazione/ informazione del paziente verso il problema ipoglicemia è fornita generalmente in maniera soddisfacente. È evi- dente, però, che il tempo dedicato per l’ipoglicemia (> 10 minuti solo dal 40% degli operatori) può essere spesso in- sufficiente soprattutto per alcune tipologie di pazienti, come per i pazienti con ipoglicemie ricorrenti, asintomatiche o con fattori di rischio per ipoglicemia e richiedere generalmente un tempo >10 minuti. Verosimilmente, la mancanza di un protocollo standardizzato per l’educazione/informazione del paziente nella maggior parte delle unità operative (> 64% delle unità operative) contribui- sce a spiegare l’apparente disomogeneità dell’intervento educativo.
Per quanto riguarda le caratteristiche dell’ipoglicemia la survey evidenzia come la maggior parte degli operatori valuti criticamente i profili glicemici dei pazienti e ponga particolare attenzione alla presenza di ipoglicemia asintomatica (hypoglycemia unawareness) che costituisce un fattore di rischio per l’ipoglicemia grave. Il verificarsi di episodi di ipoglicemia grave spinge, giustamente, l’operatore a riconsiderare lo schema terapeutico, a migliorare l’autocontrollo glicemico, a programmare incontri di rinforzo educazionale e a ricercare la presenza di ipogli- cemia asintomatica. Tuttavia, il questionario non chiede quali siano gli atteggiamenti correttivi messi in atto dagli operatori per i pazienti con ipoglicemia asintomatica. Gli operatori dimostrano di conoscere le conseguenze cliniche, in particolare cardiache, neurologiche, trau- matiche, e psicosociali dell’ipoglicemia. Conoscono le tipologie di pazienti a maggior rischio di ipoglicemia e sanno che per questi pazienti, la paura dell’ipoglicemia può rappresentare un importante ostacolo all’accettazione della terapia. Inoltre, è evidente come il rischio di ipoglicemia condizioni fortemente la decisione dell’operato- re in merito alla scelta terapeutica e il grado di controllo glicemico da raggiungere. Generalmente, è data scarsa rilevanza all’aspetto dei costi associati all’evento ipogli- cemico, mentre si ritiene molto importante l’impatto negativo dell’ipoglicemia sulla qualità di vita dei pazienti. Infine, sono indicati gli strumenti ritenuti più utili per implementare programmi educazionali per l’ipoglicemia, ritenendo la maggior parte dei partecipanti (il 63%) non sufficienti i programmi di educazione continua in medicina (ECM) finora svolti.
Un dato che colpisce in questa survey riguarda la mancanza della presenza di una cartella clinica informatizzata in circa il 30% delle unità operative interpellate, un deficit che sicuramente non facilita la gestione del diabe- te e della complicanza ipoglicemia, soprattutto nell’ambito di una gestione integrata con altri specialisti e con il MMG. Colpisce anche il dato che evidenzia l’assenza di un campo specifico dedicato all’ipoglicemia nella cartella clinica informatizzata nella metà delle unità operative che ne sono dotate. Pertanto, è auspicabile che una sezio- ne della cartella dedicata all’ipoglicemia diventi disponibile presso tutte le unità in modo che ognuna di queste possa raccogliere le informazioni sull’ipoglicemia nella propria popolazione. A questa considerazione se ne deve, peraltro, aggiungere subito una seconda: la necessità di standardizzazione della definizione di ipoglicemia. Per questo si ricordi che diverse società scientifiche, tra le quali l’ADA (American Diabetes Association) (10), la Endocrine Society (10), l’ISPAD (International Society for Pediatric and Adolescent Diabetes) (11), identificano come livello soglia per la definizione di ipoglicemia valori < 70 mg/dl. Anche i principali enti regolatori FDA (12) e EMA (13) ritenendo che la definizione di ipoglicemia debba essere standar- dizzata nell’ambito di protocolli di ricerca e clinical trials, si sono allineati alla definizione, classificazione e scelta del livello soglia di ipoglicemia di 70 mg/dl proposto dall’ADA per gli adulti e dall’ISPAD per i bambini. Si ricorda che ne- gli Standard Italiani per la Cura del Diabete Mellito SID- AMD (14) si definisce come ipoglicemia valori glicemici < 70 md/dl. Quindi, la necessità di uniformare la defini- zione di ipoglicemia potrebbe essere soddisfatta, semplicemente, aderendo alla classificazione proposta dall’ADA e utilizzando il valore di 70 mg/dl come livello soglia di ipoglicemia da parte di tutti gli operatori italiani. Inoltre, nell’ottica di raggiungere un obiettivo di standardizzazione più ampio non solo in termini di definizione di ipoglicemia, ma anche di rilevazione della frequenza di ipoglicemia, sia grave e non grave, e di presenza di ipo- glicemia asintomatica (hypoglycemia unawareness) sarebbe estremamente utile la realizzazione e la diffusione di un questionario composto da pochi quesiti, inserito nella cartella informatizzata, capace di cogliere la frequenza di ipoglicemia, eventuali ipoglicemie gravi e la presen- za di ipoglicemia asintomatica (hypoglycemia unawareness). Questo strumento consentirebbe lo studio longitudinale degli eventi ipoglicemici nel singolo centro e, se adottato in maniera diffusa, nel territorio nazionale.
In conclusione, la survey evidenzia come la maggior par- te degli operatori siano molto sensibili verso la proble- matica dell’ipoglicemia, ritenendo che l’ipoglicemia rappresenti un reale ostacolo nell’attuazione della terapia mirata al raggiungimento del buon controllo glicemico. Tutti riconoscono l’effetto negativo dell’ipoglicemia sulla qualità di vita e il rischio di generare complicanze. Tuttavia, dalla survey emerge anche la necessità di stabilire modalità di rilevazione dell’ipoglicemia più uniformi, che utilizzino strumenti integrati nella cartella clinica informatizzata, in grado di registrare rapidamente gli aspetti più importanti dell’ipoglicemia, in modo che l’operatore e il paziente possano concordare tempestiva- mente la strategia educativa e terapeutica più appropria- ta per prevenire l’ipoglicemia. Infine, emerge l’esigenza di implementare programmi educativi sull’ipoglicemia e di promuovere attività ECM che forniscano informazioni adeguate sul tema dell’ipoglicemia.
BIBLIOGRAFIA
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