Francesco Bandello, MD, FEBO; Rosangela Lattanzio, MD; Ilaria Zucchiatti, MD
Clinica Oculistica, Università Vita-Salute, Istituto Scientifico San Raffaele, Milano
INTRODUZIONE
La retinopatia diabetica (RD) è una delle principali cause di deterioramento visivo in età lavorativa nei paesi industrializzati. Si classifica in due stadi di gravità: la forma non proliferante e quella proliferante, ciascuna ulteriormente suddivisa in progressivi livelli di severità clinica. L’edema maculare diabetico (EMD) è una delle complicanze più temibili e può insorgere in qualsiasi stadio della RD. Esso consiste nell’accumulo di fluido nella regione maculare. I processi fisiopatologici che portano alla formazione dell’EMD originano da un anomalo aumento della permeabilità vascolare che determina fenomeni di essudazione (leakage) vascolare e che portano alla rottura della barriera emato-retinica (BER), elemento responsabile dell’integrità anatomica e funzionale della regione maculare. I sintomi principali dell’insorgenza dell’edema maculare sono rappresentati da una perdita progressiva della funzione visiva, circoscritta alla sede centrale, accompagnata da una deformazione delle immagini (metamorfopsie). Tale processo degenerativo si associa a una progressiva difficoltà nello svolgere le attività che richiedono una visione distinta, quali la lettura e la scrittura, e nell’impossibilità di eseguire le attività quotidiane, quali ad esempio la guida, portando a inabilità lavorativa e perdita di autosufficienza del soggetto.
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Ad oggi, la diagnosi di maculopatia diabetica viene fatta innanzitutto clinicamente, mediante esame del fundus oculi, e si basa sul riconoscimento di un aumentato spessore retinico, associato a essudazione lipidica (essudati duri). Le moderne tecniche d’imaging, che includono la fluorangiografia retinica e la tomografia a radiazione coerente (OCT), svolgono un ruolo fondamentale, in quanto permettono un’accurata visualizzazione e classificazione della tipologia di EMD e possono inoltre guidare nella scelta dell’approccio terapeutico più appropriato.
La fotocoagulazione laser è stata considerata per decenni il trattamento cardine della retinopatia diabetica e in particolare dell’EMD. Tuttavia, recentemente, con l’avvento delle moderne tecniche iniettive intravitreali, che includono farmaci steroidei e gli agenti inibenti il fattore di crescita vascolare endoteliale (anti-VEGF), si è aperto un nuovo scenario nel trattamento di questa complessa malattia. Infatti, se con l’impiego del trattamento laser in passato era possibile solamente arginare la progressione del danno ottenendo generalmente una stabilizzazione della funzione visiva, attualmente mediante le nuove farmacoterapie i pazienti diabetici hanno significative possibilità di ottenere e mantenere un recupero visivo. Inoltre, l’approccio chirurgico, mediante la tecnica della vitrectomia, rimane tuttora una strategia terapeutica validata in casi selezionati di maculopatia diabetica.
Caratteristiche cliniche e classificazione dell’edema maculare diabetico
Dal punto di vista clinico, l’EMD è riconoscibile biomicroscopicamente come un aumento dello spessore retinico al polo posteriore associato alla presenza di microaneurismi ed essudati duri. I microaneurismi sono dilatazioni sacculari delle arteriole terminali o delle piccole venule che si sviluppano in aree di perdita selettiva di periciti intramurali. Essi rappresentano la fonte principale di stravaso di fluido e trasudazione lipidica. Gli essudati duri sono accumuli lipidici intraretinici, di colore giallastro, dall’aspetto cereo, che si depositano al polo posteriore, specialmente nella regione maculare, secondariamente alla trasudazione di fluido.
Con il termine di maculopatia diabetica si considerano inoltre anche altri quadri clinici caratterizzati da anomalie dell’interfaccia vitreoretinica, fra cui la presenza di una membrana epiretinica e la trazione vitreomaculare. Per membrana epiretinica s’intende la formazione di una pellicola (cellophane maculare) sulla superficie interna della retina, che contraendosi, in base alla gravità, può portare a deformazione del profilo retinico con ispessimento, distorsione dei vasi e formazione di strie retiniche. La trazione vitreo maculare è caratterizzata da un’aderenza patologica fra il vitreo e la retina talmente tenace da portare a un sollevamento della regione foveale con sovvertimento della conformazione anatomica.
Storicamente la classificazione più validata dell’EMD è stata proposta dall’Early Treatement Diabetic Retinopathy Study (ETDRS) nel 1985, basandosi sull’aspetto biomicroscopico del fondo oculare (1). In particolare, gli autori hanno proposto la definizione di edema maculare clinicamente significativo nel caso di EMD rispondente ad una delle seguenti caratteristiche cliniche: a) ispessimento retinico compreso entro i 500 μm dalla fovea (parte centrale della macula), b) essudati duri compresi entro i 500 μm dalla fovea, se associati ad adiacente ispessimento retinico, c) area di ispessimento retinico della grandezza di un diametro o più del disco ottico, purché più vicino alla fovea di una diametro discale.
Più tardi, nel 2003, l’American Academy of Ophthalmology ha proposto una nuova, semplificata, classificazione dell’EMD, che prevede una scala di severità clinica (2). Nel caso di EMD lieve, l’ispessimento retinico (o la presenza di essudati duri) si trova a distanza dal centro della macula, nella forma moderata tale condizione si avvicina al centro della macula ma senza raggiungerla, nella forma severa l’ispessimento coinvolge la regione maculare anche centrale.
Una recente classificazione dell’EMD basata sull’aspetto biomicroscopico ed eziologico prevede la distinzione di tre forme: l’EMD vasogenico, in cui l’ispessimento retinico è secondario alla presenza di numerosi microaneurismi ed essudati duri, quello non-vasogenico in cui l’ispessimento retinico è dovuto a una diffusa iper-permeabilità retinica, con limitate dilatazioni aneurismatiche ed essudazione lipidica e infine l’EMD trazionale, in cui si riconosce la presenza di una membrana epiretinica o una trazione vitreo-maculare (3).
LA FOTOCOAGULAZIONE LASER
L’efficacia della fotocoagulazione laser nella gestione dell’EMD è stata dimostrata negli anni Ottanta dall’ETDRS, proponendo le linee guida di trattamento e fornendo le raccomandazioni procedurali universalmente accettate (1, 4-6). I risultati degli studi proposti dall’ETDRS hanno dimostrato una riduzione del 50% del rischio di perdita visiva moderata nei pazienti trattati, rispetto ai non trattati. Il trattamento laser ha inoltre rivelato un’efficacia maggiore nella gestione dei pazienti affetti da EMD con coinvolgimento maculare, anche se effetti benefici sono stati registrati nei casi di EMD non centrale. Dai risultati di questo studio cardine, la fotocoagulazione laser maculare è stata considerata il principale trattamento di riferimento dell’EMD (standard of care).
Lo studio ETDRS ha inoltre definito i due tipi di strategia possibile per il trattamento laser della macula: il laser “focale” o a “griglia”, le cui indicazioni terapeutiche possono essere guidate sia dall’aspetto oftalmoscopico, sia da quello angiografico.
Il laser focale si è dimostrato efficace nel trattare l’EMD focale, che è caratterizzato da un’area localizzata di leakage, ben definita alla fluorangiografia, e visibile biomicroscopicamente come un ispessimento retinico circondato da essudati duri disposti a “circinnata” e con al centro alcuni microaneurismi. Il trattamento focale consiste nell’applicazione di spot laser, direttamente sui microaneurismi responsabili di essudazione, localizzati in un’area d’ispessimento retinico compresa fra i 500 e 3000 μm. Gli originali parametri di settaggio del laser, derivanti dallo studio ETDRS, e successivamente rimasti inalterati per lungo tempo, prevedevano l’utilizzo del laser argon, impostato con una lunghezza d’onda verde, diametro dello spot pari a 50 μm, durata dell’esposizione da 0,05 a 0,10 secondi ed infine una potenza tale da apportare una bruciatura laser visibile e netta, di colore grigio-bianco (4).
La fotocoagulazione laser a griglia è indicata invece nel trattamento dell’EMD diffuso, caratterizzato cioè da un ispessimento retinico esteso, a margini non definiti, derivante da una generalizzata rottura della BER. Le linee guida, fornite originariamente dall’ETDRS, prevedono l’applicazione di multipli spot laser in regione maculare, distanti 500 μm dal centro della fovea e dal disco ottico, utilizzando i seguenti parametri: dimensioni dello spot comprese fra 50 e 200 μm (mantenendo una distanza di circa uno spot laser l’uno dall’altro), tempo di esposizione pari a 0,1 secondi o meno, potenza progressivamente aumentata fino ad ottenere cicatrici di colore grigio, debolmente visibili.
Tuttavia, il trattamento laser maculare non si è dimostrato scevro da effetti collaterali, quali la comparsa di scotomi a livello del campo visivo paracentrale, allargamento e coalescenza delle cicatrici laser. Per questo motivo negli anni, la ricerca si è orientata verso approcci terapeutici alternativi, meno invasivi. Citiamo alcune recenti tecniche di laser al polo posteriore modificate rispetto alla tecnica convenzionale: modified ETDRS laser, mild macular grid, “light” laser (7-8). Tali tecniche sono caratterizzate da una ridotta intensità degli spot, con un minore impatto fotocoagulativo visibile sulla retina. I risultati riportano una buona efficacia nella stabilizzazione dell’acuità visiva e una riduzione dei deficit del campo visivo, se confrontati alla tecnica convenzionale.
Un’altra recente strategia terapeutica prevede l’utilizzo del laser micropulsato, in cui gli spot laser non sono evidenziabili oftalmoscopicamente. Gli studi pubblicati dimostrano risultati incoraggianti, anche se conclusioni definitive tuttora mancano (9-11).
Inoltre recentemente nuove apparecchiature laser sono state introdotte per agevolare la procedura e per ridurre l’impatto traumatico sulla retina. Fra queste, il laser Pascal ha la proprietà di poter ridurre il tempo di esposizione (compensando con un aumento della potenza), in modo da rilasciare una ridotta energia cumulativa e quindi limitare il surriscaldamento della retina (12-14). Il laser Navilas prevede un’innovativa tecnologia eye-tracking, con fundus-camera incorporata, che permette di trattare il paziente con un’alta precisione nella zona perifoveale e di definire un programma fotocoagulativo personalizzato (15-17).
STEROIDI INTRAVITREALI
Gli steroidi sono stati studiati per lungo tempo come una promettente possibilità terapeutica nei pazienti affetti da EMD a causa delle loro note proprietà antinfiammatorie. Attualmente esistono numerosi tipi di steroidi per uso intravitreale, con differente efficacia e durata d’azione. Tuttavia gli effetti collaterali, pur variando secondo il tipo di molecola, comprendono l’aumento della pressione intraoculare (e quindi il rischio di sviluppare glaucoma indotto da steroidi) e lo sviluppo o progressione della cataratta.
Le iniezioni intravitreali di triamcinolone acetonide (IVTA), utilizzate inizialmente soprattutto nei casi di EMD refrattario a trattamento laser, hanno dimostrato alcuni favorevoli risultati, pur non mancando gli effetti collaterali sopra citati (18). Più recentemente il Diabetic Retinopathy Clinical Research Network (DRCR.net) ha confrontato il trattamento con IVTA senza conservanti a due differenti dosaggi (1 mg e 4 mg) con il laser (focale o a griglia), considerato lo standard of care (19-20). I risultati a due anni hanno dimostrato un aumento di cinque lettere di acuità visiva nel gruppo di pazienti trattati con il laser, rispetto a un’assenza di miglioramento nei due gruppi di pazienti trattati con IVTA a differente dosaggio; per contro il tasso di effetti collaterali (aumento del rischio di sviluppare glaucoma o di intervenire chirurgicamente sulla cataratta) era maggiore nei due bracci trattati con lo steroide (e maggiormente in quello ad alto dosaggio). Da questo studio gli autori trassero la conclusione che il trattamento con IVTA non era in grado di produrre benefici nel lungo termine se confrontato con il laser.
Ad oggi nella pratica clinica, l’IVTA, da solo o aggiunto al laser, può essere considerato un’alternativa terapeutica in quei casi specifici di perdita visiva secondari a EMD refrattario o persistente, specialmente in occhi già operati di cataratta.
Nuovi dispositivi a rilascio prolungato sono stati recentemente sviluppati per somministrare farmaci steroidei con una maggior durata d’azione e allo scopo di ridurre il numero di iniezioni intravitreali; fra questi citiamo gli impianti di desametasone e fluocinolone a lento rilascio.
L’impianto di desametasone a lento rilascio (DEX-implant, Ozurdex®, Allergan Inc., USA) consiste in un dispositivo biodegradabile, contenente 0,7 mg di desametasone, senza conservanti, iniettato in cavità vitrea tramite un applicatore monouso, pre-riempito, delle dimensione di 22-gauge. Il DEX-implant è attualmente approvato dalla US Food and Drug Administration (FDA) e dall’Unione Europea (EU) come trattamento validato in caso di pazienti adulti affetti da uveiti posteriori croniche non infettive e da edema maculare in corso di occlusione venosa retinica. Inoltre recentemente ha ottenuto l’indicazione da parte dell’European Medicines Agency (EMA) per il trattamento di pazienti adulti con EMD, che siano pseudofachici (già sottoposti cioè a chirurgia della cataratta), o che si ritiene abbiano una risposta insufficiente o che siano non adatti ad una terapia non-corticosteroidea. I risultati dello studio che ha valutato l’efficacia del trattamento con DEX-implant a differente dosaggio (0,7 e 0,35 mg) confrontato col placebo nei pazienti affetti da EMD sono stati recentemente resi noti (21). A tre anni, il 22,2% e il 18,4% dei pazienti trattati con steroide rispettivamente ad alto e basso dosaggio hanno ottenuto un miglioramento visivo di 15 o più lettere, confrontato con il 12% dei soggetti sottoposti a placebo. In tre anni i pazienti trattati con steroidi hanno ricevuto una media di 4 iniezioni di DEX-implant, ripetute ogni 6 mesi. Lo studio ha quindi dimostrato che il trattamento con DEX-implant si è dimostrato sicuro ed efficace nella gestione dell’EMD, rivelando un profilo di sicurezza accettabile (Fig. 1).
Due tipi di impianto a lento rilascio di fluocinolone acetonide sono stati testati, dimostrando un potenziale effetto terapeutico nel trattamento dell’EMD. Retisert® (Bausch & Lomb, Rochester, NY) è un dispositivo non biodegradabile che viene inserito in cavità vitrea tramite un’incisione chirurgica effettuata in via pars plana, progettato per liberare 0,59 mg di fluocinolone acetonide, mantenuto a dosaggio costante per almeno 30 mesi. Retisert è approvato come possibilità terapeutica validata nel caso di uveiti posteriori croniche non infettive. L’efficacia e sicurezza di Retisert nel trattamento dell’EMD recidivante o persistente sono state confrontate con lo standard of care (fotocoagulazione laser) (22). A tre anni il 31,1% dei pazienti trattati con lo steroide ha dimostrato un miglioramento visivo di tre o più linee di acuità visiva, anche se associato a un alto tasso di effetti collaterali, inclusa l’estrazione della cataratta e la gestione dell’ipertono oculare, che in un 33,8% dei casi di glaucoma richiedeva approccio chirurgico. Da tale studio si è potuto concludere che l’impianto di fluocinolone acetonide Retisert può essere considerato in occhi con EMD persistente o recidivante.
Iluvien® (Alimera Sciences, Alpharetta, GA) è un secondo impianto non biodegradabile in grado di rilasciare 0,5 o 0,2 μg di fluocinolone acetonide al giorno, facilmente inserito nel vitreo con un ago da 25-gauge. Soggetti affetti da EMD persistente sono randomizzati a ricevere Iluvien a differente dosaggio (0,2 μg, 0,5 μg al giorno) o placebo (23-24). A 36 mesi la percentuale di pazienti che ha ottenuto un miglioramento visivo di 3 o più linee di acuità visiva è stata rispettivamente 28,7 % e 27,8 % nei gruppi ad alto e basso dosaggio e 18,9 % nel gruppo placebo. Tuttavia la quasi totalità dei pazienti con cristallino è andata incontro alla chirurgia della cataratta e i tassi di glaucoma richiedente intervento chirurgico sono stati rispettivamente del 4,8 e 8,1% dei due gruppi a basso e alto dosaggio di steroide. In considerazione di tali risultati, Iluvien può essere considerato oggi come alternativa terapeutica nei pazienti affetti da EMD persistente, con maggiore indicazione nei casi già sottoposti a estrazione di cataratta.
INIEZIONI INTRAVITREALI DI ANTI-VEGF
Numerosi studi hanno dimostrato il ruolo chiave svolto dal VEGF nello sviluppo e progressione della RD e in particolare dell’EMD. Per questo motivo negli ultimi anni la ricerca si è specificatamente orientata verso l’uso di farmaci iniettati per via intravitreale inibenti tale fattore di crescita, fra cui il ranibizumab, il bevacizumab, il pegaptanib sodium e l’aflibercept. Le iniezioni intravitreali di anti-VEGF si sono dimostrate efficaci nel trattamento dell’EMD con un basso tasso di eventi avversi. Esistono tuttavia rischi connessi alla procedura iniettiva (fra cui distacco di vitreo, rottura retinica, emovitreo, distacco di retina, endoftalmite…) e anche rischi legati ad una possibile esposizione sistemica (cardiopatia ischemica, accidenti cerebrovascolari, sanguinamenti gastro-intestinali…). Inoltre l’inconveniente maggiore di queste terapie è rappresentato dalla necessità di ripetere frequentemente la somministrazione del farmaco, col rischio di aumentare il tasso di eventi avversi relativi alla procedura iniettiva e di ridurre la compliance da parte del paziente.
Il ranibizumab (Lucentis®, Genentech, Inc., South San Francisco, CA) è un anticorpo monoclonale umanizzato in grado di legare e inattivare tutte le isoforme del VEGF-A, compresi i loro prodotti di degradazione, con attività biologica. Correntemente il ranibizumab è approvato dal FDA e dall’EU per il trattamento dell’edema maculare diabetico, della degenerazione maculare senile, della degenerazione maculare miopica e dell’edema maculare in corso di occlusione venosa. Numerosi studi randomizzati, multicentrici, controllati sono stati prodotti per valutare l’efficacia del ranibizumab intravitreale (IVR), sia in monoterapia, confrontati col placebo oppure con lo standard of care (laser), e sia come trattamento aggiuntivo alla fotocoagulazione laser e alla vitrectomia. In un recente studio randomizzato (RESTORE study) della durata di 12 mesi e poi esteso, in aperto, per altri 24 mesi, l’efficacia del trattamento con IVR da solo o associato a fotocoagulazione laser maculare è stata confrontata alla sola terapia laser (25-26). I risultati a tre anni hanno dimostrato che IVR da solo o associato alla terapia laser è superiore alla fotocoagulazione laser maculare, sia in termini di recupero dell’acuità visiva, sia in termini di riduzione dello spessore retinico centrale, dimostrando anche un buon profilo di sicurezza del farmaco. In un altro studio (DRCR.net), l’efficacia di IVR associato al laser applicato secondo due schemi temporali diversi (immediato o posticipato di 24 o più settimane) è stata confrontata sia con IVTA 4 mg associato a laser immediato e sia con iniezioni di placebo associate al solo trattamento laser (27-28). I risultati a un anno hanno dimostrato che IVR associato al laser (immediato o posticipato) era superiore al solo laser nella gestione dell’EMD con coinvolgimento maculare (27). I risultati dell’estensione a tre anni hanno dimostrato che il laser maculare eseguito nell’immediato poteva essere considerato non migliore ma possibilmente peggiore della sua posticipazione di 24 o più settimane (28)(Fig. 2).
Il bevacizumab (Avastin®, Genentech In. San Francisco, CA, USA) è un anticorpo umanizzato ricombinante, che mantiene la lunghezza originaria, in grado di inibire competitivamente tutte le isoforme del VEGF-A. Ad oggi è approvato dalla US FDA e dall’European Medicines Agency (EMA) per il trattamento dei tumori in fase metastatica. Il bevacizumab iniettato per via intravitreale (IVB) è stato utilizzato off-label (senza approvazione della FDA o dell’EMA) ma sulla base di numerosi studi clinici, dimostrando un effetto terapeutico, nel trattamento di numerose malattie retiniche, fra cui l’edema maculare diabetico, la degenerazione maculare senile e l’edema maculare in corso di occlusione venosa. L’efficacia di IVB, a differenti dosaggi (1,25 mg e 2,5 mg) nel trattamento dell’EMD è stata valutata in numerose casistiche, dimostrando effetti soddisfacenti sia in termini di recupero visivo, sia in termini di riduzione dello spessore retinico. Uno studio prospettico, randomizzato, controllato (BOLT study) ha dimostrato la superiorità di IVB a confronto con la fotocoagulazione maculare in occhi affetti da EMD persistente (29-30). A due anni il gruppo trattato con IVB (1,25 mg) ha ottenuto un recupero visivo di 8,6 lettere confrontato con una perdita di 0,5 lettere nel gruppo trattato con il laser, con una media di 13 trattamenti con IVB e 4 ritrattamenti laser nei due gruppi rispettivamente nei due anni (29-30). Il trattamento con IVB è stato confrontato anche con IVTA in uno studio randomizzato di 24 settimane, mostrando migliori risultati visivi nel gruppo trattato con IVB rispetto a IVTA (31).
Il pegaptanib sodium (Macugen®, Eyetech Inc, Cedar Knolls, NJ, USA) è un inibitore selettivo del VEGF 165, che è considerato l’isoforma di VEGF più patologicamente attiva a livello oculare. Correntemente il pegaptanib intravitreale (IVP) è approvato solo per il trattamento della degenerazione maculare senile, anche se la sua efficacia nella gestione dell’EMD è stata analizzata in numerosi lavori, dimostrando effetti positivi. Nel 2011 uno studio randomizzato, controllato, in doppio cieco (Macugen 1013 Study) ha confrontato il trattamento con IVP versus il placebo, introducendo la fotocoagulazione maculare dalla 18a settimana, se necessaria, in ciascun gruppo; successivamente dal secondo anno il gruppo trattato col placebo poteva ricevere il trattamento con IVP al bisogno (32-33). Lo studio concluse che il trattamento con IVP poteva essere considerato una valida modalità terapeutica nella gestione dell’EMD.
L’aflibercept (Eylea®, Regeneron Inc., New York) è una proteina chimerica che lega specificatamente due fattori di crescita pro-angiogenici: non solo il VEGF-A ma anche il fattore di crescita placentare. La Commissione Europea ha recentemente approvato le iniezioni intravitreali di aflibercept (IVA) per il trattamento dell’EMD. La nuova indicazione si affianca all’utilizzo, già approvato, nella degenerazione maculare correlata all’età e nell’edema maculare conseguente a occlusione venosa retinica. I risultati preliminari di un recente studio randomizzato (DA VINCI Study) hanno dimostrato che il trattamento con IVA è efficace e ben tollerato nella gestione dell’EMD, e ha apportato maggiori benefici in termini di recupero dell’acuità visiva se confrontato con il laser maculare (34-35). Lo studio ha analizzato diverse modalità di trattamento: IVA 0,5 mg ogni 4 settimane, IVA 2 mg ogni 4 settimane, IVA 2 mg ogni 8 settimane dopo 3 iniziali dosi mensili, IVA 2 mg al bisogno dopo 3 iniziali dosi mensili confrontandole con il laser.
VITRECTOMIA VIA PARS-PLANA
Anche se il ruolo del vitreo e delle aderenze vitreoretiniche non è ancora completamente noto, si ritiene comunque che tali strutture anatomiche svolgano un ruolo cardine come attive modulatrici nel complesso meccanismo dell’aumento della permeabilità vascolare. Possibili meccanismi patogenetici includono un’eccessiva glicazione del collagene vitreale, un accumulo di fattori vasoattivi nel vitreo pre-maculare a una migrazione di cellule verso la ialoide posteriore, tali da poter indurre la formazione di trazioni vitreo-maculari e aumentare la permeabilità vascolare. Alcuni studi hanno dimostrato che il distacco posteriore di vitreo svolge un ruolo protettivo nella formazione dell’EMD e pazienti con questa condizione tendono a sviluppare con meno frequenza l’EMD.
Nel 1992 Lewis ha proposto per la prima volta il ruolo terapeutico della vitrectomia per via pars-plana (VVPP) nel trattamento dell’EMD associato alla presenza di una ialoide posteriore pre-maculare ispessita e tesa (36). Sulla base di questo e altri risultati la vitrectomia via pars-plana con rimozione della ialoide posteriore è stata considerata una terapia validata in caso di EMD trazionale persistente e diffuso, refrattario a precedenti trattamenti, in cui la ialoide posteriore è ben visibile, tesa e ispessita. Inoltre la rimozione della membrana limitante interna (MLI, lo strato più interno della retina), procedura chiamata peeling della MLI, si è visto essere un efficace procedimento chirurgico che previene la formazione di recidive di membrana epiretinica (MER). Infatti, la presenza della MLI, agendo da impalcatura che promuove la formazione di MER, determina spesso una recidiva di patologia. L’efficacia della VVPP con peeling della MLI nel trattamento dell’EMD associato a trazione vitreo-maculare è stata valutata da un recente studio prospettico della durata di un anno, dimostrando un aumento significativo dell’acuità visiva e una riduzione dello spessore retinico (37).
Altri lavori pubblicati hanno suggerito inoltre un ruolo terapeutico della chirurgia anche in casi di EMD non trazionale, refrattario al laser o alle terapie iniettive, in cui non è francamente visibile una membrana epiretinica o un’adesione vitreo-maculare patologica. Infatti, evidenze scientifiche avrebbero dimostrato un ruolo attivo della VVPP nell’aumentare il drenaggio di fluido dalla retina e il trasporto di ossigeno verso aree retiniche non perfuse.
Tuttavia non vanno dimenticati i rischi connessi alla procedura chirurgica fra cui, in ordine di frequenza, la formazione di cataratta, l’aumento della pressione intraoculare, il distacco di retina, lo sviluppo di endoftalmiti, l’emovitreo e le emorragie coroideali.
VITREOLISI ENZIMATICA
Una recente procedura meno invasiva della tecnica chirurgica che sta acquistando un ruolo nel trattamento della trazione vitreomaculare è la vitreolisi enzimatica. Questo trattamento prevede il rilascio dentro il vitreo mediante tecnica iniettiva di enzimi (fra cui ialuronidasi, condroitinasi, dispasi e plasmina) in grado di indurre il distacco di vitreo in maniera meno traumatica e promuovendo così l’ossigenazione retinica. L’iniezione intravitreale di ialuronidasi (Vitrase®, ISTA Pharmaceuticals, Irvine, CA, USA) è stata analizzata nel trattamento dell’emovitreo, dimostrando risultati promettenti (38). L’iniezione intravitreale di plasmina autologa, ottenuta dal plasminogeno del paziente stesso, purificato con streptochinasi, è stata analizzata da sola o in aggiunta alla VVPP in pazienti affetti da EMD dimostrando in un’ampia percentuale di casi una spontanea risoluzione della trazione vitreo-maculare (39). Attualmente l’iniezione intravitreale di ocriplasmina (Jetrea®, Alcon) è indicata negli adulti per il trattamento della trazione vitreo-maculare, compresa quella associata a foro maculare di diametro inferiore o pari a 400μ. Tuttavia l’esperienza in pazienti con trazione vitreo-maculare associata a retinopatia diabetica è limitata.
ALGORITMO TERAPEUTICO
La fotocoagulazione laser è stata considerata per molto tempo come l’unico trattamento validato in caso di EMD. Tuttavia con l’avvento delle tecniche iniettive, lo sviluppo di nuovi farmaci a diverso meccanismo e durata d’azione e il continuo potenziamento delle procedure chirurgiche, si è aperto un nuovo scenario nella gestione dell’EMD. Le opzioni terapeutiche a disposizione dello specialista si sono ampliate enormemente, comportando, in certi casi, delle difficoltà decisionali nelle scelte terapeutiche più indicate per una corretta gestione dell’EMD. I risultati degli studi comparativi fra i vari trattamenti esistenti guidano gli oftalmologi nelle scelte terapeutiche nel tentativo di produrre linee guida validate, pur mancando tuttora risultati definitivi su confronti testa a testa.
Per questo motivo, nuovi algoritmi terapeutici sono stati sviluppati per promuovere una gestione individualizzata del paziente, basandosi su una corretta diagnosi eziopatogenetica della malattia (3). Uno degli algoritmi suggeriti prevede inizialmente una classificazione eziopatogenetica dell’EMD in tre tipi: vasogenico, non vasogenico e trazionale; dopodiché il trattamento più appropriato di seconda scelta si basa sulla risposta clinica alla terapia di prima linea.
Nel primo caso di EMD vasogenico si consiglia come primo approccio il laser, secondo le modalità fornite dall’ETDRS. In caso di risposta terapeutica favorevole, il paziente può essere rinviato successivamente a monitoraggi periodici ogni sei mesi. In caso invece di scarsa risposta alla terapia laser, si consiglia di trattare il paziente con iniezioni di anti-VEGF o steroidi.
Nel secondo caso di EMD non vasogenico, lo specialista è orientato in prima battuta verso la procedura iniettiva con farmaci anti-VEGF, associando il laser ETDRS in caso di buona risposta. In caso invece di scarsa risposta alle iniezioni di anti-VEGF, è utile proporre il trattamento con steroidi intravitreali.
Nel caso infine di EMD trazionale, la chirurgia associata alle iniezioni di farmaci anti-VEGF o steroidi rimane la scelta terapeutica ottimale.
Nel 2012 un gruppo di esperti ha fornito raccomandazioni basate sulle evidenze per il trattamento dell’EMD, partendo da una classificazione anatomica e funzionale dell’edema maculare (40). In caso di edema maculare clinicamente significativo (come classificato dall’ETDRS), il trattamento più indicato prevede le iniezioni intravitreali di ranibizumab.
In caso di edema maculare con coinvolgimento maculare e perdita visiva, le iniezioni intravitreali di ranibizumab a cadenza mensile rappresentano l’indicazione terapeutica principale. Il trattamento va successivamente interrotto e re-iniziato in base rispettivamente alla stabilizzazione dell’acuità visiva o al suo deterioramento.
In caso di edema maculare clinicamente significativo senza coinvolgimento maculare o con coinvolgimento maculare ma senza rilevante compromissione visiva, gli autori consigliano come primo approccio terapeutico il trattamento laser maculare secondo le linee guida ETDRS.
Un team di specialisti ha prodotto recentemente nuove linee guida per la gestione dell’EMD basate sulle evidenze scientifiche (41). I dati ottenuti da rilevanti studi clinici di fase II e III hanno dimostrato che il trattamento iniettivo con anti-VEGF è superiore alla fotocoagulazione laser, in quanto in grado di apportare un miglioramento visivo e un buon profilo di sicurezza per ben tre anni. Inoltre dallo studio è emerso che i pazienti lamentano maggiormente un decremento visivo se trattati con il laser rispetto alle iniezioni intravitreali. Gli autori propongono un algoritmo terapeutico, basandosi su una stadiazione dell’EMD su base clinica (lieve-moderato oppure moderato-severo) e tomografica (in assenza o presenza di coinvolgimento maculare) (Fig. 3). Nel caso di EMD lieve-moderato, senza coinvolgimento maculare, gli autori consigliano di iniziare con il trattamento laser. In caso d’insuccesso terapeutico può essere utile considerare le iniezioni intravitreali di anti-VEGF. In caso invece di EMD moderato-severo, in presenza di coinvolgimento maculare, la scelta terapeutica è imprescindibile dalla valutazione dell’acuità visiva (AV). In caso di AV maggiore di 20/30 si consiglia il trattamento laser e, solo in caso d’insuccesso, è utile considerare le iniezioni di anti-VEGF. In caso invece di AV minore o uguale a 20/30, la terapia di prima scelta consiste nelle iniezioni di anti-VEGF, che possono essere seguite dalla fotocoagulazione laser in caso di mancata risposta (Fig. 3).
CONCLUSIONI
La gestione dell’EMD, pur essendo cambiata negli ultimi anni, rappresenta tuttora una sfida terapeutica complessa per lo specialista. Elemento imprescindibile nel management del paziente diabetico rimane prima di tutto la prevenzione e la corretta gestione del controllo sistemico, includendo non solo il profilo glicometabolico, ma anche quello lipidico e pressorio. Rimane inoltre auspicabile un adeguato coordinamento fra i differenti specialisti (includendo non solo diabetologi e oculisti, ma anche internisti, pediatri, cardiologi, dietologi, infermieri…) per costituire un team altamente organizzato a guidare il paziente diabetico nell’affrontare una malattia così complessa.
Per quanto riguarda il recupero visivo in caso di EMD, oggi finalmente possono essere offerte concrete e durature possibilità di miglioramento, offrendo una combinazione di fotocoagulazione laser, terapia iniettiva e chirurgica. Inoltre al fine di incrementare la risposta terapeutica e ridurre la frequenza dei ritrattamenti, numerosi studi hanno dimostrato l’efficacia della terapia combinata. Nuove modalità di follow-up al fine di ridurre l’impatto dei controlli mensili e dei trattamenti ripetuti sono in via di definizione. Questo consentirà di evitare sovra o sotto trattamenti e di migliorare ulteriormente la qualità di vita del paziente diabetico. Infine nuove molecole e agenti farmacologici sono tuttora oggetto di studio, con lo scopo di produrre concreti avanzamenti nella conoscenza e nel trattamento di questa invalidante malattia.
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