Il ruolo del coronary artery calcium score nel paziente diabetico asintomatico in prevenzione primaria

Il ruolo del coronary artery calcium score nel paziente diabetico asintomatico in prevenzione primaria

Roberto Scicali, Antonino Di Pino, Salvatore Piro, Agata Maria Rabuazzo, Francesco Purrello

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università degli Studi di Catania

DOI: 10.30682/ildia1801a 

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Introduzione

Il diabete è una malattia metabolica caratterizzata da elevati livelli glicemici nel circolo ematico. In base alle ultime stime della Federazione Internazionale Diabetologica (International Diabetes Federation, IFD) 425 milioni di soggetti nel mondo (9,03%) sono diabetici; considerando i tassi di incidenza della malattia si stima che nel 2040 il numero di soggetti affetti da diabete mellito (DM) arriverà a 642 milioni (10.4%) (1). Nonostante il costante miglioramento degli standard di cura, il DM è associato ad una significativa morbilità e mortalità cardiovascolare (2). Infatti, i pazienti diabetici hanno un rischio tre volte maggiore di andare incontro a malattia coronarica (CHD), cerebrovasculopatia ed arteriopatia periferica (PAD) rispetto ai soggetti non diabetici (3). Inoltre, l’aumentato rischio cardiovascolare dei soggetti diabetici dovuto all’alterata omeostasi glicemica è già evidenziabile in fasi precedenti alla diagnosi di DM (4-5). Se da un lato diversi dati in letteratura sostengono il concetto di diabete come “equivalente coronarico” (6-7), dall’altro vari studi rigettano tale considerazione (8-9). Nell’ambito di una popolazione con una tale eterogeneità, appare quindi necessario riconoscere il più precocemente possibile quei soggetti a maggior rischio di eventi cardiovascolari.

Nonostante l’elevato valore predittivo, i tradizionali fattori di rischio cardiovascolare si sono rivelati non del tutto esaustivi. Pertanto, nuovi biomarcatori di danno aterosclerotico potrebbero essere utili nel discriminare meglio il rischio cardiovascolare dei soggetti diabetici (10). Vari sono i biomarcatori strumentali utilizzati nella pratica clinica per la definizione del rischio cardiovascolare. Sebbene alcuni di questi come la valutazione della rigidità arteriosa e la misurazione dello spessore medio-intimale carotideo siano facilmente eseguibili nella pratica clinica, sia nelle linee guida americane che europee sulla prevenzione cardiovascolare non hanno ottenuto un elevato livello di raccomandazione (11-12). Il coronary artery calcium (CAC) score è stato negli ultimi anni largamente utilizzato per la valutazione del danno aterosclerotico nella pratica clinica (13) ed è considerato un valido biomarcatore strumentale di aterosclerosi macroangiopatica nella popolazione generale (14). In questa rassegna valuteremo le caratteristiche prinicipali del CAC score, il suo impatto sulla valutazione del rischio cardiovascolare ed il suo utilizzo nel setting diagnostico-terapeutico del paziente diabetico.

Il CAC score nella pratica clinica: dall’esecuzione ai rischi correlati

L’interesse per la valutazione dell’aterosclerosi coronarica mediante CAC score risale agli studi di Rumberger et al. in cui l’estensione di CAC era associato all’area delle placche aterosclerotiche coronariche valutate su sezioni istologiche (15). La valutazione di CAC si esegue mediante scansioni con tomografia computerizzata (TC) limitata al torace, con il paziente posto in posizione supina e senza utilizzo di mezzo di contrasto. Il numero di scansioni per ogni esame TC sono circa 20, in modo tale da visualizzare completamente il sistema coronarico. Ogni scansione TC ha uno spessore di 3 mm e viene effettuata in 100 msec. L’esame viene sincronizzato con monitoraggio elettrocardiografio, in modo tale da ottenere le scansioni coronariche durante la diastole cardiaca. Durante l’esame viene chiesto al paziente di trattenere il respiro per 3-5 secondi (16). CAC è stato definito radiologicamente come una lesione >130 unità Hounsfield con un’area ≥3 pixels adiacenti (almeno 1 mm2) (17). Il calcolo del CAC score originato da Agatston et al. è determinato dal prodotto tra l’area della placca calcifica e la massima densità della lesione stessa (range da 1 a 4 in base alle unità Hounsfield) (18). Per standardizzare la gravità delle lesioni calcifiche coronariche, in base al valore di CAC sono state sviluppate 5 distinte categorie: CAC score 0 unità di Agtston (UA) = assenza di placche calcifiche, CAC score 1-10 UA = minime lesioni calcifiche, CAC score 11-100 UA = lievi calcificazioni ateromasiche, CAC score 101-400 UA = moderate lesioni ateromasiche, CAC score >400 UA = placche calcifiche severe (19). Mentre un CAC score = 0 UA ha un elevato valore predittivo negativo di coronaropatia (20), un CAC score >400 UA è stato significativamente associato alla presenza di malattia coronarica (21-22). Uno dei principali rischi correlati all’esame TC è l’esposizione alle radiazioni. Il comitato scientifico dell’American Heart Association sulla Diagnostica per Immagini Cardiovascolari ha conferma che la dose di radiazioni per ogni esame TC finalizzato alla valutazione del CAC è ≤1 milliSievert (mSv), comparabile al quantitavo di radiazioni emesse da una mammografia (0.8 mSv) (23). Alcuni nuovi algoritmi diagnostici sono riusciti a ridurre la dose media di radiazioni a 0.37 mSv; tale dose varia comunque in base alle ditte venditrici (24). Alcuni studi hanno ipotizzato un minimo rischio tumorale dovuto all’esposizione cumulativa di radiazioni assorbite durante la valutazione del CAC score; tuttavia, tale rischio è solamente ipotizzato e non osservato (25). Invece, nel Multi-Ethnic Study of Atherosclerosis (MESA) Handy et al. trovarono che mentre un CAC score >400 UA era associato ad un’aumentato rischio di patologie extra-coronariche quali neoplasie, bronco-pneumopatia cornica ostruttiva, insufficienza renale cronica e fratture dell’anca, i soggetti con un CAC score = 0 UA avevano un rischio minore di sviluppare tali comorbidità (26).

Uno degli aspetti più interessanti e rilevanti della valutazione del CAC nella pratica clinica è la riclassificazione del rischio cardiovascolare dei pazienti asintomatici in prevenzione primaria (27). Nella tabella 1 sono riportati i dati riguardanti la riclassificazione del rischio cardiovascolare (net reclassification index, NRI) in tre grandi studi prospettici di coorte: il MESA, l’HEINZ-NIXFORD ed il ROTTERDAM (28-30). In questi studi, la percentuale di soggetti con un NRI in seguito a valutazione del CAC score era l’11.6-15.0% nella categoria a basso rischio, 52.0-65.6% nel gruppo a rischio intermedio e 34.0-35.8% nella categoria ad alto rischio. Complessivamente, il NRI si aggirava tra il 19% ed il 25%. Inoltre, Yeboah et al. hanno recentemente dimostrato che tra i vari fattori di rischio non tradizionali quali la proteina C reattiva, l’indicie caviglia-braccio e la familiarità per eventi cardiovascolari in età precoce, il CAC score era l’unico fattore a migliorare significativamente la valutazione del rischio cardiovascolare (10). Infine, nello studio MESA Folsom et al. trovarono che il CAC score prediceva meglio gli eventi cardiovascolari rispetto alla valutazione dell’IMT carotideo, parametro largamente utilizzato nella pratica clinica per la valutazione del rischio cardiovascolare (31).

Il CAC score ed il rischio cardiovascolare

Un altro aspetto da considerare è l’impatto del CAC score nella aderenze terapeutica. Infatti, in una recente metanalisi Gupta et al. hanno descritto che la percentuale di pazienti che iniziavano e continuavano le terapie farmacologiche (in particolare la terapia statinica) era significativamente più alta nella popolazione con un CAC score >0 UA rispetto ai soggetti con CAC score = 0 UA (32). Un argomento di acceso dibattito è il significato clinico della progressione del CAC score in pazienti in terapia statinica. Infatti, se da un lato Henein et al. scoprirono che l’incidenza di eventi cardiovascolari non era associata all’incremento di CAC score nei soggetti in terapia statinica, Raggi et al. trovarono che, in una coorte di soggetti in prevenzione primaria che iniziavano la terapia statinica, quelli che successivamente andavano incontro ad infarto miocardico avevano un incremento del 25% di CAC score rispetto ai soggetti senza eventi coronarici (33). Ulteriori studi sono necessari per chiarire il significato clinico e prognostico della progressione di CAC nei soggetti in terapia statinica.

Il CAC score nel paziente diabetico asintomatico: ruolo decisionale per la terapia antiaggregante?

Come precedentemente accennato, vi è un acceso dibattito nel mondo scientifico riguardo la considerazione del diabete come equivalente coronarico (34); in questo contesto, la presenza o meno di CAC potrebbe individuare i pazienti diabetici da considerare coronaropatici. In questo contesto, Wong et al. trovarono elevati valori di CAC in pazienti diabetici asintomatici per eventi coronarici rispetto a soggetti non diabetici (35); inoltre, Khaleeli et al. scoprirono che la prevalenza di CAC score >0 UA nei diabetici asintomatici era simile a quella dei pazienti coronaropatici senza DM (36). Per quanto riguarda l’assenza di CAC score, Hecth et al. trovarono che pazienti diabetici con un CAC score = 0 UA avevano lo stesso rischio di eventi coronarici di soggetti non diabetici con il medesimo valore di CAC (37). Pertanto, la presenza o meno di CAC potrebbe avere risvolti utili nell’ambito della terapia antiaggregante nel paziente diabetico, ulteriore ambito di dibattito nella letteratura scientifica (38). Inoltre, Naghavi et al. hanno precedentemente suggerito, nei soggetti asintomatici con un CAC score >400 UA, l’utilizzo di test non invasivi di secondo livello provocativi quali l’ecocardiogramma sotto stress (fisico o farmacologico) o la la tomografia ad emissione di fotone singolo (Single Photon Emission Computed Tomography, SPECT) di perfusione miocardica nel sospetto di ischemia miocardica (39). Newmann et al. hanno recentemente proposto l’utilizzo della cardioaspirina nei soggetti dabetici asintomatici in prevenzione primaria con un rischio cardiovascolare a 10 anni >10% (secondo ASCVD risk score) (40). Purtroppo, il limite dei tradizionali fattori di rischio cardiovascolare è l’assenza della valutazione dell’aterosclerosi (coronarica e/o periferica) mediante esami strumentali di primo livello (ecocolordoppler carotideo ed esame TC per la valutazione del CAC score). Secondo le ultime linee guida europee sulla aterosclerosi periferica prodotte dalla European Society of Cardiology (ESC) ed European Society for Vascular Surgery (ESVS), l’utilizzo della cardioaspirina in pevenzione primaria è raccomandata in presenza di una stenosi carotidea >50% (secondo metodo NASCET) (41). In base a tali considerazioni, il trattamento con cardioaspirina in pazienti diabetici in prevenzione primaria potrebbe essere indicata, oltre che nei soggetti con un rischio cardiovascolare >10%, anche in individui con un rischio cardiovascolare <10% ma con un CAC score >100 UA e/o presenza di placche carotidee >50%. Inoltre, in presenza di CAC score >400 UA, potrebbe essere raccomandato l’utilizzo di test non invasivi di secondo livello quali l’ecocardiogramma sotto stress o la SPECT di perfusione miocardica (Fig. 1).

 

Valutazione costo-beneficio del CAC score

Dato che per la valutazione del CAC score è necessario eseguira un esame TC, appare necessaria la valutazione degli eventuali costi correlati all’esecuzione dell’esame. Non esistono studi di costo-efficacia del CAC score rispetto a terapia antiaggregante nei soggetti diabetici. Gli studi di maggior rilievo sono studi di confronto con il trattamento statinico. Sebbene il costo di una TC per valutare il CAC è circa 100 $ rispetto ad 1 $ per statina, nel MESA Pletcher et al. mostrarono che, nei soggetti con un’età ≥55 anni ed un rischio cardiovascolare >7.5%, trattare con statina solo i soggetti con un CAC score >0 UA corrispondeva ad una spesa annua di circa 19000 $/anno rispetto ai 79000 $/anno del trattamento statinico di tutti i soggetti (42). Inoltre, in 5534 soggetti del MESA che non assumevano statine, il numero necessario da trattare per evitare un evento cardiovascolare (number need to treat, NNT) dopo l’inizio del trattamento statinico era 30 nei soggetti senza dislipidemia ma CAC score >100 UA rispetto ad un NNT di 154 negli individui con una dislipidemia aterogena e CAC score = 0 UA (43).

Conclusioni

Il DM è una malattia ad elevato rischio cardiovascolare, in cui il mancato controllo glicemico e dei fattori di rischio aggiuntivi quali il fumo, l’ipertensione arteriosa e la dislipidemia ne aumentano fortemente il rischio (44). Per tale motivo, nei soggetti diabetici in prevenzione primaria con un rischio cardiovascolare >10% è raccomandato il trattamento antiaggregante. Per valutare meglio il rischio cardiovascolare dei pazienti diabetici in prevenzione primaria, l’utilizzo di esami strumentali quali ecocolordoppler TSA ed esame TC per la valutazione del CAC score potrebbero ridefinire il rischio cardiovascolare di tali soggetti. In particolare, il CAC score si è dimostrato l’unico tra i vari fattori di rischio non tradizionali a migliorare la definizione del rischio cardiovascolare. Pertanto, oltre che nei pazienti diabetici con un rischio cardiovascolare >10%, l’utilizzo della cardioaspirina potrebbe avere un razionale nei soggetti con DT2 che, nonostante un rischo cardiovascolare <10%, presentano un CAC score >100 UA e/o placche carotidee >50%. Infine, in presenza di CAC score >400 UA, potrebbe essere raccomandato l’utilizzo di test non invasivi di secondo livello quali l’ecocardiogramma sotto stress o la SPECT di perfusione miocardica. Sebbene i costi associati alla valutazione del CAC siano superiori all’utilizzo della terapia medica, il CAC score potrebbe meglio individuare i soggetti che maggiormente necessitano di trattamento nell’ambito della prevenzione cardiovascolare. In Italia non vi è una codifica precisa da parte del Sistema Sanitario Nazionale per quanto riguarda l’esame TC per la valutazione del CAC score, né una precisa indicazione all’utilizzo del CAC score per la valutazione del rischio cardiovascolare in determinate categorie. Lo sviluppo di raccomandazioni da parte delle principali società scientifiche nazionali potrebbe essere d’aiuto nel realizzare chiare raccomandazioni per quanto riguarda la valutazione del CAC score.

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