Stefano Del Prato1, Giorgio Sesti2, Riccardo C. Bonadonna3, Enzo Bonora4, Paolo Cavallo Perin5, Agostino Consoli6, Paola Fioretto7, Andrea Giaccari8, Roberto Miccoli1, Giuseppe Penno9, Giuseppe Pugliese10, Anna Solini1
1Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università degli Studi di Pisa; 2Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica, Università degli Studi “Magna Græcia”, Catanzaro; 3Divisione di Endocrinologia, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università degli Studi di Parma e Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma; 4Endocrinologia, Diabetologia e Metabolismo, Università e Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona; 5Dipartimento di Scienze Mediche, Università degli Studi di Torino; 6Dipartimento di Medicina e Scienze dell’Invecchiamento, Università degli Studi di Chieti-Pescara “G. D’Annunzio”; 7Dipartimento di Medicina, Università degli Studi di Padova; 8Divisione di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo, Policlinico Gemelli, “Università Cattolica del Sacro Cuore”, Roma; 9Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Azienda Ospedaliera Universitaria di Pisa; 10Dipartimento di Medicina Clinica e Molecolare, Università “La Sapienza”, Roma
Introduzione
Il diabete mellito tipo 2 è una patologia cronica e progressiva caratterizzata da aumento dei livelli circolanti di glucosio con vari gradi di gravità di malattia in funzione delle concomitanti complicanze micro- e macro-vascolari. La storia naturale del diabete tipo 2 è caratterizzata da una fase iniziale di insulino-resistenza dovuta a vari fattori genetici e ambientali quali sovrappeso/obesità, ridotto esercizio fisico, dieta incongrua, età, ipertensione, dislipidemia. In questa fase, nonostante una funzione ß-cellulare già alterata, le concentrazioni di insulina aumentano nel tentativo di compensare lo stato di insulino-resistenza: con il progredire della malattia la funzione ß-cellulare tende a deteriorarsi sempre di più causando la comparsa di franca iperglicemia. La ricerca farmacologica ha sviluppato farmaci con l’obiettivo di stimolare la funzione delle ß-cellule pancreatiche o di migliorare l’azione dell’insulina (insulino-sensibilizzanti). L’ultima classe di farmaci introdotta nell’armamentario terapeutico del diabete è quella degli inibitori del co-trasportatore sodio-glucosio 2 (SGLT2), molecole in grado di bloccare il riassorbimento del glucosio inducendo glicosuria, e, quindi, migliorando il compenso glicemico indipendentemente da una azione diretta su ß-cellula e sensibilità insulinica. Se a prima vista potrebbe sembrare che questo approccio non riconosca un razionale fisiopatologico va invece ricordato come la riduzione della glicemia così ottenuta permette di contenere la gluco-tossicità e, quindi, gli effetti negativi che l’iperglicemia cronica esercita sulla secrezione e azione dell’insulina.
Il rene, quindi, grazie agli inibitori del co-trasportatore SGLT2, assume un ruolo e un’importanza diversa nel controllo glicemico. L’efficacia di questi farmaci nel controllo della glicemia, unitamente alla riduzione del peso corporeo e all’effetto sulla pressione arteriosa che si associano a questo trattamento, offrono al diabetologo un’ulteriore opportunità nella gestione del paziente con diabete tipo 2.
Lo scopo di questa rassegna è di fornire un’analisi basata sulle attuali conoscenze sul rene come organo bersaglio della terapia del diabete tipo 2, affrontando una serie di tematiche che spaziano dal ruolo del rene nell’omeostasi glucidica, al razionale dell’uso degli inibitori di SGTL2, alla loro efficacia sul controllo metabolico, ai possibili effetti aggiuntivi “extra renali”, alla tollerabilità e sicurezza del loro impiego e al posizionamento nel quadro delle attuali opzioni terapeutiche del diabete tipo 2.
Stefano Del Prato, Giorgio Sesti
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Qual è il ruolo del rene nell’omeostasi glucidica: produzione e/o escrezione del glucosio?
MESSAGGI CHIAVE
- Il preciso ruolo del rene nell’omeostasi glucidica è difficilmente quantificabile per le difficoltà metodologiche dei pochi studi disponibili.
- L’attività gluconeogenetica del rene contribuisce in misura modesta alla produzione endogena complessiva di glucosio. Questo contributo appare più evidente in risposta all’ipoglicemia e in corso di digiuno prolungato.
- Il rene assicura il riassorbimento di circa 180 g di glucosio nelle 24h. Questo processo ha effetti non trascurabili sull’omeostasi glucidica.
- In corso di diabete si ipotizza un aumento del riassorbimento tubulare di glucosio. L’effettivo contributo di tale incremento sull’espansione del pool glicemico è di difficile computo.
Il rene contribuisce all’omeostasi glucidica attraverso due meccanismi: insieme al fegato immette glucosio in circolo ed è sede di filtrazione e riassorbimento di grandi quantità di glucosio.
Il contributo del rene alla produzione endogena di glucosio è reso possibile dal fatto che il rene è, insieme al fegato, l’unico organo nel quale è espressa la glucosio-6-fosfatasi, enzima necessario a defosforilare il glucosio-6-fosfato (cui la membrana cellulare è impermeabile) consentendo al glucosio libero così generato di fuoriuscire dalla cellula. Poiché il rene contiene limitate quantità di glicogeno, la produzione di glucosio-6-fosfato è dipendente dalla gluconeogenesi. La prima evidenza a supporto dell’attività gluconeogenetica renale risale al 1937 quando si dimostrò che, a livello della corteccia renale, avviene la sintesi di carboidrati a partire da piruvato e lattato (Fig. 1).
Dati successivi, ottenuti sia in vitro che in vivo, hanno confermato l’esistenza di un’attività gluconeogenetica che rende conto di circa il 5% della produzione complessiva di glucosio endogeno (1). Questa funzione assume un significato particolare nel soggetto diabetico, nel quale la compromissione renale può contribuire a una minore capacità di recupero dall’ipoglicemia (2-7). Nei pazienti con compromissione renale, infatti, il rischio di eventi ipoglicemici gravi indotti dalla terapia farmacologica ipoglicemizzante è aumentato del 74% (3). Studi di clamp ipoglicemico hanno dimostrato come, in corso di ipoglicemia, l’attivazione del sistema nervoso autonomo stimoli la produzione di glucosio da parte del rene (6).
Il rene filtra circa 180 g di glucosio nell’arco delle 24 ore che, in condizioni di euglicemia, vengono totalmente riassorbiti a livello dei tubuli contorti prossimali mediante un processo di trasporto attivo a livello della membrana a spazzola dell’epitelio tubulare. Tramite questo processo il glucosio è trasferito dal lume all’interno della cellula e, successivamente, mediante un processo di diffusione facilitata, a livello della membrana baso-laterale (8-10). Il trasporto attivo del glucosio a livello dei tubuli renali prossimali è garantito da co-trasportatori specifici per il glucosio, i co-trasportatori sodio-glucosio 1 (SGLT1) e 2 (SGLT2) (11). Il primo è espresso soprattutto nell’intestino e, in minor misura, nel rene dove contribuisce in maniera limitata al riassorbimento del 10% del glucosio filtrato dal glomerulo. Il 90% del riassorbimento avviene per effetto del co-trasportatore SGTL2. L’affinità di questi due co-trasportatori per il D-glucosio è simile in condizioni fisiologiche (2 mM per SGLT2 e 0,2 mM per SGLT1) (12-15).
Poiché il glucosio è liberamente filtrato, la sua concentrazione nel filtrato glomerulare è uguale alla concentrazione plasmatica e, a un aumento di quest’ultima, consegue un incremento lineare del riassorbimento tubulare fino a che la capacità massima dei co-trasportatori (soglia renale per il riassorbimento del glucosio) non è saturata. A quel punto, il riassorbimento è massimale e resterà costante anche per ulteriori aumenti della concentrazione di glucosio nel plasma (e quindi nel filtrato) con conseguente comparsa di glucosio nelle urine (Fig. 2) (16). Nel soggetto diabetico iperglicemico la soglia renale per il riassorbimento del glucosio viene facilmente superata venendosi a determinare la caratteristica glicosuria del soggetto scompensato. Tuttavia, nel diabetico, i meccanismi adattativi renali, invece di favorire l’escrezione di glucosio, sembrano, al contrario, limitarla.
L’induzione di diabete nell’animale da esperimento determina un aumento dell’espressione di SGLT2 cui si associa l’elevazione della soglia per il riassorbimento tubulare renale del glucosio (17-19). Questa soglia sembrerebbe più alta anche nei pazienti affetti da diabete tipo 2 (19). In queste condizioni è ipotizzabile che SGLT2 continui a riassorbire glucosio in presenza di iperglicemia, contribuendo ad espanderne il pool plasmatico (20-21).
L’aumento dell’efficienza del riassorbimento tubulare di glucosio nel diabete parrebbe secondario all’iperglicemia cronica e potrebbe essere interpretata come un meccanismo adattativo teso a limitare la perdita di calorie a fronte di un sistema incapace di utilizzare il glucosio circolante come fonte energetica. Di fatto tale meccanismo diventa mal-adattativo e contribuisce a perpetuare una condizione di iperglicemia. L’aumento dei livelli di glucosio, a sua volta, peggiora l’insulino-resistenza e la funzione ß-cellulare (22-23). L’induzione di glicosuria massiva attraverso il blocco dei co-trasportatori SGLT2 con florizina in ratti diabetici si è dimostrata in grado di correggere non solo l’iperglicemia ma anche di migliorare la sensibilità tissutale all’insulina e della risposta secretoria delle ß-cellule al glucosio (22).
Qual è la funzione della famiglia dei co-trasportatori sodio-glucosio?
MESSAGGI CHIAVE
- Il glucosio è una molecola polare che attraversa le membrane cellulari grazie a sistemi di trasporto attivi e/o facilitati.
- I co-trasportatori del glucosio sono proteine di membrana che appartengono principalmente a 2 famiglie: GLUTs (GLUcose Transporters) e SGLTs (Sodium-dependent GLucose coTransporters).
- Il co-trasportatore SGLT1 è maggiormente espresso a livello intestinale; SGLT2 è quasi esclusivamente espresso a livello del tubulo renale.
- Difetti genetici di SGLT1 si associano a gravi patologie (p.es. malassorbimento di galattosio-glucosio).
- I difetti genetici di SGLT2 si associano a tre forme di glicosuria renale:
glicosuria renale Tipo A (con ridotto numero di co-trasportatori e glicosuria post-prandiale);
glicosuria renale Tipo B (con ridotta affinità del co-trasportatore per il glucosio e glicosuria a digiuno);
glicosuria renale Tipo 0 (con riassorbimento tubulare assente e glicosuria massiva).
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A livello renale, SGLT2 è responsabile del riassorbimento del 90-95% del glucosio, mentre SGLT1 del 5-10%.
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Nel diabete sperimentale è stato riportato un aumento dell’espressione di SGLT2.
Il glucosio, fonte di energia essenziale per il metabolismo cellulare, per la sua elevata polarità non riesce ad attraversare il doppio strato lipidico delle membrane plasmatiche cellulari. Il suo passaggio è assicurato da proteine plasmatiche appartenenti a due famiglie: i co-trasportatori del glucosio sodio-dipendenti-SGLT (Sodium-dependent GLucose coTransporters) e i trasportatori del glucosio sodio-indipendenti-GLUT (GLUcose Transporters).
I GLUTs assicurano il trasporto passivo (facilitato) del glucosio secondo gradiente di concentrazione senza dispendio di energia. Sono state identificate 13 isoforme di trasportatori del glucosio sodio-indipendenti appartenenti a tre diverse classi: la classe I, che comprende i trasportatori da GLUT1 a GLUT4; la classe II, che comprende il trasportatore del fruttosio GLUT5, GLUT7, GLUT9 e GLUT11; la classe III, che comprende GLUT6, GLUT8, GLUT10, GLUT12 e il trasportatore H+/mio-inositolo (HMIT). Si tratta di proteine costituite da 12 domini transmembrana, codificate dai geni SLC2A (24).
I co-trasportatori SGLTs, invece, assicurano il trasporto del glucosio contro gradiente di concentrazione utilizzando come fonte di energia quella derivante dal trasporto del sodio ad opera della pompa Na+/K+-ATPasi sulla membrana baso-laterale.
I co-trasportatori SGLTs appartengono alla famiglia SSSF (Sodium Substrate Symporter gene Family), codificata dai geni SLC5A. Sono proteine caratterizzate da 14 domini transmembrana che comprendono 5 co-trasportatori che trasportano zuccheri e/o mio-inositolo (SGLT1, 2, 4, 6 e il co-trasportatore Na+/mio-inositolo (SMIT1), una proteina di cui non è stato ancora chiarito il ruolo (SGLT5), e un sensore del glucosio (SGLT3) (Tab. 1) (8).
SGLT1 e SGLT2 sono i principali rappresentanti della famiglia. Sono due proteine rispettivamente costituite da 664 e 672 residui amminoacidici e codificate dai geni SLC5A1 e SLC5A2, localizzati sui cromosomi 22 e 16 (10).
Gli SGLTs contribuiscono al mantenimento dell’omeostasi del glucosio promuovendone l’assorbimento a livello del piccolo intestino, attraverso SGLT1, e contrastandone l’escrezione a livello renale, prevalentemente attraverso SGLT2, garantendo in tal modo il mantenimento delle riserve energetiche. I suddetti meccanismi rappresentano un fine adattamento utile in condizioni di scarsità di substrati energetici, ma svantaggioso in condizioni di ipernutrizione, fornendo così il razionale per un’inibizione farmacologica di SGLTs (8).
Esistono alcune sindromi familiari causate da mutazioni dei geni SLC5A che codificano per SGLTs (25). Il malassorbimento di glucosio-galattosio, ad esempio, è una patologia autosomica recessiva provocata da una mutazione del gene SLC5A1 che determina la mancanza di SGLT1 con conseguente difetto di assorbimento intestinale di glucosio e galattosio. Questa mutazione provoca intensa diarrea e disidratazione che possono rappresentare un pericolo per la vita se non si istituisce una dieta priva di glucosio e di galattosio. La glicosuria si manifesta raramente in questa patologia confermando il ruolo marginale di SGLT1 nel riassorbimento di glucosio a livello renale (25). Studi recenti suggeriscono che la mancanza di SGLT1 potrebbe avere altre implicazioni (26-27). SGLT1, ad esempio, può generare un segnale di rilascio delle incretine indotto dai nutrienti (26). Inoltre, SGLT1 può mediare l’effetto inibitorio del glucosio sull’infiammazione indotta da batteri. Tale effetto, evidenziato in cellule epiteliali intestinali stimolate con lipopolisaccaride o CpG-oligodeossinucleotide, viene, infatti, bloccato da florizina (27).
La glicosuria renale familiare è una patologia dovuta a differenti mutazioni del gene SLC5A2, ereditata in modo autosomico recessivo o dominante. La maggior parte delle mutazioni del gene SLC5A2 sono mutazioni nonsense o mutazioni frameshift che provocano perdita dei domini transmembrana essenziali per il legame e il trasporto del glucosio. La gravità della glicosuria varia notevolmente, oscillando da 20 a 200 g di glucosio nelle 24 ore.
In funzione del tipo e della gravità del difetto di SGLT2 si riconoscono tre tipologie di glicosuria renale (28). I pazienti con glicosuria renale di tipo A sono caratterizzati da una bassa soglia renale per il glucosio e da un basso riassorbimento tubulare massimo mentre i pazienti con glicosuria renale di tipo B, hanno una soglia bassa, ma possono ancora raggiungere un normale riassorbimento tubulare massimo di glucosio, causando uno splay (vedi più avanti) anomalo della curva di filtrazione-riassorbimento (Fig. 3). Infine, la completa assenza di trasporto renale del glucosio è stata identificata in alcuni soggetti ed è nota come glicosuria di tipo 0.
Nonostante SGLT2 rappresenti il co-trasportatore predominante a livello tubulare renale, anche SGLT1 contribuisce al riassorbimento tubulare di glucosio.
SGLT2 è espresso a livello del segmento 1 e 2 del tubulo prossimale, è un co-trasportatore a bassa affinità e elevata capacità (Tmax=10 nmol/mg proteina), che assicura il riassorbimento del 90-95% di glucosio filtrato. SGLT1 è espresso più a valle, a livello del segmento 3, ha elevata affinità per il glucosio e bassa capacità (Tmax=2 nmol/mg proteina) e determina il riassorbimento del 5-10% di glucosio o del 40-60% di glucosio residuo nel caso di carenza genetica o inibizione farmacologica di SGLT2 (8). SGLT2 trasporta Na+ e glucosio in rapporto 1:1 ed è accoppiato al GLUT2 sulla membrana baso-laterale delle cellule epiteliali del segmento 1 e 2. SGLT1 trasporta Na+ e glucosio in rapporto 2:1 ed è accoppiato al GLUT1 (11). In condizioni fisiologiche, la quantità di glucosio riassorbita attraverso SGLT1 e SGLT2 corrisponde alla quantità di glucosio filtrato dai glomeruli renali, per cui il glucosio filtrato viene completamente riassorbito (29) (Tab. 2).
Il riassorbimento del glucosio a livello dei tubuli prossimali aumenta linearmente con l’incremento delle concentrazioni di glucosio, sino a una soglia teorica di circa 11 mmol/l. A tale concentrazione, si satura il sistema di trasporto del glucosio e l’eccesso di glucosio filtrato viene escreto nelle urine. Tale valore soglia è estremamente variabile in funzione dell’eterogeneità anatomica e fisiologica dei nefroni e del bilancio tubulo-glomerulare, con conseguenti lievi differenze nei livelli di riassorbimento di glucosio tra i vari tubuli renali. Di conseguenza, la soglia effettiva cui il glucosio inizia ad apparire nelle urine presenta un andamento curvilineo iniziando attorno a valori di 10 mmol/l. La differenza tra soglie effettive e teoriche è nota come “splay” nella curva di titolazione di glucosio (Fig. 4A). Anche il TmG ha una certa variabilità interindividuale e il suo valore in realtà non corrisponde a un punto preciso, in maniera paragonabile a quanto avviene per la soglia di escrezione (13). In corso di diabete la soglia di riassorbimento renale è aumentata (29), così come il TmG (30-31) (Fig. 4B).
Nonostante la considerevole variabilità interindividuale, nei soggetti diabetici il TmG è mediamente aumentato di circa il 20%, raggiungendo un valore di circa 420 mg/min/1,73 m2. Di conseguenza, la curva di escrezione e la soglia di glucosio sono spostate a destra. Tuttavia, il fenomeno splay implica che, non appena aumentano i livelli di glucosio plasmatico, si verifica glicosuria di entità inferiore rispetto a quanto atteso (32).
Così come la riduzione del TmG nella glicosuria di tipo A è correlata alla riduzione del numero di unità funzionali di co-trasportatore, l’aumentato TmG nel diabete dipende da un aumento del numero di unità trasportatrici. Il meccanismo molecolare responsabile dell’aumentato riassorbimento di glucosio renale durante l’iperglicemia coinvolge un aumento dell’espressione dei geni per i co-trasportatori di glucosio a livello del tubulo prossimale. Questo meccanismo è stato dimostrato in studi sperimentali su ratti resi diabetici mediante iniezione di allossana. In questi animali, il livello di espressione del gene SGLT2 era aumentato rispetto al gruppo di controllo e il grado di incremento correlava con i livelli di glucosio nel plasma, suggerendo un effetto diretto dell’iperglicemia (17). Uno studio condotto su cellule epiteliali del tubulo prossimale isolate da urine di soggetti con diabete mellito di tipo 2 ha dimostrato un’aumentata espressione di SGLT2 e GLUT2, unitamente a un maggiore uptake di un analogo non metabolizzabile del glucosio (3-O-metil-α-glucopiranoside) (18).
La maggiore espressione di GLUT2 è stata confermata infine da uno studio sperimentale che ha dimostrato un incremento di mRNA e dei livelli proteici di questo trasportatore del glucosio in ratti diabetici (33).
Quali sono le evidenze sperimentali alla base della classe degli inibitori del co-trasportatore sodio-glucosio 2 (SGLT2)?
MESSAGGI CHIAVE
- L’efficacia dei farmaci inibitori dei co-trasportatori SGLT2 dipende dalla velocità di filtrazione glomerulare (GFR).
- L’inibizione di SGLT2 determina glicosuria, con riduzione dei livelli di glucosio plasmatico, miglioramento della funzione ß-cellulare e della sensibilità insulinica, con concomitante iniziale aumento della produzione endogena di glucosio (EGP, Endogenous Glucose Production).
- È probabile che in presenza di una totale inibizione degli SGLT2 aumenti la quantità di glucosio riassorbito dagli SGLT1, di fatto riducendo la glicosuria a circa il 50% del glucosio filtrato.
- L’effetto su funzione ß-cellulare e sensibilità all’insulina riflette un miglioramento della gluco-tossicità sostenuta dalla cronica iperglicemia.
- Gli inibitori SGLT2 determinano un miglioramento della tolleranza glucidica, ma non vi sono ancora evidenze che ne dimostrino la capacità di impedire la progressione della malattia.
La percentuale di riassorbimento del glucosio renale ad opera dei due co-trasportatori sodio-dipendenti è influenzata da diversi fattori ma sicuramente i principali determinanti sono la velocità di filtrazione glomerulare (GFR, Glomerular Filtration Rate) e i livelli di glicemia.
Giornalmente il glomerulo filtra circa 160-180 g di glucosio e questo glucosio viene completamente riassorbito a livello tubulare. Contrariamente alle aspettative, i farmaci di questa classe determinano una glicosuria dose-dipendente con una escrezione massima di glucosio nelle urine che però non eccede il 30-50% del carico di glucosio filtrato. Esistono diverse motivazioni per spiegare questo paradosso. È stato ipotizzato che il progressivo aumento della concentrazione di glucosio a livello del sito del co-trasportatore SGLT2 ne possa ridurre l’efficacia. Inoltre, è ipotizzabile che a causa dell’elevato legame degli inibitori SGLT2 alle proteine plasmatiche, le concentrazioni efficaci dei farmaci risultino insufficienti per la completa inibizione dei co-trasportatori SGLT2. Infine, è possibile che l’eccessivo riassorbimento di inibitori SGLT2 nel tubulo prossimale limiti la portata della inibizione di SGLT2 (34).
Recentemente è stata formulata un’ulteriore ipotesi (35). Assumendo che la Tmax sia la massima capacità di trasporto del glucosio per entrambi i co-trasportatori (SGLT1 e SGLT2) e presupponendo che il co-trasportatore SGLT2 sia completamente inibito, il Tmax renale rappresenterebbe la capacità massima di trasporto unicamente del rimanente co-trasportatore SGLT1. Secondo questa ipotesi, assumendo che l’inibizione di SGLT2 con un inibitore specifico blocchi completamente il co-trasportatore e produca glicosuria massima, è possibile ricavare una stima attendibile della massima capacità di trasporto del co-trasportatore SGLT1. In altre parole, se in condizioni fisiologiche SGLT2 riassorbe il 90% del glucosio, lasciando il rimanente 10% al co-trasportatore SGLT1, è possibile che, in presenza di una completa inibizione di SGLT2, SGLT1 aumenti l’efficacia del co-trasporto, riuscendo a riassorbire circa il 50% del glucosio nelle urine.
Alcuni studi clinici hanno dimostrato come la quantità massima di glucosio escreto nelle urine con gli inibitori SGLT2 dapagliflozin e canagliflozin oscilla tra i 55 e i 60 g nelle 24 h e come non vi sia un ulteriore aumento di escrezione del glucosio neanche in seguito ad un aumento di 10 volte il dosaggio del farmaco. Sulla base della concentrazione di glucosio a digiuno e della velocità di filtrazione glomerulare riportati in questi studi, si stima che la capacità massima di trasporto del glucosio per SGLT1 sia pari a 120 g/die nei soggetti normo-tolleranti (35). Ciò significa un riassorbimento renale di 108 g/die di glucosio. La capacità di trasporto del glucosio è pari a 12,9±1,1 nella porzione del tubulo prossimale e a 7,9±0,5 pmol/min/mm2 nella porzione del tubulo distale. Considerata l’assenza di SGLT2 nella porzione distale del tubulo prossimale, è ipotizzabile che la capacità di trasporto di questa parte del tubulo rappresenti la capacità di trasporto del co-trasportatore SGLT1. Questo è coerente con l’assunzione che il SGLT1 contribuisca, al massimo, del 30% della capacità massima di riassorbimento renale di glucosio. Infatti, il Tmax renale è uguale 450 g/die, suggerendo dunque che il Tmax di SGLT2 è di circa 300-320 g/die mentre il Tmax di SGLT1 è pari a circa 120-140 g/die. Questi dati sono coerenti con quelli basati sulla quantità di glicosuria prodotta dalla dose massima di un inibitore SGLT2.
Due studi recenti (36-37) hanno dimostrato che gli inibitori dei co-trasportatori SGLT2, tramite l’aumentata escrezione urinaria di glucosio e il conseguente miglioramento dei livelli glicemici, sono in grado di determinare un aumento della funzione ß-cellulare e della sensibilità insulinica (Tab. 3). Nel contempo, è stato documentato un aumento dei livelli di glucagone e della produzione endogena di glucosio per una quota che bilancia esattamente la quantità di glucosio escreto con le urine. Questi stessi effetti erano particolarmente evidenti con la prima somministrazione di empagliflozin persistendo, seppure in modo meno marcato, dopo somministrazione cronica. In ogni caso, già dopo le prime 4 settimane di trattamento si osservava una significativa riduzione dell’emoglobina glicosilata (HbA1c), della glicemia a digiuno e post-prandiale, del metabolismo ossidativo e non ossidativo del glucosio.
Risultati analoghi sono stati ottenuti in un altro studio nel quale l’effetto di dapagliflozin sui parametri del metabolismo insulino-mediato del glucosio è stato valutato mediante la tecnica del clamp iperinsulinemico euglicemico (37). Come atteso il trattamento con dapagliflozin determinava glicosuria e una considerevole riduzione della glicemia. Il metabolismo insulino-mediato del glucosio aumentava del 18% dopo 2 settimane di trattamento, rispetto al trattamento con placebo. Anche in questo studio veniva però documentato un concomitate aumento della produzione endogena di glucosio (Fig. 5) e dei livelli di glucagone. I risultati di questi studi confermano quanto già illustrato molti anni fa nell’animale diabetico con pancreatectomia sub-totale nel quale l’uso di florizina, un inibitore non specifico dello SGLT2, si associava a normalizzazione della glicemia e miglioramento significativo sia della secrezione che dell’azione dell’insulina (23). Nello stesso tempo questi studi evidenziano come il trattamento con questa classe di farmaci sia in grado di attivare meccanismi di compenso il cui effetto clinico a lungo termine dovrà essere opportunamente verificato.
Qual è la farmacocinetica/ farmacodinamica degli inibitori di SGLT2?
MESSAGGI CHIAVE
- I co-trasportatori SGLT2 anche se espressi in modo preponderante nel tubulo contorto prossimale renale, sono stati riscontrati anche in altri tessuti, dove svolgono un ruolo non ancora chiaro.
- È stato ipotizzato che tali co-trasportatori possano agire come neurosensori a livello del sistema nervoso centrale (SNC).
- Le molecole appartenenti alla classe dei farmaci inibitori di SGLT2 sinora approvate in Italia sono canagliflozin, dapagliflozin e empagliflozin.
- Le varie molecole hanno un profilo farmacocinetico sovrapponibile caratterizzato da rapido assorbimento, Tmax compreso tra 1,5 e 2 h, t1/2 di 16-18 h e raggiungimento dello stato stazionario dopo 96 ore.
- A dosaggio terapeutico l’escrezione urinaria di glucosio nelle 24 h è di 60-80 g (maggiore nel soggetto diabetico rispetto al sano) e non supera il 50% del riassorbimento tubulare del glucosio.
- Le evidenze disponibili suggeriscono che la farmacocinetica e farmacodinamica degli inibitori SGLT2 non è influenzata dall’etnia.
- L’efficacia degli inibitori SGLT2 è dipendente dalla funzionalità renale.
- La concomitante somministrazione di inibitori SGLT2 con altri farmaci ipoglicemizzanti o attivi sull’apparato cardiovascolare non provoca interazione farmacologica e non influenza l’efficacia di tali farmaci.
Gli SGLT2, oltre che a livello renale, sono espressi, con ruolo ancora da chiarire, anche in altri tessuti: cervello, fegato, ghiandole endocrine ed esocrine (tiroide e ghiandole salivari), cuore e muscoli (38). A livello centrale sembrano agire da sensori del glucosio in neuroni specializzati a livello ipotalamico, capaci di percepire e rispondere alle variazioni delle concentrazioni di glucosio (39). Gli attuali inibitori sono specifici per SGLT2 con un ordine di selettività decrescente: empagliflozin>dapagliflozin>canagliflozin.
Il confronto tra dose singola e dosi multiple dei vari farmaci di questa classe conferma una farmacocinetica sovrapponibile (40). La dose minima di dapagliflozin che determina escrezione di glucosio nelle urine nei soggetti sani corrisponde a 0,3 mg, anche se la quantità di glucosio escreto è molto variabile (41). L’escrezione renale di glucosio cumulativa media dopo singola dose a 120 h è di 55-60 g (42).
La farmacocinetica di queste molecole nei pazienti diabetici non si discosta sostanzialmente da quella osservata nei soggetti sani, caratterizzata da rapido assorbimento, Tmax di circa 1,5-2 h e t1/2 di 16-18 h (43). Lo stato stazionario viene raggiunto mediamente con il quarto giorno di terapia.
Le caratteristiche farmacocinetiche delle principali molecole appartenenti alla classe degli inibitori SGLT2 sono schematizzate in tabella 4 (44).
Nei volontari sani gli inibitori SGLT2 provocano un aumento della glicosuria dose-dipendente. Tale incremento risulta maggiore nei pazienti diabetici a causa del maggiore carico di glucosio filtrato dai glomeruli (45-48). A dosaggio terapeutico, l’escrezione urinaria media di glucosio nelle 24 h può raggiungere gli 80 g in pazienti con diabete di tipo 2 rispetto ai 60 g escreti nei soggetti sani. Tale escrezione corrisponde ad una inibizione del riassorbimento tubulare di glucosio dell’ordine del 36% in pazienti con diabete di tipo 2, e del 20-30% nei volontari sani. Con dosi ripetute si raggiunge un’inibizione media del 44% nel diabetico e valori tra il 16 e il 50% nei volontari sani, con notevole variabilità individuale nella risposta terapeutica (45).
Questi farmaci hanno dimostrato un effetto di “desincronizzazione” tra concentrazione plasmatica ed effetto glicosurico come dimostrato dal persistere di una considerevole escrezione di glucosio a seguito della diminuzione delle concentrazioni plasmatiche del farmaco. Questa desincronizzazione potrebbe essere spiegata dall’accumulo dell’inibitore a livello tubulare previa filtrazione del farmaco a livello glomerulare (34).
La farmacocinetica di queste molecole non sembra essere influenzata dall’etnia (49-50) e dalla funzione epatica (51), mentre l’efficacia si riduce in presenza di insufficienza renale moderata-grave (52). Nei soggetti non diabetici con danno renale severo la curva di eliminazione del farmaco è rallentata con un Tmax che si sposta a 2-2,5 h e un t1/2 che raggiunge le 28 h (53).
Non sono state evidenziate interferenze significative con altri farmaci ipoglicemizzanti orali (47) o con altri farmaci di uso comune nel diabetico come simvastatina, valsartan, warfarin e digossina (54).
Due studi crossover in aperto, randomizzati, che hanno valutato in volontari sani l’eventuale interferenza sulla farmacocinetica di empagliflozin da parte di gemfibrozil, rifampicina e probenecid, quali inibitori di peptidi coinvolti nell’eliminazione di empagliflozin hanno dimostrato che, nonostante un modesto aumento della durata dell’esposizione provocato dalla somministrazione di tali farmaci, non è necessario alcun aggiustamento del dosaggio (55). Infine, considerata la correlazione tra diabete e ipertensione osservata in molti pazienti, sono stati valutati i potenziali effetti di idroclorotiazide sulla farmacocinetica di canagliflozin in soggetti sani (56) ed è stato confermato che non ci sono particolari interferenze tra questi due farmaci nonostante un modesto aumento dei valori di AUC e Cmax.
Qual è l’efficacia degli inibitori di SGLT2?
MESSAGGI CHIAVE
- L’efficacia degli inibitori SGLT2 è stata valutata in monoterapia così come in combinazione con altri ipoglicemizzanti orali (duplice e triplice) e con l’insulina, ma anche in monoterapia.
- Canagliflozin, dapagliflozin ed empagliflozin hanno dimostrato una riduzione dose-dipendente della glicemia a digiuno (FPG), della glicemia post-prandiale (PPG) e dell’emoglobina glicata (HbA1c).
- In monoterapia, il trattamento per 24-52 settimane, a dosi elevate, con inibitori SGLT2 si associa a una riduzione dell’HbA1c verso placebo pari a 0,78-1,11%.
- In duplice terapia con metformina, il trattamento con inibitori SGLT2 si associa a una riduzione di HbA1c pari a 0,50-0,95%.
- In triplice terapia con metformina e sulfoniluree o TZD, il trattamento con inibitori SGLT2 si associa a riduzioni di HbA1c pari a 0,59-0,82%.
- In monoterapia e in combinazione con metformina, la riduzione di HbA1c è più marcata nei pazienti con valori basali di HbA1c superiori a 10-11% con un decremento, verso placebo, di 2.5-3.0 punti percentuali.
- Gli effetti sui livelli di HbA1c sembrano persistere più a lungo (durability) di quelli ottenuti con altri ipoglicemizzanti orali, in particolare con le sulfoniluree.
- Il miglioramento del controllo glicemico ottenuto con inibitori SGLT2 si associa a riduzione persistente del peso corporeo e della pressione arteriosa.
La maggior parte delle terapie non-insuliniche per il trattamento del DMT2 si basa sulla sensibilizzazione all’azione dell’insulina endogena o sulla stimolazione della produzione endogena dell’ormone per migliorare l’utilizzazione del glucosio e ridurre i livelli glicemici. L’inibizione del riassorbimento di glucosio mediante inibizione di SGLT2, invece, è un meccanismo insulino-indipendente che determina riduzione della glicemia attraverso l’aumentata escrezione urinaria di glucosio (57-60).
L’azione degli inibitori SGLT2 comporta la riduzione della HbA1c, della glicemia a digiuno (FPG) e post-prandiale (PPG), del peso corporeo e della pressione arteriosa. L’efficacia di questa classe di farmaci è stata valutata in monoterapia, in duplice terapia quale “add-on” a metformina o glitazonici (TZD) e in triplice terapia quale “add-on” a metformina e sulfoniluree o metformina e TZD. Questi studi sono stati condotti sia verso placebo che per confronto con altri ipoglicemizzanti orali quali sulfoniluree o inibitori DPP-4. Infine, l’efficacia degli inibitori SGLT2 è stata valutata anche in soggetti con DMT2 in trattamento con insulina.
Monoterapia con inibitori SGLT2
Rispetto al placebo, la monoterapia con canagliflozin, dapagliflozin ed empagliflozin ha dimostrato riduzioni dose-dipendenti dell’HbA1c pari rispettivamente a 0,81-1,11% (52 settimane), 0,58-0,89% (24 settimane) e 0,66-0,78% (24 settimane). Tale effetto si manifesta già dopo 8-12 settimane dall’inizio del trattamento e permane invariato per 24-52 settimane (61-63). Tale riduzione era più consistente (circa -2,5%-3,0%) nei pazienti con più elevati valori basali di HbA1c (circa 11,0%).
Nello studio con canagliflozin, la percentuale di DMT2 che raggiungeva in monoterapia valori di HbA1c <7,0% era del 52,4% nei soggetti trattati con la dose di 100 mg/die, del 64,5% in quelli trattati con la dose di 300 mg/die (62). Analogamente, la monoterapia con empagliflozin alle dosi di 10 e 25 mg/die portava a valori di HbA1c <7,0% rispettivamente per il 35,3 e 43,6% dei pazienti (63). In monoterapia, empagliflozin è risultata non inferiore rispetto a sitagliptin (63).
SGLT2 inibitori utilizzati in “add-on” alla metformina
In soggetti con diabete tipo 2 drug-naive, con valori di HbA1c pari a 9,1-9,2%, la terapia di combinazione con dapagliflozin e metformina ha comportato una riduzione di circa il 2% di HbA1c e di circa 60 mg/dl della glicemia a digiuno (64). In pazienti già in trattamento con metformina (HbA1c basale: 7,7-7,8%) l’aggiunta di dapagliflozin risultava non inferiore all’aggiunta di glipizide (HbA1c -0,52% dopo 52 settimane di trattamento) (65). In realtà, glipizide otteneva riduzioni sensibilmente maggiori di HbA1c (circa -0,8% vs -0,5%) a 18 settimane peraltro seguito da un progressivo aumento (65). Dopo 104 settimane la riduzione rispetto al basale di HbA1c era pari a 0,32% nei diabetici trattati con dapagliflozin e 0,14% nei trattati con glipizide. Risultati simili sono stati ottenuti con l’aggiunta di canagliflozin in pazienti con diabete tipo 2 non adeguatamente controllati con metformina (HbA1c -0,70-0,95% a 24 settimane, in funzione della dose) (66) ed empagliflozin (HbA1c -0,70-0,77% a 24 settimane, in funzione della dose) (67). Inoltre, in aggiunta alla terapia con metformina, il trattamento con canagliflozin assicura riduzioni di HbA1c almeno sovrapponibili, ma anche sensibilmente maggiori, rispetto a quelle ottenute con l’aggiunta dell’inibitore DPP-4 sitagliptin (68). Anche con la combinazione con metformina, il trattamento con gli inibitori SGLT2 (empagliflozin) risultava particolarmente efficace in DMT2 con elevati valori basali di HbA1c (-3,23% in 69 DMT2 con HbA1c basale pari a circa 11,0%).
SGLT2 inibitori utilizzati in triplice terapia con altri ipoglicemizzanti orali o in combinazione con insulina
L’aggiunta di canagliflozin 300 mg/die a metformina e sulfonilurea induce, a 52 settimane, una riduzione di HbA1c pari a 1,03%, superiore a quella ottenuta dall’aggiunta di sitagliptin 100 mg (-0,66%) (68). Riduzioni simili sono state ottenute anche con l’utilizzo di empagliflozin sia in associazione a metformina e sulfonilurea (0,77-0,82%) (67) che in associazione a metformina e pioglitazone (0,59-0,72%) (69) (Fig. 6). Importanti riduzioni della glicemia a digiuno, della glicemia post-prandiale e dell’HbA1c sono state ottenute con l’aggiunta di dapagliflozin in soggetti in trattamento con insulina ad alte dosi e insulino-sensibilizzanti anche quando la dose di insulina era stata sensibilmente ridotta (70) (Fig. 7).
Trattamento con inibitori SGLT2 e “durability”
Alcuni studi a più lungo termine hanno esplorato la persistenza dell’efficacia degli inibitori SGLT2 (71-73). Sia in monoterapia che in terapia di combinazione con metformina gli effetti di empagliflozin alle dosi di 10 e 25 mg/die in termini di riduzione della HbA1c e del peso corporeo persistevano dopo 90 settimane di trattamento (71). Gli effetti sui livelli di HbA1c (e sicuramente quelli sul peso corporeo e sulla pressione arteriosa sistolica) di canagliflozin alle dosi di 100 e 300 mg sembrano più persistenti di quelli di glimepiride in un follow-up di 104 settimane (72). Gli effetti di dapagliflozin combinato a metformina sui livelli di HbA1c (e incontrovertibilmente quelli sul peso corporeo e sulla pressione arteriosa sistolica) sono più persistenti di quelli della combinazione glipizide-metformina in un follow-up di 208 settimane (Fig. 8) (74). Nonostante la persistenza dell’effetto questo tende comunque a ridursi nel tempo mentre il grado di riduzione del peso corporeo e della pressione arteriosa sembrano essere costanti.
Le metanalisi
Una serie di metanalisi sono già disponibili per permettere una valutazione più integrata degli effetti degli inibitori SGLT2. Nella metanalisi di Clar et al. (75), in 1084 DMT2, a fronte di una riduzione di HbA1c rispetto al basale di 0,39-0,96% a 26 settimane e di 0,38-1,01% a 48 o più settimane, dapagliflozin 10 mg offre in duplice o triplice terapia, cioè in condizioni di impiego più comuni, una riduzione media di HbA1c di 0,54% rispetto al placebo. Risultati analoghi sono descritti da Musso et al. (76) in una metanalisi di 13 studi di dapagliflozin in monoterapia (Tab. 5).
Nella metanalisi di Zhang et al. (77), dapagliflozin offre risultati sovrapponibili a quelli ottenuti con metformina; nella metanalisi di Liakos (78), empagliflozin 25 mg, fornisce risultati sensibilmente migliori rispetto a quelli ottenuti con metformina (Tab. 5).
Nella metanalisi di Goring et al. (79), dapagliflozin aggiunto a metformina riduce l’HbA1c in maniera simile a quanto ottenuto con l’aggiunta a metformina di DPP-4-i, TZDs o sulfoniluree (Tab. 5). Nella metanalisi di Vasilakou et al. (80), gli inibitori SGLT2 sono stati confrontati con placebo in 45 studi (n. 11.232 pazienti) e con altri ipoglicemizzanti in 13 studi (n. 5.175). La riduzione media di HbA1c è stata di 0,66% rispetto al placebo e di 0,06% rispetto al comparatore attivo. Una riduzione media di HbA1c pari a 0,52% è stata ottenuta con dapagliflozin quando combinato con metformina, insulina, glipizide, pioglitazone o metformina + sitagliptin (81).
Quali sono gli effetti “extra renali” degli inibitori di SGLT2?
MESSAGGI CHIAVE
- Alcuni inibitori SGLT2 esercitano anche una parziale inibizione di SGLT1 potenzialmente contribuendo all’effetto ipoglicemizzante di queste molecole.
- Per effetto della glicosuria, gli inibitori SGLT2 determinano una persistente perdita di peso di circa 2-3 kg.
- Per effetto della diuresi osmotica gli inibitori SGLT2 determinano una riduzione, costante nel tempo, della pressione arteriosa sistolica (circa 4 mmHg) e diastolica (circa 2 mmHg).
- Dati ancora preliminari suggeriscono modesti effetti degli inibitori SGLT2 sul profilo lipidico: lieve aumento del colesterolo LDL, lieve calo dei trigliceridi, moderato aumento del colesterolo HDL.
Gli inibitori SGLT2, attraverso l’aumento della glicosuria determinano un miglioramento della glicemia. Peraltro, l’aumentata escrezione urinaria di glucosio può comportare altri effetti potenzialmente interessanti nel diabete mellito tipo 2. Inoltre altri meccanismi potrebbero entrare in gioco. Gli inibitori meno selettivi, ad esempio, potrebbero esercitare un effetto inibente anche sui co-trasportatori SGLT1. Questi ultimi sono largamente rappresentati a livello intestinale e potrebbero contribuire a determinare un minore assorbimento del glucosio in quella sede (82-87). Canagliflozin, in particolare, ha dimostrato una riduzione dell’assorbimento intestinale di glucosio esogeno (88). L’aumento della glicosuria comporta una perdita di calorie e di conseguenza una riduzione del peso corporeo di circa 2-3 kg che, in base agli attuali studi, persiste fino a 4 anni (Fig. 9) (61, 74, 89-104). Tale calo ponderale sembra correlato principalmente alla riduzione della massa grassa (73). Canagliflozin ed empagliflozin presentano, rispetto a sitagliptin (63-68) o glimepiride (72), un vantaggio in termini di calo ponderale.
Il trattamento con inibitori SGLT2, almeno in parte per effetto della diuresi osmotica secondaria alla glicosuria, comporta anche una riduzione della pressione arteriosa sistolica (PAS) e diastolica (PAD). I dati ottenuti con canagliflozin, dapagliflozin e empagliflozin in studi a breve e lungo termine, sia in monoterapia che in terapia di combinazione, dimostrano mediamente una riduzione di circa 4 mmHg per la PAS e di circa 2 mmHg per la PAD, riduzione che si mantiene costante nel tempo (Fig. 10) (67-68, 72, 95, 100-101, 104-108).
I risultati di una recente metanalisi che ha incluso ventisette studi randomizzati controllati (RCT) con inibitori SGLT2 per un numero complessivo di 12.960 pazienti con diabete di tipo 2, oltre a confermare il calo ponderale e la riduzione di pressione arteriosa (Fig. 10), hanno evidenziato anche un effetto, su questi parametri, dose-dipendente di canagliflozin (109). L’uso degli inibitori SGLT2 si associa anche a modesti effetti sul profilo lipidico. Con canagliflozin è stato osservato un aumento lieve di colesterolo LDL e di trigliceridi e un aumento più consistente di colesterolo HDL. Risultati simili sono stati osservati con dapagliflozin in assenza di aumento di trigliceridi. Empagliflozin non sembra influenzare il profilo lipidico (62, 68, 72, 110-114). Studi preclinici che hanno valutato il trattamento con inibitori SGLT2 in topi diabetici hanno evidenziato un effetto su marcatori infiammatori (115).
Non è ancora chiaro in che misura questi effetti ancillari (miglioramento della glicemia, calo ponderale, riduzione pressoria, variazioni del profilo lipidico, effetto ipouricemizzante) ed eventuale effetto anti-infiammatorio, possano riflettersi sul rischio cardiovascolare. Studi a lungo termine di sicurezza cardiovascolare sono in corso.
Qual è la sicurezza/tollerabilità degli inibitori di SGLT2?
MESSAGGI CHIAVE
- Gli inibitori SGLT2 sono caratterizzati da un basso rischio di ipoglicemia, presente invece quando assunti in combinazione con sulfoniluree o insulina.
- Sostanzialmente neutro è l’effetto sulla funzione renale.
- Non si evidenziano variazioni degli elettroliti, ad eccezione di un lieve incremento di magnesio, fosforo, paratormone e dell’ematocrito e una riduzione dell’uricemia.
- Gli inibitori SGLT2 non hanno effetti su marcatori del metabolismo osseo e globalmente non determinano aumento del numero di fratture, fatta eccezione dei pazienti con funzione renale compromessa.
- Nell’insieme l’uso degli inibitori SGLT2 aumenta il rischio di infezioni genitali micotiche non ricorrenti soprattutto nelle donne, mentre marginale è il rischio di infezione delle vie urinarie.
- Nei pazienti con insufficienza renale moderata il rapporto rischio-efficacia risulta insoddisfacente per giustificarne l’utilizzo.
- Nei pazienti anziani, a causa della ridotta GFR, l’efficacia degli inibitori SGLT2 appare minore.
- Il rischio di eventi cardiovascolari maggiori non risulta aumentato. Ulteriori studi cardiovascolari sono attualmente in corso.
Il rischio di ipoglicemia rappresenta certamente l’effetto collaterale più frequente e temuto dei farmaci ipoglicemizzanti. Tale rischio è praticamente trascurabile con gli inibitori SGLT2 quando usati in monoterapia, mentre aumenta quando usati in combinazione con altri anti-diabetici (116) e comunque nettamente inferiore quando confrontati con sulfonilurea (72). Poiché questi farmaci agiscono a livello renale, è importante conoscere il loro impatto sulla velocità di filtrazione glomerulare. Con canagliflozin si assiste a un’iniziale riduzione del GFR di circa 5 ml/min/1,73 m2 e ad una successiva stabilizzazione sia rispetto al placebo (117-118) sia ad altri farmaci (72) (Fig. 11). Nei pazienti trattati con inibitori SGLT2 sono rari i casi di ipovolemia che generalmente si manifestano come ipotensione e sincope. Si tratta comunque di episodi di intensità lieve-moderata e di breve durata (117, 119). Riduzione della eGFR (<60 ml/min/1,73 m2), l’età ≥75 anni e il concomitante trattamento con diuretici dell’ansa sembrano aumentare il rischio di tali eventi avversi (Tab. 6) (119). Un modesto aumento dell’ematocrito può essere riscontrato nei pazienti trattati con questi farmaci.
Non è stata evidenziata alcuna variazione degli elettroliti, a parte un modesto incremento di magnesio e fosforo. Consensualmente è stato a volte osservato un altrettanto modesto aumento del paratormone. Infine, in corso di terapia con inibitori SGLT2 è riscontrabile una riduzione dei livelli di acido urico.
I dati dopo un anno di trattamento con dapagliflozin non evidenziano differenze in termini di fratture ossee né alterazioni dei marcatori del metabolismo osseo rispetto ai soggetti in trattamento con placebo (120). Un aumento del rischio di frattura è invece stato segnalato in pazienti con insufficienza renale (eGFR =30-60 ml/min/1,73 m2). Il principale effetto collaterale associato all’uso degli inibitori SGLT2 è il rischio di infezioni uro-genitali. Le infezioni urinarie, soprattutto nel lungo termine sono solo modestamente aumentate se non addirittura simili come frequenza a quanto osservabile con i farmaci anti-diabetici usuali (121). Non è stato registrato aumento del rischio di pielonefrite o di infezioni urinarie gravi (119). Al contrario evidente è l’incremento del rischio di infezioni genitali, in particolare da Candida, nel sesso femminile (117-123) anche se la maggior parte degli eventi si manifesta come episodio unico (74,6% di tutti gli eventi nel gruppo dapagliflozin e 77,8% di tutti gli eventi nel placebo) che tende a verificarsi nei primi 6 mesi di trattamento (122).
Nei pazienti con eGFR <60 ml/min/1,73 m2 il rapporto rischio-efficacia di tali farmaci dovrebbe essere attentamente considerato (117, 124-125). In uno studio condotto in pazienti con eGFR fra 30 e 60, con diabete di lunga durata (16-18 anni), con valori di HbA1c di 8,2-8,5% e eGFR <60 ml/min/1,73 m2, il trattamento con dapagliflozin determinava una riduzione non statisticamente significativa di HbA1c rispetto al trattamento con placebo (124). Oltre alla scarsa efficacia, l’impiego del farmaco si associava a una maggior frequenza di ipotensione, disidratazione e sincope. Risulta comunque difficile trarre conclusioni ferme per quanto riguarda l’effettiva efficacia di questi farmaci in soggetti con ridotta funzione renale dato che i risultati di confronto sembrano dipendere più dalla variabilità della risposta del gruppo di controllo con placebo piuttosto che da quella del gruppo in trattamento con il principio attivo (117, 124).
Nel paziente anziano, proprio a causa di una ridotta GFR, l’efficacia degli inibitori SGLT2 tende a essere minore (126-127). Una sub-analisi di pazienti con eGFR inferiore o superiore a 60 ml/min/1,73 m2 ha evidenziato come la riduzione di HbA1c sia sovrapponibile nei soggetti con età inferiore e superiore a 65 anni a fronte di un modesto aumento del rischio di ipoglicemia, di eventi legati a ipovolemia e di deterioramento della funzione renale nei pazienti di età superiore a 65 anni.
Ancora incerto è il dato relativo all’impiego degli inibitori SGLT2 sul rischio cardiovascolare. L’analisi post-hoc eseguita sugli studi di registrazione ha dimostrato che l’impiego di dapagliflozin, in confronto a placebo, non si associa a un aumento del rischio di eventi cardiovascolari maggiori e di angina instabile (117). Risultati più solidi sono attesi dagli studi di sicurezza cardiovascolare attualmente in corso. In una fase iniziale dello sviluppo di dapagliflozin era stato segnalato sbilanciamento numerico tra pazienti trattati con il farmaco rispetto a placebo di casi di tumore alla vescica e alla mammella. La maggior parte di queste neoplasie era stata diagnosticata nel primo anno dall’inizio del trattamento. Inoltre, per quanto riguarda il tumore alla vescica, la maggior parte dei soggetti era stata esposta al fumo di sigaretta e presentava microematuria all’arruolamento. Analisi più recenti dimostrano come dapagliflozin non aumenta il rischio di tumori rispetto al placebo (117).
In quali pazienti è indicata la terapia con gli inibitori di SGLT2?
MESSAGGI CHIAVE
- Gli inibitori SGLT2 possono essere usati in tutti i soggetti con diabete tipo 2 indipendentemente dalla terapia in atto. La terapia con inibitori SGLT2 sembra, però, essere particolarmente indicata nei pazienti obesi e/o ipertesi.
La terapia del diabete mellito tipo 2 ha subito una considerevole evoluzione negli ultimi dieci-venti anni grazie al progresso scientifico e tecnologico che ha potenziato l’armamentario terapeutico. Gli inibitori del co-trasportatore SGLT2 rappresentano farmaci interessanti perché consentono di ridurre l’iperglicemia nei pazienti con DMT2 con un meccanismo indipendente dalla diretta azione sulla secrezione e azione dell’insulina. Ciò detto il loro posizionamento nell’algoritmo terapeutico non è ancora ufficialmente codificato anche se il meccanismo d’azione, indipendente da secrezione e azione di insulina, ne farebbe prevedere l’impiego in varie fasi della storia naturale della malattia.
Poiché tali farmaci si associano a un modesto ma persistente calo ponderale, potrebbero rivelarsi particolarmente indicati nel caso di pazienti obesi (73, 109, 128). L’impiego in questi soggetti ha dimostrato un calo ponderale prevalentemente imputabile alla riduzione della massa grassa a livello viscerale e sottocutaneo (Fig. 11) (74).
L’ipertensione arteriosa è molto frequente nella popolazione diabetica e come tale il controllo pressorio rappresenta un problema rilevante. Non è stata ancora completamente chiarita la patogenesi dell’associazione tra ipertensione e diabete; si ritiene che diversi meccanismi di alterato controllo possano essere responsabili, in misura differente, dell’elevazione dei valori pressori e della difficoltà della loro correzione terapeutica. Nel diabetico tipo 2 la pressione arteriosa è, almeno in parte, favorita e sostenuta dall’espansione del pool del sodio scambiabile (129). Gli inibitori SGLT2, grazie al blocco del riassorbimento nefrotubulare combinato di glucosio e sodio, favoriscono la riduzione del pool del sodio contribuendo alla riduzione della pressione arteriosa (Fig. 9). Questo effetto sembra essere indipendente (e forse sommatorio) dalla riduzione del peso corporeo indotto da questi stessi farmaci (109).
Gli inibitori SGLT2 appaiono di particolare interesse quando impiegati in combinazione con gli insulino-sensibilizzanti, offrendo un potenziale miglioramento del profilo di efficacia e sicurezza, anche quando impiegati con pioglitazone. I glitazoni, infatti, inducono ritenzione idrica e aumento ponderale, effetti che possono essere contrastati dagli inibitori SGLT2.
Recentemente è stato evidenziato come l’impiego di questi farmaci determini l’attivazione di processi di compensazione (aumento dei livelli circolanti di glucagone) atti ad aumentare la produzione endogena di glucosio (35-36). Questo effetto potrebbe limitare l’efficacia degli inibitori SGLT2. L’associazione con un inibitore DPP-4 potrebbe quindi avere un razionale fisiopatologico, dato che questi farmaci, per effetto dell’aumento dei livelli di GLP-1 potrebbero prevenire l’aumento di glucagone indotto dagli inibitori SGLT2. Recenti dati presentati in sede congressuale (130-131) hanno evidenziato come l’associazione saxaglitpin e dapagliflozin o di linagliptin e empagliflozin comporti un miglioramento (peraltro non additivo) della HbA1c ma con un significativo aumento della percentuale di soggetti che raggiungono il target terapeutico di una HbA1c <7% senza aumentare il rischio di ipoglicemia.
Come già ricordato gli inibitori SGLT2 devono essere utilizzati con cautela in pazienti anziani con ridotto eGFR (≤60 ml/min/1,73 m2) anche se dati ottenuti con canagliflozin suggerirebbero la persistenza di una qualche efficacia per eGFR di 45-60 ml/min/1,73 m2 (132). Nei pazienti con età avanzata (>65 anni e <80 anni) gli inibitori del co-trasportatore SGLT2 hanno dimostrato una modesta riduzione dell’efficacia nonostante il mantenimento degli effetti sul peso corporeo e sulla pressione arteriosa. In questi pazienti il trascurabile rischio di ipoglicemia e l’azione insulino-indipendente potrebbero essere di interesse anche se è necessario prendere in dovuta considerazione i potenziali effetti sull’equilibrio idro-salino (ipotensione ortostatica, disidratazione) (133).
Quando è indicata la terapia con gli inibitori di SGLT2?
MESSAGGI CHIAVE
- Gli inibitori SGLT2 possono essere utilmente impiegati in tutti gli stadi del diabete mellito tipo 2 (DMT2), in monoterapia o in associazione con altri farmaci anti-iperglicemici orali o con l’insulina.
- Gli inibitori SGLT2 possono essere impiegati in associazione alla metformina qualora il compenso glicemico diventi insoddisfacente oppure nei pazienti che alla diagnosi di diabete presentino grave scompenso glicemico (HbA1c >9%) in assenza di chetonuria e/o predisposizione a infezioni genito-urinarie.
Come già accennato il posizionamento dei farmaci inibitori SGLT2 non è ancora completamente codificato. L’impiego di un farmaco, così come già più volte suggerito, dovrà basarsi sul bilancio tra efficacia e sicurezza tenuto conto che il trattamento con inibitori SGLT2 determina una riduzione della HbA1c indipendentemente dalla terapia di base (61, 134).
Gli inibitori SGLT2 sono un’opzione in monoterapia in pazienti di nuova diagnosi intolleranti alla metformina (134-136), opzione che affianca quelle già disponibili. Così come già suggerito la scelta del farmaco dovrà tenere in considerazione l’efficacia, il profilo degli effetti avversi, i costi, e le preferenze del paziente (136). Va ricordato che una riduzione di 2 punti percentuali e più è stata ottenuta in pazienti con diabete tipo 2 di nuova diagnosi con HbA1c >9,0% con l’associazione di inibitori SGLT2 (dapagliflozin 10 mg) e metformina per 6 mesi (64).
Pertanto l’impiego di inibitori SGLT2 e metformina può essere considerata un’alternativa all’associazione di metformina + insulina o al trattamento con insulina in questi pazienti purché non presentino chetonuria e/o predisposizione alle infezioni genitourinarie.
Rispetto alle sulfoniluree, gli inibitori SGLT2 mostrano un effetto paragonabile sulla riduzione di HbA1c ma maggiore riduzione ponderale e un minore rischio di ipoglicemia (65, 99).
Di particolare interesse sono i dati relativi alla persistenza dell’efficacia degli inibitori SGLT2 e il loro possibile utilizzo anche in duplice o triplice terapia (75). Gli inibitori SGLT2 hanno un particolare potenziale nei pazienti con DMT2 sovrappeso in trattamento insulinico. L’associazione di questi farmaci consente di ridurre la dose di insulina, migliorare il compenso glicemico e favorire il calo ponderale (70). A questo proposito sarebbe utile una valutazione dei costi del trattamento con inibitori SGLT2 rispetto a quello relativo all’uso di elevate dosi di insulina.
Infine, è stato ipotizzato un possibile impiego degli inibitori SGLT2 nel “prediabete” (134) per effetto sia del miglioramento della funzione ß-cellulare sia della sensibilità insulinica conseguente alla prevenzione del progressivo deterioramento del controllo glicemico (35-36). Un’altra area di interesse è quella del DMT2 infanto-giovanile a causa delle proporzioni crescenti del problema (137-138), seppure non siano ancora disponibili evidenze al riguardo.
Da quanto sin qui esposto si ricava che gli inibitori SGLT2 possono essere utilmente impiegati praticamente in tutti gli stadi del DMT2, in monoterapia o in associazione con altri anti-iperglicemici orali o con l’insulina, in quanto si sono dimostrati efficaci e non interferiscono negativamente con altri farmaci (anti-iperglicemici, anti-ipertensivi) né con la storia naturale del diabete tipo 2 e delle sue complicanze. Per questo motivo essi possono essere di diritto inclusi nei più moderni algoritmi di trattamento così come proposto nella figura 13, nella quale gli SGLT2 vengono presentati in funzione delle loro caratteristiche rispetto ai parametri suggeriti nell’algoritmo ADA/EASD.
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