Il metabolismo energetico muscolare nei soggetti sani, nei diabetici di tipo 2 e negli atleti

Roberto Codella1, 2, Livio Luzi1, 2, 3

1 Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute, Università degli Studi di Milano; 2 Centro di Ricerca sui Metabolismi, IRCCS Policlinico San Donato Milanese, San Donato Milanese; 3 UOC  Area di Endocrinologia e Malattie Metaboliche, IRCCS Policlinico San Donato Milanese, San Donato Milanese

 INTRODUZIONE

L’esercizio fisico, insieme alla dieta e alla terapia farmacologica, rappresenta una delle tre pietre miliari nel trattamento e nella cura del diabete mellito di tipo 2. La sua natura non farmacologica, gli effetti benèfici sui fattori di rischio metabolico associati alle complicanze del diabete, e suoi bassi costi, contribuiscono ad aumentare l’“appeal terapeutico” della regolare attività fisica. Interminabile è la lista di studi che dimostra come l’esercizio aumenti il consumo di glucosio a livello periferico e sistemico, migliori la sensibilità insulinica, e consenta di raggiungere posizioni più fisiologicamente accettabili sulla nota curva iperbolica della glucose tolerance. L’esercizio fisico, infatti, è in grado di attivare acutamente il metabolismo del glucosio. Programmi d’allenamento ad hoc sono efficaci nello stimolare l’azione insulinica nell’organismo in toto in pazienti insulino-resistenti. Le evidenze accumulate in questi ultimi anni suggeriscono che l’esercizio fisico aerobico, d’endurance, costituisce una modalità di intervento sicura, realizzabile ed efficace nel trattamento del diabete anche in riferimento alla sopravvivenza. L’esercizio fisico intenso, anaerobico, come quello delle discipline di forza o di potenza, non è altrettanto univocamente riconosciuto come sicuro e semplice da realizzare, ma non meno importante nello stimolare il metabolismo energetico e del glucosio in particolare. La presente disamina contempla questi aspetti, valutando le risposte indotte dalla stimolazione fisica (acuta e cronica) in tre modelli esemplificativi per la comprensione del metabolismo del glucosio: il soggetto in cui tale metabolismo è fisiologicamente funzionante (sano), quello in cui è patologico o scompensato (diabete di tipo 2 e insulino-resistenza) ed infine quello in cui è massimamente vantaggioso per il turn-over dei substrati energetici, ovvero quello dei professionisti sportivi, gli atleti.

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CENNI FISIOLOGICI

Controllo del consumo di glucosio a livello del muscolo

Il controllo, durante l’esercizio, del consumo di glucosio a livello muscolare si concretizza in tre siti: quello extracellulare, in cui avviene la consegna del glucosio dal torrente ematico alla membrana muscolare, la membrana (sarcolemma plasmatico) per l’attività di trasporto dall’esterno all’interno, ed il compartimento intracellulare, infine, per la fosforilazione del glucosio (1). Particolarmente interessante sarà discutere lo step intermedio, relativo al sito sarcoplasmasmatico, poiché è emblematico nel descrivere il passaggio chiave che sintetizza la stessa natura definitoria del diabete (dal greco diabetes, diabainen = passare attraverso): specifiche proteine trasportatrici, i GLUT4, stimolate dall’insulina o dalla contrazione muscolare, migrano sulla superficie della membrana e “catturano” le molecole di glucosio extracellulare per trasportarle dentro il miocita (Fig. 1).

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 Per il glucosio, infatti, non è contemplata la libera diffusione attraverso la membrana cellulare. Ogni step è contraddistinto da meccanismi di regolazione che subiscono adattamenti in risposta all’esercizio. Ad esempio, la quantità di glucosio muscolare a livello interstiziale precipiterebbe rapidamente e il gradiente di trasporto trans-membranale sarebbe insufficiente per sostenere il consumo di glucosio durante l’esercizio, se non si verificasse un aumento del flusso sanguigno in sede periferica (2-3): l’aumento della densità capillare attorno alle miofibrille, come anche l’aumento del calibro di grandi e piccoli vasi, costituiscono degli adattamenti indotti dall’esercizio per far fronte alle nuove richieste metaboliche.

Stimoli insulino-dipendenti e insulino-indipendenti

Gli step della sezione precedente sono quindi controllati sia da segnali insulino-indipendenti generati dal muscolo in movimento, ma possono essere anche significativamente modificati dall’azione dell’insulina circolante. L’insulina, prodotta dalle cellule β-pancreatiche del Langherans, è l’ormone critico per il mantenimento degli equilibri metabolici legati al glucosio. La sua azione si estrinseca a livello di diversi organi e tessuti (4): il fegato (organo produttore di glucosio) e il muscolo (tessuto utilizzatore di glucosio) sono quelli maggiormente coinvolti nel metabolismo glucidico. L’insulina, legandosi al suo recettore di membrana (IRS), dà inizio alla cascata di eventi propri della via metabolica insulino-dipendente. In seguito alla stimolazione da parte dell’insulina, il substrato del recettore insulinico (IRS) funge da proteina “d’attracco” per favorire la fosforilazione di altre proteine intracellulari, come la PI-3chinasi. La PI-3chinasi può risultare un importante effettore nella via percorsa dai trasportatori GLUT4 attraverso la membrana plasmatica. Anormalità nell’IRS-1, o negli altri substrati dei recettori insulinici, sono coinvolte nel fenomeno dell’insulino-resistenza (5). L’insulina, quindi, è anch’essa in grado di indurre la traslocazione delle vescicole citoplasmatiche (contenenti il trasportatore GLUT4) dalla sede intra-cellulare a quella di membrana (6-7). Fondendosi con quest’ultima, le vescicole esprimono il carrier sul versante esterno della cellula e, in queste condizioni, i GLUT4 possono trasportare il glucosio nel miocita (Fig. 1). Se da una parte l’esercizio determina un aumento del consumo di glucosio muscolare in maniera insulino-indipendente, dall’altra esso aumenta l’insulino-sensibilità e l’azione insulinica. Possiamo definire l’insulino-sensibilità come la capacità delle cellule di “consumare” il glucosio in maniera insulino-stimolata, in seguito all’assunzione di carboidrati, oppure come la minima concentrazione di insulina richiesta per ottenere una quota submassimale nel trasporto di glucosio (8). L’azione insulinica, che si estrinseca attraverso diverse proprietà (trasporto di glucosio, di aminoacidi, glicogenesi, attivazione della glicogeno-sintetasi ecc.), è tecnicamente data dalla combinazione dei livelli di insulina circolante e dalla stessa insulino-sensibilità (9). La risposta insulinica, infine, è data dall’incremento nel trasporto di glucosio indotto da una concentrazione massimamente efficace di insulina (10). Il trasporto di glucosio indotto dalla semplice contrazione muscolare è da distinguersi rispetto a quello insulino-stimolato (11-12). Sebbene l’incremento dei trasportatori di membrana in risposta sia all’insulina che all’esercizio determini univocamente la traslocazione dei GLUT4, gli stimoli reclutativi di questo carrier provengono da pool intracellulari differenti (13-14). La prova che il segnale cellulare per il consumo di glucosio, indotto dall’esercizio, sia differente da quello di origine insulinica, è dimostrata dal fatto che la contrazione muscolare non aumenta la fosforilazione del substrato del recettore insulinico (IRS-1 e 2), né della PI-3chinasi, ovvero le proteine coinvolte nella via insulino-dipendente (15). Inoltre, la wortmannina (16), un inibitore della PI-3chinasi, interdice il consumo di glucosio insulino-stimolato, ma non inibisce quello indotto dalla contrazione muscolare (17). L’importanza dei meccanismi di controllo del consumo di glucosio insulino-indipendente è dimostrata dagli studi nei soggetti diabetici di tipo 2. Infatti, anche se questi individui sono tradizionalmente insulino-resistenti, non sono resistenti agli effetti stimolatori dell’esercizio nell’utilizzo di glucosio (18). I diabetici di tipo 2 mantengono la capacità di traslocare i GLUT4 sulla membrana sarcoplasmatica in risposta all’esercizio. Sebbene l’esercizio (e l’allenamento) aumenti marcatamente l’effetto stimolatorio dell’insulina sul reclutamento dei trasportatori, un contributo importante sullo smaltimento del glucosio proviene dalla componente non insulino-mediata (19). Questa componente è molto meno studiata negli studi fisiologici poiché è difficile isolarla con le metodiche previste ed impiegate come gold standard (clamp). In alcuni studi, l’applicazione di determinati modelli (Bergman’s minimal model) (9, 20) ha consentito di “pesare” questa componente nelle esercitazioni acute e croniche: in entrambe l’esercizio era in grado di migliorare la sensibilità all’insulina e l’azione insulinica. Inoltre, la massima stimolazione della componente non insulino-mediata poteva essere ottenuta anche in seguito ad una singola sessione d’esercizio submassimale (19). Ulteriori proposte d’esercitazioni, cioè, non miglioravano l’assimilazione insulino-indipendente di glucosio (ad esempio con la mobilitazione non insulino-mediata dei trasportatori). Gli altri indici di insulino-sensibilità (SI e glucose effectivness, Sg) difficilmente potevano essere superati nei loro valori assoluti, con le “ripetizioni” successive. In altre parole secondo questi studi, l’effetto acuto di un esercizio breve, submassimale, sull’assorbimento del glucosio nei soggetti sedentari, è principalmente spiegato da un incremento dello smaltimento non insulino-mediato di glucosio. L’esercizio e l’insulina stimolano l’utilizzo di glucosio sinergicamente (1, 21). Diversi sono i meccanismi che sono stati proposti per spiegare come l’esercizio aumenti l’azione insulinica. Gli adattamenti emodinamici già citati (aumento della superficie capillare di diffusione attorno alla fibra muscolare) si dimostrano vantaggiosi per sfruttare l’insulina disponibile (6, 8). Pur essendo fondamentali, la concentrazione pre- e la resintesi del glicogeno muscolare post- esercizio non sono gli unici fattori responsabili per l’accresciuta azione insulinica: l’insulino- sensibilità può persistere anche dopo che la resintesi del glicogeno è completata (22). La deplezione di glicogeno muscolare è un potente stimolo per la glicogenesi ed è un segnale per la ricostituzione delle scorte muscolari nello stato post-esercizio (23). La ricostituzione del glicogeno muscolare al termine dell’esercizio avviene in due fasi (24). Nella prima fase, il consumo di glucosio è elevato, l’attività della glicogeno-sintetasi anche, e il glicogeno muscolare è rapidamente ricostituito. È da notare che questa fase avviene immediatamente al termine dell’esercizio e non richiede insulina. Nella seconda fase, il glicogeno muscolare ritorna ai livelli di quasi-normalità e il consumo di glucosio richiede insulina. È nella seconda fase, quindi, che si assiste a un incremento persistente dell’azione insulinica. L’aumentata insulino-sensibilità nel muscolo facilita la compensazione, e persino la supercompensazione, delle riserve di glicogeno (2). In linea generale, la quantità di glicogeno muscolare prima dell’esercizio è inversamente correlata all’intensità della risposta insulinica (2). La concentrazione di glicogeno pre-esercizio, quindi, contribuisce alla regolazione del trasporto di glucosio e all’attività della glicogeno- sintetasi (25). L’esercizio può anche incrementare l’azione insulinica attraverso effetti indiretti mediati dalla soppressione (insulino-indotta) sui livelli dei NEFA. L’azione insulinica, inoltre, è direttamente amplificata dal muscolo in esercizio grazie all’attivazione del recettore insulinico. Riassumendo, i meccanismi attraverso cui l’esercizio aumenta l’azione insulinica includono (8):

a) un aumentato flusso sanguigno in prossimità dei muscoli attivi;

b) un incremento del trasporto trans-endoteliale insulino-stimolato;

c) effetti secondari dovuti alla soppressione dei NEFA;

d) potenziamento dell’adenosina;

e) una non definita modificazione del recettore insulinico o post-insulinico.

Fosforilazione dei substrati energetici durante l’esercizio

Il passaggio dallo stato di riposo a quello d’esercizio è contraddistinto da una serie di drammatici cambiamenti, nel consumo metabolico e nel turn-over energetico, che modificano la concentrazione ionica e dei metaboliti all’interno dei muscoli in movimento (26). All’inizio dell’esercizio fisico il muscolo metabolizza come fonte primaria il proprio glicogeno trasformandolo in glucosio 6 fosfato (G6P). La molecola di glucosio prima di entrare nelle vie metaboliche deve essere fosforilata a glucosio-6-fosfato (G6P) da parte di un enzima, l’esochinasi II, anch’esso regolato dall’insulina che ne stimola la trascrizione (dal DNA al mRNA) e traduzione (dall’mRNA alla proteina) (Fig. 1). È stato dimostrato che la fosforilazione del glucosio, insieme al trasporto, è una delle principali limitazioni al suo consumo durante l’esercizio. Il G6P costituisce un substrato pronto ad entrare in diverse vie metaboliche: il glucosio può essere utilizzato per produrre energia necessaria alla produzione di forza meccanica (glicolisi anaerobica e ciclo di Krebs), oppure può essere immagazzinato come fonte di energia disponibile nel futuro (glicogeno-sintesi). In quest’ultimo caso il G6P entra nella via metabolica di immagazzinamento in una macromolecola costituita da diversi residui glucosidici: il glicogeno. Un’adeguata sintesi insulino-stimolata di glicogeno nel muscolo è cruciale per il mantenimento dell’omeostasi glucidica. Poiché nel muscolo vi è un deficit dell’enzima glucosio-6-fosfatasi che trasforma il G6P in glucosio, il muscolo riceve energia dal metabolismo del G6P in piruvato. Di conseguenza, non ci sarà immissione in circolo di glucosio di produzione muscolare. Al contrario, il muscolo, tramite l’azione dell’insulina, assorbirà anche il glucosio ematico di produzione epatica. L’attività muscolare non solo non induce produzione di glucosio, ma consuma anche il glucosio circolante di produzione epatica. Ciò si traduce in una riduzione dei valori di glicemia e di insulinemia e in un incremento dei valori di glucagonemia. L’attività muscolare, pertanto, indirettamente stimola la produzione epatica di glucosio, sia per glicogenolisi che per gluconeogenesi (produzione di glucosio dal lattato, piruvato, glicerolo, alanina e altri amminoacidi). Se l’aumento del consumo di glucosio muscolare non fosse accompagnato da una produzione endogena di glucosio, si precipiterebbe in una condizione di ipoglicemia (in effetti, l’ipoglicemia è un evento assai raro negli individui non-diabetici) (21). Con il protrarsi dell’esercizio, aumenta la secrezione, oltre che del glucagone, di altri ormoni antagonisti all’insulina come l’adrenalina, la noradrenalina, il cortisolo e l’ormone della crescita, i quali, oltre ad aumentare la produzione epatica di glucosio, stimolano la lipolisi. L’efficacia dell’aumentata azione insulinica si manifesta nonostante il modesto incremento degli ormoni antagonisti all’insulina: poiché l’esercizio è in grado di intensificare il consumo di glucosio in assenza di insulina (o con bassi livelli di insulina), lo smaltimento del glucosio mediato dalla contrazione muscolare può annoverarsi all’interno del complessivo effetto dell’esercizio sulla glucose tolerance (20).

ADATTAMENTI METABOLICI INDOTTI DALLA REGOLARE ATTIVITÀ FISICA

Scopo dell’allenamento è quello di incrementare o mantenere l’ottimizzazione dei parametri fisiologici e metabolici attraverso la somministrazione sistematica e periodizzata degli stimoli allenanti. Gli adattamenti cronici all’esercizio dipendono dalle caratteristiche del soggetto che ad esso si sottopone (livello di fitness fisica e metabolica, presenza di patologie, dotazione genetica) e dagli aspetti regolatori dell’esercizio stesso (intensità, durata, frequenza, modalità). Esercizi di endurance o di potenziamento muscolare conducono a modificazioni biochimiche specifiche al programma di allenamento proposto. Se, banalmente, l’attività di natura aerobica amplia le dimensioni del letto circolatorio aumentando la disponibilità di ossigeno e dei substrati energetici ai muscoli in azione, così l’esercizio di muscolazione aumenta il diametro trasversale della fibra muscolare (ipertrofia) consentendo una maggiore capacità espressiva di forza. Per quanto riguarda le modificazioni che interessano direttamente il metabolismo del glucosio, gli adattamenti delle cellule β-pancreatiche all’allenamento sono stati largamente accertati. Ad esempio, i livelli di insulina basale e glucosio-stimolata risultano entrambi diminuiti negli individui regolarmente allenati, grazie ad una ridotta secrezione dell’ormone in questione (1). L’allenamento, infatti, riduce, a livello del pancreas, l’espressione dell’mRNA per la proinsulina e la glucochinasi (27). Ciò significa che esistono potenzialmente almeno due meccanismi cellulari per diminuire la secrezione insulinica: da una parte, la diminuzione di proinsulina significa che la sintesi di insulina è ridotta, d’altro canto il diminuito mRNA della glucochinasi (essenziale per il segnale glucosio-dipendente) può spiegare la decresciuta sensibilità delle β-cellule al glucosio. L’esercizio fisico, sia aerobico (28) che anaerobico (29-30), aumenta la presenza dei GLUT4 sul sarcolemma. Questo incremento probabilmente contribuisce anche all’aumentata capacità di trasporto di glucosio insulino-stimolato, nei soggetti allenati. È un fatto, questo, di notevole interesse per le implicazioni terapeutiche che avrebbe nei soggetti insulino-resistenti. È stato provato che l’allenamento induce nel muscolo un aumento della PI-3chinasi insulino- stimolata (31). Siccome la PI-3chinasi evidenzia un importante step nella via insulino-dipendente per il reclutamento dei GLUT4 e la loro migrazione sulla superficie cellulare (si veda il paragrafo Stimoli insulino-dipendenti e insulino-indipendenti), è ragionevole comprendere come la regolare attività fisica possa influenzare, in questo passaggio, il segnale insulinico. In ultima istanza, i meccanismi attraverso cui l’esercizio aerobico ed anaerobico provvedono allo smaltimento del glucosio, sono piuttosto simili (32). Il potenziamento muscolare, ad esempio, determina un incremento della massa magra, cioè quella frazione di massa metabolicamente attiva, in grado di consumare e di immagazzinare il glucosio (8). Una caratteristica del muscolo sottoposto ad esercizio fisico è un aumento dell’espressione della glicogeno-fosforilasi, l’enzima deputato alla glicogenolisi, e della glicogeno-sintetasi, l’enzima deputato alla glicogenesi (Fig. 1): è naturalmente sensato se si pensa all’elevato turnover del glicogeno che il muscolo deve affrontare. Queste non sono ovviamente le uniche modifiche, perché in concomitanza variano trasportatori del glucosio, esochinasi, fosfofruttochinasi, piruvatodeidrogenasi, citrato-sintetasi e succinato-deidrogenasi. È come se queste risposte adattative fossero in serie, sicché inducendo l’appropriata variazione in uno degli enzimi, si avrebbero variazioni anche negli altri: basta aumentare l’espressione della glicogeno-fosforilasi per generare un segnale che determina l’iperespressione e l’attivazione del GLUT4 (33).

Effetti acuti e cronici dell’esercizio nei diabetici di tipo 2

Pur essendo una delle maggiori modalità terapeutiche nel diabete di tipo 2, l’attività fisica è troppo spesso sotto-utilizzata in questi pazienti. Probabilmente la causa è da cercarsi nella mancanza di comprensione e nell’incapacità di autocontrollo nella gestione della propria malattia. Miglioramenti della glucose tolerance e della sensibilità all’insulina cominciano a deteriorarsi dopo circa 72 h dall’ultima seduta d’esercizio (34). Di conseguenza, la regolare attività fisica diviene intuitivamente logica per mantenere: I. i valori glicemici bassi; II. l’insulino-sensibilità aumentata. È noto da tempo che l’esercizio fisico è in grado di migliorare l’insulino-resistenza anche in altre patologie strettamente correlate al diabete di tipo 2: l’obesità (circa il 60-80% dei diabetici di tipo 2) ne è un esempio (35). Per tale motivo, comprendere la fisiologia degli effetti dell’esercizio fisico sulla glucose tolerance, significa anche immaginare nuove strategie d’attacco all’insulino-resistenza muscolare. L’attività fisica è in grado di abbassare la glicemia nel diabete di tipo 2, in virtù della sua azione sinergica sull’insulina e sui tessuti insulino-sensibili. L’anormale secrezione insulinica e l’insulino-resistenza periferica sono i fattori primari che influenzano gli effetti acuti dell’attività fisica. In aggiunta, la capacità funzionale dei diabetici di tipo 2 (intesa come quota del consumo d’ossigeno e ossigenazione dei tessuti periferici) è generalmente inferiore rispetto ai soggetti sani della stessa età e taglia corporea, durante sollecitazioni massimali e sub massimali (34). La risposta metabolica all’esercizio è influenzata da differenti fattori (alimentazione, età, tipo d’esercizio, condizioni fisiche iniziali) ma, nei soggetti sani come anche nei soggetti con diabete di tipo 2, l’entità dell’abbassamento glicemico è soprattutto correlata alla durata e all’intensità dell’attività fisica: un esercizio d’intensità leggera (o moderata) determina una diminuzione della glicemia che si conserva anche nel periodo successivo all’impegno fisico. Un esercizio di moderata intensità incrementa il consumo di glucosio di 2-3 mg • kg-1 • min-1 rispetto allo standard, mentre un esercizio di alta intensità aumenta il consumo di glucosio di 5-6 mg • kg-1 • min-1 rispetto alla norma (difficilmente un esercizio di tale intensità può essere sostenuto a lungo). Durante un’esercitazione di breve durata ma d’intensità elevata, nei soggetti obesi con diabete di tipo 2 (e quindi con iperinsulinemia), si registra un innalzamento dei valori glicemici, dovuto all’azione degli ormoni antagonisti all’insulina, che perdura anche un’ora dopo l’attività (34). L’insulino-resistenza è un’anormalità frequente nel diabete di tipo 2 (36). A causa dell’insulino- resistenza, il consumo di glucosio insulino-mediato può essere ridotto del 30-40% rispetto ai soggetti non diabetici. Sebbene l’insulino-resistenza coinvolga una riduzione dell’attività del trasporto del glucosio nel muscolo scheletrico, la sua base molecolare è sconosciuta. Poiché i livelli del trasportatore del glucosio GLUT4 sono normali nel muscolo dei pazienti con diabete di tipo 2, è stata formulata l’ipotesi che l’insulino-resistenza sia dovuta ad una difettosa traslocazione del GLUT4 intracellulare al sarcolemma. In diversi studi è stato provato che il traffico di GLUT4, fra le diverse sottofrazioni di membrane cellulari di muscolo scheletrico, è differente fra soggetti di controllo e soggetti insulino-resistenti dopo esposizione ad insulina (37). Ma se ciò sia veramente un difetto di traslocazione o, come interpretano alcuni autori, un difetto di sequestro di GLUT4 in un pool di vescicole citoplasmatiche dal quale non è più mobilizzabile, è ancora tutto da dimostrare. In soggetti sani e sedentari, una sessione di 45-60 minuti al cicloergometro al 60-70% del VO2max determina un incremento dei GLUT4 sul sarcolemma di circa il 70% sopra i valori basali: una modalità attraverso cui l’esercizio attiva la traslocazione dei GLUT4, ed aumenta il consumo di glucosio in sede metabolicamente attiva (18). Altri studi prospettici hanno riportato un aumento dei GLUT4, in seguito all’allenamento, dell’80 e del 60% rispettivamente in uomini non diabetici (38) e in donne (39) con glucose tolerance scompensata (IGT). Nei soggetti diabetici di tipo 2, tale incremento può essere conseguito in una percentuale che oscilla, tra i vari studi (40), dal 23 al 40%. L’esercizio fisico, anche in singole sedute, riesce ad incrementare l’insulino-sensibilità a livello periferico e splancnico nei diabetici di tipo 2. I miglioramenti si conservano dalle 12 alle 24 ore dopo l’esercizio (34). Ad ogni modo, la curva dose-risposta della stimolazione dell’insulina non è stata completamente normalizzata nello studio di un’acuta sessione d’attività. Sarebbero necessarie ulteriori ricerche sugli effetti dell’esercizio acuto nei diabetici di tipo 2: spesso la disparità d’opinioni (soprattutto per quanto riguarda l’esercizio ad elevata intensità) deriva dalla differente modalità di misurazione dell’insulino-sensibilità, dalle eterogenee risposte dei pazienti testati, e da fattori concomitanti, quali le terapie nutrizionali e farmacologiche. Nei pazienti diabetici gli effetti dell’esercizio fisico dipendono dal livello di insulina all’inizio dello sforzo e, in quelli che praticano terapia insulinica, anche dal luogo e dal tempo intercorso dalla somministrazione più recente. In quest’ultimi, esiste un diverso comportamento a seconda che il diabete sia controllato o no, e dipendente anche dal livello di glucosio nel sangue all’inizio dell’attività. Nei pazienti con buon controllo glicemico, l’ipoglicemia indotta dallo sforzo fisico sarà più marcata. Infatti, l’assorbimento dell’insulina dalla sede della somministrazione non si interrompe durante l’attività fisica e, di conseguenza, l’insulinemia aumenta, aggravando così l’ipoglicemia indotta da sforzo. Inoltre, l’aumento della temperatura corporea a causa del lavoro svolto, accelera l’assorbimento dell’insulina esogena. Al contrario, nei pazienti con controllo glicemico inadeguato, si osserva aumento della glicemia, ipoinsulinemia e chetonuria. La mancanza di insulina, infatti, inibisce il riassorbimento di glucosio da parte del muscolo, senza prevenire l’aumento della produzione epatica di glucosio indotta dall’aumento degli ormoni controregolatori (adrenalina, noradrenalina, ecc.). Ciò si traduce in un aumento della lipolisi, con maggiore conversione di acidi grassi liberi in chetoni (21). Da punto di vista delle capacità funzionali, pazienti con diagnosi di diabete di tipo 2 hanno un VO2max più basso rispetto ai coetanei sani: specifici meccanismi patogenetici come l’iperglicemia, l’inferiore densità capillare, l’aumentata viscosità ematica, complicanze vascolari e neuropatiche, possono inficiare il fisiologico consumo d’ossigeno (41). Mentre gli effetti a breve termine sono simili nel diabete di tipo 1 e 2, gli effetti dell’attività muscolare a lungo termine differiscono.

Nei pazienti con diabete di tipo 2, l’attività fisica a lungo termine determina:

a) iperespressione e attivazione del GLUT4;

b) variazione dell’attività di alcuni enzimi intracellulari (piruvato-deidrogenasi, glicogeno-sintetasi, glicogeno-fosforilasi);

c) riduzione dell’assorbimento di O2;

d) aumento dell’attività degli enzimi mitocondriali;

e) aumento della sensibilità all’insulina, anche per livelli modesti di attività fisica.

Contrariamente a quanto accade nel soggetto sano, nel diabetico non sempre si verifica un aumento del numero dei capillari (42-43). La potenza aerobica è inversamente correlata ai valori di emoglobina glicosilata ed è associata a modesti e favorevoli cambiamenti della glucose tolerance (34). In alcuni studi sui diabetici di tipo 2, in cui il protocollo d’allenamento durava dai 6 ai 12 mesi, i miglioramenti nella glucose tolerance si registravano già nei primi sette giorni consecutivi d’allenamento. Altri studi hanno mostrato come una lieve o moderata attività fisica, praticata per un periodo di tempo compreso tra 12 settimane e 2 anni, non migliorava il controllo glicemico nei soggetti con diabete di tipo 2. Individui diabetici, d’età superiore ai 55 anni, non fruivano degli stessi benefìci indotti dall’esercizio presenti in soggetti con diabete di tipo 2 ma molto più giovani (44). I cambiamenti positivi nella glucose tolerance, decadendo nell’arco delle 72 ore successive all’impegno fisico, sarebbero più un effetto dell’ultima sessione d’esercizio, piuttosto che una conseguenza dell’allenamento in sé (34). A maggior ragione, l’attività fisica regolare deve essere raccomandata perché i pazienti diabetici possano costantemente giovare della sua efficacia ipoglicemizzante. Il primo e incontrastabile beneficio ottenibile con l’esercizio, almeno nei diabetici di tipo 2, è la capacità di controllo. La maggior parte degli studi è concorde nel riconoscere un’inalterata, o occasionalmente migliorata, glucose tolerance in seguito ad un’attività di breve durata: in questa situazione, la secrezione insulinica diminuisce, compatibilmente con l’aumento dell’azione insulinica. Come vedremo, il miglioramento della sensibilità all’insulina è il vero adattamento a lungo termine indotto dall’allenamento. L’aumento della potenza aerobica, nelle persone con diabete di tipo 2, è associato ad un profilo lipidico meno aterogenico: numerosi studi riconoscono miglioramenti nei livelli di trigliceridi, colesterolo totale e nel rapporto tra HDL e LDL. L’ipertrigliceridemia si accompagna a insulino-resistenza. Dal punto di vista fisiopatologico i trigliceridi riducono l’azione insulinica interferendo sia con la fosforilazione del recettore insulinico, sia riducendo i livelli del trasportatore specifico del glucosio insulino-stimolato GLUT4 (45). Il metabolismo lipidico appare migliorato, in seguito all’allenamento, nella capacità ossidativa e nell’utilizzo degli acidi grassi. In aggiunta, l’esercizio amplifica la sensibilità alle catecolamine, in particolare nel tessuto adiposo, incrementando la lipolisi e l’approvvigionamento degli acidi grassi liberi (FFA) ai muscoli attivi. Se il meccanismo d’utilizzo degli acidi grassi liberi è indebolito nei diabetici di tipo 2, nei pazienti obesi (oltre che diabetici) l’ossidazione dei FFA è approssimativamente inferiore del 30% rispetto ai solo- diabetici: nei pazienti diabetici non-obesi, questo scompenso non sembra verificarsi (46). L’obesità addominale rappresenta il maggior rischio di malattie cardiovascolari. La perdita di adiposità viscerale, grazie ai benèfici effetti dell’attività fisica, non solo ottimizza gli indici metabolici, ma migliora l’insulino-sensibiltà nei pazienti diabetici. L’attività fisica, inoltre, favorisce un dimagrimento più veloce nei pazienti in sovrappeso, come in genere sono i diabetici con diabete tipo 2 (47). Se l’esercizio, aumentando il metabolismo basale, è in grado di favorire il calo ponderale, tuttavia gran parte della popolazione in sovrappeso (e molto spesso con diabete di tipo 2) non riesce a perseguire quell’intensità d’esercizio quotidiano sufficiente per perdere peso. L’obiettivo risiederebbe nel riequilibrio della composizione corporea, con un incremento della massa magra e una diminuzione di quella grassa. L’esercizio sembra ottimizzare l’azione insulinica indipendentemente dai cambiamenti della composizione corporea: potrebbero esserci effetti aggiuntivi derivanti dall’esercizio e dalla decresciuta adiposità (21). Per ottenere miglioramenti nel peso e nella composizione corporea, sarebbero necessarie 5 o più sedute settimanali della durata di 1 h d’esercizio aerobico al 50% del VO2max, per tutto l’anno. La combinazione di dieta ed esercizio, quindi, consentirebbe l’acquisizione di risultati più rapidi e consistenti.

CARATTERISTICHE METABOLICHE DEGLI ATLETI

GLUT 4

L’inizio dell’attività fisica incrementa i processi di trasporto, essenziali per il mantenimento dell’omeostasi ionica e per la distribuzione dei metaboliti alle fibrocellule muscolari (26). Il trasporto di glucosio avviene primariamente per diffusione facilitata, ovvero un processo che non richiede energia e che utilizza delle proteine carrier per il trasporto di un substrato a ridosso di una membrana: il GLUT4 è l’isoforma predominante nel tessuto muscolare umano; il GLUT1 è meno espresso e sembra essere coinvolto nel trasporto delle quote basali di glucosio; il GLUT5, infine, sembra sia implicato soprattutto nel trasporto del fruttosio piuttosto che del glucosio (6). Nonostante siano numerosi i fattori con effetto stimolatore sull’attività di trasporto (catecolamine, ipossia, fattori di crescita, corticosteroidi), l’esercizio e l’insulina, sono i principali mediatori del trasporto di glucosio nel muscolo. La combinazione di questi due fattori ha un effetto sommatore sull’efficacia del trasporto, suggerendo che esistono due differenti meccanismi alla base di questi due differenti stimoli (24). Esercizio e insulina, seguendo delle cinetiche di saturazione, determinano un aumento della velocità di trasporto del glucosio (VOmax): i) attraverso un aumento della quantità di glucosio che ogni carrier trasporta (turnover); ii) con un aumento funzionale del numero di GLUT4; iii) oppure con entrambi (8). Ciò che si nota negli atleti, e che si distingue dagli adattamenti a lungo termine ottenibili in qualsiasi individuo allenato o super-allenato, è un elevato numero di GLUT4 (6). In uno studio, la concentrazione proteica di GLUT4 è stata rilevata del 93% superiore in atleti di hockey rispetto a soggetti sedentari; ciò nonostante la concentrazione di GLUT4-mRNA era simile nei due campioni: non è stata trovata alcuna relazione tra il GLUT4-mRNA e il reale contenuto proteico, e tra il GLUT4-mRNA e lo smaltimento di glucosio durante il clamp insulinico (48). Se l’iperespressione di questo carrier sul sarcolemma e sui tubuli traversi può essere conseguita da chiunque in maniera transitoria in seguito a un single bout (e in modo più duraturo come effetto cronico dell’allenamento) l’elevata quota numerica dei GLUT4 è il segno distintivo dell’atleta (per cause genetiche e non). L’incremento numerico di queste proteine è particolarmente visibile negli atleti di endurance, dato che la concentrazione di GLUT4 è direttamente correlata con il VO2max, la rimozione sistemica del glucosio (whole body glucose disposal) e soprattutto con la porzione spiccatamente ossidativa dell’istotipo (fibre rosse, tipo I) (48-49). Anche se una relazione di proporzionalità inversa è stata riportata tra il contenuto proteico di GLUT4 e il quantitativo di fibre di tipo IIb (bianche, glicolitiche), anche negli atleti di forza è ravvisabile una consistente presenza di GLUT4 (50). Intense contrazioni di natura eccentrica, però, possono causare microtraumi muscolari responsabili di alterazioni a livello dell’azione insulinica, del consumo di glucosio e quindi del contenuto globale dei trasportatori. È stato dimostrato che la diminuzione dei GLUT4, in seguito ad esercizio muscolare di natura eccentrica, è dovuta ad una marcata riduzione dell’attività di trascrizione da parte del corrispettivo gene (51-52). Ad ogni modo, non è ancora pienamente compreso quanto e come gli elevati livelli di GLUT4 possano contribuire alla migliorata sensibilità insulinica associata all’allenamento. In alcuni studi, ad esempio, l’interruzione dell’attività per 14 giorni, in atleti di endurance (runners) e di forza (potenziamento muscolare con i pesi) era associata a un deterioramento dell’insulino-sensibilità ma non a una riduzione dell’espressione muscolare di GLUT4 (53). Ciò significa che nel de-allenamento diversi fattori sono coinvolti nei cambiamenti dell’insulino-sensibilità. Le conseguenze metaboliche dovute al fenomeno del de-training (o dell’over-training) denotano comunque un quadro non sovrapponibile a quello determinato dall’inattività fisica (6).

Insulino-sensibilità e azione insulinica

Come naturale conseguenza dell’adattamento postrecettoriale nel muscolo scheletrico, l’indice di insulino-sensibilità (SI) degli atleti è enormemente migliorato a livello sistemico e periferico rispetto ai sedentari (54) (Tab. 1).

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Si è già ricordato come molteplici adattamenti dovuti alla stimolazione cronica dell’allenamento concorrano a migliorare la sensibilità all’insulina (flusso sanguigno, massa muscolare, tipo di fibre, trasportatori ecc.). La prova che l’azione insulinica è più efficiente negli atleti rispetto ad altri campioni di controllo (diabetici, sedentari sani, allenati) è data dalla diminuita secrezione insulinica: mentre l’abbassamento dell’insulin response contraddistingue una situazione di efficienza e di risparmio negli atleti, nello stato diabetico o pre-diabetico esprime un grado di deficienza metabolica proprio della patologia (55). Le concentrazioni plasmatiche di insulina, basale e in risposta all’esercizio, sono infatti inferiori nell’atleta e nell’individuo sano con un’ottimale physical fitness (56). L’allenamento riduce l’attività secretoria delle cellule β-pancreatiche senza diminuire la loro sensibilità al glucosio (immutata PG50) (57). Ecco spiegato, quindi, perché non sempre la glucose tolerance è migliorata in seguito alle proposte d’esercizio acuto e cronico: l’aumento dell’azione insulinica lascia immutata la glucose tolerance poiché l’attività secretoria delle cellule β-pancreatiche cambia reciprocamente, contenendo il suo output. Dopo sei giorni di ultra-marathon (da 508 a 890 km percorsi), cinque atleti di ultra- endurance sono stati testati per verificare le loro condizioni metaboliche: la glucose tolerance risultava modestamente ridotta, significativamente, con una diminuita secrezione insulinica e aumentati livelli di norepinefrina. Gli indici di insulino-sensibilità, glucose effectiveness (Sg) e lo smaltimento sistemico del glucosio erano inalterati: esito di una ridotta secrezione insulinica e dell’attivazione del sistema noradrenergico (20). Un altro studio comparava l’effetto di sette giorni di riposo forzato a letto sulla risposta insulinica di soggetti sedentari e di atleti nel periodo di loro massima forma (58). Dai risultati dell’oral glucose tolerance test (OGTT), l’innalzamento dei livelli di insulina indotto dal riposo forzato era superiore nei sedentari rispetto agli allenati, indicando come lo stato di allenamento preservi, protegga, o comunque riesca ad attenuare la perdita di insulino-sensibilità dovuta all’immobilità. In questo caso la migliorata insulino-sensibilità rappresenta una modificazione a lungo termine dell’allenamento piuttosto che una conseguenza dell’ultima sessione d’esercizio (48). Nel soggetto sedentario una sessione acuta d’esercizio non sempre è accompagnata da un aumento dell’azione insulinica (12). Ad esempio, immediatamente dopo un esercizio intenso, dinamico e di breve durata, l’azione insulinica può risultare attutita a causa delle elevate concentrazioni di catecolamine e acidi grassi liberi. Gli atleti, in seguito alla down-regulation di tutti i sistemi neuroendocrini e metabolici, presentano, in situazioni basali e soprattutto in risposta all’esercizio una concentrazione inferiore degli ormoni controllati dal sistema simpato-adrenergico. In particolare, la secrezione di noradrenalina, a parità di intensità di lavoro, si riduce in risposta all’allenamento (in maniera diversa a seconda della disciplina praticata, in base principio della specificità del meccanismo esoergonico preponderantemente reclutato). Esprimendo, invece, le intensità di lavoro in termini relativi (p.e. rispetto alla massima potenza aerobica) la risposta può essere simile nei soggetti allenati e non allenati.

Il concetto “crossover”

L’allenamento di endurance induce degli adattamenti nel muscolo scheletrico che rendono più efficiente la performance sportiva. Abbiamo più volte ricordato che questi adattamenti includono l’aumento dell’espressione di GLUT4, l’aumento dell’attività dell’esochinasi, il decremento del glucosio-6P ecc.: tutti cambiamenti che conducono a un potenziamento del consumo e della fosforilazione del glucosio (59). Durante l’esercizio di intensità moderata o bassa, si assiste nel metabolismo dell’atleta come dell’individuo allenato, ad uno spostamento (shift) dai carboidrati ai grassi nella scelta del principale substrato energetico. Ciò significa che per intensità di lavoro medio-basse il consumo di glucosio è diminuito negli allenati. In studi trasversali (60), alcuni atleti mostravano un consumo di glucosio addirittura inferiore a quello dei soggetti sedentari, quando il confronto veniva eseguito per le stesse relative intensità medio-basse d’allenamento. In linea teorica il consumo di glucosio muscolare è più elevato nei soggetti allenati rispetto ai sedentari, ma questa differenza è più evidente per intensità d’esercizio relativamente elevate (superiori al 75% del VO2max). Gli individui allenati sono capaci di sostenere intensità d’allenamento assolutamente più elevate rispetto ai soggetti de-allenati. L’ipotesi crossover (61-62) è basata sul fatto che il muscolo allenato possiede una capacità superiore, in valore assoluto, nel catturare e ossidare il glucosio durante l’esercizio; di fatto però fino ad una determinata intensità, il glucosio è sotto-utilizzato in virtù degli adattamenti citati e, in generale, per una più ampia riserva funzionale. Il metabolismo allenato non ha bisogno di scomodare tutti i suoi strumenti più affinati per gettare nella fornace metabolica il glucosio come principale substrato energetico.

Atleti di forza, atleti di resistenza

Le determinazioni genetiche alla base delle eccezionali performance sportive possono essere anche rivelatrici delle caratteristiche metaboliche degli atleti d’élite di endurance e di potenza. In particolare, gli atleti d’elite di potenza sembrano essere più insulino-resistenti degli atleti d’elite di endurance (63). Lo strenuo esercizio di natura eccentrica, ad esempio, determina un danno muscolare con una diminuzione del numero di GLUT4 e una conseguente perdita di insulino-sensibilità (51-52). In realtà, non è ancora perfettamente noto se l’espressione fenotipica possa essere predittiva oltre che della performance sportiva anche della insulin sensitivity e della glucose tolerance. Essendo il muscolo scheletrico la sede cruciale sia per lo smaltimento del glucosio post-prandiale, sia per la performance atletica, appare logico come le intrinseche differenze nella composizione delle fibre muscolari possano riflettere al contempo le proprietà metaboliche e le potenzialità per eccellere in una specialità sportiva (49). Fin dai primi studi sulla fisiologia dell’esercizio, le biopsie muscolari hanno sempre mostrato una preponderanza di fast twich fibers di tipo IIb (fibre bianche, veloci, anaerobiche) negli atleti d’élite di potenza e slow twich fibers di tipo I (fibre lente, rosse, ossidative) tra gli endurance runners (64). Certamente la ricchezza di fibre lente negli atleti di resistenza giustificherebbe una soglia molto elevata per i lattati. La tipologia muscolare, che rispecchia la proporzione di fibre rapide e lente, è molto importante nel definire le caratteristiche atletiche individuali. Nei soggetti non-allenati la porzione di fibre lente nel muscolo vasto laterale del quadricipite femorale corrisponde a circa al 55%, le fibre intermedie (di tipo IIa), invece, rappresentano il doppio di quelle veloci (65). Le differenze nelle potenzialità metaboliche degli individui sono intuitive. Il livello delle attività enzimatiche glicolitiche e ossidative è sufficientemente evoluto per garantire un efficiente metabolismo aerobico ed anaerobico. In base al solo corredo istologico, gli atleti di forza e di potenza sembrano mostrare un maggior rischio metabolico di insulino-resistenza (63). Alcuni specifici studi sul detraining, però, hanno provato che sia gli atleti di forza, sia quelli di endurance, sono in grado di contenere i peggioramenti nella glucose tolerance in seguito ad un periodo di riposo forzato (50, 66). Questo significa che gli atleti, indipendentemente dalla loro provenienza sportiva, sono in condizione di preservare l’insulino-sensibilità contro l’inattività fisica meglio di chiunque altro. Le differenze di insulino-sensibilità tra i due tipi i atleti , quindi, sono meglio spiegate dal corredo genetico e dall’effetto cronico dell’allenamento piuttosto che dall’ultima sessione d’esercizio praticato (49, 67). La straordinaria eterogeneità della composizione delle fibre muscolari (non altrettanto riscontrabile, ad esempio, nei roditori (68)) giustifica la variabilità nelle capacità prestative umane. Non sarebbe valida e per niente scontata, quindi, l’equazione tra proprietà metaboliche e performance sportive partendo dalla mera valutazione delle fibre muscolari. Anzi, è molto più probabile formulare una predizione verosimile sulle caratteristiche metaboliche di un individuo non-allenato, che determinare l’entità delle performance sportive, specie tra atleti d’élite. Ad esempio, due corridori con tempi simili sulla distanza della maratona possedevano rispettivamente il 50 e il 98% di slow twich fibers (69). Nel corso dei vari training studies, altri parametri fisiologici sono emersi come più attendibili per definire i limiti superiori delle capacità sportive (70). Nei diabetici di tipo 2 la quantità di fibre di tipo I, a metabolismo prevalentemente ossidativo, è solitamente carente rispetto al pool di fibre di tipo IIa e IIb, spiccatamente più glicolitiche. Anche nei parenti dei diabetici di tipo 2, è stato riscontrato una percentuale di fibre di tipo IIb significativamente più alto rispetto a soggetti sani (71). L’insulino-sensibilità è correlata con la quantità di slow twich fibers ossidative (6). Più specificatamente, il trasporto di glucosio insulino-stimolato è maggiore nel tessuto muscolare ricco di fibre di tipo I (72). Nei diabetici di tipo 2, come negli individui obesi, il rapporto tra attività enzimatiche di natura glicolitica e quelle di natura ossidativa è collegato all’insulino-resistenza (73). Pur essendo determinato geneticamente, l’assetto istologico individuale è parzialmente modificabile con l’allenamento (47), grazie alla specificità degli stimoli allenanti. Questa considerazione assume valore soprattutto in relazione alle necessità ossidative dei soggetti con diabete di tipo 2. L’insulino-sensibilità e la capacità ossidativa sono deteriorate da altre due condizioni: l’invecchiamento e l’inattività fisica (74) (si veda il capitolo successivo Effetti dell’età sulle proprietà metaboliche del muscolo scheletrico).

Lipidi intramiocellulari (IMCL) I

l contenuto di lipidi intramiocellulari (IMCL) è tradizionalmente associato, nei soggetti diabetici e nei soggetti sani, a insulino-resistenza dovuta alla scarsa capacità ossidativa del muscolo. In particolare, è stato dimostrato come il contenuto degli IMCL sia approssimativamente due volte più elevato nei soggetti diabetici di tipo 2 rispetto ai soggetti sani (75). Negli individui allenati, e in maniera ancora più evidente negli atleti di endurance (maratoneti), i lipidi intramiocellulari sono più numerosi che nei soggetti de-allenati e, sorprendentemente, in quantità simile a quella presente nel muscolo di un diabetico di tipo 2. Questo stato di cose ha indotto ragionevolmente a teorizzare l’esistenza di un “paradosso” per quanto riguarda le riserve lipidiche intramuscolari dell’atleta d’endurance: è comunemente inattesa la cospicua presenza di “grassi” in un atleta di resistenza, molto magro, come può essere il maratoneta (76). Lo stupore è almeno ridimensionato se pensiamo alla spiegazione metabolica del già descritto “crossover concept”. Nello studio di Goodpaster et al. erano confrontati quattro gruppi di soggetti: magri, obesi, diabetici di tipo 2 e allenati. Il contenuto di IMCL nei soggetti con diabete di tipo 2 era significativamente più alto rispetto agli obesi e ai magri, mentre quello dei soggetti allenati era significativamente più elevato rispetto ai magri. Gli IMCL si presentavano negativamente associati a M (indice di insulino-sensibilità) quando gli allenati erano esclusi dall’analisi, e questa associazione era indipendente dall’indice di massa corporea. La capacità ossidativa era positivamente associata all’indice di insulino-sensibilità, tra i non-diabetici. Il muscolo scheletrico degli atleti d’endurance era marcatamente insulino-sensibile e con un’alta capacità ossidativa, nonostante un elevato contenuto di lipidi intramuscolari. In sostanza la capacità d’ossidazione lipidica può essere un importante mediatore nell’associazione tra l’eccesso di lipidi intramiocellulari e l’insulino-resistenza. La situazione paradossale definita da Goodpaster et al. è addirittura superata dagli studi di van Loon et al. (75) dal momento che il contenuto di IMCL negli otto ciclisti presi in considerazione (endurance-trained athletes) risultava più elevato rispetto a quello dei soggetti sovrappeso e diabetici di tipo 2. In tutti i gruppi osservati, il contenuto lipidico era significativamente più alto nelle fibre di tipo I rispetto a quelle di tipo II. Nello studio di van Loon anche la densità delle “gocce” di IMCL era significativamente più elevata sia nelle fibre di tipo I, sia nel muscolo misto, rispetto ai pazienti diabetici e ai sedentari. Non erano state individuate invece differenze significative tra i gruppi, per quanto riguarda le fibre di tipo 2. Ancora una volta, quindi, se in diversi studi è stata sottolineata la stretta relazione tra IMCL (e anche per gli acidi grassi liberi, FFA) e insulino-resistenza, questo rapporto perde significato quando nelle comparazioni vengono inseriti atleti (o soggetti allenati) d’endurance. L’unica differenza, forse, alla base della potenziale disponibilità e mobilitazione dei substrati energetici durante l’esercizio strenuo d’endurance, è il “formato” delle “gocce di grasso” (lipid droplet size): nonostante la quantità di IMCL tra atleti d’endurance e diabetici di tipo 2 sia simile (e talvolta persino superiore nei primi), le dimensioni degli IMCL rilevate negli atleti d’endurance sarebbero ridotte in confronto a quelle ipertrofiche degli IMCL dei diabetici di tipo 2 (77). In conclusione, il contenuto di IMCL, da solo, non può essere considerato sinonimo di insulino-resistenza, piuttosto un surrogato per potenziali deterioramenti del quadro lipidico, da normalizzare per il livello di attività fisica d’endurance praticata.

EFFETTI DELL’ETÀ SULLE PROPRIETÀ METABOLICHE DEL MUSCOLO SCHELETRICO

Una riduzione dell’insulino-sensibilità nei tessuti periferici è stata già assodata come naturale conseguenza del processo d’invecchiamento (78). Nell’obesità e nel diabete di tipo 2, la capacità metabolica del muscolo scheletrico sembra essere più organizzata per l’esterificazione dei grassi piuttosto che per la loro ossidazione (79), conseguentemente a una ridotta capacità ossidativa mitocondriale nel muscolo (80). Per questa ragione, il nesso tra insulino-resistenza e disfunzione mitocondriale muscolare può far leva sull’aumentato deposito di grassi nel muscolo (81). L’analisi di Petersen et al. (82) ha suggerito come la disfunzione mitocondriale legata all’età sia la perturbazione cruciale da studiare nell’eziologia dell’insulino-resistenza durante l’invecchiamento. Ad ogni modo, dato che l’attività fisica non è sempre considerata in diversi studi, il cambiamento degli stili di vita con il passare degli anni potrebbe essere una concausa della diminuzione della capacità ossidativa del muscolo, e quindi dell’insulino-sensibilità (83). Alcuni autori hanno riportato che il declino della funzione mitocondriale muscolare (dall’entrata degli acidi grassi nei mitocondri alla loro ossidazione nella catena respiratoria) scompare quando viene presa in considerazione l’attività fisica (83). Altri hanno sottolineato come la capacità ossidativa del muscolo si mantenga in individui anziani molto allenati, come in giovani atleti (84). Dalla revisione della letteratura rimane arduo stabilire con certezza se la capacità ossidativa del muscolo scheletrico declini con l’avanzare dell’età. La principale difficoltà nello studio dell’effetto dell’età sulle funzioni muscolari è rappresentata dalla possibilità di distinguere l’effetto dell’età per sé dalle conseguenze di un naturale declino del livello di attività fisica. L’accresciuta capacità, acquisita con l’attività fisica, di ossidare i grassi nel muscolo scheletrico è stata associata all’insulino-sensibilità. Pochi studi in verità (ma perché ancor pochi sono gli studi che tengono conto del livello di attività fisica) asseriscono che l’insulino-sensibilità possa essere conservata nella sua efficacia d’azione periferica, nonostante l’invecchiamento (85). Oltre alla capacità ossidativa mitocondriale, in generale, nel muscolo scheletrico la capacità di ossidare i grassi può essere di notevole importanza nel determinare l’insulino-sensibilità. La perdita di quest’ultima potrebbe essere spiegata, da un punto di vista meccanicistico, con una maggiore propensione ad accumulare grassi intramuscolari, quando la capacità ossidativa è ridotta (80-81). Il già citato paradosso degli atleti d’endurance, però, sembra suggerire, alla base di questo scompenso, un accumulo nel citosol di alcuni metaboliti (come gli acidi grassi diacilglicerolo e ceramide) che interferirebbero con i primi step nella transduzione del segnale insulinico. In questo modo, l’aumentata abilità di ossidare i grassi intramuscolari e altri acidi grassi (ceramide) durante l’esercizio, potrebbe essere considerata un decisivo fattore di mediazione nell’associazione tra capacità ossidativa lipidica e insulino-sensibilità (86). Lo studio di Bruce et al. (87) e quello di Rimbert et al. (83) sanciscono definitivamente la positività della relazione tra capacità ossidativa del muscolo, massima potenza aerobica e insulino-sensibiltà. In particolare, le prime due sarebbero i principali predittori per M (insulino-sensibilità) (88) piuttosto che i consueti marker lipidici considerati in clinica medica. È naturale e necessario valutare l’esercizio, e l’individuale specifica propensione ad esso, nelle strategie di controllo e terapeutiche dei dismetabolismi legati all’insulino-resistenza. Nello studio di Meredith et al. (89), la capacità ossidativa nel muscolo vasto laterale di alcuni sessantacinquenni era diminuita rispetto a quella di soggetti molto più giovani e non allenati. Questa differenza, però, si annullava in seguito ad un periodo di allenamento. A partire dalla settima decade di vita, sembrerebbe essere il disuso piuttosto che un fattore intrinseco all’invecchiamento, il principale responsabile dell’impoverimento delle funzioni ossidative (90). Al cospetto dei numerosi risultati contraddittori riportati in letteratura, l’esercizio e l’allenamento inducono delle modificazioni istochimiche ed enzimatiche nei soggetti di età avanzata tali da accorciare (se non addirittura di pareggiare) la distanza con i più giovani nelle proprietà metabolico-ossidative (91). Ad esempio, nei soggetti anziani il consumo di glicogeno è più elevato nell’esercizio strenuo, di pari relativa intensità, rispetto ai soggetti giovani (92): l’allenamento conduce a un decremento della percentuale di glicogeno ossidata, durante l’esercizio di intensità elevata, a causa dello shift ossidativo verso i lipidi (crossover concept, si veda il paragrafo Il concetto “crossover”). La composizione delle fibre muscolari, la densità capillare (e il rapporto capillari-miocellula), le modificazioni cardiocircolatorie e dei pool enzimatici, sono soltanto alcuni degli adattamenti che intervengono, con l’allenamento, nel miglioramento degli step basilari per la capacità ossidativa del muscolo scheletrico: consegna, estrazione e utilizzo dell’ossigeno (90). In conclusione, la pratica di esercizio regolare può proteggere dallo sviluppo di poliformi insulino-resistenze e prevenire lo scompenso della glucose tolerance (con livelli inferiori di insulina plasmatica), collegati all’invecchiamento.

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