Il futuro della terapia del diabete è l’editing genomico?

Gaetano Paride Arcidiacono, Anastasia Fuoco, Maria Letizia Hribal

Dipartimento Scienze Mediche e Chirurgiche, Università di Catanzaro “Magna Graecia”

 

Introduzione 

Fin dagli albori della così detta “era genomica”, cioè da quando negli anni Ottanta del 1900 sono partiti i primi progetti di sequenziamento del genoma completo di singole specie, ha riscosso grande interesse l’idea di poter trattare patologie di diversa natura manipolando il patrimonio genetico. Il primo trial clinico che ha sperimentato un approccio di terapia genica risale al 1990, quando Anderson e colleghi hanno utilizzato un vettore virale per inserire una copia funzionale del gene ADA (Adenosina Deaminasi) nei linfociti T di pazienti affetti da immunodeficienza primitiva ADA-SCID, nei quali tale gene è mutato; da allora sono stati registrati più di 2300 trial clinici che prevedono l’utilizzo di terapie geniche.

Sebbene immaginare le applicazioni terapeutiche offerte dalla manipolazione del genoma sia più intuitivo per le malattie monogeniche, nelle quali è sufficiente la correzione di un singolo gene, strategie di terapia genica possono essere ipotizzate anche per alcune delle patologie multifattoriali per le quali – ad oggi – non esiste una cura definitiva. In questo senso, il diabete mellito rappresenta un valido candidato in considerazione dell’incidenza in progressivo aumento, degli elevati costi di gestione della malattia e delle sue complicanze, ma soprattutto grazie alla crescente disponibilità di informazioni sulle alterazioni molecolari che sono alla base della patologia che permette una sempre più precisa e sicura individuazione dei possibili bersagli terapeutici.

[protected]

> Scarica l’articolo in formato PDF

Tecniche di editing genomico 

Per “editing genomico” si intende l’insieme di metodiche finalizzate all’inserzione, alla modifica o alla delezione di porzioni di DNA localizzate in siti specifici del genoma di una cellula. Presupposto fondamentale per l’editing genomico è l’esistenza dei sistemi di riparazione del DNA, che intervengono fisiologicamente quando si verifica una rottura della doppia catena. In questi casi infatti, al fine di proteggere il genoma da mutazioni potenzialmente nocive, la cellula può mettere in atto due meccanismi, la ricombinazione omologa (Homologous Recombination o HR) e la ricombinazione non omologa (Non-Homologous End Joining o NHEJ). Nel primo caso, è necessaria la presenza di una sequenza simile a quella danneggiata – di norma rappresentata dal suo allele sul cromosoma omologo – che funga da stampo per la riparazione; nel secondo, le due estremità vengono saldate tra loro in assenza di una sequenza stampo. Entrambi i meccanismi possono essere sfruttati ai fini dell’editing genomico, come illustrato nella figura 1.

28_3_Medicina trasl_fig1

Un primo approccio di manipolazione del genoma è stato quello del “gene targeting”. Tale approccio è basato sul processo della ricombinazione omologa, ma utilizza una sequenza stampo inserita artificialmente all’interno della cellula; poiché questa tecnica necessita di eventi spontanei di rottura della doppia catena, la sua efficienza non è elevata e, allo stesso tempo, esiste la possibilità che la sequenza non venga integrata nella sede desiderata, aumentando il rischio di mutagenesi.

Dal “gene targeting” si è passati al “genome editing” quando, grazie all’impiego di enzimi di restrizione artificiali, è stato possibile indurre rotture della doppia catena di DNA in siti specifici del genoma, stimolando così l’avvio dei processi di ricombinazione in quella sede. Tali enzimi agiscono infatti come vere e proprie “forbici molecolari”, essendo costituiti da un dominio di legame al DNA, la cui struttura è modificabile in base alla sequenza bersaglio, e da un dominio endonucleasico, responsabile della rottura dei legami fosfodiesterici tra i nucleotidi; i due principali sistemi che utilizzano questo meccanismo sono quello delle ZFN (Zinc-finger nucleases) e quello delle TALEN (Transcription activator-like effector nucleases) (1) (Fig. 2A e B).

28_3_Medicina trasl_fig2

Il sistema CRISPR/Cas9 

Nel 1987, nel genoma di E. coli sono state identificate delle particolari regioni costituite da sequenze palindromiche ripetute, intervallate da sequenze spaziatrici; esse hanno preso il nome di CRISPR (Clustered regularly interspaced short palindromic repeat); la presenza delle sequenze CRISPR è stata in seguito riscontrata in oltre il 40% dei batteri sottoposti a sequenziamento. La funzione di tali loci è stata però compresa solo nel 2005, quando da una parte l’analisi delle sequenze spaziatrici ne ha suggerito l’origine virale e dall’altra si è osservato che la trascrizione dei loci CRISPR si associa ad un’impossibilità di infettare le cellule batteriche da parte dei virus il cui genoma è integrato nel locus stesso, configurando così una sorta di sistema immunitario procariotico.

Il processo di difesa mediato dal sistema CRISPR si compone essenzialmente di tre fasi: la prima fase consiste nell’integrazione, tra due sequenze ripetute, di frammenti nucleotidici ottenuti dal processamento del materiale genetico del virus infettante. Successivamente, i loci CRISPR vengono trascritti in una molecola di RNA, in seguito clivata per ottenere i singoli RNA guida (sgRNA); essi sono costituiti da una sequenza originata dal genoma esogeno precedentemente integrato, che garantisce la selettività del sistema, e da una sequenza di legame con la nucleasi Cas9 (CRISPR associated protein 9). Infine, il complesso ribonucleoproteico formato da Cas9 e dagli sgRNA riconosce il DNA complementare alla sequenza guida e ne media la degradazione (Fig. 2C).

Una volta chiariti tali meccanismi, si è ipotizzato che fosse possibile sfruttare il sistema CRISPR/Cas9 al fine di modificare il genoma; nel 2012, due gruppi di ricerca hanno dimostrato indipendentemente la fattibilità di questa ipotesi, rivoluzionando il mondo dell’editing genomico. Ad oggi CRISPR/Cas9 è stato utilizzato per numerosi studi condotti in vitro o su modelli animali, ed è di recente stato approvato il primo trial clinico sull’uomo che ne prevede l’utilizzo (https://clinicaltrials.gov/ct2/show/NCT02793856).

Rispetto alle metodiche precedentemente descritte, con il sistema CRISPR/Cas9 non è necessario costruire proteine ingegnerizzate per legare specifiche sequenze di DNA, ma è sufficiente modificare la regione di legame al DNA degli sgRNA; inoltre, il fatto che il dominio di riconoscimento e quello di clivaggio non siano direttamente complessati, permette di agire contemporaneamente su più di un segmento genico, utilizzando un’unica nucleasi e diversi RNA guida. Ciò rende il sistema facilmente programmabile ed economico, ma non meno efficace dei suoi predecessori (2).

Editing genomico e forme monogeniche di diabete 

Circa il 5% dei soggetti diabetici è affetto da forme monogeniche di diabete, che comprendono le diverse varianti di MODY (Maturity Onset Diabetes of the Young), il diabete mellito neonatale e le forme legate a mutazioni del DNA mitocondriale. Le funzioni tipicamente alterate in questi casi sono la capacità da parte delle cellule β di rilevare la concentrazione extracellulare di glucosio, di sintetizzare insulina e di secernerla in risposta alle variazioni della glicemia.

L’editing genomico potrebbe dimostrarsi particolarmente efficace in questo contesto; essendo la malattia conseguenza di una singola alterazione genica, la correzione di tale difetto potrebbe in alcuni casi esitare in una completa risoluzione del quadro clinico.

Editing genomico e diabete di tipo 1 

Il diabete di tipo 1 è caratterizzato da un deficit di secrezione insulinica conseguente all’attivazione di una risposta immunitaria che determina la distruzione delle cellule β del pancreas. Le possibili strategie di editing genomico finalizzate al trattamento del diabete di tipo 1 si basano sulla prevenzione della distruzione β-cellulare, sull’induzione della differenziazione β-cellulare o sulla produzione di insulina in sede ectopica (Fig. 3).

28_3_Medicina trasl_fig3

La morte delle cellule β può essere evitata o impedendo il riconoscimento degli antigeni β-cellulari come non-self da parte del sistema immunitario o modificando direttamente le cellule β affinché possano resistere alla risposta immune. Diversi tentativi sono stati effettuati in entrambi i sensi, ad esempio aumentando l’espressione della citochina IL-4, responsabile della modulazione dei linfociti T regolatori, o quella della proteina Bcl-2, con funzione anti-apoptotica. Questo tipo di approccio è però limitato, sia perché il diabete di tipo 1 diventa clinicamente evidente solo dopo una distruzione pari ad almeno l’80% della massa β-cellulare, rendendo quindi difficoltoso identificare i possibili candidati al trattamento in una fase preclinica della malattia, sia perché la modulazione di un pathway immunitario non esclude che la risposta infiammatoria possa continuare attraverso vie alternative. Un’ulteriore strategia considera invece la possibilità di indurre cellule non-β, come i fibroblasti, a differenziarsi in cellule β insulino-secernenti. Per realizzare una riprogrammazione cellulare di questo tipo, è necessario incrementare l’espressione di alcuni fattori trascrizionali che si sono dimostrati indispensabili per l’acquisizione del fenotipo β-cellulare, come PDX1 (Pancreatic and duodenal homeobox-1). Le strategie di riprogrammazione non comportano però solo l’acquisizione della capacità di produrre insulina, ma anche l’espressione di antigeni β-cellulari contro i quali il sistema immunitario può reagire, innescando una risposta infiammatoria nei confronti delle β-cellule artificialmente prodotte. Inducendo invece cellule non-β a produrre insulina mantenendo il proprio fenotipo originario, è possibile ridurre il rischio di autoimmunità e, allo stesso tempo, garantire un’adeguata secrezione insulinica. Le caratteristiche essenziali che le cellule surrogate devono possedere includono un sistema di rilevamento delle concentrazioni di glucosio (in particolare GLUT2 e glucochinasi), la presenza di sistemi di clivaggio della proinsulina, la capacità di accumulare insulina e quella di rilasciarla in base alle variazioni della glicemia. Il primo problema può essere risolto utilizzando cellule che possiedono già la capacità di rispondere alle concentrazioni di glucosio, come gli epatociti; essi tuttavia non possiedono gli enzimi necessari alla conversione della proinsulina, pertanto è necessario che il costrutto genico da inserire venga modificato così da poter essere clivato da idrolasi presenti in questo tipo cellulare. Un simile costrutto dovrebbe inoltre essere creato in modo da porlo sotto il controllo di un promotore glucosio-sensibile, introducendo inoltre una sequenza che renda l’insulina capace di accumularsi nel reticolo endoplasmico, per essere rilasciata in quantità sufficienti al momento opportuno (3).

Il motivo per cui è necessario inserire artificialmente una sequenza nucleotidica contenente il gene INS, codificante per l’insulina, è rappresentato dal fatto che esso non viene normalmente trascritto nelle cellule non-β a causa della metilazione del suo promotore. Di recente però, Giménez e colleghi hanno utilizzato la tecnologia CRISPR/Cas9 per attivare la trascrizione del gene INS endogeno in tipi cellulari diversi dalle β-cellule pancreatiche, aprendo nuove possibilità nel campo della terapia genica del diabete mellito, basate non solo sulla manipolazione del genoma, ma anche su modifiche di tipo epigenetico (4).

Editing genomico e diabete di tipo 2 

Il diabete di tipo 2 è caratterizzato dall’incapacità delle cellule β di rilasciare insulina in quantità sufficiente per contrastare l’insulino-resistenza periferica; insieme alle strategie di editing genomico descritte per il diabete di tipo 1, esso si presta pertanto anche ad approcci di altra natura, alcuni dei quali sono di seguito descritti.

Il GLP-1 (Glucagon-like peptide 1) è una molecola con importanti effetti anti-diabetici, poiché stimola la secrezione insulinica in modo glucosio-dipendente, rallenta il depauperamento β-cellulare e favorisce il calo ponderale. Il rilascio di GLP-1 in corso di diabete di tipo 2 è deficitario, pertanto una possibile opzione terapeutica è quella di aumentarne la produzione. Ciò è stato ottenuto in modelli animali attraverso l’inserzione di sequenze nucleotidiche codificanti per una forma di GLP-1 resistente all’idrolisi da parte della dipeptidilpeptidasi-4 – al fine di aumentarne la altrimenti breve emivita – e posta sotto il controllo di promotori glucosio-sensibili (5).

Un’altra classe di possibili molecole bersaglio sono le adipochine, ovvero citochine prodotte dal tessuto adiposo e implicate nella regolazione dell’introito calorico e del metabolismo dei nutrienti. Tra le adipochine, di particolare rilevanza nella patogenesi del diabete di tipo 2 sono l’adiponectina, la cui secrezione è ridotta, e la leptina, la cui secrezione aumenta in conseguenza di uno stato di leptino-resistenza. Studi su modelli animali hanno dimostrato una possibile efficacia delle strategie finalizzate a modulare l’espressione di queste molecole (6-7).

Infine, tra i meccanismi di danno cellulare frequentemente associati all’insulino-resistenza c’è lo stress ossidativo; esso potrebbe essere contrastato da terapie geniche che incrementino l’espressione di fattori, come SOD3 (Superoxide dismutase 3), che regolano l’omeostasi ossido-riduttiva (8).

Editing genomico e complicanze del diabete 

Le possibili applicazioni dell’editing genomico non sono limitate soltanto al trattamento delle alterazioni patogenetiche che causano la malattia diabetica, ma anche a quello delle sue complicanze.

La nefropatia è una delle principali complicanze a cui vanno incontro i soggetti diabetici, nei quali rappresenta la prima causa di insufficienza renale cronica, e per la quale non esistono terapie efficaci. Un ruolo chiave nella sua patogenesi è svolto dal TGF-β (Transforming growth factor β), da cui dipende la sintesi di numerose proteine della matrice extracellulare, il cui accumulo è responsabile dell’insorgenza di glomerulosclerosi. Strategie di editing genomico finalizzate a inibire l’azione di TGF-β potrebbero risultare efficaci nel rallentamento della progressione della sclerosi glomerulare; ciò può essere fatto ad esempio incrementando l’espressione del recettore solubile del TGF-β (sTβ-RII), il quale, interagendo con il proprio ligando nello spazio interstiziale, ne impedisce l’azione a livello cellulare (9). Relativamente alla retinopatia diabetica, tra le principali molecole responsabili della patogenesi del danno retinico è necessario citare il fattore di crescita dell’endotelio vascolare (VEGF), l’angiotensina II, le specie reattive dell’ossigeno nonché il sistema del complemento. Ciascuna di queste vie molecolari può essere modulata attraverso l’editing genomico, come dimostrato da studi condotti su modelli animali. A titolo esemplificativo, l’azione pro-angiogenica di VEGF può essere contrastata aumentando l’espressione del suo recettore solubile sVEGFR-1, con un meccanismo simile a quello descritto per il TGF-β, mentre modulando l’espressione dell’enzima ACE2 è possibile favorire la produzione di angiotensina (1-7) a scapito dell’angiotensina II, riducendo l’azione pro-fibrotica di quest’ultima (10).

In uno stadio più avanzato sono le ricerche sulle applicazioni dell’editing genomico nel campo della neuropatia diabetica; è stato infatti di recente completato con successo un trial clinico diretto a valutare l’efficacia di una terapia genica a base di HGF (Hepatocyte growth factor) nel trattamento della neuropatia diabetica dolorosa (11).

Conclusioni 

Nell’ultimo decennio si è osservato il proliferare di numerosi studi finalizzati a valutare strategie di editing genomico, non solo per il trattamento di malattie monogeniche, ma anche per condizioni multifattoriali come il diabete mellito.

Ad oggi, un’applicazione su larga scala dell’editing genomico per scopi terapeutici non può ancora essere presa in considerazione, a causa di alcuni importanti aspetti non ancora sufficientemente chiariti; tra questi: l’efficienza in vivo delle metodiche utilizzate, la selettività nei confronti degli specifici tipi cellulari su cui agire, la sicurezza sul lungo periodo, nonché i risvolti di natura etica.

Le recenti scoperte relative al sistema CRISPR/Cas9 rappresentano tuttavia una svolta nel campo dell’editing genomico, rendendolo più efficiente, economico e facile da gestire, e aprendo alla possibilità che esso possa in futuro affiancare o sostituire, per alcune patologie, le terapie farmacologiche che attualmente rappresentano lo standard terapeutico.

Bibliografia 

1. Cox DBT, Platt RJ, Zhang F. Therapeutic genome editing: prospects and challenges. Nat Med 21(2): 121-131, 2015.

2. Hsu PD, Lander ES, Zhang F. Development and applications of CRISPR-Cas9 for genome engineering. Cell;157(6): 1262-1278, 2014.

3. Handorf AM, Sollinger HW, Alam T. Insulin gene therapy for type 1 diabetes mellitus. Exp Clin Transplant 13 Suppl 1: 37-45, 2015.

4. Giménez CA, Ielpi M, Mutto A, Grosembacher L, Argibay P, Pereyra-Bonnet F. CRISPR-on system for the activation of the endogenous human INS gene. Gene Ther 23(6): 543-547, 2016.

5. Tasyurek MH, Altunbas HA, Canatan H, Griffith TS, Sanlioglu S. GLP-1-mediated gene therapy approaches for diabetes treatment. Expert Rev Mol Med 16: e7, 2014.

6. Wang Y, Asakawa A, Inui A, Kosai K. Leptin gene therapy in the fight against diabetes. Expert Opin Biol Ther 10(10): 1405-1414, 2010.

7. Kandasamy AD, Sung MM, Boisvenue JJ, Barr AJ, Dyck JRB. Adiponectin gene therapy ameliorates high-fat, high-sucrose diet-induced metabolic perturbations in mice. Nutr Diabetes 2: e45, 2012.

8. Cui R, Gao M, Qu S, Liu D. Overexpression of superoxide dismutase 3 gene blocks high-fat diet-induced obesity, fatty liver and insulin resistance. Gene Ther21(9): 840-848, 2014.

9. Lin X, Tao L, Tang D. Gene therapy, a targeted treatment for diabetic nephropathy. Curr Med Chem 20(30): 3774-3784, 2013.

10. Agarwal A, Ingham SA, Harkins KA, Do DV, Nguyen QD. The role of pharmacogenetics and advances in gene therapy in the treatment of diabetic retinopathy. Pharmacogenomics 17(3): 309-320, 2016.

11. Kessler JA, Smith AG, Cha B-S, Choi SH, Wymer J, Shaibani A, et al. Double-blind, placebo-controlled study of HGF gene therapy in diabetic neuropathy. Ann Clin Transl Neurol 2(5): 465-478, 2015.

 

[/protected]