Il diabete familiare nell’adulto: un’entità clinica sottovalutata

Il diabete familiare nell’adulto: un’entità clinica sottovalutata

Vincenzo Trischitta1,2, Serena Pezzilli1,2, Sabrina Prudente

1Dipartimento di Medicina Sperimentale, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Roma, Italia;

2Unità di Ricerca sulle Malattie Metaboliche e Cardiovascolari, IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza, San Giovanni Rotondo, Italia

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Introduzione

Il diabete mellito oggi affligge più di 400 milioni di pazienti in tutto il mondo, rappresentando perciò un’importante sfida per i singoli sistemi sanitari nazionali (1). La maggior parte dei pazienti diabetici (>80%) è affetta da diabete di tipo 2, mentre una minoranza è colpita da forme autoimmuni (diabete di tipo 1, DT1, e diabete autoimmune dell’adulto, LADA), monogeniche (descritte in seguito) o secondarie (per lo più iatrogene o da disturbi endocrini).

Il diabete di tipo 2 è caratterizzato da un alto tasso di morbilità e mortalità (2); un fardello destinato ad aumentare a causa delle proporzioni epidemiche che la malattia sta assumendo (1). Nonostante la rilevanza epidemiologica, la sua definizione esatta rimane sfuggente, tanto che la diagnosi è effettuata per mera esclusione, nel senso che i pazienti sono definiti affetti da diabete tipo 2 solo quando l’iperglicemia non è secondaria a tutte le altre forme di diabete sopra descritte (3). In realtà, possiamo immaginare il diabete mellito non autoimmune come un ampio spettro che spazia da forme in cui la componente genetica è predominante (forme monogeniche e oligogeniche), nelle quali spesso il diabete si sviluppa in età infantile o giovanile, a forme in cui l’iperglicemia è secondaria ai fattori ambientali (forme poligeniche) (4), i quali interagiscono con la componente genetica, la cui influenza progressivamente diminuisce con l’aumentare dell’età alla diagnosi (Fig. 1).

La mancanza di conoscenza degli intimi meccanismi molecolari alla base del diabete non autoimmune dell’adulto (genericamente definito diabete tipo 2) ha conseguenze importanti, tra le quali la più rilevante è che ancora ad oggi le opzioni terapeutiche vengono offerte quasi senza alcuna distinzione a tutti i pazienti, senza essere in grado di fornire una terapia personalizzata o almeno specifica per sottogruppi di pazienti che condividono una comune base patogenetica-molecolare (5).

Il diabete monogenico

Ad oggi, le forme di diabete causate da mutazioni in singoli geni (diabete monogenico) non auto-immune includono un ampio spettro di fenotipi, quali il diabete mellito neonatale (NDM, di cui la forma transitoria – TNDM, e la forma permanente – PNDM), una forma precoce di diabete familiare, il “Maturity onset diabetes of the young” – MODY, rare forme di diabete presenti all’interno di complesse sindromi e il diabete mitocondriale. Complessivamente, si stima che la percentuale di diabete monogenico nei pazienti con diagnosi inferiore ai 45 anni sia del 3-5% (6).

Come detto sopra, il diabete mellito neonatale comprende il TNDM e il PNDM, entrambe caratterizzate da un esordio precoce dell’iperglicemia, con un’età media alla diagnosi di sette settimane e che, comunque, si manifesta entro i primi sei mesi di vita (7). La maggioranza dei casi di TNDM è causata da anomalie in una regione soggetta ad imprinting sul cromosoma 6q24 (8), oppure da mutazioni nei geni KCNJ11 o ABCC8 che codificano per le due subunità del canale del potassio ATP-dipendente, presenti sulla membrana delle cellule beta-pancreatiche (9). Alcuni casi di TNDM sono causati da mutazioni nei geni HNF1B (il fattore di trascrizione epatico 1b) e INS (il gene che codifica per l’insulina) (10).

Il PNDM, contrariamente al TNDM, si manifesta spesso come condizione isolata, più comunemente dovuta a mutazioni in KCNJ11 e ABCC8 o in INS e più raramente in geni quali GCK, che codifica per la glucochinasi e PDX1, un fattore di trascrizione coinvolto nello sviluppo pancreatico (11).

Ad oggi resta ancora sconosciuta la causa genetica di NDM, in circa il 20% dei casi (12).

Classicamente, il MODY viene definito come una malattia a trasmissione autosomica dominante, con un’età d’insorgenza inferiore ai 25 anni e rappresenta circa l’1-2% di tutti i casi di diabete (13). Esso è causato da mutazioni in diversi geni, tutti coinvolti nel modulare funzione, sviluppo e sopravvivenza della cellula beta e viene perciò incluso nella classe di diabete mellito da “difetti genici della funzione beta-cellulare” (3).

Finora sono stati identificati più di 10 geni che causano MODY, mentre il gene-malattia rimane ancora sconosciuto in circa il 10% dei casi (14). Le forme più comuni sono dovute a mutazioni nei geni HNF4A, GCK, HNF1A, PDX1 e HNF1B, il cui contributo relativo varia tra le diverse etnie (15). Alcune mutazioni nei geni KCNJ11, ABCC8, INS, GCK, PDX1, HNF1B e NEUROD1 sono responsabili non solo del MODY, ma anche del NDM (16), rafforzando così il concetto secondo cui il diabete mellito non-autoimmune è uno spettro continuo, lungo il quale è difficile collocare il confine tra le diverse forme (17). Inoltre, è importante sottolineare come alcuni pazienti con mutazioni in geni MODY o NDM/MODY (18), possano manifestare un’età d’insorgenza del diabete più tardiva rispetto al limite dei 25 anni previsto nella classificazione attuale. Nel loro insieme, queste evidenze mettono in discussione la definizione classica di MODY e delle sue numerose classificazioni, rendendo necessaria una nuova sistematizzazione basata sull’eziologia della malattia, quindi ridefinendo ciascuna forma di diabete monogenico sulla base del gene mutato, senza utilizzare altre definizioni ormai superate dalle nuove conoscenze (per esempio, diabete GCK-dipendente invece di MODY 2) (19).

Il diabete mellito sindromico è definito tale perché il fenotipo è rappresentato da più condizioni cliniche patologiche. Un esempio è rappresentato dalla sindrome di Wolfram, dove possono coesistere sordità, disturbi neurologici, atrofia ottica (20) e gravi quadri sindromici d’insulino-resistenza (21) ma anche da alcune forme di MODY o NDM che si evidenziano in associazione a disfunzioni esocrine del pancreas o a malformazioni renali e pancreatiche (22).

Una particolare forma di diabete mellito monogenico è, infine, il diabete mitocondriale, caratterizzato da trasmissione esclusivamente materna (il DNA mitocondriale è, infatti, esclusivamente derivato dalla madre), sordità neurosensoriale e progressiva disfunzione beta-cellulare. Nella maggior parte dei casi, questo tipo di diabete è dovuto alla mutazione A3243G del DNA mitocondriale (mtDNA) (23).

 

Il diabete multigenerazionale dell’adulto

Di recente abbiamo descritto una forma di diabete mellito multigenerazionale (almeno 3 generazioni consecutivamente affette da diabete mellito) che interessa circa il 3% dei pazienti diabetici adulti che nella comune pratica clinica può essere diagnosticato come diabete di tipo 2 (24). La nostra osservazione è stata portata a termine in un ospedale dedicato alla ricerca scientifica con specifica esperienza nel settore diabetologico. È ragionevole, quindi, ipotizzare che in ospedali non specializzati in attività di ricerca, le proporzioni siano simili se non addirittura superiori. Ciò suggerisce che in Italia, dove un totale di 3,2 milioni di pazienti è affetto da diabete di tipo 2 (25), almeno 200.000 individui (considerando un numero minimo di 2 pazienti vivi all’interno di ogni nucleo familiare) appartengono a famiglie con diabete multigenerazionale.

Nel nostro studio si è osservato che il 13% dei pazienti e delle famiglie raccolte avevano mutazioni in almeno uno dei 6 geni responsabili delle forme più comuni di MODY, e quindi HNF4A, GCK, HNF1A, PDX1, HNF1B e NEUROD1 (24).

Abbiamo definito i restanti pazienti con diabete multigenerazionale, negativi allo screening genetico, come affetti da “diabete familiare dell’adulto” (FDA, nell’acronimo inglese), immaginandolo come una specie di limbo in cui i pazienti attendono tempi migliori per la comprensione delle cause molecolari alla base della loro iperglicemia (24).

Recentemente alcuni studi hanno descritto forme familiari di diabete mellito, non causate da mutazioni nei geni del MODY e/o del NDM, che sono state definite dagli autori in modi molto diversi: diabete a esordio precoce (o diabete di tipo 2 ad esordio precoce), diabete di tipo 2 autosomico dominante, diabete di tipo 2 familiare, diabete di tipo 2 atipico (26-27). Considerando la nostra recente proposta, molte di queste forme d’iperglicemia potrebbero essere classificate come FDA. Il diabete familiare dell’adulto, non sembra, quindi, un concetto limitato alla nostra situazione etnica e geografica, ma potrebbe essere esteso, anche ad altri contesti nel resto del mondo. Proponendo l’utilizzo di FDA ai clinici e ai ricercatori, stiamo chiaramente ammettendo e nello stesso tempo provando a sistematizzare la nostra ignoranza a proposito delle cause eziologiche e patogenetiche del diabete nell’età adulta, ignoranza che dobbiamo provare a risolvere.

Al fine di raggiungere quest’obiettivo, abbiamo condotto indagini genetiche più approfondite nelle famiglie FDA che sono state raccolte sia nel nostro primo studio (24), che attraverso un nuovo reclutamento. In questo secondo tentativo, condotto su 760 adulti con diagnosi di diabete tipo 2, non imparentati tra loro, abbiamo individuato 25 pazienti (vale a dire il 3,3%) che presentavano la forma di diabete multigenerazionale, confermando così i dati del nostro primo studio (24).

È ragionevole ipotizzare che il nostro sforzo giocherà un ruolo decisivo nell’identificare le cause molecolari d’iperglicemia, aumentando così le conoscenze sull’eterogeneità eziologica e patogenetica che sottende il diabete mellito nell’età adulta.

 

Le nuove tecniche di sequenziamento del DNA e il loro ruolo nelle diagnosi molecolari delle malattie genetiche

Negli ultimi 30 anni, il “sequenziamento secondo Sanger” (28), è stato considerato il metodo di riferimento per lo studio molecolare delle malattie mendeliane, permettendo sia di identificare in famiglie informative nuovi geni-malattia, sia di confermare il ruolo di geni già noti in quei pazienti con diagnosi clinica sospetta. Questa metodica, tuttavia, può analizzare un solo segmento di DNA alla volta; un limite importante che rende la tecnica inefficiente e costosa per la ricerca di nuovi geni-malattia, cosicché più di 1.700 malattie genetiche aspettano ancora l’identificazione del gene responsabile (da http://omim.org/statistics/entry, aggiornato al 07/12/16).

I progressi compiuti negli ultimi dieci anni hanno fatto emergere tecnologie avanzate, indicate nel complesso come sequenziamento di ultima generazione (NGS nell’acronimo inglese), che hanno rivoluzionato le nostre capacità di sequenziamento del DNA (29). Il NGS, infatti, consente di processare contemporaneamente e a bassi costi da centinaia di migliaia a milioni di frammenti di DNA. In particolare, il NGS è in grado di studiare simultaneamente più geni in un’unica reazione, sequenziando per esempio la regione codificante dell’intero esoma umano (WES nell’acronimo Inglese) (30) o di un alto numero selezionato di geni (31).

Non ci sorprende, quindi, come questa tecnica possa essere considerata una valida alternativa al sequenziamento Sanger per l’identificazione della causa genetica nelle malattie mendeliane sia nella ricerca sia nella diagnosi molecolare (http://omim.org/). Relativamente al nostro specifico contesto, il NGS si è dimostrato efficace nell’identificazione di mutazioni in geni già noti, evenienza particolarmente utile nel caso di falsi negativi derivati dalla precedente analisi condotta tramite sequenziamento Sanger (32). Non è, perciò, difficile immaginare come questa nuova tecnologia giocherà un ruolo chiave anche nella scoperta di nuove cause molecolari nelle forme familiari di diabete mellito, soprattutto in quelle difficilmente classificabili, come nel caso di FDA (33). Proprio con questo obiettivo, in un nostro recente studio ci siamo avvalsi di un approccio NGS, attraverso cui abbiamo analizzato 27 geni, noti per causare varie forme di diabete monogenico, in probandi di famiglie FDA, inclusi i 6 geni MODY comuni, analizzati con metodica Sanger nella nostra prima esperienza (24). I dati preliminari (34), indicano che solo una percentuale minoritaria di pazienti FDA ha mutazioni in geni già noti per causare diabete monogenico, suggerendo che nella gran parte di essi l’iperglicemia sia causata da mutazioni in geni non ancora conosciuti come modulatori dell’omeostasi glicemica nell’uomo. Che questa ipotesi sia ragionevole è dimostrata dalla recente identificazione, in una di queste famiglie, di APPL1, quale nuovo gene malattia (35).

 

Conclusioni

Il diabete mellito di tipo 2 rappresenta un enorme problema per i sistemi sanitari di tutto il mondo, così come per l’elevato numero di pazienti e per i loro familiari (2). Se vogliamo ridurre questo fardello è dunque indispensabile comprenderne meglio i vari scenari patogenetici, così da poter realizzare programmi di predizione, prevenzione e trattamento, che siano migliori degli attuali.

Uno dei principali ostacoli per raggiungere quest’obiettivo è la profonda eterogeneità del diabete dell’età adulta che è capace di spaziare da fenotipi con una componente genetica predominante ad altre forme che sono per lo più secondarie a fattori ambientali (4), soprattutto quando l’iperglicemia si manifesta in età avanzata.

Recentemente abbiamo riportato che circa il 3% dei pazienti adulti con diagnosi di diabete di tipo 2 appartiene, di fatto, a famiglie con diabete multigenerazionale; per quelle famiglie in cui l’iperglicemia non è causata da mutazioni in geni malattia già noti, abbiamo proposto la definizione di FDA (24).

FDA è una chiara ammissione d’ignoranza, ma è anche un tentativo di sistematizzarla. Nelle nostre intenzioni, FDA deve essere interpretato come un limbo nel quale pazienti adulti con diabete mellito multigenerazionale attendono tempi migliori per una definizione della causa genetica della loro iperglicemia. È possibile che grazie al nuovo approccio NGS quel momento arriverà molto presto, permettendo la consulenza genetica per molte di queste famiglie e, probabilmente, anche rendendo realtà il sogno della medicina di precisione per molti pazienti diabetici adulti. Un obiettivo così ambizioso potrà essere perseguito solo attraverso uno sforzo di collaborazione tra i ricercatori clinici, i genetisti, i biologi molecolari e i familiari diabetici.

Nel frattempo, i diabetologi clinici dovrebbero tenere a mente che una bassa, anche se non irrilevante, percentuale di pazienti diabetici adulti sono affetti da una forma multigenerazionale di diabete che potrebbe meritare uno screening genetico per le cause oggi note di diabete monogenico, soprattutto tramite approccio NGS (32), già disponibile in alcune realtà del nostro paese.

 

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