a cura di Anna Solini1, Agostino Consoli2
1Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università degli Studi di Pisa; 2Dipartimento di Medicina e Scienze dell’Invecchiamento, Università degli Studi di Chieti-Pescara “G. D’Annunzio”
DISCUSSANT
Edoardo Mannucci
Università degli Studi di Firenze
La richiesta da parte della Food and Drug Administration di condurre trial per la verifica della sicurezza cardiovascolare dei nuovi farmaci per il diabete (1) sta producendo una notevolissima mole di dati clinici sugli effetti a lungo termine dei vari trattamenti. I risultati dei trial di outcome cardiovascolare costituiscono una base fondamentale per la conoscenza dei farmaci; talvolta, però, possono anche generare dubbi o incertezze, soprattutto quando si hanno risultati ambigui o discordanti.
Nel caso specifico degli agonisti recettoriali del GLP1, sono stati completati e pubblicati, ad oggi, tre grandi trial di outcome cardiovascolare: lo studio ELIXA con lixisenatide (2), LEADER con liraglutide (3) e SUSTAIN-6 con semaglutide (4). Tutti e tre questi studi hanno raggiunto pienamente il loro obiettivo primario, cioè la dimostrazione della sicurezza cardiovascolare (non inferiorità rispetto al placebo per l’incidenza di eventi cardiovascolari maggiori). Nell’obiettivo secondario di efficacia (cioè, nell’analisi di superiorità), invece, i risultati sono stati discordanti: nessun effetto per lixisenatide in ELIXA, riduzione significativa degli eventi con liraglutide in LEADER e con semaglutide in SUSTAIN-6 (2-4). La differenza di risultati sull’efficacia pone importanti problemi di interpretazione. Occorre infatti comprendere se questa diversità sia il prodotto di differenze nelle popolazioni studiate e nel protocollo dei trial, oppure se sia attribuibile a differenze tra le molecole – e, in questo secondo caso, quale tra le caratteristiche delle singole molecole possa contribuire a determinare differenze negli effetti cardiovascolari. Questa riflessione non è un semplice esercizio accademico, ma ha anche ricadute cliniche, perché influisce sulla scelta dei farmaci all’interno della classe dei GLP1 agonisti da parte dei medici prescrittori.
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Le differenze nel disegno degli studi
Nell’interpretazione dei risultati dei trial cardiovascolari sui GLP1 agonisti, occorre sempre ricordare che questi studi sono stati primariamente disegnati per la sicurezza, e non per l’efficacia. Questo significa, innanzitutto, che si sono scelti criteri di inclusione e di esclusione tali da reclutare pazienti ad alto ed altissimo rischio di eventi, che permettono di dimostrare la sicurezza in tempi relativamente brevi, ma che non sono necessariamente quelli che potrebbero maggiormente beneficiare della terapia con questi farmaci. Inoltre, in tutti e tre i trial il farmaco in studio e il placebo sono stati aggiunti alla terapia preesistente, lasciando gli sperimentatori liberi di aggiustare le terapie concomitanti in maniera da ridurre al minimo le differenze tra i gruppi nell’andamento dell’emoglobina glicata e degli altri fattori di rischio – ciò che tende a produrre una sottostima della reale efficacia dei farmaci nella prevenzione cardiovascolare.
Sebbene disegnati con lo stesso obiettivo (cioè, la dimostrazione della sicurezza dei farmaci in studio relativamente agli eventi cardiovascolari maggiori), e pur condividendo lo stesso endpoint primario (gli eventi cardiovascolari maggiori, definiti come un endpoint composito di infarto del miocardio non fatale, ictus non fatale e mortalità cardiovascolare), i tre trial sono piuttosto diversi tra loro per caratteristiche e protocollo. Il trial ELIXA (lixisenatide) e LEADER (liraglutide) sono studi post-marketing, con l’obiettivo primario di dimostrare che il farmaco non aumenta l’incidenza di eventi cardiovascolari maggiori, con un margine superiore dell’intervallo di confidenza che non ecceda 1.3; il trial SUSTAIN-6, invece, è un trial di fase 3 (su un farmaco non ancora in commercio) disegnato per un margine superiore dell’intervallo di confidenza a 1.8. Questa differenza si riflette nella numerosità del campione, che in SUSTAIN-6 è sensibilmente più piccolo che negli altri due trial; di questo aspetto, come vedremo in seguito, è necessario tenere conto nell’interpretazione dei trial, soprattutto per gli endpoint secondari.
Un altro aspetto importante è la selezione dei pazienti. In LEADER e SUSTAIN-6, si sono reclutati prevalentemente pazienti con diabete di tipo 2 e pregressi eventi cardiovascolari non recenti, con una piccola quota di persone senza pregressi eventi e con fattori di rischio multipli. In ELIXA, invece, sono stati arruolati pazienti con una sindrome coronarica acuta intervenuta da almeno due ma non più di 24 settimane, e quindi con un profilo di rischio più alto (Tab. 1). È quindi possibile che i GLP1 agonisti abbiano effetti tanto più favorevoli sul rischio quanto meno elevato è il rischio iniziale del paziente.
Il confronto tra Leader e Sustain-6
I criteri di arruolamento di LEADER e SUSTAIN-6 sono molto simili tra loro, producendo coorti di pazienti altrettanto simili (Tab. 1). Eventuali diversità nei risultati, quindi, potrebbero essere facilmente attribuite a caratteristiche specifiche delle due molecole.
Per l’endpoint principale (cioè, l’incidenza di eventi cardiovascolari maggiori) ambedue i trial hanno dimostrato una riduzione significativa con il farmaco attivo rispetto al placebo (3-4). L’entità della riduzione è apparentemente maggiore in SUSTAIN che in LEADER, ma gli intervalli di confidenza sono ampiamente sovrapposti (Tab. 2);
ciò significa che non si può affermare con certezza che semaglutide è più efficace di liraglutide nella prevenzione cardiovascolare, perché l’apparente differenza può facilmente essere frutto del caso.
Diversità maggiori sembrano emergere nelle analisi sugli endpoint secondari. In particolare, nello studio LEADER liraglutide si associa ad una riduzione significativa di mortalità totale e cardiovascolare, che non si osserva in SUSTAIN-6; viceversa, semaglutide è risultata associata ad una riduzione significativa dell’incidenza di ictus, che non si è osservata con liraglutide (Tab. 2). Queste apparenti differenze non dovrebbero essere sovra-interpretate. Infatti, occorre ricordare che ambedue i trial sono disegnati per la sicurezza (cioè per la non-inferiorità), e potrebbero essere sotto-dimensionati per le valutazioni di efficacia (cioè per la analisi di superiorità). Ciò è vero soprattutto per lo studio SUSTAIN-6, che, essendo un trial di fase 3, risponde a richieste regolatorie meno stringenti e quindi si basa su una dimensione campionaria più piccola. Inoltre, essendo i vari endpoint secondari una frazione dell’endpoint (composito) primario, i trial sono per definizione sotto-dimensionati per questi eventi. Nella tabella 3, sono riportati dei calcoli di potenza (post-hoc) per i vari eventi cardiovascolari in LEADER e SUSTAIN-6, che mostrano come il mancato raggiungimento della significatività statistica non debba essere necessariamente interpretato come assenza di effetto del farmaco, essendo la numerosità campionaria insufficiente.
Elixa, Leader e Sustain-6: solo differenze di protocollo?
I criteri di arruolamento di ELIXA, LEADER e SUSTAIN-6, come sopra indicato, sono piuttosto diversi tra loro e producono di conseguenza campioni differenti per età, durata del diabete, indice di massa corporea, emoglobina glicata inziale e rischio cardiovascolare globale (Tab. 1). È ovviamente possibile che queste differenze di caratteristiche nei pazienti studiati abbiano prodotto diversità nei risultati. Peraltro, nelle analisi per sottogruppo dei trial LEADER ed ELIXA non risulta che età, genere, durata del diabete, grado di compenso glicemico all’arruolamento o grado di obesità influiscano sull’efficacia del farmaco nella riduzione degli eventi cardiovascolari (3-4).
Un’altra differenza rilevante fra i tre trial è la durata: più breve per ELIXA, intermedia per SUSTAIN-6, maggiore per LEADER. I benefici di liraglutide e semaglutide sul rischio cardiovascolare iniziano a manifestarsi chiaramente a partire nel secondo anno di trattamento e si rendono poi sempre più evidenti con la prosecuzione del trial. Nello studio ELIXA, eventuali vantaggi potrebbero essere rimasti nascosti a causa di una insufficiente durata del trial. Peraltro, in quello studio anche negli ultimi mesi del trattamento l’incidenza di eventi resta identica tra i due gruppi di trattamento.
Nel complesso, quindi, sebbene sia teoricamente possibile che la differenza nei risultati dei trial sia dovuta a diversità nelle caratteristiche dei pazienti o nella durata dei trial, appare più probabile che esistano anche differenze nell’efficacia tra le varie molecole della classe nella prevenzione cardiovascolare.
Andamento dei fattori di rischio nei trial cardiovascolari con i GLP1 agonisti
Come ricordato in precedenza, i trial di outcome cardiovascolare con i GLP1 agonisti sono stati tutti disegnati in modo tale da minimizzare le differenze tra i gruppi di trattamento sulla glicemia e sugli altri fattori di rischio modificabili (pressione arteriosa, quadro lipidico, ecc.). Nonostante ciò, alcune differenze tra farmaco attivo e placebo, inevitabilmente, si verificano. In particolare, nei gruppi assegnati a GLP1 agonisti si osservano, rispetto al braccio con placebo, valori più bassi di emoglobina glicata e pressione arteriosa, oltre che una riduzione ponderale (Tab. 4).
L’entità di queste differenze non è uguale nei tre trial: in LEADER, la riduzione di emoglobina glicata, pressione e peso è maggiore che in ELIXA, e in SUSTAIN maggiore che in LEADER. Esiste quindi una chiara proporzionalità, nell’ambito dei GLP1 agonisti, tra miglioramento del profilo di rischio cardiovascolare e riduzione degli eventi cardiovascolari maggiori. È vero che l’entità delle differenze è relativamente piccola, almeno per pressione arteriosa e emoglobina glicata (pochi millimetri di mercurio per la pressione sistolica e pochi decimi percentuali di HbA1c), ed apparentemente insufficienti a giustificare ampie differenze nell’incidenza di eventi cardiovascolari. Occorre però tenere conto del fatto che, nei risultati dei trial, ciò che viene riportato è la differenza media tra i gruppi nei vari parametri; in specifici sottogruppi di pazienti, l’effetto del farmaco attivo sui vari fattori di rischio potrebbe essere stato più ampio, tanto da generare un beneficio clinico più rilevante. Inoltre, è possibile che il reale impatto di alcune di queste variazioni (ed in particolare di piccoli miglioramenti del compenso glicemico) sul rischio cardiovascolare associato al diabete sia generalmente sottostimato (5).
Al momento attuale, non abbiamo dati sufficienti per comprendere quanta parte del beneficio osservato negli studi LEADER e SUSTAIN sia attribuibile al miglioramento dei fattori di rischio “classici”. Questo è un aspetto clinicamente assai rilevante; infatti, oltre a lixisenatide, liraglutide e semaglutide, sono in commercio – o sono stati approvati per la commercializzazione – altri GLP1 agonisti (exenatide bid, exenatide LAR, dulaglutide, albiglutide) per i quali non sono ancora disponibili i risultati di trial di outcome cardiovascolare, ma di cui conosciamo il profilo di azione sui fattori di rischio cardiovascolare, ampiamente indagato negli studi di fase 3.
Azioni non convenzionali sul rischio cardiovascolare e cinetica dei glp1 agonisti
La stimolazione dei recettori del GLP1 è in grado di determinare effetti diretti sul sistema cardiovascolare, anche indipendentemente dall’azione sui fattori di rischio (6). Infatti, i recettori del GLP1 sono estesamente espressi sia a livello miocardico che in varie componenti delle pareti vascolari (in particolare dalle cellule endoteliali). Tra gli effetti potenzialmente favorevoli del GLP1 sul sistema cardiovascolare, dimostrati in vari sistemi sperimentali, possiamo ricordare il miglioramento della funzione endoteliale, l’aumento della contrattilità miocardica, la riduzione degli effetti funzionali ed anatomici dell’ischemia cardiaca e del danno da ischemia-riperfusione (6). Studi clinici preliminari nell’uomo hanno suggerito la possibilità di effetti positivi sulla funzione cardiaca da parte del GLP1 (in infusione endovenosa) in pazienti non diabetici con sindrome coronarica acuta (7), anche se i dati ottenuti con il GLP1 agonista exenatide nella stessa condizione non sono stati altrettanto convincenti (8).
È difficile stabilire in quale misura effetti favorevoli dimostrati in modelli sperimentali si traducano in un reale vantaggio clinico. Esiste però la possibilità che la stimolazione del recettore del GLP1 abbia, anche nell’uomo, effetti cardiovascolari diretti tali da determinare una riduzione apprezzabile del rischio di eventi. Se questa ipotesi fosse vera, la presenza in circolo di concentrazioni terapeutiche di agonista del GLP1 si tradurrebbe in protezione cardiovascolare.
In questo caso, potrebbero assumere grande rilevanza le differenze di cinetica tra le varie molecole della classe. Lixisenatide, pur essendo somministrata una sola volta al giorno, ha un’emivita breve (circa 2 ore) e garantisce quindi concentrazioni nel range terapeutico per non più di 6-7 ore al giorno. Al contrario, liraglutide ha un’emivita di circa 12-14 ore, tale da garantire concentrazioni circolanti nel range terapeutico per tutte le 24 ore; altrettanto si può dire di semaglutide, che è un farmaco a somministrazione settimanale. Nel caso che le azioni dirette dei GLP1 agonisti sul sistema cardiovascolare abbiano rilevanza clinica, non è strano che i farmaci a lunga durata d’azione, capaci di garantire una copertura completa nel tempo, diano risultati migliori per la prevenzione delle malattie cardiovascolari.
Struttura molecolare dei GLP1 agonisti ed effetti cardiovascolari
La forma biologicamente attiva del GLP1, cioè GLP1(7-36), viene inattivata – prevalentemente ad opera della DPP4 – per eliminazione di un dipeptide N-terminale, e trasformata così in GLP1(9-36), che è pressoché privo di affinità per il recettore del GLP1.
Alcuni anni fa, interessanti lavori sperimentali mostrarono che parte degli effetti favorevoli del GLP1 sulla funzione miocardica in condizioni di ischemia sono condivisi anche da GLP1(9-36), cioè dalla forma “inattivata” dell’ormone. Inoltre, sia gli effetti del GLP1(7-36) che quelli del GLP1(9-36) risultavano presenti anche in roditori knock-out per il recettore del GLP1 (6, 9). Ciò suggerisce la presenza di un secondo recettore, diverso da quello classico, capace di legare sia il GLP1(7-36) che il GLP1(9-36) e responsabile di almeno alcuni degli effetti diretti del GLP1 sull’apparato cardiovascolare. L’esistenza di questo secondo recettore, ancora non identificato, è suggerita anche da altre evidenze sperimentali, ottenute in tessuti diversi (osso, tessuto adiposo) e in varie specie, compreso l’uomo (10). Va considerato che un eventuale recettore capace di legare sia GLP1(7-36) che GLP1(9-36), contrariamente al recettore “classico”, dovrebbe interagire con una parte del GLP1 diversa da quella N-terminale.
I GLP1 agonisti attualmente utilizzati in terapia sono stati studiati per la loro affinità per il recettore classico del GLP1, ma i loro effetti su eventuali altri recettori sono ignoti. Il grado di omologia degli agonisti GLP1 con il GLP1 umano varia moltissimo da una molecola all’altra; alcuni hanno quasi la stessa sequenza aminoacidica del GLP1 umano, altri sono del tutto diversi. In generale, gli agonisti GLP1 si possono distinguere, sul piano clinico, in due grandi categorie: quelli derivati dal GLP1 umano (liraglutide, semaglutide, albiglutide, dulaglutide) e quelli derivati da exenatide (exenatide e lixisenatide). Sia exenatide e lixisenatide hanno una sequenza del tutto diversa dal GLP1 umano, con il quale condividono solo una breve serie di residui aminoacidici in prossimità dell’estremità N-terminale (là dove, probabilmente, si trova il sito di legame al recettore “classico” del GLP1).
I trial di outcome cardiovascolare ad oggi disponibili ci mostrano una riduzione significativa di eventi con liraglutide e semaglutide, che sono omologhe al GLP1 umano, e una neutralità di lixisenatide, che è strutturalmente simile all’exenatide. L’eventualità che le diversità di risultati siano attribuibili a differenze nella struttura chimica, e quindi a diversi profili di azione su recettori alternativi al recettore “classico” del GLP1, merita di essere considerata (11).
I suggerimenti degli studi di fase 2-3
Nelle pagine precedenti, abbiamo formulato varie ipotesi sull’origine delle differenze di risultato tra i vari studi cardiovascolari con GLP1 agonisti. Esse potrebbero dipendere da:
1)Differenze nelle caratteristiche dei pazienti reclutati nei trial;
2)Differenze nell’azione sui fattori di rischio tradizionali (glicemia, pressione arteriosa, peso);
3)Differenze nella cinetica e nella durata d’azione;
4)Differenze nella struttura chimica e nelle eventuali azioni su recettori diversi da quello classico del GLP1.
La semplice analisi dei risultati dei trial di outcome cardiovascolare non consente di discriminare tra le quattro ipotesi sopra esposte. Informazioni supplementari possono essere ottenute dagli eventi cardiovascolari registrati nei trial di fase 2b e 3 con le singole molecole. Per alcuni dei farmaci della classe, infatti, sono state effettuate e pubblicate analisi combinate dei trial di fase 2b e 3 relativamente agli eventi cardiovascolari maggiori (12-15), in alcuni casi con aggiudicazione formale dei singoli eventi (14-15). Queste analisi devono essere considerate con cautela, perché l’obiettivo primario dei trial inclusi non era l’analisi delle azioni cardiovascolari, ma la verifica dell’efficacia dei vari farmaci sul controllo glicemico. Inoltre, il numero degli eventi cardiovascolari maggiori registrato nelle fasi precoci dello sviluppo clinico delle singole molecole è relativamente piccoli, e quindi insufficiente a trarre conclusioni definitive. Pur con queste limitazioni, si tratta comunque di una fonte di informazioni interessante, perché ottenuta su popolazioni di pazienti a rischio decisamente più basso rispetto a quelli arruolati nei trial di outcome cardiovascolare.
Delle tre molecole che hanno completato gli studi cardiovascolari (lixisenatide, liraglutide e semaglutide), soltanto per una (liraglutide) sono disponibili anche i dati sugli eventi nei trial di fase 2b-3 (Tab. 5).
Per questo farmaco, nei trial precoci, si osserva un trend verso la riduzione del rischio, ma non statisticamente significativa a causa del numero molto basso di eventi (13). Questa riduzione del rischio non è molto lontana da quella osservata nello studio LEADER (3), sebbene il profilo di rischio dei pazienti sia, in questo caso, sensibilmente più basso. Analoghi risultati si osservano anche per una molecola a lunga durata d’azione e omologa al GLP1 umano (dulaglutide) e per una molecola a breve durata d’azione e strutturalmente diversa dal GLP1 umano (exenatide bis in die); al contrario, albiglutide (simile al GLP1 umano, a somministrazione settimanale) sembra avere un effetto neutro (12-15). Peraltro, albiglutide sembra avere effetti su glicemia, peso corporeo e pressione arteriosa meno pronunciati rispetto ad altri GLP1 agonisti (16).
Complessivamente, l’analisi degli eventi osservati nei trial di fase 2b-3 sembra indicare che le differenze negli effetti cardiovascolari tra le molecole possano essere dovute principalmente a diversità nelle azioni sui fattori di rischio cardiovascolari tradizionali; se così fosse, l’azione sul profilo di rischio cardiovascolare risulterebbe correlata agli effetti sugli eventi. La scarsità dei dati e le piccole dimensioni campionarie suggeriscono però grande cautela nell’interpretazione dei dati.
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