Antonio C. Bossi1, Valentina De Mori1, Elisa Cipponeri1, Giovanni Veronesi2
1UOC Malattie Endocrine, Centro di riferimento regionale per il Diabete ASST Bergamo Ovest, Treviglio (BG); 2Università degli Studi dell’Insubria, Dip. Medicina e Chirurgia, Centro di ricerca in Epidemiologia e Medicina Preventiva (EPIMED), Varese
DOI: 10.30682/ildia1803h
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Premessa
Lo spritz è un cocktail a bassa gradazione alcolica (1) frequentemente servito in occasione di momenti di socializzazione tra i giovani come accade nelle c.d. “happy hour”. La bevanda ha origini veneziane quando la città, nel XIX secolo, era sotto il dominio dell’impero austro-ungarico. L’Austrian Spritzer, una combinazione di parti uguali di vino bianco spruzzato (spritzen in tedesco) con soda, venne modificato nei primi del Novecento quando furono disponibili i sifoni con acqua carbonata (seltz) che permettevano di “correggere” il vino bianco “fermo” trasformandolo in una piacevole bevanda con le bollicine, particolarmente apprezzata dalle nobildonne austriache che così potevano consumare pubblicamente bevande alcoliche alla moda. Al giorno d’oggi, secondo l’IBA (International Bartenders Association) la composizione ufficiale dello “spritz veneziano” prevede:
- 6 cl di Prosecco (vino frizzante italiano con gradazione alcolica media pari a 12°);
- 4 cl di Aperol (aperitivo italiano con una gradazione di 11°, dal colore rosso-arancio e dal sapore dolce amaro, creato nel 1919 a Padova dai fratelli Barbieri, dal 2003 è di proprietà del Gruppo Campari) contenente arance amare, genziana, rabarbaro e china come ingredienti principali;
- uno spruzzo di soda (q.b. sino a 12,5-15 cl di bevanda), servito in un ampio bicchiere con ghiaccio ed una scorza di arancio.
Viene presentato solitamente con patatine o altri “stuzzichini” (antipasti semplici da gustare in occasione di aperitivi e apericene come le “happy hour”). In Italia, ed in molte nazioni occidentali, il momento dello spritz è considerato un’occasione di socializzazione, di incontro culturale e mondano.
Storia clinica di FGS, donna di anni 46.
Anamnesi familiare: zio materno con diabete mellito tipo 2.
Anamnesi fisiologica: nata a termine, normale sviluppo somato-psichico. Menarca 12 anni, cicli regolari; non utilizzo di estro-progestinici a scopo contraccettivo; felicemente coniugata, non ha avuto gravidanze. Nega fumo; consumo occasionale di alcol; svolge attività fisica in palestra (attività aerobica 2-3 volte/settimana). Laureata, lavora come libero-professionista.
Anamnesi patologica remota: all’età di 29 anni, esordio di diabete mellito tipo 1 posto in trattamento insulinico multiniettivo sino all’età di 41 anni, quando venne impostata terapia insulinica continua con microinfusore (Accuchek Combo, quindi Insight Roche®). Frequente utilizzo di sensore Dexcom G4®. Negatività dei markers per la celiachia, periodicamente controllati. Positività a basso titolo di Ab anti TPO (Tireo-Perossidasi) con eutiroidismo funzionale spontaneo. All’età di 42 anni ha presentato iniziali segni di retinopatia diabetica, con rari microaneurismi in regione maculare, come successivamente confermato da FAG (Fluor-Angio-Grafia) retinica, senza evidenza di edema maculare all’OCT (Optical Coherent Tomography). Tale situazione è attualmente in condizioni di stabilità. La microalbuminuria, invece, è sempre rientrata nei limiti fisiologici. Non reperti patologici a periodici controlli cardiologici (anche dopo sforzo, in occasione di rilascio certificazione per attività sportiva). La tabella 1 riassume i principali parametri clinici al baseline.
Anamnesi patologica prossima: la paziente ha seguito numerosi corsi di educazione al conteggio dei carboidrati, ha partecipato a “campi” per adulti per l’acquisizione di capacità nell’autogestione del diabete nei vari momenti della quotidianità (lavoro, stress, malattie, attività fisica). Assidua e precisa nei controlli, ha accettato con interesse la proposta dello studio sulla modalità migliore per gestire la terapia insulinica con bolo complesso in occasione di “happy hour” o di incontri sociali. Al momento dell’inizio dell’osservazione, la terapia insulinica mediante microinfusore prevedeva analogo rapido dell’insulina (lispro) 15,50 UI (come velocità basali) e 19,70 UI (media dei boli prandiali). La signora presentava un fattore di correzione (sensibilità insulinica) al momento di assumere l’aperitivo con patatine per “happy hour” teorico pari a 50 mg/dL (applicato: 55 mg/dL), con rapporto I/CHO teorico di 7,5 UI/g (applicato: 8 UI/g).
1° QUESITO
Qual è la migliore modalità di gestione della terapia insulinica nei pazienti adulti con diabete mellito tipo 1?
Una gestione insulinica continua mediante microinfusore (CSII: Continuous Subcutaneous Insulin Infusion) è considerata il trattamento ottimale per una persona con diabete mellito tipo 1, specie se alla “pompa” viene associato un sistema di monitoraggio continuo della glicemia (CGM: Continuous Glucose Monitoring), meglio se con sistema “integrato” (SAP: Sensor Augmented Pump) (2-4). Accanto a queste innovazioni tecnologiche, il conteggio dei carboidrati (CHO) risulta fondamentale per la gestione della dose di insulina (bolo) da iniettare al pasto, venendo fortemente raccomandata dalle linee guida nazionali e internazionali (3-4). Tanto più il paziente diventa esperto nel conteggio dei CHO, tanto migliore risulta il controllo glicemico (in termini di livello di HbA1c e di riduzione di eventi ipoglicemici) (5-6), qualità della vita, capacità di adattamento a varie situazioni e livello di soddisfazione per la terapia antidiabetica (7-11). I CHO sono i macronutrienti che maggiormente influenzano la risposta glicemica post-prandiale, ma recenti osservazioni attribuiscono importanza anche a grassi e proteine (12). Si ritiene che il massimo effetto dei lipidi sulla glicemia post-prandiale (PPG) sia rilevabile dopo un’ora e mezza, con progressiva discesa sino alla terza ora. Tale effetto è proporzionale alla quantità di CHO presenti nel pasto (13). Anche le proteine possono influenzare sia il livello di PPG, sia la necessità del bolo di insulina (14-15). Un’assunzione di proteine tra 28 e 75 gr interferisce con la PPG entro 2-5 ore dal pasto (16-17), mentre quantità proteiche maggiori influenzano la PPG da 80 sino a 300 minuti dopo l’assunzione di cibo. L’ingestione concomitante di grassi e proteine ha un effetto additivo sulla PPG (18-19). Tale effetto sinergico di lipidi e proteine è contemplato nell’algoritmo di Pankowska (dal nome della studiosa che lo ha proposto) che considera sia i CHO, sia una quantità di insulina derivante dall’assunzione di grassi e proteine (Fat-Protein Units: FPU) per un più preciso computo del bolo da somministrare prima di un pasto misto (20-22). Sappiamo anche che l’assunzione di alcol è uno dei punti cruciali della gestione insulinica nei pazienti con diabete tipo 1, sia per la gestione del bolo insulinico, sia per l’aspetto comportamentale (23-24). Uno studio cross-over sull’assunzione di alcol in soggetti diabetici tipo 1 ha evidenziato che l’etanolo è in grado di ridurre la capacità di recupero dopo un’ipoglicemia, diminuendo la risposta di ormone della crescita, cortisolo, glucagone sino a 6 ore dopo l’ingestione di alcol (25). In pratica, bere alcolici al di fuori dei pasti può ridurre la glicemia e alterare la risposta controregolatoria, modificando anche le funzioni cognitive e la percezione dell’ipoglicemia (26-27). Tali effetti negativi sono ridotti se si beve alcol durante un pasto completo (28). È stata anche proposta una strategia per produrre un modello matematico finalizzato alla miglior quantificazione del bolo di insulina per un adeguato controllo glicemico (evitando il rischio di ipoglicemia) in base all’ingestione di CHO e alcol (29): nonostante una relativa imprecisione, il modello permette di comprendere come un paziente diabetico possa prevenire una ipoglicemia indotta dall’alcol (30). Invece non erano disponibili osservazioni cliniche sull’effetto glicemico indotto da una moderata dose di alcol assunto insieme a limitate quantità di grassi e proteine (solitamente patatine e altro cibo) come quelle fornite da un aperitivo durante quei momenti di socializzazione che vengono definiti “happy hours”. Tra i cocktail “emergenti” lo Spritz ha raggiunto una certa notorietà, per cui abbiamo ipotizzato di studiare come un paziente con diabete tipo 1 potesse affrontare questi momenti sociali, mantenendo il miglior controllo glicemico possibile senza rimanere escluso dai nuovi “riti sociali”.
2°QUESITO
Il conteggio dei CHO è sufficiente per determinare la quantità di insulina da erogare come bolo in occasione di un happy-hour?
Per dare risposta al quesito, la paziente è stata inizialmente sottoposta ad una valutazione (da parte di un nutrizionista e di un medico) relativa alla comprensione della propria capacità di conteggio dei CHO e alla gestione del bolo insulinico (bolo semplice). Abbiamo quindi proposto alla paziente di partecipare ad un “happy hour” assumendo uno Spritz con patatine (5.2 g di alcol e 11.7 g di CHO per complessive 83.2 Kcal) con 30 g di patatine chips (CHO: 16.9 g, proteine: 1.9 g, grassi: 8.1 g) per ulteriori 148.1 Kcal. L’assunzione calorica complessiva ammontava a 231.3 Kcal (114,4 derivanti da CHO; 80.5 da grassi e proteine; 36.4 da alcol). In pratica, con un “basale” giornaliero di 15,50 UI di insulina/24 ore, ed una quantità di analogo rapido erogato come boli pari a 19,70 UI, per complessive 35,20 UI di insulina/24 ore (pari a 0,54 UI/Kg peso corporeo) al momento dell’assunzione dello Spritz con patatine la signora ha erogato un bolo semplice (arrotondato) di 3,60 UI (come calcolato dal CHO counting). Successivamente è stata effettuata un’azione di educazione alimentare finalizzata al riconoscimento delle calorie derivanti da grassi e proteine, proponendo alla signora di calcolare la dose di insulina considerando CHO, lipidi e proteine assunte nel momento dell’aperitivo. Considerando che il peso corporeo tra le due prove (svolte a distanza di 20 giorni, al medesimo orario serale) è rimasto invariato, così come non sono stati modificati il Fattore di Sensibilità all’insulina, né il rapporto I/CHO, al momento del secondo aperitivo la signora ha avuto necessità di un “basale” giornaliero di 15,50 UI di insulina/24 ore, ed una quantità di analogo rapido erogato come boli pari a 23,20 UI, per complessive 38,70 UI di insulina/24 ore (pari a 0,59 UI/Kg peso corporeo); al momento dell’assunzione del secondo Spritz con patatine la signora ha erogato un bolo prolungato ad onda doppia (40/60 in 90 minuti) pari a 6,30 UI (come calcolato dal CHO counting + I/FPU che è stato calcolato per 80.5 Kcal derivanti proprio da grassi e proteine, corrispondenti a 21.4g di CHO). Da notare che il sistema combinato SAP utilizzato dalla signora non prevedeva algoritmi PLGS (Predictive Low-Glucose Suspend) di sospensione preventiva dell’erogazione di insulina in caso di rischio di ipoglicemia per evitare possibile blocco di erogazione non gestito dalla paziente stessa. Desideriamo segnalare che la signora ha firmato apposito consenso informato, facendo parte di un più ampio studio approvato dal Comitato Etico della provincia di Bergamo.
3°QUESITO
Quale tipologia di bolo permette di gestire meglio l’assunzione di un aperitivo a bassa gradazione alcolica accompagnato da “appetizers”?
Per definire la giusta quantità di insulina (I) da erogare in occasione dell’happy hour, ci siamo basati sulla “Formula di Varsavia di Pankowska” (20) per cui alle unità di I derivate dai CHO (erogate come “bolo standard”) venivano sommate unità di I derivate dalle calorie fornite da grassi e proteine (FPU: Fat Protein Unit) trasformate come se fossero state derivate da CHO: in tal caso, però, l’erogazione avveniva con “bolo prolungato”. Nella fattispecie, il rapporto I/CHO è stato applicato a 28,6 gr di CHO (11.7 derivanti dalla bevanda + 16.9 dalle patatine); il rapporto I/FPU è stato considerato per 80.5 Kcal (equivalenti a 21,4 g di CHO) derivanti da grassi e proteine. Peraltro, recenti esperienze hanno suggerito l’utilizzo di dosi supplementari di insulina derivanti dal conteggio di CHO e delle proteine (15), escludendo la quota energetica derivante dai grassi. Tale approccio, però, è stato studiato in pazienti con diabete tipo 1 in trattamento insulinico multiniettivo che assumevano diete a basso contenuto di CHO, avendo la finalità di proporre un calcolo semplice per correggere l’iperglicemia osservata dopo un pasto ricco di proteine. La durata del bolo da noi proposto, secondo quanto suggerito dalla stessa Pankowska et al. (20), è invece funzione della quantità di grassi e proteine assunti nel pasto. Nel nostro caso, si è utilizzato un bolo “a onda doppia” (40% erogato come bolo standard, 60% come bolo prolungato della durata di 90 minuti). Il monitoraggio continuo della glicemia mediante sensore Dexcom G4 Sensor ® ha permesso di registrare le misurazioni della concentrazione interstiziale del glucosio effettuate ogni 5 minuti durante tutto il periodo di studio (Fig. 1). Al termine di ogni periodo sperimentale (CHO: con bolo standard; FPU: con innovativo bolo prolungato) si è svolto il download dei dati (del microinfusore e del sensore) mediante le apposite piattaforme informatiche, effettuando un confronto intra-individuale e calcolando l’Area sotto la Curva (iAUC) mediante metodica trapezoidale della glicemia post-prandiale per un periodo che si è prolungato sino a 245 minuti (Fig. 2), poiché la signora non ha assunto altro cibo durante le serate di esecuzione dei test. È stata quindi calcolata la differenza in iAUC tra le due visite, per l’intero periodo di osservazione (245 minuti) e per la prima fase di 90 minuti (corrispondenti alla completa erogazione del bolo ad onda doppia: iAUC 0-90 min). Quest’ultima è stata a sua volta arbitrariamente suddivisa in 2 sottoperiodi di 45 minuti (iAUC 0-45 e 45-90 min). La “glicemia al picco” è stata considerata come la massima escursione glicemica a partire dal valore pre-test nel periodo dei 90 minuti di erogazione del bolo prolungato. Infine, si è calcolato l’intervallo di tempo per raggiungere il picco glicemico. Abbiamo osservato un maggiore e più prolungato incremento della glicemia dopo l’erogazione del bolo ad onda semplice (calcolato mediante il conteggio dei soli CHO), mentre l’applicazione del bolo prolungato ad onda doppia 40/60 (calcolato utilizzando sia le unità di insulina derivanti dai CHO, sia le FPU) ha permesso un miglior controllo dell’evoluzione delle glicemie in occasione del secondo “happy hour”. In realtà, tale conteggio ha permesso di erogare una maggior quantità di insulina (+ 2,70UI) distribuendola in 90 minuti (primo bolo semplice: 3,60 UI; secondo bolo prolungato con rapporto 40% rapido e 60% prolungato: 6,30 UI). La differenza di iAUC calcolata sull’intero periodo di osservazione (245 minuti) tra il primo e il secondo test era pari a -16222, indice di una riduzione nell’iAUC con il bolo ad onda doppia. Analogamente, la differenza era negativa anche per i primi 90 minuti (-1414) e nel periodo 45-90 minuti, indice di un maggiore controllo con il bolo prolungato conteggiato utilizzando CHO e FPU. Nei primi 45 minuti invece la differenza in iAUC era positiva (275), ad indicare un miglior controllo con bolo ad onda semplice. Il picco di glicemia nei 90 minuti è risultato inferiore dopo l’intervento educazionale di circa 40 mg/dl (218 vs. 265 mg/dl). Inoltre, il picco è stato anticipato di 20 minuti (70° vs. 90° minuto). Come si può notare dalla figura 1, con la somministrazione del bolo conteggiato con i soli CHO, la glicemia ha continuato a salire oltre il minuto 90, raggiungendo il picco assoluto (271 mg/dl) al minuto 95 per poi scendere. Non si sono manifestate tendenze ipoglicemiche, anche a distanza di tempo, considerando che la paziente non ha proseguito con la cena dopo l’assunzione dell’aperitivo con patatine. Ciò a riprova di una adeguata erogazione basale di insulina che, peraltro, era stata testata anche nel periodo notturno prima di proporre alla signora di effettuare il duplice test.
Conclusioni
Relativamente ai pazienti diabetici, molti studi hanno focalizzato la loro attenzione sugli effetti dell’alcol (23-26, 28), di grassi e proteine (12-20) sulla risposta glicemica, ma sono disponibili scarse informazioni su quanto accade dopo un aperitivo consumato da una persona con diabete tipo 1 in trattamento con microinfusore per insulina (28). Abbiamo ritenuto utile proporre ai nostri pazienti un algoritmo adeguato di gestione di tali momenti “socializzanti” per permettere loro di non rinunciare a occasione di incontri, senza rischiare di avere uno scarso controllo glicemico. Come operatori sanitari, abbiamo sempre avuto cura di informare i nostri pazienti sull’effetto dannoso dell’alcol, ma siamo anche consapevoli che adolescenti, giovani e adulti hanno spesso piacere di ritrovarsi tra amici in occasioni in cui vengono offerti aperitivi anche a bassa gradazione alcolica. La nostra cultura, inoltre, è piuttosto permissiva e un atteggiamento rigido di proibizione potrebbe portare a consumi nascosti e gestiti in modo inadeguato (34). Basti considerare che una delle più grandi aziende del settore, la Coca-Cola, ha recentemente lanciato la sua prima bevanda a basso tenore alcolico in Giappone (una versione di Chu-Hi alcopop) (35) in risposta alle richieste ed ai gusti della clientela che richiedeva bibite diverse da quelle presenti in commercio. Relativamente, poi, al consumo sociale di alcol da parte di adolescenti con diabete tipo 1, (in controllo con CGM durante un weekend di assunzione di quantità medie di alcolici rispetto a quanto rilevato in un weekend di assunzione di bibite analcoliche) non si sono evidenziate differenze significative. In particolare, nel weekend con bevande alcoliche si sono osservate meno ipoglicemie e un aumento del tempo trascorso in iperglicemia (36). La signora FGS è una paziente che ha acquisito buone capacità gestionali della sua terapia insulinica, avendo partecipato a numerosi momenti di formazione (sia singoli, sia per piccoli gruppi); inoltre si tiene sempre aggiornata, partecipando attivamente alle discussioni sui “social media”, interagendo con i sanitari e i tecnici dell’azienda produttrice del suo microinfusore e dei sensori da lei abitualmente utilizzati. Nonostante ciò, non aveva mai affrontato il problema dell’assunzione di un aperitivo moderatamente alcolico, occasione che capita periodicamente in relazione alla sua professione. Il suo timore era focalizzato al rischio di ipoglicemia, per cui tendeva ad una certa sottostima del bolo insulinico nei momenti di ritrovo con amici per un “happy hour”, spesso consumando più “appetizers” di quanto preventivato. L’esperienza acquisita dal nostro team diabetologico suggerisce che l’applicazione di un algoritmo strutturato che prenda in considerazione sia le calorie derivate dai CHO, sia quelle derivate da grassi e proteine (FPU) consenta di calcolare un bolo insulinico maggiore di quanto prevedibile con il solo CHO counting; peraltro, la somministrazione prolungata del bolo stesso permette di non avere rischi precoci di ipoglicemia, mantenendo una curva glicemica più “piatta”, con un soddisfacente controllo per un tempo prolungato. Bisogna anche considerare che, solitamente, un “happy hour” prosegue (dopo un tempo variabile tra i 60 e 120 minuti) con l’assunzione della cena, per cui riteniamo cruciale che i pazienti con diabete tipo 1 possano affrontare con motivata serenità e adeguato controllo i periodi che precedono il pasto serale. Il percorso di educazione personale che ha portato al riconoscimento delle calorie derivanti da grassi e proteine, unitamente al concetto che era possibile contrastare l’incremento glicemico ad essi correlato, ha portato ad una maggior consapevolezza, tanto che la signora attualmente sta diventando sempre più abile nel programmare boli avanzati in occasione di assunzione di pasti diversificati in base al loro contenuto di nutrienti.
La complessità tecnologica e organizzativa richiesta dalla gestione del caso presentato è stata premiata dall’efficacia terapeutica (miglioramento della qualità di vita, relativa libertà di ricorrere a happy hour, miglioramento del compenso glicemico). A riprova di ciò, il livello di HbA1c della signora (8,2%, 66 mmmol/mol) non ottimale in occasione dell’inizio del periodo di test, ha mostrato un progressivo miglioramento giungendo (all’ultima visita eseguita a distanza di circa 8 mesi dalle prove) il valore di 7,2% (55 mmol/mol), con progressiva riduzione delle ipoglicemie nelle visite successive ai test. L’applicazione del conteggio di CHO e FPU a pazienti con diabete tipo 1 selezionati, inoltre, non sembra comportare un particolare aggravio del carico di lavoro per il personale del centro di diabetologia, in considerazione del numero di casi relativamente esiguo. Nei momenti di confronto con i nostri pazienti, infatti, abbiamo sempre sottolineato il rischio di non eccedere con il consumo di alcol, per il potenziale rischio di ipoglicemia e di mascheramento dei segni e sintomi precoci dell’ipoglicemia stessa.
Ringraziamenti
Gli Autori desiderano ringraziare Cesare Blini e Christian Lamera, per l’importante contributo nella gestione clinica e nel supporto educazionale. Particolare riconoscenza va a Roberto Trevisan che ci ha introdotti nel “mondo dello spritz”.
Potenziali conflitti di interesse
ACB ha ricevuto finanziamenti per ricerche cliniche da parte di Eli Lilly, Novo Nordisk, Bayer e grant per consulenze scientifiche o partecipazione ad advisory board da Johnson & Johnson, Boehringer Ingelheim, Sanofi, Astra Zeneca, Takeda, Artsana, MSD. VDM e GV hanno ricevuto grant da parte di Eli Lilly.
Aspetti etici
Tutte le procedure eseguite in occasione dei test presentati sono state effettuate secondo gli standard etici previsti dal CE provinciale di Bergamo e in accordo con la Dichiarazione di Helsinki del 1964 e successivi emendamenti. FGS ha sottoscritto un consenso informato prima di essere sottoposta allo studio.
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