Grasso ectopico e insufficienza cardiaca nel diabete di tipo 2

Grasso ectopico e insufficienza cardiaca nel diabete di tipo 2

Giuseppina Manzoni1, Federico Martucci1, Alice Oltolini1, Maria Grazia Radaelli1, Silvia Perra1, Silvia Accornero1, Guido Lattuada1, Gianluca Perseghin1,2

1Medicina Metabolica, Dipartimento di Medicina e Riabilitazione, Policlinico di Monza; 2Dipartimento di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Milano Bicocca

 

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È riconosciuto che le malattie cardiovascolari costituiscano la principale causa di morte per i pazienti con diabete di tipo 2 (1). L’iperglicemia e l’insulino resistenza costituiscono fattori di rischio specifici, indipendenti e importanti di malattia aterosclerotica ma i dati clinici confermano che anche in Italia la causa principale di ricovero per i pazienti affetti da diabete è costituita dallo scompenso cardiaco (2). Il dato epidemiologico è sostenuto dall’osservazione fisiopatologica che si è fatta strada negli ultimi anni dell’esistenza di una cardiomiopatia diabetica (3), ben distinta dalla cardiomiopatia ischemica sostenuta da processi aterosclerotici. La cardiomiopatia diabetica è stata riconosciuta e accettata anche se individuare le sue specifiche caratteristiche nel contesto clinico della malattia rimane difficile perché il diabete può provocare danni cardiaci con diversi meccanismi che vanno dalla macro-angiopatia su base aterosclerotica, alla disfunzione autonomica cardiaca, alla microangiopatia mescolandosi in quadri clinici complessi che rendono la prognosi cardiovascolare del paziente diabetico così sfavorevole (4). Infatti i fattori patofisiologici riconosciuti includono diversi altri fattori quali l’incongrua attivazione del sistema renina angiotensina, alterazioni di componenti fondamentali sub-cellulari, stress ossidativo, infiammazione, modulazione immunitaria inappropriata. Tutti questi fattori possono promuovere la fibrosi interstiziale e la disfunzione diastolica tipica del diabete e nel tempo indurre la riduzione della funzione sistolica e la piena manifestazione della sindrome clinica dello scompenso cardiaco. In questa rassegna verrà sostenuta l’ipotesi che le alterazioni del metabolismo energetico del miocardio e dell’utilizzo dei substrati intermedi possano costituire una possibile causa di alterata funzionalità cardiaca nel diabete ma nello stesso tempo anche la conseguenza, secondaria, di un rimodellamento metabolico che nel diabete può precedere, causare e sostenere anche il rimodellamento geometrico e funzionale del miocardio (5).

 

Lo scompenso cardiaco nel diabete di tipo 2: aspetti epidemiologici

I pazienti con diabete hanno un rischio 2-3 volte più elevato dei non diabetici di sviluppare scompenso cardiaco congestizio e questa differenza è più marcata nelle donne (6) e negli individui più giovani (7) anche se il soggetto anziano presenta anch’esso rischio più elevato (8). Il cattivo compenso glicemico e il sovrappeso sembrano giocare uno specifico ruolo: il rischio infatti aumenta del 30% per incrementi di 1 punto % di HbA1c (del 10-15% per incrementi di 2.5 punti di BMI)(6). In particolare l’incremento di peso che si può determinare in associazione alle terapie anti-diabetiche può spiegare almeno in parte questo rischio aumentato (9).

Nel paziente diabetico che invece è già afflitto dallo scompenso cardiaco, la mortalità a 3 anni è del 40%, molto più alta che in un paziente con scompenso cardiaco senza diabete (10) e anche l’ospedalizzazione indotta dalla riacutizzazione dello scompenso cardiaco è molto più frequente (11). Peraltro la peggior prognosi si accompagna non solo al diabete manifesto ma alla semplice alterata glicemia a digiuno (12) e lo studio CHARM ha suggerito come il rischio di morte cardiovascolare o ospedalizzazione per scompenso nel paziente diabetico con frazione d’eiezione preservata è superiore a quello del paziente con frazione d’eiezione già compromessa ma non diabetico (13).

Sulla base di questi presupposti sarebbe lecito quindi attendersi che un puntuale controllo glicemico dovrebbe esitare in un miglioramento della prognosi correlata allo scompenso cardiaco e un recente studio supporta questa ipotesi documentando come migliorare l’omeostasi glicemica in pazienti in compenso insoddisfacente (HbA1c >10%) possa determinare un miglioramento della funzione del ventricolo sinistro rapidamente e il miglioramento è proporzionale alla riduzione della HbA1c (14). I grandi trials clinici del primo decennio del nuovo secolo non hanno però documentato un miglioramento della prognosi legata allo scompenso con una terapia anti iperglicemica più intensiva rispetto allo standard (15). Inoltre, nei pazienti con scompenso cardiaco pienamente manifesto l’associazione tra la mortalità e il compenso glicemico espresso come valore di HbA1c è a forma di U, con il rischio più basso di morte in coloro che hanno un valore di HbA1c >7% ma < al 7.5-8% (16), rendendo la scelta dell’obiettivo terapeutico e della strategia per perseguirlo particolarmente difficile. È molto importante enfatizzare che in questi famosi trials clinici l’intensificazione terapeutica fu ottenuta aumentando significativamente l’utilizzo di sulfaniluree e insulina che questo si accompagnò ad un marcato incremento di ipoglicemie e ipoglicemie gravi, con conseguenze nefaste sulla prognosi dei pazienti probabilmente determinate proprio dall’ipoglicemia.

 

Metabolismo energetico miocardico: dalla fisiologia alla fisiopatologia

Il cuore di un individuo sano è un organo che per generare il lavoro meccanico arriva a consumare fino a 5 kg di ATP al giorno (17). Può utilizzare diversi substrati quali acidi grassi e β-OH butirrato prevalentemente a digiuno e glucosio, lattato, piruvato prevalentemente in condizioni post-prandiali (18-19); in questo senso è flessibile e passa prontamente all’utilizzo dei substrati disponibili in condizioni post-prandiali quando l’ambiente metabolico muta a causa dell’incremento dei livelli circolanti di insulina che sopprimendo la lipolisi inducono la mancata disponibilità degli acidi grassi circolanti e la conseguente produzione di corpi chetonici (18-19). Questa capacità viene garantita quando la perfusione è preservata e quindi l’apporto di ossigeno viene mantenuto ottimale.

Nel continuum fisiopatologico che porta un miocardio normale a diventare un miocardio insufficiente, si è osservato nei modelli animali un adattamento metabolico per il quale il cuore muta la sua predilezione per l’utilizzo degli acidi grassi a favore dell’utilizzo del glucosio (17). Questo adattamento sembra essere meccanicisticamente legato alla convenienza energetica: a parità di lavoro meccanico da generare se il substrato preferenziale è glucosio invece che acidi grassi il consumo di ossigeno è minore (20). Questa strategia metabolica garantisce un risparmio di consumo di ossigeno e quindi la genesi più efficiente di lavoro meccanico. Nel lungo termine quando l’insufficienza cardiaca è conclamata il miocardio si caratterizzerà per una ridotta capacità di utilizzo ossidativo dei substrati indipendentemente dalla loro disponibilità, tanto da meritare la denominazione di organo depauperato di energia (18).

 

Effetto sfavorevole dell’insulino resistenza e del diabete di tipo 2 sul metabolismo energetico cardiaco

Il cuore di un paziente affetto da diabete di tipo 2, come il tessuto adiposo, il muscolo scheletrico e il fegato, è tipicamente insulino resistente nei confronti del metabolismo del glucosio. Questa alterazione metabolica è stata elegantemente dimostrata con metodiche scintigrafiche in Positron Emission Tomography (PET) del miocardio sia perfusionale che metabolica in condizioni di digiuno e condizioni insulino stimolate (21-22). Questa alterazione metabolica non è ascrivibile ad un deficit di perfusione secondario ad un danno macro-vascolare perché questi studi hanno documentato un marcato deficit dell’uptake miocardico di glucosio durante somministrazione di insulina non solo nei pazienti con malattia coronarica ma anche in quelli nei quali l’aterosclerosi era stata esclusa su base angiografica. Inoltre il deficit metabolico è risultato essere strettamente associato e proporzionale alla riduzione della frazione di eiezione (22). A questa insulino resistenza cardiaca nei confronti del metabolismo del glucosio si associa in parallelo un aumento dell’utilizzo ossidativo degli acidi grassi che è stato documentato anche in modelli di pre-diabete come quello delle giovani donne obese (23). È evidente quindi come la condizione di insulino resistenza si opponga e non assecondi il meccanismo sopra descritto di adattamento energetico di predilezione per l’utilizzo di glucosio che si innesca in un miocardio che diventa disfunzionale. Tanto è vero che diversi dati in letteratura hanno documentato che in parallelo a questa insulino resistenza cardiaca il miocardio sviluppa un deficit energetico che può anche rimanere sub-clinico in presenza di normale frazione di eiezione (24-25). Questa alterazione del metabolismo dei fosfati ad alta energia cardiaci non sembra essere direttamente mediato dall’iperglicemia, tanto è vero che in un particolare gruppo di pazienti con diabete di tipo 1, che non hanno sviluppato complicanze microvascolari, queste alterazioni metaboliche non sono riscontrabili a dispetto della lunga durata di malattia gestita con un compenso mediocre (26). Ad ulteriore conferma del ruolo preponderante dell’insulino resistenza rispetto a quello dell’iperglicemia ci sono almeno due studi che riportano un’alterazione del metabolismo energetico cardiaco in soggetti obesi insulino resistenti non diabetici sia in condizioni di digiuno (27) che durante stimolo catecolaminergico (28). I dati fino ad ora discussi e relativi all’impatto della disponibilità dei substrati nel modularne i metabolismo ossidativo e la produzione di energia, sono stati generati da studi trasversali caso controllo e sono quindi solo suggestivi dell’importante ruolo che la modulazione del metabolismo dei substrati potrebbe avere nel garantire una ricaduta funzionale cardiaca virtuosa in prevenzione primaria. Esiste però uno studio che ha utilizzato come sonde sperimentali la metformina e il pioglitazone somministrati per 24 settimane a pazienti con diabete di tipo 2 senza scompenso cardiaco nei quali il metabolismo cardiaco dei substrati è stato misurato in PET durante somministrazione di isotopo del glucosio e del palmitato per misurarne l’utilizzo cardiaco. Lo studio ha randomizzato >70 pazienti a ricevere metformina 2 g al giorno o pioglitazone 30 mg al giorno documentando un effetto positivo sui parametri di funzione diastolica del ventricolo sinistro in coloro che erano stati allocati a pioglitazone ma non in quelli allocati a metformina (29). L’effetto del pioglitazone poteva essere giustificato dall’effetto insulino sensibilizzante a livello dell’organismo in toto ma soprattutto a livello del ventricolo sinistro dove l’uptake e utilizzo del glucosio veniva significativamente migliorato dal trattamento con pioglitazone ma non dal trattamento con metformina a confermare l’effetto benefico sulla funzione cardiaca dell’utilizzo del glucosio rispetto a quello degli acidi grassi.

Alcuni autori hanno ipotizzato che questo effetto possa essere mediato dall’eccessivo accumulo di trigliceridi a livello intra-miocardico sulla base di osservazioni trasversali eseguite in pazienti obesi insulino resistenti diabetici o non diabetici (30-31) o osservazioni longitudinali in soggetti sani dopo intervento con “very low calorie diet (VLCD)” capace di mobilizzare grandi quantità di acidi grassi liberi dal tessuto adiposo inducendone un accumulo intramiocardico nel breve termine (32). Questa ipotesi è corroborata dalla correlazione tra l’incremento di trigliceridi intracardiaci osservato durante l’esperimento e la riduzione della frazione di eiezione. Non si può però escludere che questo effetto metabolico deleterio possa dipendere non tanto da un effetto dell’eccessivo accumulo degli acidi grassi a livello cardiomiocitario quanto a livello del tessuto adiposo viscerale epicardico come suggerito anche da un nostro studio eseguito in giovani pazienti non diabetici insulino resistenti con epatopatia steatosica (33).

 

Effetti della modulazione sperimentale in vivo nell’uomo della disponibilità del substrato

Sulla base dei dati sopra discussi in diversi modelli in vivo nell’uomo di insulino resistenza sarebbe ragionevole ipotizzare che i soggetti con scompenso cardiaco potrebbero giovarsi di terapie farmacologiche volte a ridurre la disponibilità di acidi grassi liberi a favore del glucosio come substrato energetico preferenziale del ventricolo sinistro. Il primo studio che ha ipotizzato la possibilità di una terapia metabolica dello scompenso cardiaco ha utilizzato come sonda sperimentale la terapia con β-bloccante. L’utilizzo del β-bloccante nello scompenso cardiaco ha il suo razionale nella riduzione del consumo di ossigeno e nel miglioramento dell’efficienza energetica miocardica. Utilizzando ancora una volta metodiche PET e traccianti sia per il metabolismo del glucosio che degli acidi grassi, è stato osservato che il Carvedilolo è in grado di ridurre l’utilizzo ossidativo miocardico degli acidi grassi a favore di quello del glucosio (34). Questo dato sperimentale si accompagna anche alla nostra osservazione che in individui sani normali l’omeostasi energetica del ventricolo sinistro è inversamente proporzionale alla frequenza cardiaca (35). A ulteriore conferma questa ipotesi di lavoro abbiamo valutato quale potesse essere l’effetto della inibizione prolungata dell’ossidazione degli acidi grassi utilizzando come sonda sperimentale farmacologica la Trimetazidina, un farmaco capace di inibire in modo reversibile (e quindi senza effetti collaterali neurologici) un enzima chiave della β-ossidazione. Ne abbiamo verificato il suo effetto in condizioni acute e croniche. La sua somministrazione prolungata per 3 mesi si è accompagnata in pazienti con scompenso cardiaco ad un miglioramento della classe funzionale NYHA accompagnandosi ad un miglioramento dello stato energetico del miocardio e ad un piccolo ma significativo aumento della frazione di eiezione (36). La sua somministrazione acuta, 24 ore prima dell’esecuzione di un test da sforzo con treadmill in pazienti con nota malattia coronarica, sia che i pazienti fossero a digiuno, sia che avessero assunto pasto ricco in carboidrati o ricco in lipidi ha determinato un miglioramento nella durata dell’intervallo di tempo all’osservazione del sottoslivellamento del segmento ST di 1 mm e ha migliorato lo stress motion wall index (WMSI) rispetto ai pazienti che la sera prima avevano assunto il placebo (37). Con razionale sperimentale simile altri autori hanno utilizzato la perixilina maleato, anch’esso un farmaco anti anginoso che inibisce l’uptake mitocondriale degli FFA agendo sul sistema di navetta di trasporto carnitina palmitoil transferase-1 (CPT-1) e CPT-2 e quindi shiftando il metabolismo ossidativo dall’utilizzo di FFA a quello di glucosio. Anche in questo caso, gli effetti di questa terapia sono stati positivi migliorando la VO2max, la frazione di eiezione e i sintomi dei pazienti con scompenso cardiaco (38).

Sulla base dei risultati di questi esperimenti si è considerata la possibilità di ottenere un effetto positivo della soppressione dei livelli circolanti degli acidi grassi liberi (sollievo dalla lipotossicità) sul metabolismo cardiaco. A questo scopo l’Acipimox è stata la sonda sperimentale più utilizzata. Acipimox è un inibitore della lipolisi e sorprendentemente la sua somministrazione acuta in pazienti con scompenso cardiaco si è accompagnata ad un peggioramento dei parametri di funzione del ventricolo sinistro invece che ad un loro miglioramento (39) e noi stessi abbiamo potuto dimostrare che questo peggioramento di funzione ventricolare associato alla somministrazione dell’Acipimox si accompagnava ad un peggioramento dell’omeostasi energetica del ventricolo sinistro (40). Questi risultati sorprendenti e inattesi inducono a considerare che gli effetti deleteri degli elevati livelli circolanti di alcuni substrati potrebbero non essere alleviati da una strategia terapeutica che induce una rapida riduzione dei livelli circolanti di substrato. Questa osservazione crediamo possa rappresentare l’esempio tipico di quanto possa accadere in condizioni di ipoglicemia iatrogena, che può costituire una potenziale causa di eventi cardiovascolari in pazienti fragili come quelli con scompenso cardiaco. Potrebbe infatti aiutarci a spiegare gli effetti non sempre positivi che un trattamento intensivo dell’iperglicemia potrebbe generare se si accompagnasse ad un rischio elevato di ipoglicemia così come osservato in studi come l’ACCORD (41). Peraltro questi dati sono stati confermati da risultati ancor più convincenti anche se altrettanto sorprendenti che hanno dimostrato un effetto negativo della somministrazione di Acipimox e conseguente soppressione degli acidi grassi liberi dopo una settimana di trattamento in soggetti sani normali (42) suggerendo come il miocardio si caratterizzi per un metabolismo energetico complesso nel quale la disponibilità del substrato deve essere comunque garantita per la generazione di un efficace lavoro meccanico. È possibile che il miocardio abbia bisogno di un periodo di tempo più prolungato per potersi adattare a queste modulazioni della disponibilità di substrato; la chirurgia bariatrica infatti modulando il suo impatto in un periodo di tempo più lungo sembra essere in grado di determinare esclusivamente effetti benefici sul metabolismo e funzione del ventricolo sinistro, anche se i difetti tipici del soggetto obeso, non vengono completamente corretti (43). Si potrebbe concludere ipotizzando che ridurre la disponibilità di substrato necessario a generare il lavoro meccanico può essere pericoloso anche quando il substrato che si limita è l’acido grasso, e quindi è importante non far mancare combustibile energetico al cuore fragile (18). Diventa necessario mantenere una appropriata disponibilità di glucosio come substrato che al netto viene verosimilmente preferito dal cuore per un bilancio di consumo di ossigeno favorevole rispetto agli acidi grassi (44), anche se gli effetti benefici delle terapie sopra discusse potrebbero manifestarsi non tanto grazie ad un effetto diretto sul metabolismo energetico del miocardio, quanto ad un effetto indiretto sistemico di riduzione del fabbisogno energetico dell’organismo in toto a ridurre come conseguenze le richieste di lavoro meccanico per miocardio stesso (45).

 

Ma quanto è significativo il ruolo del grasso ectopico?

Non è facile determinare quale possa essere in ultima analisi il ruolo dell’accumulo ectopico di grasso nel determinare le alterazioni energetiche, strutturali e funzionali del miocardio di individui con insulino resistenza e diabete di tipo 2. La difficoltà ad ottenere dati così specifici in popolazioni di pazienti rappresentativi costituisce un limite difficilmente superabile nel breve termine. La mole di dati a favore di un ruolo diretto dell’accumulo ectopico intra-epatico di trigliceridi, che potrebbe essere considerato un proxy di quello intracardiaco, sembra essere convincente in prima battuta (46) e anche i nostri dati di popolazione sembrano supportare questa visione (47). D’altro canto l’insulino resistenza sembra essere il difetto metabolico gerarchicamente più importante che spiega a cascata tutte le alterazioni che predispongono alle malattie cardiovascolari (47). Dati molto recenti sembrano suggerire infatti che questo effetto del grasso ectopico intraepatico possa essere dipendente da altri fattori, più che un vero fattore indipendente (48-49). Alcuni autori però suggeriscono che sia necessario campionare il grasso ectopico in sedi più sensibili ma soprattutto più specifiche per stabilire l’esatto grado di associazione, là dove non sia possibile ottenere questa determinazione direttamente nel miocardiocita. È interessante notare infatti come una recente analisi sistematica con relativa meta-analisi abbia suggerito come sia la quantità di grasso epicardico a costituire un potente fattore indipendente capace di predire la malattia cardiovascolare e la sua severità in pazienti a rischio basso-intermedio (50). Concorde con questo suggerimento il dato secondo il quale in grasso pericardico coordina l’attivazione dell’immunità cellulare, la risposta infiammatoria e la fibrosi cardiaca, nonché la prognosi, dopo un infarto acuto del miocardio (51).

 

Conclusioni

Insulino resistenza, obesità e diabete di tipo 2 sono condizioni che contribuiscono alla disfunzione sistolica e al rischio di sviluppare la piena manifestazione della sindrome dello scompenso cardiaco. I meccanismi per mezzo dei quali queste condizioni determinano tale elevato rischio non sono ancora completamente compresi ma è evidente che l’eccessivo accumulo di grasso in sede viscerale intra-addominale e intratoracica (grasso peri ed epicardico) ed ectopico (in particolare intracardiaco e intra epatico) sono strettamente associati al rimodellamento geometrico del miocardio disfunzionale e al mal-adattamento del metabolismo energetico cardiaco di questi pazienti. In questo momento non si può escludere che il ruolo di questa ridistribuzione del grasso tissutale possa giocare un ruolo così importante da immaginare di determinare effetti terapeutici benefici modulandone la distribuzione e/o l’utilizzo nelle vie metaboliche energetiche (Fig. 1).

 

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