Gestione del piede diabetico nei paesi in via di sviluppo: il caso dell’Africa

Mauro Rigato1, Gian Paolo Fadini2

1UOC Malattie Endocrine, del Ricambio e della Nutrizione, Azienda AULSS 2 della Marca Trevigiana, Treviso;

2Dipartimento di Medicina, Università degli Studi di Padova

DOI: 10.30682/ildia1902c

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Introduzione

La prevalenza del diabete sta aumentando a livello globale, sia nei paesi industrializzati sia in quelli a basso reddito. Le proiezioni dell’International Diabetes Federation (IDF) stimano che il numero di pazienti affetti da diabete di tipo 2 in Africa aumenterà da 14.2 a 34.2 milioni nei prossimi 20 anni (1). Le ragioni di tale fenomeno sono attribuibili in parte all’invecchiamento della popolazione e in parte alla diffusione di stili di vita tipo occidentale caratterizzati da un elevato consumo calorico e da un alto grado di sedentarietà (2). Sebbene l’Africa sub-sahariana presenterà la più alta incidenza di diabete nel prossimo ventennio, le risorse disponibili per la diagnosi e la gestione di tale patologia risultano attualmente insufficienti (3). Ciò significa che un’elevata percentuale di soggetti diabetici rimarrà non diagnosticata, afferendo alle strutture sanitarie solo a seguito della comparsa di complicanze croniche invalidanti, quali il piede diabetico (4-5). A livello globale, si stima che il 15-25% dei pazienti diabetici svilupperà un’ulcera ai piedi nel corso della propria vita (6-7). Una recente meta-analisi del nostro gruppo ha riscontrato una prevalenza di ulcere diabetiche pari al 13% nella popolazione diabetica africana, con notevoli differenze geografiche che riflettono l’elevata eterogeneità dell’assistenza sanitaria in Africa (Fig. 1) (8). Il diabete rappresenta la prima causa di amputazione non traumatica degli arti inferiori, sia nei paesi occidentali sia in quelli in via di sviluppo. Nella realtà africana, il nostro studio ha stimato una prevalenza di amputazioni maggiori del 15% tra i soggetti con ulcere diabetiche, che esita in un tasso di mortalità intraospedaliera del 14%, raggiungendo picchi superiori al 50% per lesioni in stadio avanzato (8).

Le devastanti conseguenze della malattia del piede diabetico possono diventare un grave problema di salute pubblica e imporre un pesante fardello a molti sistemi sanitari africani, dove le risorse sono già limitate. A causa della scarsa consapevolezza della malattia diabetica, i pazienti con ulcere giungono tardivamente all’attenzione dei centri specialistici, presentando lesioni infette di grado avanzato che richiedono spesso il ricorso ad amputazioni minori o maggiori. Per ragioni socio-culturali, una percentuale non trascurabile di pazienti rifiuta di essere sottoposto ad interventi ortopedici demolitivi sviluppando quadri settici in genere fatali (9-10). In quest’ottica è di fondamentale importanza l’adozione di programmi educativi volti a sensibilizzare i pazienti e il personale sanitario in merito all’importanza dello screening e della cura del piede diabetico. La presente rassegna si pone l’obiettivo di contestualizzare nell’ambito africano la gestione della neuropatia diabetica e dell’arteriopatia periferica, che rappresentano i principali fattori di rischio ulcerativo. Un intero capitolo sarà dedicato alla diagnosi e al trattamento del piede diabetico infetto. Infine, sarà discussa l’importanza di adottare dei programmi di prevenzione e screening del piede, alla luce delle numerose barriere socio-economiche presenti negli stati africani.

Neuropatia diabetica

La neuropatia periferica è una complicanza microvascolare dell’iperglicemia cronica e rappresenta il principale fattore di rischio ulcerativo nel paziente diabetico (11). Si stima che oltre il 50% dei pazienti con ulcere presenti un interessamento neuropatico degli arti inferiori. La compromissione delle fibre somatiche sensitivo-motorie e vegetative contribuisce a determinare la perdita della sensibilità dolorifica e lo sviluppo di deformità strutturali quali l’accentuazione della volta plantare, la prominenza delle teste metatarsali, le dita a martello e l’alluce valgo (12). Tali condizioni aumentano significativamente il rischio di ulcerazione che spesso è scatenato da un evento traumatico in contesti igienici precari dove, per ragioni sociali, economiche e culturali, è carente o assente l’utilizzo di calzature appropriate. La ricerca di segni e sintomi di neuropatia periferica è di cruciale importanza per la stratificazione del rischio ulcerativo del paziente diabetico (Tab. 1).

Si consiglia di effettuare lo screening della neuropatia in tutti i pazienti con diabete tipo 2 all’esordio e nei pazienti con diabete di tipo 1 da più di 5 anni. Lo screening della neuropatia deve essere effettuato utilizzando semplici test clinici a basso costo, facilmente reperibili anche in contesti sanitari con ridotte risorse economiche. Lo screening è articolato nei seguenti momenti: 1) anamnesi per la ricerca di sintomi negativi (ipoestesia) o positivi (parestesie, dolore); 2) ispezione del piede per rilevare la presenza di deformazioni, cute secca, callosità o ulcere; 3) valutazione della sensibilità tattile e vibratoria; 4) valutazione dei riflessi (achillei e rotulei) e della forza (estensione dell’alluce e dorsi-flessione della caviglia). Di particolare importanza sono la valutazione della sensibilità pressoria mediante l’utilizzo del monofilamento di 10 g e della sensibilità vibratoria sul dorso dell’alluce con il diapason a 128 Hz, preferibilmente inseriti in un sistema strutturato a punteggio quale in Diabetic Neurophaty Index (DNI). Un valore di DNI >2 consente una diagnosi clinica di neuropatia diabetica (Tab. 2).

La forma più comune di neuropatia diabetica è quella sensitivo-motoria simmetrica distale che tuttavia non è facilmente distinguibile da quella HIV correlata, in regioni dove la prevalenza di sieropositività interessa il 5-30% della popolazione. Infine, una complicanza estrema della neuropatia periferica è rappresentata dal piede di Charcot che si caratterizza per un esteso rimodellamento delle strutture osteo-articolari del piede con molteplici microfratture e crollo della volta plantare. In fase acuta il piede si presenta eritematoso, tumefatto e caldo con una temperatura in genere >2°C rispetto al piede controlaterale. In tali circostanze è indicata la conferma mediante radiografia convenzionale e l’immobilizzazione del piede con gambaletto gessato.

Arteriopatia obliterante

Si stima che la prevalenza di arteriopatia periferica nei paesi africani sia più che raddoppiata nell’ultimo ventennio (13). La nostra meta-analisi ha evidenziato una prevalenza di arteriopatia pari al 27.4% tra i pazienti con ulcere diabetiche, ma altri autori riportano valori superiori al 50% (14). Le ragioni di tale fenomeno sono da ricercarsi nell’invecchiamento della popolazione e nell’incremento di altri fattori di rischio cardiovascolare quali l’ipertensione arteriosa, il fumo e l’obesità. Un fattore di rischio emergente è rappresentato inoltre dall’infezione e dal trattamento dell’HIV, attraverso meccanismi ancora non chiari (15). Il riscontro di sintomi o segni di vasculopatia periferica è di estrema importanza dal momento che l’ischemia rallenta la guarigione delle ulcere e aumenta considerevolmente il rischio di infezione. La vasculopatia diabetica si caratterizza per un interessamento multifocale dei distretti vascolari più distali. La valutazione dello stato vascolare dovrà indagare la presenza di dolore ai polpacci durante la marcia o a riposo e comprendere l’ispezione del piede e la palpazione bilaterale dei polsi periferici (pedidio, tibiale posteriore, popliteo e femorale). Le lesioni ischemiche interessano inizialmente i distretti più acrali (dita, tallone, eminenza peroneale e tibiale) e si distinguono per la presenza di un piede ipotermico, marezzato e dolente con iposfigmia o assenza dei polsi periferici. La presenza di dolore a riposo o di lesioni tissutali configura un quadro di ischemia critica (stadio III e IV della classificazione di Fontaine) con indicazione ad un intervento di rivascolarizzazione, che tuttavia non risulta perseguibile nella maggior parte delle realtà sanitarie africane. La mancanza di chirurghi con esperienza in ambito vascolare e di materiale endoprotesico non consente in genere di effettuare interventi di rivascolarizzazione periferica, offrendo l’amputazione d’arto quale unica opzione terapeutica (16-17). In quest’ottica è di prioritaria importanza l’adozione di programmi di screening che consentano una diagnosi precoce di arteriopatia prima dell’evento ulcerativo. A tale proposito, la misurazione dell’indice caviglia-braccio (ankle-brachial index, ABI) rappresenta uno strumento diagnostico ampiamente validato per la diagnosi di arteriopatia nei pazienti con iposfigmia dei polsi periferici. L’ABI è un esame non invasivo e a basso costo che si ottiene dal rapporto tra la pressione arteriosa sistolica misurata alla caviglia e quella omerale. Un valore <0.9 è diagnostico di arteriopatia periferica mentre valori >1.3 suggeriscono la presenza di arterie incomprimibili per calcificazioni parietali. Ricordiamo infine che l’arteriopatia degli arti inferiori è un marcatore di aterosclerosi polidistrettuale che raddoppia il rischio di eventi coronarici e cerebrovascolari (18). Per tale ragione tutti i pazienti con segni clinici o strumentali di arteriopatia periferica dovrebbero essere sottoposti almeno ad un elettrocardiogramma e nelle realtà dove disponibile anche all’Eco-Doppler dei tronchi sovra-aortici. L’ottimizzazione dei principali fattori di rischio cardiovascolare (glicemia, LDL-colesterolo, pressione arteriosa, fumo) e l’avvio di una terapia antiaggregante sono di cruciale importanza al fine di prevenire la progressione del danno aterosclerotico verso quadri di ischemia critica che non potrebbero essere altrimenti trattati per mancanza di servizi e strutture sanitarie adeguate.

Piede infetto

Le infezioni del piede sono una delle cause principali di ospedalizzazione e amputazione tra i pazienti diabetici a livello globale (7). In Africa, è frequente che i pazienti si presentino in ospedale solo quando l’infezione è in fase avanzata configurando quadri di gangrena o sepsi (19-20). La nostra meta-analisi ha evidenziato che circa il 60% dei pazienti afferenti alle strutture ospedaliere presentava ulcere di grado avanzato (≥3 secondo la classificazione di Wagner) (8). L’Infectious Diseases Society of America (IDSA) ha proposto una classificazione semplice che permette di distinguere tra infezioni lievi, moderate e gravi (21). Lo scopo principale di tale classificazione è quello di individuare rapidamente i soggetti con infezioni gravi che richiedono un’immediata ospedalizzazione con necessità di terapia antibiotica parenterale e di esami strumentali specifici. Le infezioni gravi interessano in genere i tessuti profondi oltre la fascia muscolare e possono raggiungere l’osso e le articolazioni. Queste infezioni si caratterizzano per la presenza di segni clinici sistemici (iperpiressia, tachicardia, incremento degli indici di flogosi) e sono associate ad un alto rischio di amputazioni. Alcuni esempi di infezione grave sono il flemmone, l’osteomielite l’artrite settica e la fascite necrotizzante di piede o gamba. Anche le infezioni di grado moderato possono raggiungere strutture profonde quali articolazioni e osso ma si caratterizzano per l’assenza di un interessamento sistemico. Infine, le infezioni lievi sono confinate a strutture superficiali, non richiedono l’ospedalizzazione del paziente e giovano di un trattamento antibiotico per via orale. L’etiologia microbica varia in funzione delle caratteristiche dell’ulcera. I pochi studi che hanno valutato il pattern microbiologico delle ulcere diabetiche nei paesi africani (Sudan, Tanzania, Kenya) hanno evidenziato uno spettro batteriologico simile a quello occidentale (22-25). Le infezioni di grado lieve sono in genere sostenute da cocchi Gram-positivi, con prevalenza di Staphylococcus aureus e Streptococchi beta-emolitici di gruppo A, B e C. Le infezioni di grado moderato e severo sono invece sostenute da una flora poli-microbica caratterizzata dall’associazione di Gram-positivi aerobi e anaerobi, Gram-negativi e alcune specie di Candida. I Gram-negativi comprendono la famiglia delle Enterobacteriaceae (Proteus, Klebsiella Enterobacter, Escherichia), Pseudomonas e Acinetobacter. Gli anaerobi obbligati includono Bacteriodes, Fusobacterium, Prevotella, Clostridium e Actinomices. È importante ricordare che la diagnosi di ulcera infetta è in primo luogo clinica e si basa sulla presenza di segni locali e/o sistemici di infezione. La determinazione degli indici di flogosi (PCR, VES e leucociti neutrofili) supporta la diagnosi e consente di monitorare l’andamento del processo infettivo nel tempo. L’esame colturale è indispensabile per stabilire l’etiologia dell’ulcera. Il tampone colturale deve essere prelevato in profondità, posto in un sistema di trasporto sterile e prontamente inviato al laboratorio, dove devono essere allestite colture per patogeni sia aerobi sia anaerobi. Il ricorso ad indagini radiologiche permette di valutare la profondità della lesione, la presenza di raccolte purulente, gas o osteomielite. Infine la valutazione dello stato vascolare è indispensabile in quanto la presenza di ischemia compromette significativamente la probabilità di guarigione dell’ulcera. La gestione del piede diabetico infetto richiede un approccio multidisciplinare. In primo luogo è necessario garantire il supporto dei parametri vitali e il controllo metabolico del paziente. È indispensabile effettuare un’accurata pulizia dell’ulcera con eventuale incisione e drenaggio di raccolte purulente. In caso di gangrena può essere necessario il ricorso ad amputazioni minori (dita o avampiede) o maggiori (gamba o coscia) al fine di bloccare la progressione del quadro settico. La terapia antibiotica sarà inizialmente empirica e in seguito secondo antibiogramma. La quasi totalità delle lesioni infette di grado lieve e molte di grado moderato può essere trattata con antibiotici a spettro d’azione limitato ai cocchi Gram-positivi. Nel caso di infezioni gravi o di grado moderato con andamento cronico, risulta più opportuno il ricorso di antibiotici ad ampio spettro attivi contro

patogeni Gram-positivi, Gram-negativi e anaerobi obbligati (Tab. 3). La durata della terapia antibiotica dipende dalla severità dell’infezione. In pazienti con infezioni lievi sono sufficienti 1-2 settimane di terapia per via orale. Infezioni di grado moderato-severo richiedono un trattamento protratto per almeno 2-4 settimane, inizialmente per via parenterale. La presenza di osteomielite impone di prolungare la terapia almeno fino a 6 settimane.

L’importanza della prevenzione

L’adozione di programmi strutturati di prevenzione e screening del piede diabetico è di cruciale importanza e ha dimostrato di ridurre il tasso di amputazioni in alcuni paesi africani, quali la Tanzania e l’Etiopia (26). In particolare, il progetto “Step by Step” in Tanzania, rivolto al personale sanitario, ha incluso lezioni frontali e dimostrazioni pratiche riguardanti l’anamnesi, l’esame obiettivo, lo screening della neuropatia e arteriopatia e il trattamento del piede infetto. I seminari educativi, della durata di tre giorni, sono stati ripetuti con cadenza annuale, evidenziando una riduzione dell’incidenza di ulcere e il dimezzamento del tasso annuale di amputazioni nell’arco di tre anni (27). In Etiopia, l’ospedale di Tikur Anbessa ha adottato l’utilizzo del “Sixty-Second Tool”, uno strumento che permette il rapido riconoscimento dei piedi ad alto rischio attraverso l’ispezione, la palpazione dei polsi e la valutazione della sensibilità dolorifica (28-29). Simili risultati sono stati ottenuti anche in altri paesi in via di sviluppo quali India e Brasile. La prevenzione delle ulcere non può inoltre prescindere da una corretta educazione del paziente diabetico alla cura dei propri piedi e all’utilizzo di calzature adeguate. Numerosi studi hanno evidenziato che l’uso di calzature protettive è in grado di ridurre fino all’85% il rischio di amputazioni maggiori (30). In accordo con le line guida dell’International Working Group on the Diabetic Foot (IWGDF) (31), è possibile individuare i seguenti quattro capisaldi nella prevenzione del piede diabetico:

Identificazione e follow-up dei piedi a rischio. L’ispezione del piede e la ricerca di segni o sintomi di neuropatia e arteriopatia periferica dovrebbe essere effettuata almeno una volta l’anno in tutti i pazienti diabetici. Tale valutazione consente di stratificare il rischio ulcerativo del paziente e di pianificare la tempistica delle successive visite di controllo (Tab. 1). In figura 2 sono riportate le zone a maggior rischio di ulcerazione.

Educazione dei pazienti e dei familiari. Il programma di educazione deve essere strutturato, organizzato e ripetuto nel tempo. Il paziente dovrà essere istruito all’ispezione quotidiana dei propri piedi con indicazione ad informare tempestivamente il personale sanitario nel caso dovessero comparire tagli, vesciche o ulcere. È cruciale evitare di camminare a piedi nudi o con i soli calzini sia dentro che fuori casa. L’utilizzo di scarpe troppo strette con bordi ruvidi o cuciture irregolari deve essere tassativamente evitato. È raccomandato l’utilizzo di calzini senza cuciture rigide. Il paziente dovrà inoltre ispezionare l’interno delle calzature prima di indossarle alla ricerca di eventuali corpi estranei. I piedi dovranno essere lavati ogni giorno con acqua a temperatura <37°C e asciugati accuratamente, in particolare tra gli spazi interdigitali. I pazienti non dovranno utilizzare agenti chimici o rimedi casalinghi per rimuovere eventuali callosità ma dovranno rivolgersi al personale sanitario. In presenza di cute secca è importante l’applicazione di creme o oli idratanti per prevenire lo sviluppo di tagli e ragadi. È indispensabile evitare ferite accidentali durante il taglio delle unghie, per tale ragione l’utilizzo della lima deve essere preferito a quello delle forbici. Infine, i pazienti dovranno essere motivati a presentarsi periodicamente alle visite di controllo stabilite per lo screening del piede diabetico.

Utilizzo quotidiano di calzature appropriate. L’utilizzo di scarpe inadeguate in presenza di neuropatia periferica rappresenta il maggior fattore di rischio per ulcerazione. La scelta della calzatura deve considerare le alterazioni biomeccaniche e le deformità che frequentemente interessano il piede diabetico, al fine di evitare lo sviluppo di zone di attrito. La scarpa non deve essere né troppo stretta né troppo larga. La lunghezza della calzatura deve consentire uno spazio di 1-2 cm tra l’apice delle dita e la punta della scarpa. La larghezza interna dovrebbe essere uguale alla larghezza del piede a livello delle articolazioni metatarso-falangee e l’altezza sufficiente a non comprimere le dita. L’appoggio andrà valutato con il paziente in stazione eretta, preferibilmente a fine giornata. Nel caso si riscontrino segni di anormale carico del piede (iperemia, callosità o ulcere) è indispensabile l’utilizzo di plantari riequilibranti e di eventuali ortesi in silicone. In pazienti con pregressa ulcera è raccomandato l’utilizzo di plantari da calco e in soggetti sottoposti ad amputazioni minori il ricorso a scarpe su misura.

Trattamento delle lesioni pre-ulcerative. La gestione delle lesioni pre-ulcerative comprende: la rimozione delle callosità, la protezione e l’eventuale drenaggio delle vesciche, il trattamento dell’onicocriptosi e delle onicomicosi. Tali provvedimenti devono essere ripetuti fino alla completa risoluzione della lesione pre-ulcerativa e dovrebbero essere effettuati da personale specialistico con esperienza nella cura del piede.

Barriere alla gestione del piede in Africa

Nonostante l’importanza dello screening e del trattamento precoce delle ulcere, l’Africa si trova di fronte a numerose difficoltà nella gestione del piede diabetico. In primo luogo si stima che l’80% delle persone affette da diabete rimanga non diagnosticata. In secondo luogo la povertà è diffusa e i finanziamenti in ambito sanitario, quando disponibili, sono impiegati per la maggior parte nella lotta alle malattie trasmissibili quali HIV, tubercolosi e malaria. Ciò si traduce nell’impossibilità di formare personale sanitario specializzato e di creare strutture dedicate alla cura del diabete e delle sue complicanze. Un serio ostacolo all’accesso alle cure è dato inoltre dalla mancanza di infrastrutture. L’assenza di mezzi di trasporto pubblico e di una rete stradale capillare rende difficoltoso raggiungere i servizi sanitari, scoraggiando i pazienti ad intraprendere lunghi viaggi in condizioni di salute precarie. Ad esempio, il 23% dei pazienti provenienti dalle aree rurali dell’Etiopia deve percorrere più di 100 Km per poter raggiungere un ospedale con tempi di viaggio superiori ai cinque giorni. L’analfabetismo diffuso e il basso livello di educazione favoriscono inoltre il ricorso a pratiche di guarigione tradizionali che possono ritardare drammaticamente l’invio del paziente in ospedale (32). Infine per ragioni economiche e socio-culturali l’utilizzo routinario di calzature protettive è ampiamente non praticato, esponendo i pazienti a traumi accidentali e a morsi di roditori.

Conclusioni

Il piede diabetico rappresenta una problematica emergente negli stati Africani con pesanti ripercussioni in termini di disabilità e spesa sanitaria. La scarsa consapevolezza della malattia diabetica, il ricorso alla medicina tradizionale e l’assenza di infrastrutture concorrono a ritardare l’accesso dei pazienti ai servizi sanitari, esitando talora in quadri di gangrena e sepsi. Anche se la neuropatia rappresenta il principale fattore di rischio ulcerativo, la prevalenza di arteriopatia periferica è in aumento e deve pertanto essere ricercata utilizzando metodiche semplici e a basso costo quali la misura dell’ABI. L’educazione rappresenta lo strumento più efficace per la prevenzione delle ulcere diabetiche e deve essere inserita in programmi strutturati ripetuti nel tempo rivolti sia ai pazienti sia al personale sanitario. Le semplici raccomandazioni di ispezionare frequentemente i propri piedi e di non camminare a piedi nudi sarebbero in grado di ridurre il rischio di lesioni nei pazienti diabetici. Tuttavia, in molti stati africani la gestione del piede e in generale delle complicanze croniche del diabete rimane un obiettivo lontano e difficile da raggiungere.

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