Rubrica Opinioni a Confronto a cura di Anna Solini1, Agostino Consoli2
1Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università degli Studi di Pisa; 2Dipartimento di Medicina e Scienze dell’Invecchiamento, Università degli Studi di Chieti-Pescara “G. D’Annunzio”
Il confronto che la nostra rivista ospita in questo numero verte su una controversia che molto sta facendo discutere e che riguarda alcune recenti evidenze relative ad un possibile ruolo “diabetogeno” delle statine. È ovviamente un argomento di enorme importanza clinica, perché la gestione del rischio cardiovascolare è forse il più critico degli elementi che connotano l’approccio clinico al paziente diabetico, e questi farmaci rappresenta- no un presidio fondamentale della prevenzione cardiovascolare primaria e secondaria. È quindi di grande interesse valutare quanto solide siano le evidenze relative alla azione pro-diabetogena di questi farmaci, ma è altresì necessario chiarire se e in che misura questo eventuale rischio debba influenzare le nostre scelte terapeutiche.
Il compito di affrontare queste tematiche è stato affidato a due indiscussi esperti di metabolismo lipidico e di clinica delle dislipidemie quali Al- berto Corsini ed Alberto Zambon, che ringraziamo per aver accettato di condividere il loro expertise con i lettori della rivista. Ironia della sorte, il confronto di questo numero risulterà quindi un… Alberto vs Alberto, con il primo (Corsini) a sostenere la teoria che vuole le statine gravate da un certo “effetto diabetogeno”, ed il secondo (Zambon) ad argomentare a favore della prescrizione di statine in tutti diabetici nei quali essa è indicata, e dell’indicazione al mantenimento di tale terapia nei soggetti non diabetici che dovessero sviluppare diabete durante il trattamento. Entrambe le tesi ci sembrano stimolanti e sostenute in modo assai convincente (e non poteva essere diversamente visto il calibro dei discussant), e siamo certi incontreranno l’apprezzamento dei lettori.
Effetto diabetogeno delle statine. Esiste? Può limitare l’uso di questi farmaci nei pazienti diabetici?
Discussant
Alberto Corsini1, Alberto Zambon 2
1 Dipartimento di Scienze Farmacologiche e Biomolecolari, Università degli Studi di Milano; 2 Dipartimento di Medicina Interna – DIMED, Università degli Studi di Padova.
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Le statine hanno azione pro-diabetogenica – Alberto Corsini
Numerosi studi clinici controllati con obiettivi quali mortalità e morbilità per cause cardiovascolari (CV) e mortalità per tutte le cause hanno documentato l’efficacia della terapia con statine (1-2). Il beneficio clinico, ottenuto essenzial- mente attraverso la riduzione del colesterolo LDL, si è osservato in numerose tipologie di pazienti ad alto rischio cardiovascolare inclusi i pazienti diabetici di tipo 2 (T2D) (1-2).
Evidenze di un effetto diabetogenico delle Statine
Sebbene le statine siano generalmente considerati farmaci sicuri e ben tollerati, in alcuni casi si possono osservare una serie di eventi avversi principalmente associati ad una sintomatologia muscolare (3) e, più recentemente, si è do- cumentata la possibilità che il trattamento con statine sia associato ad un aumentato rischio di sviluppare T2D (4-6).
Sebbene il rischio diabetogenico delle statine sia modesto e possa variare in base alle caratteristiche fisio-patologiche del paziente (6), l’insorgenza di T2D rappresenta motivo di potenziale preoccupazione in quanto una patologia come il T2D rappresenta a lungo termine una condizione clinica associata ad un raddoppio del rischio di morbilità e mortalità cardiovascolare (7-8). Recentemente il tutto è stato recepito dalla Food and Drug Administration (FDA) americana e dalla European Medicines Agency (EMA) europea che hanno inserito tra gli effetti secondari all’impiego di statine, come effetto di classe, un aumento della glicemia e dell’emoglobina glicata e quindi la possibilità di sviluppare T2D. Sei statine sono attualmente disponibili in Italia per il trattamento delle iperlipemie: atorvastatina, simvastatina, rosuvastatina, lovastatina, pravastatina e fluvastatina. Mentre alcune statine sono associate con un aumento dei parametri glicemici in pazienti con o senza T2D altre hanno dimostrato, in alcuni studi, un effetto neutro (6). Uno dei primi studi che ha documentato una potenziale differenza negli effetti diabetogeni delle statine è stato lo studio PROVE-IT (Pravastatin or Atorvastatin Evaluation and Infection Therapy-Thrombolysis in Myocardial Infarction) dove un’analisi post-hoc condotta in 3382 pazienti non diabetici ha documentato un aumento dello 0,3% dei livelli di HbA1c rispetto al basale con atorvastatina 80 mg e dello 0,12% con pravastatina 40 mg (P < 0,0001) (9).
Al fine di studiare l’effetto delle statine nello sviluppare T2D, Sattar e coll. (5) hanno condotto una meta-analisi di 13 studi con statine che hanno previsto l’arruolamento di 91.140 pazienti non diabetici (5). I risultati hanno evidenziato che le statine utilizzate a dosi convenzionali (atorvastatina 10 mg, pravastatina 40 mg, simvastatina 40 mg o rosuva- statina 20 mg) hanno determinato un aumentato rischio del 9% nello sviluppare T2D in 4 anni (OR 1,09; 95% CI 1,02-1,17) (Fig. 1). Una successiva analisi post-hoc dello studio SPARCL (Stroke Prevention by Aggressive Reduction in Cholesterol Levels) (N=3.803) ha mostrato che la comparsa di 166 nuovi casi di T2D nei pazienti randomizzati ad atorvastatina 80 mg/die e 115 dei 1898 nel gruppo placebo (8,71% vs. 6,06% HR: 1,37; P = 0,011) (10).
Ad ulteriore conferma di questi dati è la meta-analisi condotta da Preiss e coll. su 5 studi che hanno previsto l’utilizzo di dosi convenzionali rispetto a dosi elevate di statine in 32752 pazienti; essa dimostra come l’effetto diabetogenico delle statine sia dose-dipendente (4) (Fig. 2).
È interessante osservare come il rischio di sviluppare diabete indotto da statine sia maggiore nei pazienti caratterizza- ti dalla presenza concomitante di fattori di rischio per il T2D (10), vari in relazione all’età (5), aumenti nelle donne (11) e negli asiatici (12-13).
L’effetto diabetogenico delle Statine è un effetto di classe?
Una recente meta-analisi condotta su 246.955 pazienti studiati in 135 studi randomizzati e controllati, che ha previsto un’analisi di confronto sia verso placebo sia verso un trattamento attivo, ha confermato che l’uso di questa classe di farmaci è associato ad un aumentato rischio di comparsa di T2D, senza differenze significative tra le diverse statine (14) in accordo con la precedente meta-analisi di Sattar (5) (Fig. 3).
L’osservazione che l’effetto diabetogenico delle diverse statine a diversi dosaggi sia associato ad un diverso rischio di insorgenza di T2D è anche supportato da studi retrospettivi (13). Uno studio di coorte condotto in Canada in una popo- lazione di 471.250 persone senza T2D ha evidenziato che i pazienti che ricevevano atorvastatina, simvastatina o rosu- vastatina avevano un aumentato rischio di sviluppare T2D rispetto ai pazienti trattati con pravastatina, fluvastatina and lovastatina (15). Altro dato interessante emerso da questa meta-analisi è la dimostrazione che la comparsa di nuovi casi di T2D fosse la stessa sia in prevenzione primaria sia secondaria di rischio CV. Sebbene analoghi risultati si siano osservati anche quando le statine erano associate per potenza, per rischio CV dei pazienti, il rischio di incidenza di T2D con l’uso di rosuvastatina diventava non-significativo quando si teneva conto della dose utilizzata (15).
La tabella 1 riassume le evidenze raccolte in numerosi studi che essenzialmente confermano che l’effetto di classe della statine sull’insorgenza di T2D sia un effetto di classe.
Possibili meccanismi dell’effetto diabetogenico delle statine
I meccanismi alla base dello sviluppo di T2D indotto da statine non sono completamente chiariti sebbene diverse ipo- tesi siano state proposte e recentemente discusse in alcune pubblicazioni (18-19). Le statine hanno mostrato di ridurre la se- crezione di insulina in modelli animali, e di ridurre la sensibilità insulinica per l’effetto di inibizione di derivati del mevalonato che determina un’aumentata captazione cellulare di glucosio. Proteine quali IGF (Insulin-like growth factor) sono ridotte dal trattamento con statine in modo dose-dipendente, e ciò determina una ridotta tolleranza al glucosio. Infine, in un modello animale di miopatia indotta da statine, si è osservata un’aumentata resistenza insulinica (18).
Conclusioni
Riassumendo, gli studi pubblicati a tutt’oggi suggeriscono che l’effetto diabetogenico sia un effetto di classe (6). Tut- tavia, i dati disponibili, seppur consistenti, richiederebbero ulteriori validazioni soprattutto alla luce di alcuni dati recenti che suggeriscono che alcune statine possano avere minori effetti sulla glicemia o siano addirittura neutre sul controllo glicemico (6). Ovviamente i risultati delle meta-analisi e di studi osservazionali prospettivi/retrospettivi vanno sempre interpretati con cautela e richiedono conferme da studi clinici randomizzati di diversa durata che prevedono l’arruolamento di un numero significativo di pazienti, e confronti diretti tra statine con diversa potenza per avere una risposta definitiva sull’effetto diabetogenico delle statine e su eventuali differenze all’interno di questa classe di farmaci.
Le statine vanno comunque usate in tutti i pazienti diabetici a rischio CV – Alberto Zambon
Trattamento della dislipidemia nel diabetico: approccio fondamentale per la riduzione degli eventi cardiovascolari
Le malattie cardiovascolari (CVD) rappresentano la causa di circa il 50% dei decessi registrati annualmente in Europa con un costo complessivo per i sistemi socio-sanitari della comunità europea che si aggira sui 196 miliardi di euro/anno (20). Tra i fattori di rischio modificabili per malattia cardiovascolare, un posto rilevante spetta alle dislipidemie ed al diabete mellito tipo 2. Le linee guida più recenti raccomandano, per la riduzione del rischio di eventi CV, un approccio multifattoriale ove a fianco di modificazioni dello stile di vita è suggerito un approccio farmacologico alla dislipide- mia ed al controllo pressorio e glucidico qualora più fattori di rischio siano presenti contemporaneamente nello stesso paziente (21-22).
La rilevanza dell’approccio multifattoriale alla riduzione del rischio CV ed il ruolo di primo piano rappresentato dal trattamento ipolipemizzante sono stati chiaramente messi in evidenza da dati dello studio UKPDS (23) e successiva- mente dall’analisi dei dati dello studio STENO 2 (24). Dall’analisi del contributo dato dalla correzione dei fattori di rischio lipidici, glucidici e pressori nei pazienti diabetici di tipo 2 risulta evidente il ruolo centrale della correzione della dislipidemia, ed in particolare della riduzione del LDL-C nella prevenzione, assai efficace nello studio STENO 2, del rischio di eventi cardiovascolari (Fig. 1).
Cardine del trattamento della dislipidemia al fine di ridurre gli eventi CV fatali e non-fatali, nei pazienti a rischio car- diovascolare, ed in particolare nei pazienti diabetici, sono le statine, il cui beneficio è ben documentato e significativo nei numerosi fenotipi clinici oggetto di studio dei trials clinici randomizzati (1, 25).
Statine: una terapia sicura ed efficace per la riduzione del rischio cv nei pazienti a rischio cv
La presenza di ipercolesterolemia e più in generale di un fenotipo lipidico caratterizzato da un aumento delle lipopro- teine aterogene contenenti Apo-B (LDL, VLDL e remnants delle VLDL) e da una riduzione delle lipoproteine antiateroge- ne, le HDL, rende ragione di una quota importante del rischio di eventi CV osservato nella popolazione (26). Il rilevante beneficio clinico della terapia con statina e la sua correlazione con la riduzione del colesterolo LDL è stata riassunta nelle meta-analisi del Cholesterol Treatment Trialist’s Collaboration (CTTC) Group: la prima, pubblicata nel 2005 (25), ha preso in considerazione 14 trial con statine per un totale di 90.056 pazienti ha messo in luce che una riduzione di 39 mg/dl di LDL-C (1 mmol/L) era associata ad una diminuzione degli eventi cardiovascolari del 21% (p<0,0001) e coronarici del 23% (p<0,0001). Risultati del tutto sovrapponibili si sono osservati nei 18.686 pazienti diabetici studiati nei 14 trials con statine: eventi cardiovascolari ridotti del 21% (p<0,001) e coronarici del 22% (p<0,001) ad ogni riduzione di 39 mg/dl di LDL-C in corso di terapia statinica (27) (Fig. 2).
L’effetto delle statine sugli eventi cardiovascolari, sia coronarici che cerebrovascolari ischemici, è del tutto sovrappo- nibile e significativo sia nei pazienti diabetici che nei non diabetici (Fig. 3). Dopo 5 anni di terapia con statina 42 pa- zienti diabetici in più ogni 1000 trattati risultavano liberi da eventi cardiovascolari maggiori rispetto al gruppo senza statina. Studi più recenti hanno messo infine in luce che una simile riduzione degli eventi CV era ottenibile anche nei pazienti con rischio CV basso o molto basso trattati con statina (28).
Le più recenti meta-analisi basate su un’ampia popolazione (n=170.000 individui) studiata in 26 trial clinici pubblicati con statine (1) hanno inequivocabilmente rassicurato sull’utilizzo anche prolungato ed a dosaggi elevati di tali farmaci per quanto riguarda incidenza di neoplasie e mortalità cardiovascolare: nessun aumento in corso di terapia con stati- ne. Il profilo di sicurezza si è confermato del tutto sovrapponibile anche nel paziente diabetico.
Statine e diabete: dr Jekill o mr Hyde?
I medesimi trials che hanno chiaramente messo in luce i benefici clinici cardiovascolari dell’utilizzo delle statine nella popolazione a rischio CV e nei diabetici, hanno documentato anche la possibilità che il trattamento con statine possa associarsi ad un aumentato rischio di sviluppare diabete tipo 2 (4-6) come decritto nel lavoro di Alberto Corsini associato al presente dibattito. Dal 2012 la FDA americana ha inserito il monitoraggio dell’emoglobina glicata nel con- trollo routinario dei pazienti in terapia con statina. È rilevante notare che mentre non sembra esserci una correlazio- ne tra tipo di statina utilizzata e rischio di sviluppo di diabete, “l’effetto diabetogeno delle statine” pare essere dose correlato, come evidenziato da lavoro di Preiss et al. (4) alla dose della statina utilizzata. Quindi, alle dosi massimali, ulteriore beneficio sugli eventi CV (-16%, CI,0,75-0,94) ma incremento di nuovi casi di diabete (+12%, CI 1,04-1,22) rispetto ad un trattamento con dosi moderate di statina (Fig. 2 della prima parte).
Perché tale attenzione sulle alte dosi di statine ad elevata efficacia? Perché l’utilizzo di dosi elevate di atorvastatina e rosuvastatina (high-intensity statin therapy) risulta suggerito dalle recenti linee guida americane pubblicate nel novembre 2013 dall’American College of Cardiology/American Heart Association (ACC/AHA) (29), ove viene rinforzato il suggerimento, già peraltro presente nelle linee guida europee ESC/EAS del 2011 (30), a trattare con statine ad elevata efficacia ed a dosi massimali (es atorvastatina 40-80 mg/die, rosuvastatina 20/40 mg/die) la maggior parte dei pazienti in prevenzione secondaria e quelli a rischio CV elevato.
Pazienti ad elevato rischio cardiovascolare: è essenziale avere una chiara idea del rapporto rischio (nuovi casi diabete) vs bene- ficio (riduzione eventi CV) per scegliere un approccio terapeutico che abbia come priorità il beneficio clinico cardiova- scolare del paziente al netto dei rischi. In un contesto di alto rischio CV anche l’approccio terapeutico con alte dosi di statine presenta un rapporto beneficio/rischio nettamente a favore del beneficio come più volte sottolineato da FDA e società europee di cardiologia (ESC) ed arteriosclerosi (EAS). Il numero di pazienti da trattare (NNT) con statine ad elevati dosaggi rispetto a dosaggi convenzionali, in relazione agli eventi è stato calcolato essere (4):
• NNT= 155 pazienti/anno per prevenire 1 evento CV maggiore;
• NNT= 498 pazienti/anno per avere un nuovo caso di diabete tipo 2.
Pazienti a rischio CV con fattori predisponenti lo sviluppo di diabete tipo 2: i dati degli studi TNT ed IDEAL (12) suggeriscono che gli effetti diabetogeni dose-dipendenti delle statine possono risultare più evidenti in pazienti con fattori di rischio predisponenti allo sviluppo di diabete tipo 2 (ad es glicemia a digiuno >100 mg/dl, HbA1c 5,7%-6,4%, BMI >30 Kg/m2), anche se tali osservazioni necessitano di ulteriori conferme. Una recente analisi dello studio JUPITER (31) in pazienti con BMI>30 Kg/m2, o HbA1c>6,0%, ha messo in luce un aumento del 28% (p=0,01) di nuovi casi di diabete nei pazienti trattati con statina rispetto ai controlli a fronte di una riduzione degli eventi CV del 39% (p< 0,0001). In pratica 134 eventi CV maggiori evitati a fronte di 54 nuovi casi di diabete.
Il beneficio della terapia con statine appare ancora evidente, anche se attenuato, persino nel gruppo di pazienti con fattori di rischio preesistenti per lo sviluppo di diabete tipo 2. È ovvio che in tali pazienti vi sia la necessità di ulteriori studi a medio e lungo termine, anche perché non vi sono a tutt’oggi dati che dimostrino che i cambiamenti nel me- tabolismo glucidico “statino-mediati” siamo irreversibili o possano invece risultare reversibili con l’interruzione del trattamento con statina. Inoltre, l’impatto a lungo termine del diabete “statino-mediato” sulle complicanze micro e macrovascolari rimane sconosciuto. In generale i benefici della riduzione del LDL-C sugli eventi cardiovascolari appa- re preponderante rispetto al rischio cardiovascolare dell’iperglicemia (vedi anche figura 1 e considerazione correlate). Infine i pazienti che sviluppassero diabete mellito di tipo 2 in corso di trattamento con statina dovrebbero proseguire le terapia in accordo con quanto suggerito dalle linee guida nazionali ed internazionali per la prevenzione del rischio CV ed essere incoraggiati ad ottimizzare il loro stile di vita al fine di ridurre per quanto possibile la progressione della patologia macro e microvascolare.
Suggerimenti pratici per l’utilizzo delle statine in pazienti a rischio cv
La decisione di utilizzare una statina dovrebbe sempre tenere in considerazione il rapporto rischio beneficio individua- le. È chiaro che in pazienti ad elevato rischio di eventi cardiovascolari, i benefici clinici CV legati all’uso della statina sorpassano di gran lunga il rischio, piccolo in termini assoluti, di sviluppare diabete. Anche se il paziente sviluppa diabete tipo 2, il rischio associato agli eventi CV legato alla dislipidemia risulta essere di gran lunga superiore a quello propriamente legato al diabete e all’iperglicemia.
Prima di prescrivere la terapia con una statina si dovrebbe valutare in ciascun paziente non solo il rischio di eventi cardiovascolari ma anche il rischio di sviluppare diabete mellito tipo 2 (32). Le possibili conseguenze del trattamento con statine ed i suoi benefici dovrebbero quindi essere discussi direttamente con il paziente che dovrebbe al contempo essere incoraggiato ad intraprendere gli appropriati cambiamenti di stile di vita al fine di ridurre sia il rischio di eventi cardiovascolari che di sviluppare diabete mellito tipo 2. Nel complesso, l’evidenza disponibile in letteratura suggerisce che il rischio a breve termine di sviluppare diabete correlato alla terapia con statina in pazienti senza fattori di rischio per diabete tipo 2 è basso indipendentemente dalla dose e dal tipo di statina usata. Tale rischio aumenta gradualmente con l’aumento dei fattori di rischio per lo sviluppo di diabete tipo 2 (6). In una recente review sull’argomento (6) gli auto- ri ritengono che tutti i pazienti ad elevato rischio CV candidabili a terapia con statina vadano sottoposti a valutazione del rischio di sviluppare diabete tipo 2 con l’utilizzo di uno score validato a livello nazionale/internazionale (Fig. 4). Se il calcolo dello score dovesse mettere in luce un rischio basso o moderato, allora non vi sarà bisogno di valutare i livelli di glicemia a digiuno o HbA1c in fase iniziale. Al contrario, in pazienti con malattia CV o rischio CV elevato e score di rischio per lo sviluppo di diabete tipo 2 alto o molto aversione da pre-diabete a diabete tipo 2, in particolare controllo ponderale e controllo della glicemia con un accurato stile di vita cui associare l’eventuale terapia farmacologica ipoglicemizzante.
Conclusioni
Le statine rappresentano la terapia di scelta per la riduzione del rischio cardiovascolare sia nei pazienti diabetici che nei non diabetici. Benché generalmente ben tollerate e sicure, studi recenti hanno messo in luce un aumento dose- correlato di nuovi casi di diabete mellito tipo 2.
I benefici sulla riduzione del rischio cardiovascolare risultano di gran lunga superiori al rischio di sviluppare diabete nella maggior parte dei pazienti.
Tutti i pazienti da sottoporre a terapia con statina dovrebbero essere valutati per il rischio di sviluppare diabete mellito tipo 2 prima di iniziare la statina e durante il trattamento (Fig. 4). In tal senso un sano ed attivo stile di vita andrebbe sempre incoraggiato.
La terapia con statina non va sospesa nel paziente che sviluppa diabete durante trattamento ipolipemizzante, dal mo- mento che le evidenze attuali suggeriscono che anche in questi pazienti i benefici CV attesi superano di gran lunga i rischi legati al diabete tipo 2 quando appropriatamente controllato.
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