Diabete, tabagismo e disassuefazione dal fumo

Davide Campagna1, Angela Alamo2, Enrico Mondati 1,2 , Riccardo Polosa1,3

1Department of Clinical and Experimental Medicine (MEDCLIN), Università degli Studi di Catania;

2Ambulatorio di Diabetologia, UOC Medicina Interna e d’Urgenza, Policlinico Universitario, AOU “Policlinico-V. Emanuele”, Catania;

3Center of Excellence for the acceleration of HArm Reduction (CoEHAR), Università degli Studi di Catania

DOI: 10.30682/ildia1901d

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Introduzione

Il tabagismo è il consumo abituale e prolungato di tabacco, principalmente sotto forma di tabacco combusto, come nel caso archetipico del fumo di sigaretta. Sebbene il tasso di tabagismo stia diminuendo in diversi paesi, il fumo rimane una grave minaccia per la salute pubblica a livello globale, e in particolare nell’Asia orientale, dove sono presenti il maggior numero di fumatori nel mondo (1-2). L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima che entro il 2050 ci saranno un miliardo e mezzo di fumatori nel mondo (3). L’impatto negativo del fumo di sigaretta sulla salute è noto a tutti e non risparmia nessun organo o sistema del corpo umano, tanto da essere responsabile di una vasta gamma di malattie e disturbi (4-5). I rischi di sviluppare malattie cardiovascolari, patologie tumorali e malattie polmonari croniche di tipo ostruttivo (BPCO) sono fortemente correlate con il livello di consumo giornaliero di sigarette e la durata complessiva della storia di tabagismo e l’astensione prolungata riduce questi rischi (6-8).

Oltre al tabagismo, si profila un’altra preoccupante pandemia all’orizzonte. Il drammatico aumento dell’incidenza del diabete mellito di tipo 2 (T2DM) – con il numero di adulti con diabete che si è praticamente quadruplicato dal 1980 a oggi sino a raggiungere e sforare la soglia dei 400 milioni di persone (9-10) – rappresenta una formidabile sfida in tema di salute pubblica. Il diabete mellito è una condizione cronica caratterizzata da elevati livelli di zucchero nel sangue che persistono per periodi prolungati. Nel corso del tempo, l’iperglicemia cronica provoca danni irreversibili dei vasi sanguigni che determina le ben note complicanze macrovascolari (malattia coronarica, ictus e arteriopatia periferica) e microvascolari (retinopatia, nefropatia e neuropatia diabetica) della malattia (11). Pertanto, è imperativo incidere sui principali fattori di rischio modificabili per prevenire l’insorgenza del T2DM e ritardare lo sviluppo delle sue complicanze. Recentemente, il fumo di sigaretta è stato aggiunto alla lista dei fattori di rischio modificabili (12). Dato che l’esposizione al fumo di sigaretta è anche essa associata a danno vascolare, disfunzione endoteliale e attivazione della cascata emocoagulativa (13), non sorprende che gli effetti nocivi combinati di elevata glicemia con fumo di sigaretta vadano a determinare una accelerazione del danno vascolare nei pazienti diabetici che fumano. È noto infatti che il fumo di sigaretta aumenta in modo sostanziale il rischio di complicanze micro e macrovascolari nei pazienti con T2DM (14-18). Coerentemente con queste osservazioni, smettere di fumare riduce sostanzialmente questo rischio in eccesso (17-20). Pertanto la raccomandazione di smettere di fumare tra i pazienti diabetici deve essere forte e decisa come evidenziato sia dagli “ADA, Standards of Medical Care in Diabetes, 2018” (21) sia dagli “Standard Italiani AMD-SID per la Cura del Diabete Mellito 2018” (22).

Nonostante l’aumento del rischio derivante dalla combinazione di iperglicemia cronica ed esposizione regolare al fumo di sigaretta, la prevalenza del tabagismo tra le persone con diabete risulta essere del tutto simile a quella della popolazione generale (23). Negli Stati Uniti, la prevalenza tabagica si è ridotta sensibilmente, ma questo trend positivo non ha interessato i pazienti diabetici (24). Pertanto, contrastare il tabagismo tra i pazienti con DMT2 richiede un maggiore impegno e l’impiego di risorse specifiche per strategie antifumo più mirate e intensive. Ciò può essere spiegato dal forte stato di dipendenza legato al tabagismo e al consumo di nicotina oltre che dalla storia naturale della malattia caratterizzata da una fase di prediabete. Se ridurre l’esposizione al fumo di tabacco è un imperativo per la salute pubblica, lo è ancora di più per i pazienti con diabete. In questo articolo gli autori intendono fornire una panoramica delle evidenze sull’impatto del tabagismo nel contesto del diabete e con particolare riferimento al diabete di tipo 2 (T2DM) e alle sue complicanze.

Il tabagismo può causare il diabete?

Le evidenze a sostegno dell’aumentato rischio per T2DM nei fumatori sono andate consolidandosi nel corso degli ultimi 20 anni. Una prima meta-analisi di 25 studi prospettici di coorte pubblicati fino al 2007 ha dimostrato un’associazione dose-risposta tra abitudine tabagica e incidenza di T2DM (25), con un rischio relativo (RR) pari a 1,61 nei fumatori di ≥20 sigarette al giorno, a 1.29 in quelli di <20 sigarette al giorno, e a 1.23 negli ex fumatori rispetto ai non fumatori. Una metanalisi più recente, che ha preso in considerazione 88 studi di coorte prospettici pubblicati fino al 2015 (circa 6 milioni di partecipanti e 294.446 casi di T2DM di nuova insorgenza), ha convalidato la presenza di una significativa associazione tra tabagismo e rischio di T2DM (12), riportando un rischio relativo pari a 1,37 per i fumatori e a 1,14 per gli ex fumatori, rispetto ai non fumatori. Inoltre, si ribadiva una chiara associazione dose-risposta quando veniva computato nelle analisi il grado di esposizione cumulativa al fumo di sigaretta. Gli autori hanno stimato che almeno 25 milioni di casi T2DM nel mondo potrebbero essere direttamente attribuibili al fumo di sigaretta. Studi successivi a queste meta-analisi hanno confermato la associazione tra abitudine tabagica e diabete in popolazioni di giapponesi, coreani, e tailandesi (26-28).

Tuttavia, un nesso causa effetto tra fumo e T2DM non può essere stabilito con certezza dato che è impossibile escludere il ruolo di altri importanti fattori, come stress, dieta, livelli di attività fisica e distribuzione del grasso corporeo, notoriamente correlati al rischio di diabete. Al fine di capire il reale impatto del tabagismo sull’insorgenza del diabete, è utile studiare l’associazione tra tabagismo da solo e pre-diabete scartando altri fattori di rischio quali stress, dieta, livello di attività fisica e distribuzione del grasso corporeo.

Uno studio trasversale di 2.142 europei sani di età compresa tra 25 e 41 anni ha valutato la relazione tra esposizione cumulativa al fumo e pre-diabete (29) e dimostrato un rischio significativamente aumentato di pre-diabete, con odds ratio (OR) pari a 1.82 nei fumatori rispetto ai non fumatori. Come nel T2DM, anche nel pre-diabete si ravvede una chiara associazione dose-risposta con OR progressivamente crescenti nei fumatori con un’esposizione al fumo <5 pack-years (OR per pre-diabete pari a 1.34), da 5 a 10 pack-years (OR per pre-diabete pari a 1.80), e >10 pack-years (OR per pre-diabete pari a 2.51). La dimostrazione di un rischio significativamente aumentato di pre-diabete rispetto ai non fumatori è stata confermata in un piccolo campione di fumatori nel New Mexico (30). Se confrontato con i risultati delle metanalisi dei pazienti diabetici, il rischio di associazione con il pre-diabete risulta molto più elevato (31). Questa discrepanza è giustificata dalle piccole dimensioni campionarie e da un disegno cross-sezionale degli studi condotti in soggetti con pre-diabete.

Inoltre, come dimostra la metanalisi di Pan et al. (12) anche l’esposizione al fumo passivo è associata ad un aumentato rischio di sviluppare diabete con un RR di 1.22, anche se in misura minore rispetto al fumo passivo (RR di 1.37).

Sebbene ci siano tutti i presupposti per accreditare il tabagismo tra i fattori di rischio per il diabete, ulteriori indagini saranno necessarie per confermare se esista o meno un nesso di causalità tra tabagismo e diabete.

Tabagismo e complicanze macrovascolari

Le complicanze macrovascolari quali cardiopatia ischemica, ictus e arteriopatia periferica sono la principale causa di morbilità e mortalità per le persone con diabete (32). Il fumo è un ben noto fattore di rischio per la malattia cardiovascolare nella popolazione generale e pertanto risulta intuitivo che il fumo accresca il rischio di complicanze macrovascolari nei pazienti diabetici.

Una ampia revisione sistematica su studi di coorte pubblicati prima del 2015 (20) (che ha incluso 48 studi su fumo e rischio di mortalità totale, 13 su mortalità cardiovascolare, 16 su CVD totale, 21 su cardiopatia ischemica – CHD, 15 su ictus, 3 su malattia arteriosa periferica e 4 su insufficienza cardiaca) ha dimostrato che il tabagismo aumentava mediamente del 50% il rischio per vari esiti cardiovascolari nei pazienti con T2DM. Nel caso di malattia arteriosa periferica l’accrescimento del rischio era particolarmente rilevante, con un rischio relativo più che raddoppiato nei fumatori diabetici. Negli ex fumatori si ravvedeva un lieve (10-20%) eccesso di rischio per mortalità totale, mortalità cardiovascolare, CVD totale e CHD, rispetto ai diabetici non fumatori. Questi dati sono stati suffragati da studi più recenti. In uno studio retrospettivo di coorte condotto su 132.462 pazienti con T2DM ad Hong Kong, il tabagismo era associato ad un aumentato rischio di mortalità per tutte le cause sia negli uomini (RR=1,71) sia nelle donne (RR=2,04) (33). In un follow-up prospettico condotto in Finlandia su di 28.712 uomini e 30.700 donne, si dimostrava un rischio molto più elevato per CHD nei fumatori con T2DM (HR 3.27 per gli uomini; HR 4.55 per le donne) rispetto ai fumatori senza diabete (HR 1,56 per gli uomini; HR 2,60 per le donne). Risultati simili sono stati osservati per il dato relativo alla mortalità totale (34).

Tabagismo e complicanze microvascolari

Diversi studi hanno esaminato la relazione tra tabagismo e complicanze microvascolari (principalmente nefropatia, neuropatia e retinopatia diabetica), ma i risultati non sono del tutto concordanti.

Diversi studi epidemiologici hanno dimostrato che il fumo incrementa il rischio di incidenza e progressione della nefropatia nelle persone con diabete mellito (35). Se l’associazione tra fumo e funzionalità renale e malattia renale cronica risulta sufficientemente documentata nel T1DM (36-40), l’evidenza nei pazienti con T2DM è incerta. Per esempio, il dato che l’abitudine tabagica si associ a una significativa diminuzione della GFR è dimostrato solo nei pazienti di sesso maschile. In questi il rapporto di probabilità di avere una bassa GFR risulta essere oltre il doppio rispetto ai pazienti T2DM non fumatori (OR=2.20) (41). Tuttavia, una più rapida progressione della nefropatia diabetica si osserva con una certa frequenza nei pazienti con T2DM che fumano (42-44).

L’associazione tra tabagismo e rischio di neuropatia diabetica è stata esaminata in due autorevoli pubblicazioni. Lo studio EURODIAB Prospective Complications ha seguito mediamente per 7,3 anni pazienti con T1DM (45). Dopo un periodo di 7.3 anni il 24% dei pazienti ha sviluppato neuropatia e proprio il fumo è stato identificato come fattore di rischio (OR=1.68). In uno studio più recente i pazienti con T2DM sono stati seguiti mediamente per 3,1 anni (46). Tra i 211 pazienti (il 24% del totale) che avevano sviluppato neuropatia, il fumo risultava essere associato a un ridotto rischio per neuropatia (OR=0.29) dopo le opportune correzioni dei fattori confondenti noti (es. HbA1c, durata del diabete, pressione arteriosa sistolica, parametri lipidici del sangue e BMI). I rapporti intercorrenti tra fumo e rischio di neuropatia diabetica sono stati ulteriormente approfonditi in una recente revisione sistematica di 10 studi di coorte (che includeva anche i due sopra menzionati) (47). Su un totale di 5.558 pazienti, sono stati osservati 1.550 casi di neuropatia diabetica di nuova incidenza su un arco temporale compreso tra i 2 e i 10 anni; il rapporto di probabilità per neuropatia risultava essere marginalmente (oltre che non significativamente) elevato (OR=1.26; IC 95% 0,86-1,85). Ad una analisi più approfondita, l’associazione risultava significativa nei pazienti con T1DM (OR=1.74; 7 studi), ma non nei pazienti con T2DM (OR=0.65; 3 studi). Poiché il numero di studi prospettici che hanno valutato i rapporti tra fumo e neuropatia nei pazienti con T2DM sono solo tre, saranno necessarie ulteriori verifiche.

Se sembra acclarato che il tabagismo incrementi il rischio per retinopatia diabetica nei pazienti con T1DM (48-49) nel caso del T2DM il fumo ha effetti discrepanti, talvolta anche con riduzione del rischio nei confronti della retinopatia (50-54). Per esempio, in ambedue i follow-up (a 4 e 10 anni) del Wisconsin Epidemiologic Study of Diabetic Retinopathy, il tabagismo non risultava statisticamente associato al rischio o alla progressione della retinopatia diabetica (51-52). Nello studio UKPDS è stato persino dimostrato un effetto protettivo del tabagismo, con un ridotto rischio (RR=0.63) per retinopatia diabetica di nuova insorgenza nel follow-up a 6 anni nei 1216 pazienti con T2DM (50). Inoltre, nello stesso studio, la progressione della vasculopatia nei 703 pazienti con diagnosi di retinopatia diabetica al momento dell’arruolamento risultava molto meno rapida nei pazienti fumatori rispetto ai non fumatori.

La disassuefazione tabagica riduce l’incidenza di diabete?

I dati della letteratura mostrano che il rischio di T2DM di nuova insorgenza aumenta in coloro che smettono di fumare. Ciò nondimeno, questo rischio tende a diminuire progressivamente nel lungo periodo. Una revisione sistematica di 10 coorti prospettiche ha esaminato l’impatto della cessazione del fumo sul rischio di T2DM (12) e in coloro che avevano smesso da meno di 5 anni si osservava un significativo incremento del rischio (RR=1.54) rispetto ai non fumatori. Tuttavia, questo rischio si riduceva progressivamente nel medio (RR=1.18; 5-9 anni) e nel lungo (RR=1.11; ≥10 anni) termine. L’analisi dei sottogruppi mostrava che l’aumento del rischio a breve termine era più evidente negli asiatici che nelle popolazioni europee o del nord America (12). Ciò è in linea con i risultati di uno studio condotto su 53.930 dipendenti giapponesi del Japan Epidemiology Collaboration on Occupational Health Study (25), in cui il significativo incremento del rischio (RR=1.36) negli ex-fumatori che avevano smesso da meno di 5 anni si riduceva progressivamente in coloro che avevano smesso tra 5 e 9 anni (RR=1.23) e da oltre 10 anni (RR=1.02). In un altro studio condotto su 8.452 pazienti T2DM di sesso maschile a Taiwan, l’incremento del rischio relativo (RR) nei fumatori rispetto ai non fumatori risultava pari a 1.50. Smettere di fumare contribuiva ad aumentare il rischio per T2DM così nel primo (RR=1.83) come anche nel secondo anno di astinenza dal fumo (RR=2.02) (55). Tuttavia, il rischio si riduceva rapidamente già a partire dal terzo anno di astinenza.

Rimangono tutte da chiarire le ragioni per cui il rischio di T2DM di nuova insorgenza aumenti non appena si smetta di fumare. Una possibilità è che ciò possa dipendere dal grado di esposizione cumulativa al fumo prima di smettere, poiché alcuni studi hanno rilevato che l’aumento del rischio è significativo nei fumatori inveterati piuttosto che in quelli leggeri (56-58). Il dato di un più evidente aumento di questo rischio negli asiatici rispetto agli europei o agli americani potrebbe dipendere dal fatto che grado di esposizione cumulativa al fumo è generalmente molto elevato negli asiatici. Infine, l’aumento di peso post-cessazione e il conseguente sviluppo di insulino-resistenza possono dare ragione dell’aumento del rischio non appena si smetta di fumare.

Impatto della disassuefazione tabagica sulle complicanze del diabete

Come per la popolazione generale (59-60), smettere di fumare dimostra chiari benefici in termini di riduzione o rallentamento del rischio per morbilità e mortalità cardiovascolare anche nei pazienti diabetici. Una ampia revisione sistematica di studi di coorte in pazienti diabetici ha dimostrato un ridotto rischio cardiovascolare negli ex fumatori rispetto ai fumatori (20). Nei pazienti T2DM, è noto che smettere di fumare riduce il rischio CVD sia a breve sia a lungo termine, anche indipendentemente dall’incremento ponderale (61-62). Inoltre, i dati di 11.140 pazienti con T2DM nello studio ADVANCE hanno dimostrato che smettere di fumare si associava a una riduzione del 30% della mortalità per tutte le cause sia negli uomini che nelle donne e i benefici per la riduzione degli eventi cardiovascolari erano generalmente più consistenti nei pazienti che avevano smesso di fumare per oltre 10 anni rispetto a quelli che avevano smesso solo da poco tempo (63). Più di recente, uno studio multicentrico spagnolo che ha valutato il rischio stimato di malattia coronarica in 890 diabetici dimostrava una riduzione del rischio relativo (RRR) per malattia coronarica (CHD) negli ex-fumatori rispetto ai fumatori pari al 22% a 10 anni (63). Da notare che tra i pazienti ex-fumatori coloro che traevano maggior beneficio erano quelli con scarso controllo glicemico (HbA1c >7%) rispetto ai pazienti con controllo glicemico adeguato (HbA1c ≤7%).

Per quanto riguarda le complicanze microvascolari, gli studi sono limitati e non conclusivi. Ad esempio, due studi hanno mostrato che la disassuefazione dal fumo tra i pazienti con nefropatia diabetica migliorava la progressione della nefropatia esistente (18, 44), ma il suo impatto sulla comparsa di nefropatia diabetica di nuova incidenza non è stato studiato. Lo studio ADVANCE ha riportato che l’abitudine tabagica era associata a un aumento del rischio per nefropatia pari al 30% (HR 1.30; IC 95% 0.99-1.72); si osservava un aumento del rischio anche negli ex fumatori, ma non statisticamente significativo (HR 1.10 negli uomini, IC 95% 0.87-1.38; HR 1.22 nelle donne, IC 95% 0.78-1.90) (64).

In sintesi, le evidenze a sostegno dei benefici della cessazione del fumo sulla riduzione del rischio di complicanze macrovascolari tra i pazienti diabetici sono concordi. Meno chiaro invece l’impatto della disassuefazione tabagica nei confronti del rischio per complicanze microvascolari, con eccezione della nefropatia diabetica che sembra migliorare. Saranno necessari ulteriori studi prospettici per meglio documentare e quantificare la riduzione del rischio di complicanze nei pazienti diabetici che smettono di fumare.

Tabagismo e controllo glicemico

L’effetto del tabagismo sul controllo glicemico nei pazienti diabetici è poco studiato e i risultati sono spesso contraddittori. Il fumo di sigaretta determina un peggioramento della resistenza all’insulina nei pazienti diabetici (65) e pertanto smettere di fumare può migliorare il controllo glicemico. Ma il quadro è complicato dal fatto che allo smettere spesso consegue spesso un incremento ponderale (66), che può determinare peggioramento del controllo glicemico.

Uno studio giapponese condotto su 25 fumatori diabetici ha dimostrato un peggioramento del controllo glicemico in coloro che avevano smesso rispetto ai pazienti che continuavano a fumare (67). Anche lo studio di coorte inglese THIN (The Health Improvement Network) mostrava che, in pazienti con T2DM, la disassuefazione dal fumo era associata al deterioramento del controllo glicemico (68-69). I dati del Registro del diabete di Fukuoka (70) e del Registro nazionale svedese del diabete (71) hanno dimostrato che i livelli di HbA1c aumentavano progressivamente con il numero di sigarette fumate al giorno. Ma, altri studi non hanno confermato alcuna presenza di associazione tra fumo e controllo glicemico (65, 72).

Infine, in un recente studio di coorte su 10.551 uomini e 15.297 donne cinesi con diabete, il tabagismo era associato ad un aumentato rischio (OR di 1.49 negli uomini e di 1.56 nelle donne) per scarso controllo glicemico (definito come HbA1c ≥7.0%, e particolarmente nei pazienti anziani (73). La relazione è dipendente dalla dose e indipendente dai fattori confondenti tradizionali, inclusi i fattori sociodemografici e di stile di vita. Inoltre, l’aumentato rischio per scarso controllo glicemico rispetto ai non fumatori tornava a normalizzarsi solo dopo almeno 10 anni di astinenza dal fumo.

Questi risultati contrastanti potrebbero essere spiegati dalle differenze nelle popolazioni oggetto di studio e dalle discrepanze nell’adattamento dei fattori confondenti. In particolare, fattori legati allo stile di vita non venivano presi in considerazione in alcuni studi.

Disassuefazione dal fumo nei diabetici fumatori

Nonostante l’ovvia considerazione che smettere di fumare contribuisce al miglioramento generale della salute, è verosimile che l’astinenza dal fumo produca benefici specifici nei pazienti diabetici. Non è un caso che sia gli Standard Italiani AMD-SID per la Cura del Diabete Mellito (22) sia le più recenti linee guida promosse dalla American Diabetes Association (ADA) (74) abbiano dedicato un intero capitolo alla voce “smoking cessation” evidenziando l’importanza di far smettere i diabetici fumatori non solo per permettere loro una qualità di vita migliore, ma anche per cercare di ritardare il più possibile l’insorgere delle complicanze del diabete e di ostacolarne la progressione.

Le terapie per smettere di fumare attualmente disponibili sono in grado di raddoppiare o persino triplicare i tassi di abbandono (73-74). Tuttavia, secondo un sondaggio di Diabetes UK, sono ancora molti i fumatori con diabete (circa il 64,1%) che non ricevono alcuna assistenza o consigli per smettere (75). A questo va aggiunto che non si ha convincente dimostrazione di interventi di disassuefazione efficaci nei pazienti con diabete (76) e ulteriori studi saranno necessari per fornire prove concrete di interventi efficaci per smettere di fumare tra i pazienti diabetici. Pertanto non deve sorprendere se la prevalenza del tabagismo tra individui con diabete continua ad essere del tutto paragonabile a quella riscontrata nella popolazione generale (22,77) con un trend alla riduzione significativamente meno marcato nei diabetici rispetto alla popolazione generale (23, 78). Di conseguenza, il contrasto del tabagismo nei pazienti diabetici richiede un maggiore impegno e l’impiego di strategie antifumo personalizzate.

Il percorso di disassuefazione dal fumo è un percorso a ostacoli, dove il rischio di ricaduta è sempre dietro l’angolo. Il supporto medico-psicologico alle terapie farmacologiche standard risulta quindi di fondamentale importanza per ottenere i migliori risultati possibili. In particolare, l’intervento di uno psicologo formato al counseling antifumo e al colloquio motivazionale fa sì che l’intero percorso venga compiuto dal paziente. Una recente revisione di Cochrane ha dimostrato che un counseling personalizzato di >10 min aumenta significativamente la probabilità di smettere sino al 40-60% (79). Al diabetico fumatore va fatto presente che il fumo di sigaretta aumenta il rischio di sviluppare complicazione di malattia, influisce negativamente sul controllo della glicemia e aumenta la resistenza all’insulina. La letteratura ben chiarisce come counseling e farmaci funzionino in sinergia e siano entrambi fondamentali e inscindibili (73-74, 80). I farmaci di prima linea utilizzati per aumentare le probabilità di successo nel percorso di disassuefazione tabagica in coloro che intendono smettere comprendono la terapia sostitutiva con nicotina (NRT), il bupropione e la vareniclina (73-74, 82).

La NRT è disponibile in diverse formulazioni: gomme da masticare, inalatori, compresse masticabili, spray e cerotti transdermici. Il loro meccanismo d’azione principale è quello di sostituire la nicotina assunta tramite fumo di sigaretta, riducendo così la gravità dei sintomi astinenziali e aiutando così il fumatore a smettere (83). Le diverse formulazioni potrebbero avere un impatto distinto sui sintomi astinenziali o sugli stimoli a fumare, ma che una certa formulazione di NRT sia più efficace di un’altra non è pienamente dimostrato. Rispetto al placebo, il trattamento a base di NRT raddoppia le probabilità di successo nello smettere di fumare, prescindendo dalla specifica formulazione (84-86).

Sebbene non formalmente regolamentate come prodotto farmaceutico, le sigarette elettroniche sono di fatto dei sostitutivi nicotinici. Si tratta di dispositivi alimentati a batteria che vaporizzano la nicotina presente nel liquido di ricarica per sigarette elettroniche e, come la NRT, sono in grado di ridurre la gravità dei sintomi astinenziali e aiutando così il fumatore a smettere (87-88). Una dimostrazione formale a sostegno dell’efficacia e della sicurezza di questi dispositivi deriva dai risultati concordi di studi clinici randomizzati (89-91). In particolare, il più recente di questi, ha dimostrato che le sigarette elettroniche sono mediamente due volte più efficaci della NRT per far smettere di fumare (91).

I sostitutivi nicotinici – in virtù dei noti effetti sulla stimolazione neurale simpatica e sul rilascio di catecolamine – possono avere un impatto negativo sul sistema cardiovascolare e sul metabolismo glicidico (92-93). In particolare, alcuni autori hanno sollevato preoccupazioni circa l’uso della NRT in pazienti con diabete scompensato dato che la nicotina può aumentare la resistenza all’insulina (93-94). In teoria, quindi, bisogna considerare la possibilità di un eventuale peggioramento clinico-metabolico del diabete e delle sue complicanze in corso di terapia NRT. Alcuni studi hanno dimostrato una associazione tra uso della NRT e comparsa di eventi cardiovascolari gravi (es. infarto miocardico), e specialmente in quei pazienti che continuavano a fumare (95). Due meta-analisi hanno successivamente dimostrato un aumento dei sintomi cardiovascolari (tra cui tachicardia e dolore toracico) (96-97), ma non la comparsa di eventi cardiovascolari maggiori (definiti come morte cardiovascolare, infarto miocardico non fatale e ictus non fatale) (97). In un recente studio di coorte condotto su 50.214 fumatori che hanno tentato di smettere di fumare (98), la NRT per tempi brevi (4 settimane) non sembrava avere impatto sul rischio cardiovascolare. Tuttavia, la stessa valutazione su periodi prolungati (52 settimane) mostrava un aumento degli eventi cardiovascolari per i pazienti in trattamento con NRT, rispetto a quelli che ricevevano solamente consulenza antifumo. Sebbene non siano disponibili specifiche raccomandazioni per fumatori affetti da diabete mellito, è ragionevole limitare nel tempo l’uso della terapia sostitutiva con nicotina.

Sebbene inizialmente sviluppato e commercializzato come antidepressivo, il bupropione è poi di fatto diventato il primo trattamento orale senza nicotina approvato per smettere di fumare. Inibisce il re-uptake di norepinefrina e dopamina a livello delle sinapsi neuronali nel sistema nervoso centrale, comportandosi come antagonista non competitivo dei recettori della nicotina. In una revisione Cochrane si è visto che il bupropione raddoppia le probabilità di smettere di fumare rispetto al placebo, prescindendo dalla presenza o meno di depressione (99). I tassi di cessazione risultano praticamente simili a quelli ottenuti con la NRT (99). Il bupropione è risultato sicuro anche in pazienti con malattie cardiovascolari, sebbene siano stati riportati occasionalmente aumenti della pressione arteriosa nei fumatori con ipertensione (100). Sebbene non siano disponibili studi nel diabete, l’uso di bupropione può essere considerato sicuro per i pazienti diabetici. Un certo numero di trial clinici randomizzati hanno evidenziato che il bupropione è in grado di limitare l’incremento di peso che spesso si manifesta quando si smette di fumare (101-102), e potrebbe essere quindi proposto come trattamento di scelta nei diabetici obesi.

La vareniclina è un agonista parziale selettivo dei recettori nicotinici α4β2 presenti nell’area tegmentale ventrale del cervello, che agisce attenuando i sintomi astinenziali che insorgono quando si cerca di smettere di fumare (103-104). Molti studi clinici randomizzati hanno confermato l’efficacia della vareniclina. Una revisione Cochrane ha concluso che la vareniclina ha più che raddoppiato le probabilità di smettere di fumare rispetto al placebo (105). Inoltre, la vareniclina dimostra la sua superiore efficacia rispetto a qualsiasi forma di monoterapia con bupropione o con NRT (105-106). Sebbene sia acclarato che la vareniclina accresca significativamente il tasso di successo nel breve e medio termine nei confronti della associazione con la NRT e della NRT in monoterapia, nel lungo termine questo vantaggio non risulta confermato (107-108). Per quanto attiene al profilo di sicurezza, la vareneclina appare sicura e ben tollerata dai pazienti affetti da diabete. Una analisi retrospettiva dei dati ottenuti dai partecipanti di 15 trial clinici randomizzati con vareneclina ha dimostrato che la distribuzione del numero di eventi avversi nei pazienti affetti da diabete (principalmente nausea e cefalea) era sovrapponibile a quella dei partecipanti senza diabete (109). A tale proposito, il nostro gruppo di lavoro ha appena ultimato il primo studio randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo sull’efficacia e la sicurezza della vareniclina in fumatori con DMT2 (110).

Conclusioni

In sintesi, le prove attuali dimostrano che il fumo è un importante fattore di rischio per la morbilità e la mortalità cardiovascolare nei pazienti diabetici. L’aumento del rischio, anche se statisticamente significativo, è molto più contenuto negli ex fumatori rispetto ai non fumatori. Anche se il ruolo del tabagismo e l’impatto della disassuefazione dal fumo nei confronti delle complicanze microvascolari non è stato del tutto chiarito, smettere di fumare rimane un obiettivo primario per i pazienti diabetici al fine di ridurre il rischio di complicanze (macro)vascolari.

Le attuali raccomandazioni sottolineano l’importanza di identificare e mettere sistematicamente in guardia tutti i fumatori e i fumatori con diabete non fanno eccezione. I medici hanno pertanto la responsabilità di allertare i loro pazienti con diabete circa i rischi aggiuntivi del fumo. Il richiamo deve essere deciso e va personalizzato: “Smettendo, non solo migliorerà il suo stato di salute generale ma anche il suo diabete. Lo sapeva?”. Successivamente, bisogna impegnarsi ad assistere i pazienti che desiderano smettere con programmi di disassuefazione personalizzati. Ciò comporta un piano di collaborazione con il paziente per stabilire la data di cessazione e rispettare un programma di follow-up condiviso con frequenti visite di controllo. Il medico dovrebbe valutare la necessità di prescrivere farmaci per il trattamento della dipendenza da nicotina, per ridurre i sintomi chiave dell’astinenza conseguenti alla brusca interruzione dell’assunzione di nicotina (tra cui citiamo: umore disforico o depresso, irritabilità, frustrazione o rabbia, ansia e irrequietezza, aumento della tosse, aumento dell’appetito, incremento del peso, senso di debolezza e stitichezza). Per ottenere i migliori risultati, è consigliabile combinare l’approccio farmacologico con un intervento di counseling cucito su misura. Purtroppo, il forte legame con il fumo di sigaretta crea un enorme ostacolo, anche per coloro che hanno un forte desiderio di smettere, tanto che potrebbero essere necessari diversi tentativi e trattamenti prima di ottenere un’astinenza duratura. Laddove non si riesca ad avere successo, è utile proporre una strategia basata sulla riduzione del rischio mediante uso di strumenti tecnologici alternativi senza combustione (es. sigarette elettroniche e dispositivi a tabacco riscaldato) (111-112).

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