Dai vecchi ai nuovi farmaci ipolipemizzanti per il paziente diabetico

Sabrina Pigozzo, Enzo Manzato

Dipartimento di Medicina-DIMED, Clinica Geriatrica, Università degli Studi di Padova

Introduzione

Tra il 2010 e il 2030 si considera che il numero di adulti con diabete aumenterà del 20% nei paesi sviluppati e del 69% nei paesi in via di sviluppo e si prevede che nel mondo il numero di persone con diabete di tipo 2 aumenterà dai circa 350 milioni attuali ai 592 milioni entro il 2035 (1). Anche se la differenza di rischio cardiovascolare tra gli individui con e senza diabete si è ridotta sostanzialmente negli ultimi decenni, rimane una forte associazione tra queste due variabili ed evidenze epidemiologiche dimostrano l’esistenza di una associazione indipendente tra diabete e patologia aterosclerotica (2-3).

È stato stimato che il diabete riduce la vita di una persona di 50 anni in media di sei anni, circa il 58% di questo effetto è dovuto all’aumento di patologie vascolari e, se sono già presenti patologie cardiache, il rischio di futuri eventi cardiovascolari è più elevato (4). L’aumento del rischio è dovuto a diversi fattori, alcuni non modificabili (età, genere e genetica) e altri “tradizionali” come ipercolesterolemia, iperglicemia, ipertensione e fumo di sigaretta. Un altro importante fattore di rischio per malattie cardiovascolari è la dislipidemia aterogena, caratterizzata da elevate concentrazioni plasmatiche a digiuno e postprandiali di lipoproteine ricche in trigliceridi, lipoproteine a bassa densità (LDL) piccole e dense più facilmente ossidabili e ridotti livelli di colesterolo nelle lipoproteine ad alta densità (HDL). Numerosi studi hanno documentato il beneficio delle terapia ipolipidemizzante nel prevenire la morbilità e mortalità per malattie cardiovascolari evidenziando l’importanza clinica di un corretto trattamento farmacologico delle dislipidemie.