Nodi e intrecci di una rete: evidenze ed esperienze a confronto
DOI: 10.30682/ildia1901l
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Magnesemia, diabete mellito e sindrome coronarica acuta
Arvia C, Ripoli A
Fondazione Toscana Gabriele Monasterio/CNR Regione Toscana, Pisa
Diversi studi hanno riportato un’associazione tra ipomagnesemia coronaropatia, DM2 e rischio aritmico. In questo studio è stata rilevata la magnesemia al momento del ricovero in 96 pazienti diabetici e 98 pazienti non diabetici ricoverati per infarto miocardico. È stata riscontrata differenza significativa tra i diabetici e non diabetici per la distribuzione delle magnesemie inferiori alla norma (p=0.001). Nel 19,8 % dei soggetti con diabete sono state riscontrate alterazioni di magnesemia al di sotto del range di normalità, mentre nei soggetti non diabetici ipomagnesemia è stata riscontrata solo nel 4,1 % dei soggetti esaminati. Nel sottogruppo dei pazienti con diabete mellito di tipo 2 sono state studiate le correlazioni tra i valori di magnesemia e quelli di glicemia e di emoglobina glicata; i risultati hanno evidenziato una debole relazione (R=0.235, p=0.071) e nessuna relazione staticamente significativa (R=-0.086, p=0.813) rispettivamente nel caso della glicemia e nel caso della glicata. Significativa differenza stastistica è stata invece rilevata quando i soggetti con diabete sono stati differenziati in base alla terapia; i valori di magnesemia sono risultati significativamente più bassi nei soggetti in terapia insulinica (1.765 +/- 0.327 vs 2.037 +/- 0.272, p=0.003).
In questo studio in corso di sindrome coronarica acuta è stata rilevata nei soggetti con diabete maggiore frequenza di ipomagnesemia rispetto ai soggetti non diabetici. Dato importante è stato il riscontro magnesemia significativamente più bassa nei soggetti diabetici in terapia insulinica. Questi risultati rafforzano l’importanza di valutare attentamente questo elettrolita nei diabetici, soprattutto se in trattamento insulinico e in corso di sindrome coronarica anche con lo scopo di prevenire eventi aritmici.
DIABETE E GRAVIDANZA: IL PERCORSO CONDIVISO
Bigiarini M¹, Baggiore C¹ , Nasto R², Del Carlo P²
¹Dipartimento di Medicina e Specialità Mediche SOC Diabetologia USL Toscana Centro, Ospedale San Giovanni di Dio, Firenze; ²Dipartimento Materno Fetale UO Ostetricia USL Toscana Centro, Ospedale San Giovanni di Dio, Firenze
Cos’è cambiato negli anni negli ambulatori di diabetologia nel trattamento del diabete gestazionale?
Con l’adozione dei criteri diagnostici IADPG e con il graduale innalzamento dell’età media delle donne che iniziano una gravidanza, le gravidanze che ci troviamo a seguire sono aumentate e non raramente gravate da problematiche metaboliche plurime e criticità. Il percorso che è stato messo a punto presso l’Ospedale San Giovanni di Dio di Firenze sposta il lavoro del diabetologo negli ambulatori di Patologia Ostetrica. La gestante con diagnosi di DMG accede personalmente all’Ospedale con la richiesta di visita per diabete in gravidanza e viene accolta dal personale infermieristico di diabetologia: vengono fornite indicazioni sul significato della diagnosi e rilasciati due appuntamenti: valutazione dietetica e prima visita per DMG.
La paziente viene quindi educata all’autocontrollo glicemico e sensibilizzata al mantenimento dei valori glicemici di riferimento per la gravidanza. Nel corso del primo appuntamento le gestanti vengono riunite presso gli ambulatori di patologia ostetrica per un breve incontro di gruppo svolto in co-presenza da diabetologo e ginecologo, per spiegare significato e rischi materno fetali del diabete in gravidanza ed illustrare il percorso assistenziale. Quindi la paziente viene valutata individualmente, e, sulla base dei dati ecobiometrici e del compenso glicometabolico si programmano i controlli successivi.
Le visite di controllo, diabetologica e ostetrica, vengono svolte separatamente dagli specialisti, ma nella stessa mattina negli ambulatori di Ostetricia e in stanze contigue.
Questa condivisione degli spazi giova alla collaborazione reciproca, allo scambio di informazioni e pareri, all’approfondimento di casi particolari, oltre che alla gratificazione degli operatori.
Screening di popolazione ed inquadramento di persone ad alto rischio metabolico presso la Comunità Cinese di Prato
Cadirni A, Lamanna C, Guizzotti S, Calabrese M
SOS Diabetologia USL Toscana Centro, sede Prato
Da Gennaio 2018 è stato avviato il progetto di screening sulla popolazione cinese residente a Prato, al fine di valutare la prevalenza del diabete ed individuare un percorso di cura maggiormente accessibile. Le valutazioni sono state effettuate direttamente all’interno del quartiere cinese e con la collaborazione di mediatrici culturali dell’associazione cinese. Questo ha reso possibile una partecipazione significativa da parte della popolazione cinese al progetto.
I soggetti sottoposti allo screening, da parte di infermiere dedicato, sono stati infatti 974, in circa 4 mesi, il 38% dei quali di sesso maschile ed il 62% di sesso femminile, di età media di 47 ± 10 aa.
Di questi sono risultati normoglicemici il 49%, disglicemici il 37%, affetti da diabete mellito di tipo 2 neodiagnosticato il 3.7%, con diabete noto il 7.7%, mentre il 2.9% non ha concluso lo screening.
Sono stati sottoposti alla valutazione clinica diabetologica 105 soggetti di età compresa tra i 20 ed i 79 anni: 48 di sesso maschile e 57 di sesso femminile. Tutti i pazienti con neodiagnosi di diabete sono stati sottoposti a visita medica specialistica e counselling nutrizionale. A completamento diagnostico sono stati prescritti esami di laboratorio ed impostato terapie ipoglicemizzanti personalizzate. Per quanto riguarda la valutazione dei soggetti con diabete già noto, alcuni di questi sono risultati essere già in carico presso la diabetologia, altri in gestione del medico di medicina generale ed altri ancora, la maggioranza, privi di percorso assistenziale definito. I soggetti disglicemici, sono stati educati alla prevenzione, attraverso consigli alimentari e suggerimenti riguardanti l’attività fisica e sono stati invitati a proseguire le indagini diagnostiche attraverso gli esami di laboratorio.
Qualora fossero evidenziate dallo screening anche alterazioni della pressione arteriosa o dei lipidi è stata inserita terapia specifica.
Le visite di follow-up sono state cadenzate sulla base delle esigenze dei soggetti e questo ha permesso di agevolare le difficoltà relative soprattutto agli impegni lavorativi.
Nonostante la manifestata attenzione, soprattutto al primo controllo, legata anche alla preoccupazione relativa allo stato di salute, talvolta ai controlli successivi si è manifestata scarsa aderenza alla terapia, senza motivazioni concrete. In alcuni casi è stato comunque possibile interagire con il medico di medicina generale che ha provveduto a richiedere gli esami consigliati.
Le criticità maggiori riscontrate durante l’attività sono state l’indisponibilità a proseguire il percorso di cura attraverso l’accesso alla diabetologia e di conseguenza la scarsa possibilità di effettuare i completamenti diagnostici necessari per lo screening delle complicanze oltre che, per un numero cospicuo di persone, la assenza di iscrizione al SSN.
TERAPIA FOTODINAMICA ANTIMICROBICA NELLE ULCERE DIABETICHE INFETTE: STUDIO PRELIMINARE MULTICENTRICO
Caliri M1, Scatena A2, Landi L1, Ricci L2, Mannucci E1, Monami M1
1Diabetologia – Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi, Firenze; 2Diabetologia – Ospedale San Donato, Arezzo; 3Clinic for Endocrinology, Diabetology and Geriatric Medicine, Klinikum Stuttgart – Krankenhaus Bad Cannstatt, Stoccarda, Germany
Obiettivo. L’aumento di resistenze dei batteri agli antibiotici e la frequente co-morbilità dei pazienti rendono problematico il trattamento delle infezioni del piede diabetico. In questo contesto la terapia fotodinamica può essere un utile strumento per trattare le ulcere infette. Lo scopo di questo studio è quello di valutare l’effetto di ripetute applicazioni di derivati di phthalocyanine (RLP068) sulla carica batterica e sul processo di guarigione. Metodi. La presente analisi è stata eseguita su pazienti con ulcere clinicamente infette che sono stati trattati con RLP068. È stato raccolto un campione per coltura microbiologica alla prima visita prima e immediatamente dopo l’applicazione di RLP068 sulla superficie dell’ulcera e l’area è stata illuminata per 8 minuti con luce rossa. L’intera procedura è stata ripetuta tre volte a settimana in due centri e (Firenze e Arezzo: Campione A) e due volte a settimana nel terzo centro (Stoccarda, Germania: Campione B). Risultati. Il campione A e B erano composto da 55 e 9 pazienti rispettivamente. Nel campione A, la carica batterica è diminuita significativamente dopo ogni singolo trattamento, e il beneficio persiste per 2 settimane. Effetti simili al primo trattamento sono stati osservati nel campione B.
Sia nel campione A che B l’area dell’ulcera mostrava una significativa riduzione durante il follow-up anche in pazienti con ulcere infette da Gram- o con esposizione ossea. Conclusioni. RLP068 sembra essere una promettente procedura topica per la gestione delle ulcere infette del piede diabetico.
Lo screening precoce del diabete gestazionale non si associa a benefici materno-fetali immediati
De Gennaro G1, Bianchi C1, Romano M2, Aragona M1, Battini L2, Del Prato S1, Bertolotto A1
1U.O. Diabetologia; 2U.O. Ginecologia e Ostetricia; Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana
Dal 2011 le Linee Guida Italiane raccomandano lo screening precoce del diabete gestazionale (GDM) nelle donne ad alto rischio. Tuttavia non sono disponibili dati sugli outcome materni e fetali di tale approccio. Obiettivo dello studio è stato valutare se lo screening precoce del GDM possa migliorare alcuni di questi outcome.
Sono state prese in esame 298 donne (età media 34.6±5.1 anni; BMI pregravidico 30.2±6.1 Kg/m2; 30.7% con pregresso GDM; 62.7% obese e 14.6% con alterata glicemia a digiuno al I trimestre di gravidanza) afferite presso il Servizio di Diabetologia dell’Ospedale di Pisa per lo screening di GDM tra Gennaio 2013 e Dicembre 2016.
Il 52% delle donne ad alto rischio ha correttamente eseguito lo screening precoce a 16-18 settimane di gravidanza, mentre il restante 48% ha eseguito solo lo screening tardivo (24-27 settimane gestazionali). La prevalenza di GDM era pari a 62%. Nelle donne che hanno eseguito screening precoce il GDM è stato diagnosticato nel 92.5% dei casi all’epoca della prima valutazione e nel 36.6% alla seconda valutazione. La prevalenza di GDM nelle donne che hanno eseguito solo lo screening tardivo era 64.4%. Non si osservavano differenze nella prevalenza di parto operativo, taglio cesareo, parto pre-termine, epoca gestazionale, macrosomia, peso neonatale, Ponderal Index e Large-for-Gestational-Age fra le donne con diagnosi precoce o tardiva di GDM o normo-tolleranti (NGT). L’incremento ponderale in gravidanza era significativamente più contenuto nelle donne con GDM (sia precoce che tardivo) rispetto alle NGT (9.7±5.1 e 10.6±5.3 vs. 13.1±5.2 Kg; p=0.01). Le donne con diagnosi precoce di GDM erano più frequentemente trattate con insulina (48 vs. 29%; p<0.01) ed avevano un controllo glicemico migliore rispetto alle donne con diagnosi tardiva (5.27±0.3 vs. 5.44±0.3%; p<0.05).
L’esecuzione dello screening precoce per il GDM nelle donne ad alto rischio, con conseguente diagnosi e trattamento precoce, nonostante determini un miglior controllo glicemico in gravidanza, non sembra migliorare gli outcome materno-fetali a breve termine, restano però da valutare gli effetti a lungo termine sulla prole.
Andamento distale prossimale delle modificazioni posturali della mano e del piede in giovani pazienti con diabete di tipo 1
Iannone G1, Piccini B2, Capirchio L2, Sorelli M3, Toni S2, Francia P4
1Associazione Nazionale Indirizzo Motorio (ANIMO), Fermo; 2Ospedale Pediatrico Meyer, Firenze; 3Dipartimento di Ingegneria dell’informazione, Università degli Studi di Firenze; 4Università degli Studi di Firenze
Obiettivo. Numerosi studi confermano come il diabete mellito di tipo 1 (T1DM) possa ridurre la mobilità delle articolazioni della mano, del piede e della caviglia oltre a modificarne la postura, anche nel caso di giovani pazienti. Scopo principale di questo studio pilota era quello di investigare gli effetti del diabete sulla postura delle mani e dei piedi di giovani pazienti. Metodo. In 20 pazienti con T1DM: (M/F:11/9), età media 13,8±3,8 anni, BMI: 19,5±4,7 kg/m2, durata della malattia 4,6±3,6 anni, HbA1c media 8,2±1,2 % e 46 soggetti sani praticanti calcio (30 maschi) e danza classica (16 femmine), età media 12,6±2,1 anni, BMI: 18,9±2,6 kg/m2, sono state valutate: la postura della mano e del piede (analisi di immagini sul piano frontale del Prayer Sign Test (PST) e sagittale dell’arto inferiore con soggetto in decubito supino); la flessibilità del tronco (sit & reach test); la forza muscolare (hand grip) e lo stile di vita (IPAQ-C, IPAQ-A) oltre alla storia degli sport praticati (scheda specifica). Risultati e Discussione. L’analisi delle immagini delle mani e del PST ha evidenziato nei pazienti una maggiore estensione dell’articolazione metacarpofalangea (34,7±11,0° vs 18,6±8,5°; p<0,001) e una maggiore flessione della articolazione interfalangea prossimale (11,0±5,1° vs 0,4±9,8°; p<0,001). I pazienti hanno, inoltre, mostrato una maggiore inclinazione del V° osso metacarpale (42,4±11,2° vs 34,4±8,4°; p<0,005) oltre ad una minore inclinazione della falange prossimale del V° ditto (4,9±6,0° vs 15,7±6,1°; p<0,001). La MA della caviglia nei giovani pazienti (127,3±33,7°) è risultata minore rispetto alle giovani danzatrici (155,8±10,3°; p<0,001) e analoga a quella dei calciatori (126,8±15,5°). Conclusione. I giovani pazienti con T1DM possono mostrare una anomala postura della mano oltre a una ridotta mobilità articolare della caviglia. Rispetto all’andamento distale-prossimale delle alterazioni posturali della mano il PST potrebbe ostacolare la valutazione di anomalie a carico dell’articolazione interfalangea distale. Lo sport praticato dai controlli può aver ostacolato la valutazione della presenza di un’anomala postura della caviglia nei pazienti.
COMPLICANZE MICROVASCOLARI, EVENTI CARDIOVASCOLARI E MORTALITÀ PER TUTTE LE CAUSE NEL DIABETE TIPO 1 (DMT1): 10 ANNI DI FOLLOW-UP
Garofolo M1, Francesconi P2, Gualdani E2, Giannarelli R1, Aragona M1, Lucchesi D1, Giusti L1, Sancho-Bornez V1, Miccoli R1, Del Prato S1, Penno G1
1UOC Malattie Metaboliche e Diabetologia, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa; 2Agenzia Regionale di Sanità, Regione Toscana, Firenze
Il DMT1 è gravato da un eccesso di mortalità e di eventi cardiovascolari (CV) rispetto alla popolazione generale. Lo screening delle complicanze microvascolari (CM) potrebbe migliorare la predizione del rischio. Pazienti e Metodi. La relazione tra presenza di retinopatia, nefropatia e neuropatia periferica, mortalità per tutte le cause ed eventi CV è stata valutata in 774 DMT1 seguiti per 10.6±2.5 anni. Risultati. La distribuzione delle CM era: assenti (CM-): 425 (54.9%); CM1: 250 (32.3%); CM2: 75 (9.7%); CM3: 24 (3.1%). Rispetto ai CM-, i CM1-3 avevano un peggior profilo di rischio CV con aumento progressivo di età, DD, BMI e WHR, PA, HbA1c e uricemia; l’eGFR (CKD-EPI) si riduceva e l’albuminuria aumentava (p<0.0001). Le frequenze di eventi CV e di EURODIAB score ≥20 aumentavano con CM: 1.6, 5.6, 17.3, 29.2% e, rispettivamente, 4.0, 14.4, 41.3, 79.2% (p<0.0001). Nei 10 anni di follow-up, 52 soggetti morivano (6.7%; 6.36 x 1000 persone/anno). La mortalità aumentava da CM- 1.9% a CM1 6.8% (HR: 3.7, 95% CI 1.6-8.7), CM2 14.7% (7.1, 2.8-17.7) e CM3 66.7% (45.6, 19.5-106.8; K-M, p<0.0001). Dopo correzione per fattori multipli di rischio, HR erano: CM1 2.1 (95% CI 0.8-5.8); CM2: 2.1 (0.8-5.1); CM3: 6.7 (2.3-20.0; p=0.001). Al follow-up, 49 soggetti avevano presentato almeno un evento CV maggiore (6.7%; 6.42 eventi x 1000 persone/anno). L’incidenza aumentava da CM- 2.2% a CM1 5.0% (HR: 2.3, 95% CI 1.0-5.4), CM2 26.8% (12.9, 5.5-28.5) e CM3 40.9% (29.3, 11.6-74.2.8; K-M, p<0.0001). Tale associazione risultava significativa anche dopo correzione per multipli fattori: CM1 1.3 (95% CI 0.5-3.3); CM2: 3.7 (1.5-9.4); CM3: 7.3 (1.4-22.2; p<0.0001). Infine, 35 soggetti avevano presentato almeno un evento coronarico maggiore (4.8%, 4.54 eventi x 1000 persone/anno). L’incidenza aumentava da CM- 2.2% a CM1 2.5% (HR: 1.1, 95% CI 0.4-3.1), CM2 19.7% (9.1, 3.9-21.1) e CM3 27.3% (18.3, 6.5-51.8; K-M, p<0.0001). L’associazione rimaneva significativa anche dopo correzione per molteplici fattori di rischio CV convenzionali, con il più alto rischio nei CM3. Conclusioni. Il “microvascular burden” è predittore indipendente di eventi CV maggiori e mortalità per tutte le cause nel DMT1.
Ipoglicemie nel paziente diabetico: un ostacolo insormontabile?
Maccora C, Crisci I, Nigi L, Formichi C, Cataldo D, Guarino E, Fondelli C, Dotta F
UOC Diabetologia, Diaprtimento di Scienze Mediche, Chirurgiche e Neuroscienze, Università degli Studi di Siena
Introduzione. Il diabete mellito è una malattia cronica che richiede continue attenzioni da parte del personale sanitario, soprattutto nell’ambito dell’educazione dei pazienti alla corretta autogestione della patologia per prevenire le complicanze acute e per ridurre il rischio di quelle croniche. Un altro aspetto fondamentale da considerare nella vita quotidiana dei pazienti è la comparsa e la gestione delle ipoglicemie causate dalle terapie farmacologiche. Scopo. Valutare la conoscenza e la modalità di gestione delle ipoglicemie in un campione di pazienti affetti da diabete mellito tipo 1 (DM1) valutati tramite la somministrazione di un questionario. Materiali e Metodi. Il nostro campione è composto da 40 pazienti [21 M/ 19 F, età media 34±17 anni, (di cui 17 effettuano monitoraggio tramite Flash Glucose Monitoring e 11 terapia insulinica tramite infusione continua con microinfusore) con durata di malattia 17,5±0,7 anni. Tramite il questionario, venivano valutate le conoscenze basilari nutrizionali, la conoscenza delle ipoglicemie, sulla loro gestione e risoluzione, sulla loro frequenza e sintomatologia associata, sulle ipoglicemie severe e l’utilizzo del glucagone, sulla gestione della terapia in caso di ipoglicemia e delle attività quotidiane. Risultati. Il 97.5% dei pazienti ha avuto ipoglicemie dal momento della diagnosi della patologia diabetica. Il totale del nostro campione conosce la sintomatologia correlata alle ipoglicemie e in modo particolare il 52,5% conosce correttamente il cut-off con cui si definisce l’ipoglicemia nel paziente diabetico. Nella popolazione esaminata, il 37,5% dei pazienti riferiva di aver avuto almeno una volta un episodio grave di ipoglicemia, per cui è stato necessario l’intervento di una terza persona. Il 57,5% del nostro campione sa cosa è la regola del 15 ma solo il 32,5% la sa applicare correttamente. Per quanto riguarda l’utilizzo del glucagone, l’85% sa di cosa si tratta e il 77,5% lo tiene effettivamente a casa. Infine, parlando di nutrizione, il 62,5% sa cosa sono i carboidrati e in che alimenti si trovano. Conclusioni. Dai nostri dati, emerge quindi che la maggior parte dei pazienti con DM1 ha sperimentato almeno una volta nella vita un episodio ipoglicemico, alcune volte anche grave. La maggior parte dei pazienti inoltre sa come affrontare la problematica, anche se nella pratica clinica non deve mancare a cadenza regolare l’esecuzione dell’educazione sanitaria per la prevenzione e la gestione delle ipoglicemie.
La patologia metabolica che non ti aspetti
Occhipinti M¹, Sambuco L¹, Nencioni C², Perrone M¹, Rizzo L¹
¹U.O.C. Diabetologia, Azienda USL Toscana SUD-EST, Grosseto; ²U.O.C. Malattie Infettive, Azienda USL Toscana SUD-EST, Grosseto
Premessa e Scopo. Il diabete mellito rappresenta una delle patologie metaboliche più complesse e diffuse. Tuttavia la frequenza della patologia ci spinge a renderla spesso la prima ed unica imputata in buona parte delle presentazioni cliniche complesse. Scopo di questo lavoro è condividere una presentazione di una patologia altrettanto nota, ma meno frequente nella nostra pratica quotidiana, da considerare per la diagnosi differenziale delle complicanze diabetologiche. Caso. AB è una donna di 55 anni, giunta presso il nostro reparto inviata dai colleghi di altro presidio ospedaliero limitrofo, con diagnosi di flemmone a carico del piede destro esteso fino alla caviglia in paziente diabetica. All’anamnesi patologica remota diabete tipo 2 in terapia con ipoglicemizzanti complicato con amaurosi OD per retinopatia diabetica, neuropatia periferica somatica; pregressa frattura tibiale arto inferiore destro con posizionamento di placca di stabilizzazione, pregressa amputazione metatarsale sinistra. All’ingresso in reparto si presentava lucida ed orientata, apiretica. A carico dell’arto inferiore destro si evidenziava un quadro caratterizzato da iperemia, edema dorso-plantare esteso dalle dita alla caviglia. Presentava inoltre severa iperemia congiuntivale, iper-lacrimazione e visus ridotto in OS. Gli esami ematochimici mostravano HbA1c 85 mmol/mol, creatinina 0,75 mg/dl. PCR >19 mg/dl; leucociti 9,07×10³ (85,9% neutrofili).
Veniva eseguito un drenaggio tempestivo del flemmone del piede destro con tuttavia una minima fuoriuscita di materiale purulento. Reperibili alla spremitura materiale biancastro, ad aspetto tofaceo. L’esame colturale sul prelievo di materiale profondo risultava positivo per Staphilococcus aureus. Al fine di escludere osteomielite sottostante, la Rx del piede e la TC (richiesta in alternativa alla RMN per la mancanza di informazione circa le proprietà paramagnetiche del fissatore interno a livello tibiale) mostrava diffuse ed avanzate alterazioni osteostrutturali del mesopiede con massivi fenomeni litici a carico delle ossa del tarso e della porzione prossimale dei metatarsi; multiple nodularità presenti nel contesto delle parti molli perischeletriche a carico del IV e V dito ed estese calcificazioni vascolari. I colleghi oculisti impostavano terapia antibiotica a largo spettro per il quadro di episclerite oculare. Gli esami condotti sulla secrezione oculare risultavano tuttavia negativi per germi comuni e miceti. Nei giorni successivi osservavamo una minima riduzione dell’edema a carico dell’arto inferiore destro e nessun miglioramento del quadro oculare senza recupero del visus. Veniva richiesto il dosaggio dell’acido urico risultato pari a 21,1 mg/dl ed iniziata dunque terapia con colchicina e indometacina allopurinolo. Progressivamente il quadro a carico del piede destro andava incontro a una risoluzione dei segni locali dell’infiammazione pur persistendo le alterazioni osteo-strutturali del piede. Anche a carico dell’apparato oculare si assisteva alla risoluzione dell’iperemia e della secrezione ma non al recupero del visus. Tofi sono reperibili su mani, piedi con interessamento di tutte le articolazioni. A distanza di un anno il quadro radiologico risulta invariato. Conclusioni. Sebbene l’iperuricemia rappresenti una patologia metabolica ampiamente nota e frequente (1-2% della popolazione) le manifestazioni acute asintomatiche possono rendere difficile la diagnosi. In particolare sia la manifestazione oculare che quella a carico delle articolazioni del piede ben rientrano nella diagnosi differenziale con le complicanze da iperglicemia. La coestistenza della neuropatia diabetica può portare ad una presentazione inusuale dell’attacco acuto di gotta, complicare la diagnosi differenziale rispetto all’artrite settica e/o all’artropatia di Charcot e rimanere misconosciuta quando un quadro infettivo coesiste.
“Forse non sai che…”. Campagna di prevenzione del diabete nell’area Livornese. Sette anni di attività
Pani G1, Orsini P1, Pancani F1, Lacaria E1, Turco A1, Nannipieri C1, Giuntoli S1, Di Cianni G1, Benigni A2, Tamberi L3, Mori Ubaldini P4
¹U.O.C. Diabetologia e Malattie Metaboliche Asl Toscana Nord Ovest, PO Livorno; 2A.G.D.A.L. Livorno; 3A.G.D. Livorno; 4Il Cerchio Blu Livorno Diabete
Campagne di informazione rivolte alla popolazione generale sono necessarie per prevenire lo sviluppo della malattia diabetica, la cui incidenza negli ultimi venti anni è più che raddoppiata.
A tal fine le Istituzioni sanitarie e comunali unitamente ad altri enti e associazioni di Livorno, hanno promosso fin dal 2010 un campagna di prevenzione del diabete denominata “Forse non sai che…”, condotta nel mese di novembre e ormai giunta alla sua VII edizione. Nel corso degli anni il progetto ha visto svolgere numerose iniziative:
– 7 incontri nelle scuole medie inferiori e 6 nelle scuole medie superiori che hanno coinvolto rispettivamente 1240 e 860 ragazzi; tali incontri sono stati effettuati da 32 operatori tra personale medico e infermieristico. Durante tali eventi sono stati somministrati 1270 questionari sulla corretta alimentazione.
– 9 incontri presso il centro sociale/Università della terza età che hanno visto la partecipazione di 455 persone e 23 operatori sanitari.
– 11117 controlli della glicemia su sangue capillare effettuati nelle farmacie comunali e private.
– 4040 controlli eseguiti durante le “giornate di valutazione del rischio diabete”che hanno portato a identificare 50 cittadini con diabete manifesto mai diagnosticato e 407 individui con alterazioni glicemiche; a tali eventi hanno partecipato 68 operatori sanitari tra personale medico e infermieristico.
– 13 convegni/corsi di formazione che hanno visto la presenza di 1235 persone.
– 7 “camminate sul lungomare” di Livorno, 6 flash show nelle piazze cittadine a cura di scuole di danza locali con illuminazione del Duomo, del Cisternone e dell’Accademia Navale di Livorno. A tette le iniziative è stato dato ampio risalto da TV e giornali locali.
Sono state coinvolte in queste iniziative circa 20000 persone.
“Forse non sai che…” ha dimostrato che la condivisione di un progetto che vede insieme istituzioni, enti e associazioni operanti in ambito territoriale è un modello efficace e un’arma vincente per coinvolgere ed informare la popolazione generale sulla prevenzione della malattia diabetica.
GRUPPO DI MIGLIORAMENTO PER I PAZIENTI AFFETTI DA DIABETE MELLITO TIPO 2 E BPCO
Scatena A1, Ragusa I1, Ranchelli A1, Biagini M2, Vivoli P2, Ricci L1
1UOC Diabetologia – Ospedale San Donato, Arezzo (AV Toscana SUD-EST); 2UOSd Pneumologia Territoriale, Arezzo (AV Toscana SUD-EST)
Introduzione. Nei pazienti con BPCO, il diabete mellito (DM) ha una prevalenza tra l’1,6 ed il 16%. La terapia farmacologica della BPCO è volta a ridurre i sintomi, la frequenza e la gravità delle riacutizzazioni, a migliorare lo stato di salute e la tolleranza allo sforzo, nonché il tasso di ricovero. Le linee guida più recenti indicano la necessità di preferire i nuovi broncodilatatori inalatori con scarsi effetti collaterali sistemici rispetto alle vecchie formulazioni e di limitare l’utilizzo degli steroidi inalatori alla terapia di associazione ma ancora una larga parte dei pazienti è in terapia con alte dosi di steroidi, con alto rischio di effetti collaterali sistemici. In caso di riacutizzazione le linee guida suggeriscono l’utilizzo di broncodilatatori a breve durata d’azione e di steroidi sistemici per 5-7 giorni per migliorare la funzionalità polmonare (VEMS), l’ossigenazione e ridurre il tempo di recupero. Tali provvedimenti si associano di frequente ad accessi al PS per scompenso glicemico. Scopo. Identificare i pazienti con BPCO e DM2 ancora in terapia con vecchie formulazioni inalatorie ad alto contenuto steroideo. Identificare precocemente il diabete mellito in pazienti affetti da BPCO e fornire un percorso di rapida presa in carico per i pazienti diabetici con riacutizzazione di BPCO, che necessitino di terapia steroidea ad alti dosaggi. Materiali e Metodi. Fornire agli pneumologi una strategia d’azione per la diagnosi di DM2 e ai diabetologi per il riconoscimento dei pazienti non in adeguata terapia per la BPCO. Creare un percorso bidirezionale specialistico per i pazienti affetti da BPCO e diabete mellito con una codifica di priorità in base alla terapia diabetologica, pneumologica e al grado di compenso metabolico (priorità più alta per DM2 in corso di riacutizzazione bronchiale entro 24-48h dall’inizio dello steroide ad alte dosi). Conclusioni. Il progetto pilota rappresenta un’innovazione nella nostra realtà, sensibilizzando specialisti di ambiti diversi su patologie croniche spesso concomitanti. I dati del progetto saranno raccolti e analizzati.
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