Il Congresso Regionale SID-AMD, di cui sotto pubblichiamo gli abstract presentati nella sezione “Relazione dei team dei servizi di diabetologia: ricerca clinica, innovazione PDTA”, ha avuto la caratteristica di riunire tutta la comunità diabetologica Toscana, per discutere e riflettere non solo delle novità scientifiche recenti ma anche per condividere l’organizzazione dell’assistenza diabetologica in regione e il lavoro sul campo dei singoli team diabetologici. L’edizione attuale ha ripristinato l’abitudine di far presentare a singoli ricercatori o a i vari team territoriali in maniera multi professionale (medici, infermieri, dietologi e podologi) i risultati del loro lavoro; novità assoluta è stata la decisione dei due direttivi regionali SID-AMD di “premiare” tutti i primi presentatori degli abstract, con una somma di per sé simbolica ma di grande importanza per il significato che assume: quello di dare un segno preciso, soprattutto per i ricercatori più giovani, che le società diabetologiche investono nel riconoscimento delle “ricerche” pensate e realizzate da chi in Diabetologia svolge la propria attività.
Roberto Anichini
Presidente del Congresso e Presidente Regione Toscana SID
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ABSTRACTS
Diabete MELLITO Tipo 1 e Counting dei Carboidrati: tra novità e vecchie CONVINZIONI
A. Breschi, R. Malagoli, G. Fabbri, L. Tanini, R. Bini, E. Ceccanti, I. Howard, A. Lazzerini, M. Lazzeretti, S. Viti, G. Fiore, A. Magiar, R. Anichini
Servizi di Diabetologia e Dietologia USL 3. Ambulatorio Diabetologico di Pescia (Pistoia)
Background: il Counting dei Carboidrati è uno strumento essenziale nel contesto della terapia medica nutrizionale del diabete mellito tipo 1. Esso è parte integrante della strategia terapeutica più efficace per il controllo glicemico nel paziente diabetico in trattamento insulinico intensivo. L’utilizzo del Counting dei Carboidrati permette di ottenere un miglior controllo metabolico (emoglobina glicata, HbA1c) come dimostrato, ad esempio, nel DCCT. Inoltre, troviamo conferme nello studio DAFNE (Dose Adjustment For Normal Eating), soprattutto per la grande versatilità rispetto ai rigidi schemi alimentari utilizzati dal paziente in terapia insulinica convenzionale. Il binomio “libertà di scelta dei cibi” e “conseguente aggiustamento della terapia insulinica” viene letto positivamente in termini di qualità di vita e benessere generale dei pazienti.
Obiettivi: in base a queste considerazioni, presso la USL 3, nel Servizio di Diabetologia dell’Ospedale Cosma e Damiano di Pescia, è stato elaborato un percorso che inizia con l’individuazione, da parte del diabetologo, dei pazienti candidati ad acquisire tale competenza; il percorso è stato sperimentato in un gruppo di 10 individui con diabete mellito di tipo 1, in terapia insulinica intensiva: un paziente in CSII, i restanti in terapia basal-bolus.
Pazienti e Metodi: tali pazienti hanno eseguito 3 incontri di gruppo con la dietista, durante i quali sono stati trattati gli argomenti necessari per intraprendere questa esperienza. Durante il primo incontro è stato affrontato il tema dell’educazione alimentare, spiegando cosa sono i macro- e i micronutrienti, le loro funzioni, i fabbisogni, ponendo l’attenzione in modo specifico ai carboidrati e agli alimenti che li contengono; inoltre attraverso l’ausilio di vari strumenti, è stata effettuata una valutazione delle porzioni dei vari alimenti che i pazienti assumono, in modo da quantificarne il contenuto di carboidrati. Al termine dell’incontro è stato chiesto di compilare un diario alimentare di circa 5-6 giorni da consegnare all’incontro successivo. Nel diario sono stati indicati gli alimenti assunti, le glicemie pre- e post-prandiali e le unità di insulina utilizzate. Durante il secondo incontro sono state valutate le modalità di compilazione del diario alimentare: esso infatti è uno strumento utile solo se compilato nel modo corretto. L’incontro si è basato soprattutto sulle esperienze riportate dai pazienti: i tentativi fatti nella stima degli alimenti, i cambiamenti di abitudini che hanno apportato, l’attenzione che hanno posto nel verificare il quantitativo di carboidrati assunti. Con il diario alimentare compilato, il diabetologo ha potuto calcolare per ogni paziente il rapporto insulina/carboidrati, tema principale dell’ultimo incontro.
Risultati: in base alla definizione di tale rapporto i pazienti imparano a variare la dose di insulina in relazione alla quantità di carboidrati contenuti nel pasto, tenendo conto anche del fattore di correzione. Ai successivi follow-up individuali, dietista e medico hanno riscontrato un aumento delle conoscenze alimentari, e un miglioramento dell’autonomia nella gestione dei pasti, come evidenziato dal decremento delle glicemie pre- e post-prandiali, oltre che dal calo ponderale nei pazienti che ne avevano necessità.
Conclusioni: dalla nostra esperienza è emerso quindi che la tecnica del Counting dei Carboidrati, attraverso un approccio di gruppo, è molto efficace anche per l’interazione reciproca e il confronto tra le diverse esperienze.
Differenze relative al compenso glicometabolico, pressione arteriosa e dislipidemia in pazienti affetti da Diabete Mellito tipo 1, in trattamento con MDI e/o CSII
A. Cadirni, L. Ianni, M. Lorenzetti, A. Marsocci, S. Guizzotti, M. Calabrese
UO di Diabetologia. USL 4, Prato
Obiettivi: abbiamo valutato la popolazione affetta da diabete mellito tipo 1 afferente alla UO di Diabetologia della USL 4 di Prato utilizzando i dati estrapolati dal software MyStar Connect relativi all’anno 2013.
Pazienti e Metodi: la popolazione totale dei pazienti con diabete mellito di tipo 1 (DMT1) è risultata di 423 soggetti, 220 di sesso maschile (52%) e 203 di sesso femminile (48%), in linea con i dati nazionali che evidenziano una maggiore prevalenza del DMT1 nel sesso maschile rispetto al sesso femminile (54.5% vs 45.5%, annali AMD 2014). Dei pazienti affetti da DMT1 sono risultati essere in terapia con microinfusore (CSII) 57 soggetti, 20 dei quali di sesso maschile e 37 di sesso femminile.
Risultati: l’età media di tutti i DMT1 è risultata di 46.6 anni con una distribuzione per classi di età così suddivisa: da 15 a 25 anni 4.49%, da 25 a 35 anni 18.68%, da 35 a 45 anni 24.11%, da 45 a 55 anni 23.88%, da 55 a 65 anni 15.37%, da 65 a 75 anni 9.69% ed oltre i 75 anni 3.78%. L’età media del gruppo in CSII è risultata invece di 41.8 anni, con una distribuzione per età così rappresentata: da 15 a 25 anni 3.51%, da 25 a 35 anni 29.82%, da 35 a 45 anni 33.33%, da 45 a 55 anni 21.05%, da 55 a 65 anni 10.53%, da 65 a 75 anni 1.75% e oltre 75 anni 0%. Nel gruppo in trattamento con MDI la media di HbA1c era di 7.7%±1.15%, mentre nel gruppo in trattamento con CSII è risultata essere di 7.3%±0.89%. Dividendo per classi di età le due popolazioni (MDI vs CSII) abbiamo inoltre osservato che nella fascia compresa tra i 15 ed i 25 anni i livelli di HbA1c medi sono risultati di 8.6% vs 7.3%, nella fascia compresa tra i 25 ed 35 anni 7.5% vs 7.4%, tra i 35 ed i 45 anni 7.6% vs 7.3%, tra i 45 ed i 55 anni 7.7% vs 7.5%, tra i 55 ed i 65 anni 7.4% vs 6.9%, da 65 a 75 anni 7.7% vs 5.8% e oltre i 75 anni 8.0% nel gruppo MDI. La percentuale di soggetti che raggiungono un livello di HbA1c <7% nell’intera popolazione è risultata pari al 30.3%, mentre nel gruppo in CSII la percentuale sale al 42.9%. La percentuale di soggetti con livelli di colesterolo LDL <100 in MDI è risultata di 28.8% mentre nel gruppo in CSII è stata del 29.6%. La percentuale di soggetti con livelli di PA <130/80 mmHg è risultata essere 83.1% nel gruppo in MDI e 92.3% nel gruppo in CSII.
Conclusioni: sembra quindi emergere che nei DMT1 in trattamento con CSII, oltre che il compenso glicemico, anche l’assetto lipidico e la pressione arteriosa risultano essere più frequentemente a target rispetto ai soggetti in trattamento con MDI. Sarà nostro prossimo obiettivo quello di andare a descrivere più in dettaglio le differenze tra MDI e CSII. Saranno esplorate anche eventuali differenze di genere nel gruppo in CSII, in particolare nel tempo intercorso dalla diagnosi all’inizio della CSII, nella prevalenza delle complicanze, nell’uso del CGM, nell’adozione del conteggio dei CHO e nell’uso delle funzioni avanzate del microinfusore.
IL SISTEMA INTEGRATO SENSORE-MICRO-INFUSORE COME TERAPIA DELLE IPOGLICEMIE SEVERE ASINTOMATICHE NEL DIABETE TIPO 1
I. Crisci, M. Aragona, A. Calianno, S. Del Prato
Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale. UO di Malattie Metaboliche e Diabetologia “Renzo Navalesi” Azienda Ospedaliero Universitaria di Pisa
Background: la terapia con il sistema integrato microinfusore-sensore (Sensor-Augmented Pump, SAP) rappresenta la soluzione più evoluta per la gestione del diabete mellito tipo 1 (DMT1).
Obiettivi: scopo del nostro studio è stato quello di verificare l’utilità della SAP nei soggetti con DMT1 con ipoglicemie severe asintomatiche.
Pazienti e Metodi: nel periodo compreso tra il 2008 e il 2013 sono stati identificati 13 soggetti con DMT1 (M/F: 7/6; durata del diabete 17±12 anni; HbA1c 7.8±1.2%; 8 soggetti in terapia con CSII da 5.2±3.7 anni) con episodi di ipoglicemie severe asintomatiche per cui è stata intrapresa terapia con SAP (Paradigm VEO, Medtronic Italia Spa).
Risultati: al momento della valutazione basale, i pazienti presentavano 6.5±1.4 episodi/settimana di ipoglicemie lievi e moderate e 2.0±1.4 episodi/anno di ipoglicemie severe asintomatiche attestate da referti medici. Dopo l’applicazione della SAP, si è registrata una modesta riduzione dell’HbA1c, a 6 e 12 mesi (7.7±0.9% e 7.5±1.0%, rispettivamente; p=NS) che diventava statisticamente significativa dopo 24 mesi (7.4±0.9%; p=0.02) in assenza di variazioni significative del fabbisogno insulinico giornaliero (basale 0.5±0.1; 6 mesi 0.4±0.2; 12 mesi 0.4±0.2; 24 mesi 0.5±0.1 UI/kg). Nello stesso periodo, la frequenza di ipoglicemie lievi e moderate (6 mesi: 3.4±1.4; 12 mesi 2.9±2.0; 24 mesi 2.3±1.0 episodi/settimana, rispettivamente) era ridotta rispetto alla fase pre-SAP (p<0.0001 vs il basale). Analogamente, si riduceva anche il numero di ipoglicemie severe asintomatiche a 6 (0.5±0.4 episodi/anno), 12 (0.2±0.3) e 24 mesi (0.1±0.1, tutti p<0.0001 vs basale). L’area sottesa ad un valore di glicemia di 70 mg/dl prima della SAP era 0.5±0.3 mg*min/dl per ridursi a 0.2±0.2 mg*min/dl, 0.2±0.2 mg*min/dl e 0.1±0.1 mg*min/dl rispettivamente a 6, 12 e 24 mesi (tutti p=0.002), mentre non cambiava in modo statisticamente significativo l’area relativa a glicemie >140 mg/dl.
Conclusioni: in pazienti con DMT1 con ipoglicemie severe asintomatiche la SAP ha determinato una riduzione significativa del numero di ipoglicemie lievi, moderate e severe asintomatiche, del tempo trascorso in ipoglicemia e un miglioramento del controllo metabolico a medio e lungo termine.
IDENTIFICAZIONE DEI PAZIENTI CON DIABETE MELLITO TIPO 1 AD ELEVATO RISCHIO DI EVENTI VASCOLARI MAGGIORI
M. Garofolo, E. Russo, D. Lucchesi, L. Giusti, V. Sancho-Bornez, R. Miccoli, G. Penno, S. Del Prato
Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale. UO di Malattie Metaboliche e Diabetologia “Renzo Navalesi” Azienda Ospedaliero Universitaria di Pisa
Background: lo Swedish National Diabetes Register (Lind M et al., N Engl J Med, 371: 1972-82, 2014) dimostra, in un follow-up di 8 anni, che tra i pazienti con DMT1 la mortalità per tutte le cause (8.0 vs 2.9%, HR 3.52) e la mortalità per cause cardiovascolari (2.7 vs 0.9%, HR 4.60) sono aumentate di 3-4 volte rispetto alla popolazione non diabetica. Altrettanto recentemente, un modello di predizione del rischio di eventi vascolari maggiori (CHD, stroke, ESRD, amputazioni, cecità e morte per tutte le cause) è stato sviluppato nel DMT1 sui dati dell’EURODIAB Prospective Complications Study e validato in tre studi prospettici: EDC, FinnDiane e CACTI (Soedamah-Muthu S et al., Diabetologia, 57: 2304-2314, 2014). Tale modello utilizza variabili facilmente accessibili: età, HbA1c, rapporto alb/creat, HDL e WHR (rapporto vita/fianchi) e calcola un punteggio totale successivamente stratificato in tre gruppi: rischio basso (RB) <16; rischio intermedio (RI) 16-20, rischio alto (RA) >20.
Obiettivo: applicare tale modello ad una coorte di 774 DMT1 che ha eseguito lo screening delle complicanze del diabete nel periodo 2001-2009.
Risultati: età media e durata del diabete erano 40.2±11.7 e, rispettivamente, 19.3±12.2 anni (M±DS): 367 F (47%), 407 M (53%). HbA1c 7.8±1.2% (range 5.2-15.1); ACR (mediana) 0.49 mg/mmol (0.03-142.6); HDL 62.5±15.2 mg/dl (8-103), WHR 0.92±0.06 (0.74-1.14). La distribuzione del rischio è stata valutata sia nell’intera coorte, che dopo esclusione di 41 DMT1 (5.3%) che avevano avuto eventi vascolari maggiori. L’intera coorte era così distribuita: RB, n. 466 (60.2%); RI, n. 205 (26.5%); RA, n. 103 (13.3%). Dopo esclusione dei 41 DMT1 con eventi vascolari maggiori, la distribuzione del rischio era: RB, n. 461 (62.9%), RI, n. 195 (26.6%); RA, n. 77 (10.5%). Gli eventi vascolari maggiori erano stati più frequenti nei sottogruppi RA (26/103; 25.2%) e RI (10/205; 4.9%) rispetto al sottogruppo RB (5/466; 1.1%; p<0.0001). La tabella descrive il rischio medio di eventi vascolari maggiori a 3, 5, 7 e 10 anni in funzione degli strati di rischio nella coorte esente da eventi vascolari maggiori (n. 733).
Punteggio | n | 3 anni | 5 anni | 7 anni | 10 anni | ||||
M | 95%CI | M | 95%CI | M | 95%CI | M | 95%CI | ||
<16 | 461 | 1.4 | 1.34-1.45 | 2.4 | 2.30-2.48 | 3.4 | 3.26-3.52 | 4.9 | 4.73-5.09 |
16-20 | 195 | 3.8 | 3.70-3.98 | 6.5 | 6.29-6.75 | 9.2 | 8.86-9.51 | 13.1 | 12.7-13.6 |
>20 | 77 | 11.7 | 9.87-13.6 | 18.9 | 16.2-21.6 | 25.4 | 22.2-28.6 | 33.9 | 30.3-37.6 |
Conclusioni: questo modello di predizione basato su variabili facilmente misurabili permette di tracciare per ciascun paziente con DMT1 un “esatto” profilo di rischio per eventi micro- e macro-vascolari maggiori e può essere utilmente impiegato nella pratica clinica. Nella nostra popolazione con DMT1, il 30-40% dei pazienti presenta rischio elevato (circa 10%) o intermedio (circa 25%). Soprattutto questi sono i pazienti che devono essere informati del loro rischio e che richiedono l’aggressivo controllo di tutti i fattori modificabili che concorrono allo sviluppo degli eventi vascolari.
PROGRAMMA DI TRANSIZIONE DI GIOVANI DIABETICI TIPO 1 DALLA DIABETOLOGIA PEDIATRICA A QUELLA DEGLI ADULTI: L’ESPERIENZA ALL’INTERNO DELL’AZIENDA OSPEDALIERO UNIVERSITARIA PISANA (AOUP)
E. Lacaria, M. Romano, A. Bertolotto, M. Aragona, S. Del Prato
Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale. UO di Malattie Metaboliche e Diabetologia “Renzo Navalesi” Azienda Ospedaliero Universitaria di Pisa
Introduzione: la transizione dei pazienti con diabete mellito tipo 1 (DMT1) dalla diabetologia pediatrica (DP) alla diabetologia dell’adulto (DA) è un evento critico per il giovane diabetico, la sua famiglia e il servizio sanitario, per la possibile perdita di sorveglianza e aumento dei costi umani e sociali legati a un elevato rischio di “drop-out”, al peggioramento del controllo glicemico, alla scarsa compliance e aumentato rischio di cheto-acidosi.
Scopo dello studio: valutare se un programma di transizione strutturata possa ridurre il rischio di drop-out dei giovani pazienti e garantire l’equilibrio glicemico.
Materiali e Metodi: a tale scopo è stata creata nel 2007 una procedura aziendale che prevede, al momento della transizione, un primo incontro ambulatoriale in DP, tra il giovane e il suo entourage e i diabetologi DP e DA con successive visite in DA in un giorno dedicato con il diabetologo che ha avviato la procedura di transizione. La cogestione dell’ambulatorio di transizione con il diabetologo pediatra dura fino al quarto incontro. In questo periodo sono state monitorate l’aderenza al programma di visite, i livelli di HbA1c e ogni altro evento intercorrente.
Risultati: 32 soggetti (età media 22.8±4.2 anni, rapporto maschi/femmine 20/12, BMI 22.6±3.5 kg/m2, HbA1c 8.0±1.1%, durata del diabete 12±7 anni) hanno transitato attraverso l’ambulatorio di transizione. Tutti erano in terapia insulinica intensiva (3 CSII; 29 MDII) e automonitoraggio glicemico (3-5 controlli/die). Il follow-up medio è stato di 6±2 anni con un numero medio di visite ambulatoriali pari a 3.6±1.4 per anno (range 1.4-7.3 visite/anno). Tra i 32 soggetti sottoposti a transizione non sono stati registrati drop-out entro i primi 2 anni. Nel periodo di follow-up il valore di HbA1c è risultato 7.8±1.0% (p=NS), 7.8±0.9% (p=NS), 7.8±1.1% (p=NS), 7.6±0.9% (p<0.014), 7.5±1.2% (p<0.025), 7.2±1.1% (p<0.001) rispettivamente a 1, 2, 3, 4, 5 e 6 anni. Non sono stati registrati casi di cheto-acidosi né episodi di ipoglicemia che abbiano reso necessario il ricovero ospedaliero.
Conclusioni: questi risultati preliminari, mostrano che una procedura dedicata per la transizione dei giovani con DMT1 dalla DP alla DA, è in grado di migliorare il controllo glicemico per prevenire le complicanze acute e croniche ed appare in grado di controllare il rischio di “drop-out”.
IMPORTANZA DEL CALCOLO DEI CARBOIDRATI IN ASSOCIAZIONE ALLA TERAPIA INSULINICA CON MICROINFUSORE
A. Scatena, A. Ranchelli, S. Fanelli, S. Vannacci, L. Ricci
Struttura Complessa di Diabetologia, Ospedale San Donato, ASL 8 Arezzo
Introduzione: l’infusione continua di insulina sottocute (CSII) è indicata nei pazienti diabetici di tipo 1 che, pur seguendo un regime multi-iniettivo ottimale non ottengono un buon controllo glicemico ma presentano invece elevati valori di emoglobina glicata e/o ipoglicemie frequenti o imprevedibili o severe e/o un’alta variabilità glicemica.
Obiettivi: valutare l’impatto del conteggio dei carboidrati sul controllo glicemico e sugli episodi ipoglicemici in un gruppo di pazienti con diabete di tipo 1 in terapia insulinica continua con microinfusore (CSII).
Pazienti e Metodi: abbiamo incluso nello studio 51 pazienti in terapia insulinica con microinfusore ai quali è stato proposto di frequentare il training dedicato al conteggio dei carboidrati (CHO). I dati relativi alla popolazione che ha eseguito il training per il conteggio dei carboidrati sono stati confrontati con quelli della popolazione che ha rifiutato il training.
Risultati: dei 51 pazienti in terapia con microinfusore di insulina, 21 hanno rifiutato di eseguire il training per la conta dei carboidrati mentre 30 hanno seguito le varie fasi del training. Il rapporto M/F era di 7(33%)/14(67%) nel gruppo in CSII e di 6(20%)/24(80%) nel gruppo in CSII+CHO counting (ns). La durata del diabete era di 18,9±9,7 anni nel primo gruppo e di 21,0±14,1 anni nel secondo gruppo; la durata della terapia con CSII era di 3,6±1,3 anni nel primo gruppo e di 2,6±1,7 anni nel secondo. I pazienti in SAP erano 2 (9%) nel primo gruppo e 7 (23%) nel secondo (ns). Le due popolazioni non differivano in maniera significativa per BMI (25,5±3,5 vs 23,6±3,4 kg/m2) né per prevalenza delle complicanze croniche del diabete. La persistenza di episodi ipoglicemici (BG <50mg/dl) dopo la terapia si è avuta in 9 (43%) pazienti del primo gruppo ed in 3 (10%) del secondo (p<0,01). L’HbA1c prima della terapia con CSII era di 9,2±1,2% nella prima popolazione e di 8,2±1,0% nella seconda. Al controllo più recente, dopo un follow-up di 60±6 mesi, l’HbA1c è risultata nel primo gruppo di 7,8±0,6% e di 6,5±0,5% nel secondo. Nei due gruppi, la differenza di HbA1c tra prima e dopo la terapia era significativa (p<0,01), ma confrontando i valori dei due gruppi dopo la terapia, nel secondo gruppo (CSII+CHO) si è assistito ad una riduzione maggiore dell’HbA1c (p<0,001).
Conclusioni: nella popolazione studiata, la terapia con CSII è risultata efficace nel ridurre l’HbA1c di 1,39% e tale terapia è risultata ancor più efficace quando affiancata ad un corretto training per il conteggio dei carboidrati, con una riduzione di HbA1c di 1,67% e della frequenza e gravità degli episodi ipoglicemici.
LA TERAPIA INSULINICA E LE IPOGLICEMIE: CONOSCENZE E ABILITÀ DEL PAZIENTE DIABETICO INSULINO-TRATTATO NELLA GESTIONE DELLA TERAPIA IPOGLICEMIZZANTE
E. Nardini1, A. Cirri1, R. Losio2, S. Zannoni1, R. Pallante1, N. Marchionni1, E. Mannucci2, M. Monami1
1Cardiologia e Medicina Geriatrica; 2Agenzia Diabete, AOU Careggi, Firenze
Background: il presente studio è stato specificatamente disegnato per indagare le conoscenze del paziente diabetico insulino-trattato (tipo 1 e tipo 2) sulla malattia diabetica, le abilità acquisite nella gestione della terapia insulinica, al fine di individuare eventuali predittori di rischio per le ipoglicemie severe.
Pazienti e Metodi: è stata arruolata una serie consecutiva di diabetici insulino-trattati da almeno 6 mesi e che avessero una età ≥18 anni.
Obiettivi: l’endpoint principale è stato la correlazione tra almeno un episodio anamnestico di ipoglicemia severa e le conoscenze e abilità valutate mediante questionari e prove pratiche effettuate dal personale infermieristico.
Risultati: i pazienti arruolati nel presente studio sono stati 100, di cui 30 affetti da diabete mellito di tipo 1 e 70 da diabete mellito di tipo 2. Le proporzioni di soggetti con almeno un episodio di ipoglicemia severa sono state 46.7% e 31.4% ed il tempio medio di trattamento insulinico di 24.5 anni e 10.0 anni, rispettivamente nel gruppo di diabetici di tipo 1 e tra i diabetici di tipo 2. Sono risultati associati ad una storia di episodi di ipoglicemia severa alcune specifiche domande del questionario conoscitivo, ma non i punteggi totali e la durata della malattia nel diabete mellito di tipo 1.
Conclusioni: il presente studio ha dimostrato come alcuni fattori clinici e conoscitivi possono influenzare il rischio di ipoglicemia severa in una coorte di pazienti insulino-trattati. Tali informazioni possono essere di utilità per identificare i pazienti maggiormente a rischio e per indirizzare al meglio i programmi educazionali.
Meccanismi di ipoglicemia post-prandiale dopo bypass gastrico con ansa alla Roux (RYGB) e sleeve gastrectomy (SLG)
D. Moriconi1, A. Belligoli2, A. Mari3, D. Colligiani1, S. Baldi1, M. Anselmino4, M. Foletto4, R. Vettor2, E. Ferrannini1, M. Nannipieri1
1Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale ed Istituto di Fisiologia Clinica e Sperimentale del CNR di Pisa; 2Dipartimento di Medicina Interna, Università di Padova; 3Istituto di Ingegneria Biomedica del CNR di Padova; 4Chirurgia Bariatrica, AOUP
Background: l’ipoglicemia post-prandiale è una frequente complicanza post Roux en-Y gastric bypass (RYGB) che potrebbe essere conseguente a modifiche neuro-ormonali che intervengono dopo il riarrangiamento anatomico. I dati sullo sviluppo di ipoglicemie (Hypo) dopo sleeve gastrectomy (SG) sono scarsi.
Obiettivi: scopo dello studio è stato quello di individuare i fattori predittivi di ipoglicemia post-chirurgia (RYGB vs SG).
Materiali e Metodi: 32 pazienti obesi non diabetici sottoposti a RYGB e 39 sottoposti a SG hanno effettuato un OGTT di 3-ore (75g, glucosio) prima e 18 mesi dopo la procedura chirurgica. Hypo era definita come glicemia ≤2.7 mmol/L (50 mg/dl) in presenza di sintomi autonomici e neuroglicopenici, con risoluzione dopo ingestione di carboidrati. La sensibilità insulinica (IS) era calcolata con OGIS, la secrezione insulinica (ISR) calcolata dalla deconvoluzione del c-peptide, la sensibilità beta-cellulare al glucosio (b-GS) con modello matematico.
Risultati: Hypo si verificava in 20 su 32 pz dopo RYGB ed in 13 su 39 pz dopo SG. Il BMI pre-chirurgia era più basso in RYGB Hypo vs RYGB N-Hypo (43.8±5.2 vs 49.7±6.1 kg/m2, p=0.004), ma era simile in SG Hypo e SG N-Hypo. IS era più alta in RYGB Hypo vs RYGB N-Hypo (386±53 vs 325±44 ml.min–1.m-2, p=0.004), ma simile in SG Hypo vs SG N-Hypo. Post-chirurgia, IS migliorava (p <0,0001) similmente in Hypo e N-Hypo. Glicemia a digiuno pre-chirurgia era più bassa in Hypo vs N-Hypo (5.0±0.4 vs 5.7±0.9 mM, p<0.001 RYGB, 5.0±0.3 vs 5.6±0.7 mM, p<0.02 SG), così come la glicemia media durante OGTT (6.9±0.9 vs 8.4±1.3 mM, p=0.001) ed il nadir del glucosio (4.7±1.3 vs 6.4±1.6 mM, p=0.005). Pre-chirurgia, ISR a digiuno era simile tra i gruppi, e si riduceva similmente post-chirurgia (p<0,0001). ISR totale si riduceva dopo l’intervento in N-Hypo, ma non in Hypo (79±23 vs 59±27 e 71±28 vs 72±30 nmol.m-2, p<0.01). b-GS ed IS erano negativamente correlate al nadir del glucosio (p=0.02, RYGB e p=0.0009, SG; p<0.0001, RYGB e p=0,009, SG).
Conclusioni: pre-chirurgia, glicemie più basse durante OGTT sono associate ad un più alto rischio di Hypo dopo RYGB e SG. Una maggiore ISR, con migliore b-GS ed IS, sono responsabili di ipoglicemia post-prandiale in pazienti dopo calo ponderale indotto dalla chirurgia bariatrica.
PDTA per il diabete Gestazionale: Attivazione di un ambulatorio congiunto multidisciplinare presso il PRESIDIO OSPEDALIERO di Livorno
N. Manfrè1, S. Nesti2, S. Dini2, V. Lazzara3, G. Zurlo3, P. Lemmi1, L. Russo1, C. Lencioni1, D. Vaccai3, A. Citernesi4, G. Di Cianni1
1UOC Diabetologia e Malattie Metaboliche; 2Servizio Dietetica; 4UOC Ostetricia e Ginecologia; UO Professione Ostetrica Aziendale; 3Azienda USL 6 Livorno
Background e Obiettivi: la regione Toscana ha ufficializzato, con Delibera n. 898 del 15/10/2012, un Percorso Terapeutico Assistenziale (PDTA) per il Diabete Gestazionale (DG). Tale PDTA, oltre che definire i parametri ostetrico-metabolici, stabilisce che la donna con DG deve essere presa in carico da parte dell’intero team multiprofessionale che opera in maniera congiunta. In accordo con il PDTA regionale, nell’ASL 6 di Livorno abbiamo definito una procedura aziendale per lo screening, la diagnosi ed il monitoraggio del DG. Tale procedura raccorda le strutture territoriali con quelle presenti in Ospedale.
Pazienti e Metodi: tutte le donne in gravidanza entrano nel percorso assistenziale a livello dei distretti territoriali tramite agende CUP dedicate e vengono indirizzate all’esecuzione dell’OGTT diagnostico. Le donne con DG sono prese in carico dall’ambulatorio congiunto, attivo settimanalmente presso il Punto Nascita del Presidio Ospedaliero di Livorno. Gli attori impegnati nel PDTA e le loro funzioni sono: ostetrici dei distretti territoriali (valutazione del rischio per DG, definizione dei tempi di esecuzione del test di screening), infermiere di diabetologia (accoglienza, registrazione dei dati clinici, educazione terapeutica strutturata), medico diabetologo (definizione degli obiettivi glicemici e nutrizionali, valutazione del controllo glicemico), dietista (preparazione della dieta personalizzata, valutazione dell’aderenza alla dieta), medico ginecologo (indagini clinico-strumentali in accordo con il protocollo per la gravidanza a rischio), ostetrica ospedaliera (valutazione del benessere materno fetale con esecuzione NST quando indicato, aggiornamento del piano di assistenza e chiusura del percorso). L’efficacia del PDTA verrà valutata mediante indicatori di processo (tasso di donne a rischio per DG che eseguono lo screening, tasso di donne con DG che afferiscono all’ambulatorio congiunto e che eseguono il follow-up post-partum) e di esito (tasso di donne con DG con parto pre-termine e/o TC, macrosomia neonatale, neonati da donne con DG con esiti avversi del parto).
Risultati: a partire dall’1/1/2014 sono entrate nel PDTA 1100 donne in gravidanza; tra queste, 90 donne con DG sono state prese in carico dall’ambulatorio congiunto. I dati dell’outcome della gravidanza sono ancora incompleti, ma mostrano tutti un significativo miglioramento dei parametri di morbilità materno-fetale.
Conclusioni: in tutti i casi, il PDTA ottimizza le risorse a disposizione e fornisce all’utenza un servizio particolarmente apprezzato, in quanto garantisce alla donne con DG una risposta immediata e coordinata da parte di tutte le figure professionali del team.
APPROCCIO MULTIPROFESSIONALE NELLA GESTIONE INTEGRATA OSPEDALE TERRITORIO PER LA CURA DEL PIEDE DIABETICO
A. Bernini1, M. Perini1, L. Butelli1, T. Breschi1, M. Gioffredi1, R. Gori1, R. Picciafuochi1, F. Paolacci2, A. Debellis1, A. Tedeschi1, S. Viti1, R. Salvadori2, R. Anichini1
1UO del Piede Diabetico e UO di Diabetologia, Azienda USL 3 Pistoia e Pescia; 2CCM Pistoia
Background: la Gestione Integrata multiprofessionale tra Ospedale e Territorio è uno degli strumenti principali indicati nel Piano Nazionale sulla Malattia Diabetica (2012) per la cura della popolazione diabetica.
Obiettivi: scopo del nostro studio è stato quello di valutare gli effetti della Gestione Integrata tra Territorio (MMG, Chronic Care Model – CCM, modalità di assistenza alle malattie croniche in atto in Toscana dal 2009) e strutture specialistiche, sulle attività di screening, prevenzione ed educazione sul Piede Diabetico (PD) attraverso l’integrazione tra podologi ed infermieri ospedalieri e territoriali.
Pazienti e Metodi: il ruolo del podologo è stato quello di svolgere attività di prevenzione e cura del PD, con controlli periodici in base alle classi di rischio ulcerativo; il ruolo dell’infermiere dell’Ospedale è stato quello di educazione teorico-pratica, quello degli infermieri del Territorio quello di osservazione diretta, di diagnosi precoce e di referenza immediata verso la struttura specialistica. Inoltre, tutte le figure partecipavano alla definizione di Piani di Medicazioni Integrati per garantire una continuità assistenziale ospedale-territorio.
Risultati: i dati ottenuti sono stati estrapolati dalla Cartella Clinica Elettronica (MyStarConnect ®). Nel 2013 circa l’80% dei Diabetici residenti nell’USL 3 ha effettuato almeno una volta una visita di screening per valutazione ispettiva del piede. In relazione a queste attività, i pazienti esaminati tra il 2008 e il 2013 sono stati divisi in due gruppi; gruppo A, rappresentato dai pazienti che accedevano alla struttura solo per un trattamento podologico di controllo, e gruppo B, rappresentato dai pazienti che accedevano per eventi acuti (ulcerazioni o recidive). I risultati indicano una diminuzione del numero dei pazienti afferenti per eventi acuti (da 508 pazienti nel 2008 a 286 nel 2013) ed un aumento del numero delle prestazioni podologiche per pazienti non ulcerati (da 376 pazienti nel 2008 a 1022 nel 2013), sia in prevenzione primaria che secondaria. La definizione di PDTA specifici ha permesso di integrare e uniformare le procedure di medicazione tra Ospedale e Territorio e di rendere tempestiva – entro le 24 ore (70%) o entro 72 ore (25%) – la presa in carico del paziente con lesione attiva da parte della struttura specialistica, attraverso l’attività infermieristica integrata. Nel 2013, 793 pazienti (5% dell’intera popolazione diabetica dell’USL 3) hanno effettuato, durante il 1° accesso presso la diabetologia, una seduta educativa specifica sul piede.
Conclusioni: l’approccio multiprofessionale e la Gestione Integrata attraverso la definizione di PDTA Ospedale-Territorio dedicati alla prevenzione, educazione, diagnosi precoce e trattamento del Piede Diabetico possono modificare la storia naturale della patologia incidendo positivamente sulla prevalenza delle lesioni, sull’efficacia ed appropriatezza del loro trattamento e possibilmente sugli esiti a medio e lungo termine.
EFFICACIA E FATTIBILITÀ DI UN PROGRAMMA EDUCAZIONALE MULTIDISCIPLINARE PER LA PREVENZIONE DELLE ULCERE DEL PIEDE: UN TRIAL CLINICO RANDOMIZZATO
M. Gaias1, S. Zannoni1, D. Renna1, A. Becheri1, D. Catalano1, N. Marchionni1, E. Mannucci2, M. Monami1
1Cardiologia e Medicina Geriatrica; 2Agenzia Diabete, AOU Careggi, Firenze
Background: alcuni studi, inclusi alcuni studi controllati randomizzati, hanno dimostrato che programmi educazionali strutturati sono in grado di ridurre il rischio di ulcere del piede diabetico. Tuttavia, spesso tali programmi non sono specificamente disegnati con lo scopo di prevenire le lesioni ulcerative, ma fanno parte di progetti educazionali più ampi e genericamente rivolti al paziente diabetico, oppure richiedono tempi molto lunghi con un eccessivo consumo di tempo e risorse.
Obiettivi: scopo del presente studio è stato quello di valutare la fattibilità e l’efficacia di un programma educativo breve, della durata di 2 ore, per la prevenzione delle ulcere del piede diabetico in pazienti ad alto rischio.
Pazienti e Metodi: è stato condotto uno studio monocentrico randomizzato in aperto, con follow-up di 6 mesi, che ha arruolato pazienti di età ≥18 anni, affetti da diabete di tipo 2 e che presentavano almeno uno dei seguenti tre criteri: diagnosi di neuropatia, precedenti ulcere del piede diabetico o anomalie strutturali del piede a rischio di ulcerazione a giudizio dello sperimentatore. I pazienti sono stati randomizzati con rapporto 1:1 nel gruppo d’intervento o in quello di controllo. L’endpoint principale è stato l’incidenza di ulcere del piede.
Risultati: lo studio è stato terminato prematuramente a causa di una differenza altamente significativa nei risultati tra i due gruppi di trattamento a 6 mesi. I pazienti arruolati nel presente studio sono stati 120. Sei pazienti, tutti nel gruppo di controllo, hanno sviluppato ulcere durante i 6 mesi di follow-up (10% vs 0%; p=0.012). Il tempo speso per il gruppo d’intervento è stato di 150 minuti per il medico e 1050 minuti per l’infermiere (2,5 e 17,5 minuti rispettivamente per paziente), mentre il tempo speso per la cura delle ulcere dei pazienti del gruppo di controllo è stato di 390 e 1200 minuti (6,5 e 20 minuti per ogni paziente di controllo randomizzato).
Conclusioni: questo breve programma educativo della durata di 2 ore sembra fornire un approccio sostenibile ed efficace nel prevenire le ulcere del piede diabetico in pazienti con diabete di tipo 2 ad alto rischio.
Efficacia di un programma di educazione mediante l’uso delle Conversation Maps, per la prevenzione del piede diabetico
S. Giuntoli, S. Bombara, S. Enache, M. Amendolia, S. Marconi, P. Orsini, G. Di Cianni
UOC Diabetologia e Malattie del Metabolismo. Azienda USL 6 Livorno
Obiettivi: scopo di questo studio è stato quello di valutare se l’impiego delle “Conversation Map” (CM) in un percorso di educazione-informazione è in grado di migliorare le conoscenze per la prevenzione del piede diabetico.
Pazienti e Metodi: lo studio è stato condotto su un campione di 16 pazienti con diabete mellito tipo 2 (DMT2; 9 M e 7 F), con età e durata della malattia rispettivamente di 67,4±6,8 anni e 8,7±5,0 anni; 5 in terapia insulinica e 9 in trattamento con ipoglicemizzanti orali, afferenti alla UO di Diabetologia di Livorno. Prima dell’intervento educativo, per valutare il grado iniziale di conoscenza sull’argomento, l’infermiere facilitatore ha somministrato un questionario a risposta multipla che i pazienti hanno autocompilato anonimamente. Le domande vertevano su: tipo di calzature, medicazioni, lavaggio dei piedi, taglio delle unghie, idratazione del piede oltre che sui principi generali di conoscenza della malattia diabetica. Solo 25 su un totale di 128 domande (20%) sono risultate corrette. Successivamente il campione di 16 pazienti è stato suddiviso in 3 piccoli gruppi per favorire un maggior coinvolgimento agli incontri di “Conversation Map” condotti dall’infermiere. Tutti hanno partecipato in maniera attiva ai 3 incontri, riguardanti gli argomenti del piede diabetico e delle complicanze agli arti inferiori.
Risultati: a distanza di 6 mesi dall’intervento educativo, ad ogni paziente è stato riproposto il questionario iniziale. È stato registrato un significativo incremento delle risposte corrette (93 su 128; 73%). Punteggi più elevati sono stati raggiunti nelle domande pratiche (lavaggio dei piedi, taglio delle unghie, idratazioni) e più bassi sugli argomenti riguardanti la conoscenza delle complicanze croniche. Un maggior numero di risposte esatte è stato registrato nei pazienti di sesso femminile (F 80% vs M 72%), nella fasce di età più giovani (96% risposte esatte in pazienti con età 60-64 anni) e tra i soggetti con minor durata del diabete (76% risposte esatte in pazienti con durata del diabete inferiore a 10 anni).
Conclusioni: i dati di questo studio, sebbene condotti su un campione numericamente esiguo, dimostrano che l’impiego delle CM è in grado di migliorare significativamente il livello di conoscenza riguardo la cura e la prevenzione del piede diabetico. Il carattere interattivo e dinamico delle CM mette in discussione credenze e cattive abitudini acquisite nel tempo e favorisce l’empowerment del paziente diabetico, che risulta così direttamente coinvolto nella salvaguardia della propria salute.
PREVENZIONE PRIMARIA E SECONDARIA DELLE AFFEZIONI NEUROPATICHE AVAMPODALICHE NEI PAZIENTI DIABETICI: L’UTILIZZO DEL DISPOSITIVO IN SILICONE
M. Perini, A. Bernini, A. De Bellis, A. Tedeschi, S. Viti, R. Anichini
UO Diabetologia Ospedale San Jacopo USL 3, Pistoia
Background: l’ortesi digitale in silicone è un dispositivo rimovibile realizzato su misura in grado di correggere e/o accomodare le deformità dell’avampiede durante la deambulazione, fornire un adeguato scarico delle ipercheratosi contribuendo in tal modo a prevenire l’insorgenza di lesioni ulcerative.
Obiettivi: lo scopo di questo studio è stato quello di valutare l’efficacia derivata dall’applicazione continua e costante nel tempo dell’ortesi digitale in silicone in pazienti complicati da neuropatia periferica.
Pazienti e Metodi: l’ortesi digitale è stata applicata a due gruppi di pazienti: il primo gruppo (Gruppo A) costituito da 22 soggetti complicati da neuropatia periferica con sovraccarichi digitali e assenza di lesioni; il secondo gruppo (Gruppo B) composto da 16 soggetti neuropatici con lesioni di grado IA e IIA (secondo Texas University).
Risultati: attraverso l’acquisizione di dati sotto forma di immagini fotografiche sottoposte al confronto a distanza di tempo, è stato possibile rilevare che dopo circa 21 giorni le aree affette da ipercheratosi nei soggetti del gruppo A si erano notevolmente ridotte, mentre nei soggetti del gruppo B è stata riscontrata una riduzione delle dimensioni delle lesioni. Infatti, l’area media delle lesioni all’inizio dello studio era cm2 2.0±0.5. Dopo 21 giorni, in 3 di queste lesioni si osservava una riduzione di circa il 60% della loro ampiezza, con area media di cm2 0.8+/-0.2. Le residue 3 lesioni, dopo 21 giorni risultano completamente riepitelizzate. All’inizio e alla fine dello studio è stato somministrato ai pazienti di entrambi i gruppi il questionario SF-36 in cui è stato registrato per i entrambi i gruppi (A e B) il passaggio da un punteggio di ≥4 (indice di qualità della salute passabile/scadente) a un punteggio <3 (indice di una qualità della salute buona).
Conclusioni: i nostri dati, relativi ad uno studio ancora in fase di follow-up, indicano che l’ortesi digitale in silicone è risultata di facile e sicura applicazione nella prevenzione delle lesioni associate a iperpressione. Tale ortesi è ben accettata dal paziente ed efficace soprattutto se associata alla dermoabrasione e all’uso di calzature di scarico nelle lesioni di grado IA-IIA secondo la Texas University.
PIEDE DIABETICO INFETTO: IL TRATTAMENTO ENDOVASCOLARE PRECOCE SEGUITO DA TRATTAMENTO CHIRURGICO LOCALE LIMITA IL LIVELLO D’AMPUTAZIONE
N. Troisi, G. Landini, S. Michelagnoli, F. Falciani, C. Baggiore per conto delle UO afferenti al percorso aziendale del piede diabetico
Centro Interdipartimentale Piede Diabetico, Azienda Sanitaria Firenze, Firenze
Introduzione: l’infezione del piede diabetico rappresenta una drammatica complicanza che aumenta considerevolmente il tasso di amputazioni nei soggetti diabetici.
Obiettivi: Scopo di questo studio è stato quello di verificare se un trattamento endovascolare precoce seguito dal trattamento chirurgico locale contribuisce a limitare il numero e il livello di amputazioni in soggetti con piede diabetico infetto.
Materiali e Metodi: tra gennaio e novembre 2014, 48 pazienti con piede diabetico infetto sono stati sottoposti a rivascolarizzazione precoce per via endovascolare e a trattamento chirurgico locale a breve distanza di tempo. In tutti i casi la procedura endovascolare è stata effettuata entro 1 settimana dalla diagnosi di infezione. I risultati a 6 mesi sono stati valutati in termini di pervietà dei vasi trattati, di assenza di restenosi (target lesion revascularization – TLR) e di salvataggio d’arto.
Risultati: i pazienti erano prevalentemente di sesso maschile (34 su 48, 70.8%) con un’età media di 72.4 anni (range 51-91). 32 pazienti (66.7%) avevano ulcere ischemiche ed infette coinvolgenti anche l’articolazione o le strutture ossee (TUC IIID). Il successo tecnico angiosome-oriented è stato raggiunto in tutti i casi tranne due (46 su 48, 95.8%). Il trattamento chirurgico locale è consistito in debridement senza resezione ossea in 27 casi (56.2%), amputazione di dito/raggio in 15 casi (31.2%), amputazione di Lisfranc in 2 casi (4.2%), amputazione transmetatarsale in 2 casi (4.2%), e amputazione di gamba in 2 casi (4.2%). Durante il follow-up (durata media 3.5 mesi, range 1-8) la guarigione delle ulcere è stata ottenuta nei 2/3 dei casi (32/48). A 6 mesi i valori stimati di pervietà primaria, pervietà primaria assistita, pervietà secondaria, assenza di TLR e salvataggio d’arto sono stati del 77.8%, 87%, 87%, 84.6% e 94%, rispettivamente.
Conclusioni: il trattamento endovascolare precoce seguito da trattamento chirurgico locale contribuisce nella nostra esperienza a limitare il livello d’amputazione nei soggetti affetti da piede diabetico infetto. L’approccio multidisciplinare e l’adozione di un triage del piede diabetico sono essenziali per ottenere questi risultati.
Protocollo per il trattamento e IL monitoraggio motorio del paziente a rischio “piede diabetico”
PG. Francia1, A. De Bellis2, A. Tedeschi2, P. Bosi3, S. Anichini1, R. Anichini2, M. Gulisano1
1Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica, Università di Firenze; 2Servizio di Diabetologia, USL 3 Spedali Riuniti, Pistoia; 3Associazione ANIMO, Firenze
Background: è noto come i pazienti diabetici possano sviluppare problematiche funzionali, posturali e biomeccaniche e come queste possano concorrere ad aumentare il rischio di ulcera del piede. Allo stesso tempo il monitoraggio motorio (MM) di questi pazienti, spesso sedentari e resistenti al cambiamento degli stili di vita, è ritenuto di grande importanza al fine del raggiungimento di un adeguato controllo metabolico. Questo obiettivo è oggi reso più facilmente raggiungibile attraverso l’impiego di opportuni protocolli motori adattati al paziente con diabete e alla disponibilità di nuove tecnologie.
Obiettivi: valutazione dell’efficacia di un protocollo per il trattamento e il monitoraggio motorio del paziente con diabete mellito tipo 2.
Pazienti e Metodi: a questo proposito abbiamo confrontato 26 pazienti diabetici anziani (13/13, M/F), età media 62.0±8.2 anni, con 17 soggetti sani di controllo (6/11, M/F), età media 59.0±10.2 anni. Sono stati impiegati strumenti quali il Bioharness 3.0 e l’Actigraph.
Risultati: i soggetti diabetici hanno evidenziato significative riduzioni funzionali rispetto ai controlli. Inoltre, 12 settimane (3 sedute settimanali) di trattamento motorio hanno comportato incrementi significativi della forza muscolare, mobilità articolare e velocità del cammino (p<0.001). Al termine delle 12 settimane di intervento, le differenze rispetto ai controlli sani in ciascuno di tali parametri risultavano non statisticamente significative. Il protocollo si articolava in: attivazione organica, stretching, stimolazione esterocettiva e propriocettiva, equilibrio statico-dinamico e coordinazione, tonificazione muscolare. Dopo un periodo di formazione in presenza del terapista, alcune sessioni di allenamento potevano essere svolte a domicilio; tali attività domiciliari venivano documentate in un apposito diario.
Conclusioni: strumenti come il Bioharness 3.0 e l’Actigraph consentono una puntuale valutazione funzionale e un affidabile monitoraggio motorio, anche in remoto per lunghi periodi.
Ambiti | Actigraph – GT3X | BioHarness 3.0 | ||
Movimento | Quantità | M | Accelerazione, impatto, salto, intensità forza arti inferiori (Nw/s) | V |
Movimento | Intensità | M | Parametri Aerobici (FR,FC,HRR,VO2,Kcal, ecc.) | V |
Movimento | Distribuzione | M | Accelerometria sui tre assi (3d) | V/M |
Sonno | Qualità – actisleep | M | Apnee (variazione FR) | M |
Postura | Postura del tronco | V/M |
Applicazioni dei due strumenti in sede di V: valutazione funzionale e di M: valutazione motoria
IL DIABETE MELLITO IN UNA UNITÀ OPERATIVA DI MEDICINA INTERNA: IL TRATTAMENTO OSPEDALIERO E I PERCORSI DI CONTINUITÀ
A. Pronesti1, M.L. De Feo1, G. Lombardo2, S. Migliorini1, A. De Luca1
1UOSD Diabetologia e Endocrinologia Ausl 11, Empoli; 2UOC Medicina Generale Ausl 11, Empoli
Obiettivi: valutare la prevalenza di diabete mellito noto o di nuova diagnosi tra i ricoverati in un’area di Degenza Ordinaria; valutare la congruenza del trattamento intraospedaliero dei pazienti diabetici rispetto al Protocollo Aziendale; implementare l’assistenza sul territorio.
Metodi: individuazione dei soggetti affetti da diabete mellito tra i pazienti dimessi presso l’UOC di Medicina Generale di Empoli nel periodo 1 giugno-15 settembre 2014. Riferimento all’Istruzione Operativa “Corretta gestione del Diabete Mellito nella degenza ordinaria e nella continuità” redatta dall’UOC di Medicina Generale di Empoli e dall’UOSD di Diabetologia-Endocrinologia, adottata dall’Azienda USL 11 di Empoli dal novembre 2013. Individuazione dei pazienti da affidare alla Diabetologia e redazione di una Lettera di Comunicazione per il MMG da allegare alla Relazione di Degenza.
Risultati: prevalenza di diabete mellito noto o di nuova diagnosi nel periodo indice: 25% (300/1198). Presenza di complicanze croniche nel 58,3% dei diabetici ricoverati. In 29 casi il ricovero è stato motivato da episodi acuti in presenza di complicanze croniche. Il trattamento durante la degenza era: ipoglicemizzanti orali 18 pazienti; nessun trattamento 15 pazienti; insulina per via endovenosa 14 pazienti, di cui 4 con NPT; insulina s.c. con regime Basal 15 pazienti (NET); insulina s.c. con schema Basal Bolus 238 pazienti, introdotto in seconda giornata in 90 pazienti. Il 42% di HGT a digiuno e il 49,5% di HGT pre-prandiali compresi tra 110-140 mg/dl; il 70% di HGT post-prandiali <180 mg/dl. Affidamento alla Diabetologia per 41 pazienti: 4 di nuova diagnosi, 33 in scarso compenso metabolico, 4 per piede diabetico. Infine, 21 pazienti, già seguiti, sono stati riaffidati alla Diabetologia.
Conclusioni: l’elevata incidenza dei diabetici fra i pazienti ospedalizzati costituisce un problema di gestione. Durante il trattamento ospedaliero il grado di allineamento ai targets glicemici è risultato accettabile (non valori pericolosamente bassi, né molto elevati), ma sono emerse alcune criticità: timing di adozione del regime Basal-Bolus (Basal-Plus?); mancato affidamento alla diabetologia per alcuni casi di piede diabetico; implementazione della continuità (scheda dedicata?)
LA MISURAZIONE DELLA GLICEMIA CAPILLARE NEL PAZIENTE DIABETICO: STUDIO RANDOMIZZATO DI CONFRONTO TRA DIVERSI GLUCOMETRI
E. Frati1, E. Nardini1, S. Zannoni1, B. Nreu1, D. Gabbai1, F. Sgrilli1, M. Bennati1, F. Fabbri1, R. Boni1, E. Mannucci2, M. Monami1
1Cardiologia e Geriatrica e 2Agenzia Diabetologica; Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi, Firenze
Background: le più recenti raccomandazioni delle principali società scientifiche diabetologiche auspicano una “sartorializzazione” della terapia ipoglicemizzante sulla base delle caratteristiche cliniche dei pazienti. Tale moderno approccio non può tuttavia prescindere da un’adeguata e accurata misurazione delle variazioni glicemiche mediante sistemi di controllo della glicemia (glucometri). Questi si sono negli ultimi anni rivelati fondamentali “armamenti” a disposizione del diabetologo e del medico di medicina generale. Scopo di questo studio è stato quello di valutare e confrontare accuratezza e precisione di differenti glucometri in una popolazione di pazienti con diabete mellito.
Materiali e Metodi: sono stati arruolati 342 pazienti affetti da diabete mellito e con età≥18 anni, randomizzati a 7 diversi gruppi (Accucheck Nano Roche n=48, Bioseven LineaD Evo n=49, Contour XT n=52, Freestyle Abbot n=49, Glucomen LX Plus Menarini n=53, iBG Star Sanofi n=42, One Touch Verio n=49). Tutti i pazienti sono stati sottoposti ad un prelievo ematico a digiuno per la determinazione della glicemia plasmatica e a tre misurazioni di glicemia capillare, con lo strumento assegnato su tre dita diverse della stessa mano. È stato confrontato con test non parametrici (Wilcoxon’s test: test della mediana a campioni indipendenti) il valore MARD (mean absolute relative difference) dei singoli reflettometri considerando statisticamente significativa una p<0.05.
Risultati: la precisione, intesa come la ripetibilità della misurazione, è risultata buona per tutti i glucometri in studio senza differenze significative e con un range di valori compreso tra 1.6 e 4.6 mg/dl rispetto alla media delle tre misurazioni capillari. L’accuratezza, intesa come lo scostamento medio delle tre glicemie misurate con il reflettometro rispetto a quella plasmatica, è invece risultata diversa tra i vari strumenti come riportato nella tabella seguente. Tale tabella mostra la percentuale di valori che si discostano del 5, 10, 15 e 20% da quello plasmatico. Lo scostamento percentuale medio delle tre glicemie capillari rispetto alla glicemia plasmatica è risultato 0.6%, 0.0%, 6.4%, -3.9%, 6.8%, 8.0% e 8.0% rispettivamente per Accucheck, Bioseven, Contour, Freestyle, Glucomen, iBG Star e One Touch.
Discussione: il presente lavoro mostra come tutti i glucometri in studio siano risultati precisi, mentre l’accuratezza non sembra sovrapponibile; alcuni strumenti infatti tendono a sovrastimare e altri a sottostimare in maniera sistematica le glicemie capillari rispetto a quella plasmatica con implicazioni cliniche anche potenzialmente pericolose specialmente quando si sostituisce uno strumento con un altro.
Scostamento | Accucheck | Bioseven | Contour XT | Freestyle | Glucomen LX | iBG Star | One Touch |
5% (%) | 43.0 | 53.1 | 39.7 | 36.1 | 41.5 | 33.3 | 33.3 |
10% (%) | 68.4 | 84.4 | 63.5 | 72.1 | 64.1 | 60.3 | 60.5 |
15% (%) | 86.8 | 92.5 | 80.1 | 92.5 | 81.1 | 80.2 | 75.6 |
20% (%) | 93.8 | 98.6 | 92.3 | 97.3 | 91.2 | 91.3 | 87.1 |
LA SPESA PER PRESIDI PER L’AUTOCONTROLLO GLICEMICO NELL’ASL 1 – MASSA E CARRARA: APPROPRIATA OD INAPPROPRIATA?
M.C. Dell’Amico, G. Gregori, M. Mori, F. Baccetti, M. Dolci
SSD Diabetologia ASL 1. Massa e Carrara
Introduzione: la spesa per i presidi per la misurazione della glicemia capillare è una voce sottovalutata dei costi diretti della malattia diabetica. In Italia il costo della singola striscia oscilla fra € 0,32 e € 1,41. Le Linee Guida nazionali ed internazionali indicano quali pazienti hanno vantaggi dall’esecuzione dell’automonitoraggio glicemico. In Toscana, la delibera 400 del 13/04/2001, indica con precisione le tipologie di pazienti che hanno diritto all’erogazione delle strisce reattive per la misurazione della glicemia su sangue capillare ed in quali quantità.
Obiettivi: scopo del nostro studio è stato valutare se tutti i pazienti a cui sono stati prescritti i presidi per l’autocontrollo glicemico rientravano nella categorie stabilite dalla Regione Toscana.
Pazienti e Metodi: dai database aziendali abbiamo estratto i pazienti a cui sono state erogate strisce reattive nel 2013 nella zona Apuana della nostra ASL. Da questi sono stati sottratti i pazienti in terapia insulinica (contemporanea fornitura aghi e/o siringhe). I rimanenti sono stati confrontati con i pazienti residenti nella medesima zona, che nel 2013 non hanno avuto prescrizioni per insulina e/o farmaco segretagogo. È stato quindi calcolato il costo totale dell’inappropriatezza e il valore percentuale sul costo totale delle strisce reattive fornite.
Risultati: l’ASL 1 di Massa e Carrara, nella zona Apuana, ha erogate strisce a 10802 pazienti in terapia ipoglicemizzante orale; di questi 1382 (12,8%) sono risultati pazienti in terapia con farmaci non segretagoghi e quindi con erogazione potenzialmente inappropriata. Questi pazienti hanno ricevuto in media 43±28 strisce/mese (min 6; max 250) per un totale di 59842 strisce ed un costo totale di € 23338,38 che corrisponde al 2,65% del costo totale delle strisce reattive erogate nella zona Apuana.
Conclusioni: pur riconoscendo la necessità di condurre analisi più estese che comprendano tutti residenti nella nostra ASL, questi dati suggeriscono che è possibile recuperare risorse migliorando l’appropriatezza nell’erogazione degli strumenti per l’automonitoraggio della glicemia.
IL SERVIZIO INFERMIERISTICO DIABETOLOGICO NELLA USL 11
M. Telleschi, A. Tudisco, E. Addinivola, D. Pasqualetti, M.L. De Feo, A. De Luca
UOSD Diabetologia e Endocrinologia Ausl 11, Empoli
Introduzione: la USL 11 comprende un territorio molto vasto per distribuzione (933 Kmq) e numero di abitanti (circa 230.000 individui).
Metodi: per l’assistenza al paziente diabetico i servizi infermieristici della UOSD di Diabetologia-Endocrinologia (Empoli, Castelfiorentino, Fucecchio, Castelfranco di Sotto) sono stati riorganizzati negli ultimi due anni e suddivisi nelle seguenti attività:
1. ambulatorio infermieristico, finalizzato all’educazione del paziente diabetico: possono accedere i pazienti in dimissione inviati dai reparti ospedalieri con percorso dedicato. Il servizio È attivo giornalmente nella sede principale di Empoli previa richiesta e-mail o fax;
2. servizio di Day Service per la rilevazione delle complicanze diabetiche: attività bisettimanale, sede di Empoli; attività infermieristiche: prelievi, ECG, pressione arteriosa, misure antropometriche, ispezione del piede, appuntamenti per esami strumentali; in via di attivazione uso del retinografo non midriatico; terapie antibiotiche e.v.;
3. ambulatorio del piede diabetico; sede di Empoli;
4. educazione terapeutica e all’uso di presidi per i pazienti in visita ambulatoriale (tutte le sedi);
5. attività formativa per il personale infermieristico dei servizi del Chronic Care Model (CCM), e degli studi dei MMG finalizzata alla standardizzazione della gestione dei pazienti non in carico agli ambulatori della UOSD.
Conclusioni: la suddivisione dell’assistenza infermieristica ai pazienti diabetici, con percorsi preferenziali fra il Servizio di Diabetologia, le strutture Ospedaliere e quelle del CCM può costituire un valido supporto per una gestione condivisa del paziente attraverso le varie fasi della malattia.
L’ANGIOPLASTICA TRANSLUMINALE PERCUTANEA NEL TRATTAMENTO DELLE ARTERIOPATIE DEGLI ARTI INFERIORI NEI PAZIENTI DIABETICI DELL’AUSL 11 EMPOLI NEL 2012
C. La Porta, G. Credi, F. Bonechi, A. De Luca
UOC Chirurgia Generale. UOS Chirurgia Vascolare Ausl 11, Empoli; UOSD Diabetologia e Endocrinologia Ausl 11, Empoli
Obiettivo: valutare l’efficacia dell’Angioplastica Transluminale Percutanea (PTA) nel trattamento delle arteriopatie degli arti inferiori nei pazienti affetti da Piede Diabetico ischemico e ischemia critica nell’Ausl 11 Empoli.
Pazienti e Metodi: individuazione dei soggetti affetti da Piede Diabetico seguiti dall’Ambulatorio Piede Diabetico dell’Ausl 11 di Empoli e sottoposti nel 2012 a PTA in collaborazione con l’UOS di Emodinamica e l’UOS di Chirurgia Vascolare. Valutazione, prima della procedura di PTA, delle lesioni del Piede Diabetico secondo il Sistema di Classificazione proposto dalla Texas University. Valutazione del tempo di risoluzione delle lesioni dal momento della PTA e analisi dei livelli di amputazione.
Risultati: nel 2012, presso la Ausl 11 di Empoli, sono stati sottoposti a PTA degli arti inferiori 33 pazienti con diabete mellito tipo 2, di cui 22 maschi e 11 femmine, per una età compresa tra 56 e 98 anni; i fattori di rischio e le complicanze connesse erano neuropatia sensitivo-motoria 25%, retinopatia 12,5%, nefropatia 30%, ipertensione arteriosa 100%, dislipidemia 82,5%, cardiopatia ischemica 30.2%, tabagismo 15%, obesità 3%. Questi pazienti presentavano lesioni ulcerative in percentuale simile di 1, 2, 3 D secondo la Classificazione della Texas University. Il successo immediato della procedura è stato registrato nel 90% dei casi, mentre nel 10% dei casi la rivascolarizzazione è stata inefficace. La mortalità e la morbidità peri-operatorie sono risultate nulle. Nel corso del follow-up (15 mesi) si è assistito nel 12,5% dei pazienti ad una recidiva dell’ischemia critica per cui è stata eseguita, con successo, una nuova PTA. Si sono rese necessarie alcune amputazioni: nel 2,5% dei casi di due dita, nel 2,5% dei casi di una falange, e nel 7,5% a livello transmetatarsale. Solo nel 2,5% dei casi non vi è stato successo nel ridurre il livello di amputazione.
Conclusioni: i pazienti sono stati seguiti nei mesi successivi. Ottimi risultati sono stati ottenuti sia nei soggetti sottoposti ad amputazione minore, sia nei pazienti in cui non si sono resi necessari interventi di tipo demolitivo. Si è assistito inoltre a una rapida risoluzione delle lesioni trofiche (più spesso in un periodo di 2-4 mesi) e a una persistente scomparsa della sintomatologia dolorosa.
IL TRATTAMENTO DELLA “POSTURA RIGIDA DIABETICA”
P. Francia1, A. De Bellis3, R. Lazzeri3, G. Seghieri2, A. Tedeschi3, M. Gulisano1, R. Anichini3
1Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica, Università di Firenze; 2Agenzia della Salute Regionale Toscana; 3Servizio di Diabetologia, USL 3 Spedali Riuniti, Pistoia
Background: molti fattori contribuiscono allo sviluppo del piede diabetico (PD). La neuropatia diabetica periferica e l’arteriopatia periferica sono le principali cause di ulcerazione del piede e contribuiscono allo sviluppo di ulteriori fattori di rischio ulcerativo come i deficit muscolari, le deformità del piede e la limitata mobilità articolare. La carenza di equilibrio, insieme alle anomalie biomeccaniche, possono essere presenti, aumentare il rischio ulcerativo e concorrere alla comparsa di una specifica postura rigida. Tale processo può concretizzarsi con lo sviluppo di un circolo vizioso che ha come risultato l’alterazione della distribuzione delle pressioni sulla superficie plantare del piede in condizioni statiche e dinamiche.
Obiettivi: è stato dimostrato che alcuni di questi fattori di rischio ulcerativo quali la limitata mobilita articolare, i deficit di forza muscolare, la ridotta velocità del cammino o i difetti dell’equilibrio, migliorano dopo alcune settimane di trattamento mediante esercizio fisico (EF). Per questo è stato suggerito come EF possa rappresentare un’importante arma nella prevenzione delle ulcere del piede.
Pazienti e Metodi: anche se la terapia mediante EF rivolta ai pazienti con PD può avere diversi obiettivi, particolare attenzione dovrebbe essere posta al trattamento dei disturbi posturali e dei suoi fattori causali.
Risultati: fra le maggiori limitazioni riscontrate rispetto trattamento dei pazienti diabetici mediante EF vi sono quelle legate alle difficoltà di accesso alle strutture attrezzate, la ridotta collaborazione dei pazienti e la transitorietà dei risultati ottenuti. In ordine al superamento di tali limitazioni è importante garantire la possibilità di effettuare programmi di attività motoria personalizzati, di facile esecuzione e che non prevedano l’utilizzo di strumentazioni costose o ingombranti.
Conclusioni: la puntuale conoscenza dello stile di vita dei pazienti è oggi possibile grazie all’utilizzo di nuove tecnologie che consentono il monitoraggio motorio e posturale anche in remoto come l’Actigraph. Il tutto deve avvenire in considerazione del rischio ulcerativo presente e della eventuale presenza di una tipica ”postura rigida diabetica”.
Quale rapporto fra diabete MELLITO, pressioni plantari, forza, mobilità articolare e postura
P. Francia1, A. De Bellis2, A. Tedeschi2, F. Puglisi1, S. Anichini1, R. Anichini2, M. Gulisano1
1Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica, Università di Firenze; 2Servizio di Diabetologia, USL 3 Spedali Riuniti, Pistoia
Background: è noto come nei pazienti diabetici può essere presente un’anomala distribuzione delle pressioni plantari, associata a limitata mobilita articolare, oltre che ad alterazioni muscolari, biomeccaniche e posturali.
Obiettivi: lo scopo di questo studio preliminare è stato quello di verificare la presenza di una modificata postura sul piano sagittale nei pazienti diabetici con neuropatia periferica. Ulteriore obiettivo è stato il confronto fra orientamento del corpo sul piano sagittale ed altri parametri considerati fattori di rischio per il piede diabetico.
Pazienti e Metodi: sono stati valutati 10 pazienti diabetici (Group D), età media 61.6±15.4 anni, (6/4 M/F), durata di malattia 22.8±13.2 anni, e 9 controlli sani (Group C), età media 50.9±8.8 anni, (4/5 M/F). La forza e la mobilità articolare della caviglia in flesso-estensione sono state misurate rispettivamente mediante dinamometri isometrici ed inclinometro. Il test di baropodometria statica è stato utilizzato per la valutazione delle pressioni plantari del piede mentre le analisi delle immagini sul piano sagittale sono state usate per calcolare l’inclinazione dell’asse passante per il centro della caviglia ed il trago dell’orecchio.
Risultati: la forza e la mobilità articolare sono risultate significativamente ridotte nei pazienti diabetici rispetto ai controlli sani (p<0.001). L’inclinazione in avanti del corpo è risultata maggiore (+26.8%) nei pazienti diabetici (Group D = 3.55±1:37o; Group C = 2.6±1.06o), differenza che, tuttavia, non raggiunge la significatività statistica. Solo nei pazienti neuropatici l’inclinazione in avanti del corpo era correlata in maniera diretta con la durata di malattia (p<0.05) ed inversamente correlata con la mobilità articolare (p<0.01). Le pressioni plantari del piede valutate nei pazienti diabetici non sono risultate significativamente diverse da quelle riscontrate nei controlli; le pressioni plantari non sono risultate correlate agli altri parametri indagati.
Conclusioni: anche nella gestione dei pazienti diabetici a rischio di piede diabetico sarebbe opportuna una valutazione biomeccanica e posturale che interessi tutto il corpo: infatti, spesso, piuttosto che in presenza del solo “piede rigido diabetico” si può essere in presenza di una “postura rigida diabetica”.
IMPORTANZA DEL CONTROLLO DELL’IMC-PREGRAVIDICO E DELL’INCREMENTO PONDERALE GRAVIDICO IN DONNE SOVRAPPESO E OBESE
M. Romano, E. Lacaria, A. Bertolotto, S. Del Prato
Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale. UO di Malattie Metaboliche e Diabetologia “Renzo Navalesi” Azienda Ospedaliero Universitaria di Pisa
Introduzione: l’Institute of Medicine (IOM) ha sviluppato Linee Guida (LG) sul corretto incremento ponderale (IP) in gravidanza definito sulla base dell’Indice di Massa Corporea pregravidico (IMC-pg).
Obiettivi: l’obiettivo dello studio è stato quello di confrontare valori pressori e glicemici e l’aderenza alle LG rispetto all’IP in donne con diverso IMC-pg.
Soggetti e Metodi: sono state valutate 230 gestanti caucasiche, afferite al Servizio di Diabetologia dell’AOU di Pisa per eseguire lo screening per diabete gestazionale (DG), secondo le LG Italiane. Dati clinici, antropometrici e laboratoristici sono stati raccolti il giorno dello screening, mentre l’IMC-pg è stato riferito dalle donne.
Risultati: la popolazione dello studio è stata suddivisa in base al IMP-pg in: normopeso (NP n.78, IMC-pg 21.1±1.9 Kg/m2, età 35±4.9 anni, pregresso DG 1,3%, familiarità per DMT2 19,2%); sovrappeso (OW n.78, IMC-pg 26.9±1.2 Kg/m2, età 35.9±3.8 anni, pregresso DG 1.3%, familiarità per DMT2 27.3%); obese (OB n.74, IMC-pg 33.8±3.6 Kg/m2, età 34.8±4.7 anni, pregresso DG 9.7%, familiarità per DMT2 28.8%). I 3 gruppi erano comparabili per età, epoca gestazionale, familiarità per DMT2 e pregressa macrosomia. La glicemia a digiuno (FPG) era maggiore in OW e OB (rispettivamente, 85.7±8.7 e 86.3±9.1 mg/dl) rispetto a NP (82.9±7.3 mg/dl; OB vs NP p=.02, OW vs NP p=.05). Dopo OGTT, OW e OB presentavano valori di glicemia più elevati a 1-hr (OW 141.9±30.7; OB 145.0±30.9; NP 125.7±31.3 mg/dl; OB vs NP p=.003, OW vs NP p=.002), mentre la glicemia a 2-hr era più elevata, rispetto alle NP, solo nelle OB (NP 105.1±25.1, OB 116.9±24.4 mg/dl; p=.007). In queste ultime, la prevalenza di DG era maggiore (OB 35,6%, OW 30,3%, NP 18%, OB vs NP; p=.01). I valori pressori sistolici (PAS) e diastolici (PAD) risultavano differenti tra NP e OW (PAS: 108.6±11.2 vs 115.6±13.8 mmHg p=.001; PAD: 66.8±7.8 vs 70.8±8.5 p=.005), tra NP e OB (PAS: 108.6±11.2 vs 120.5±13.9 p<.0001; PAD: 66.8±7.8 vs 74.6±9.4 p<.0001) e tra OW e OB (PAS: p=.020; PAD: p=.005). L’IP a termine di gravidanza è risultato adeguato solo nel gruppo NP (NP 14,2±3,2 kg; OW: 13,5±5,6 kg; OB 10,3±6,2 kg; p<.0001 NP vs OW, <.0001 NP vs OB).
Conclusioni: i valori pressori, glicemici e la prevalenza di DG erano maggiori nelle OW e OB che, a fine gravidanza, avevano anche un incremento ponderale maggiore di quanto raccomandato dalle Linee Guida IOM. I nostri risultati suggeriscono che un attento counseling è necessario soprattutto per queste categorie di donne.
IL TRATTAMENTO DEL PIEDE DIABETICO: SI PUÒ PARLARE DI REINGRESSI OSPEDALIERI O SI TRATTA DI ATTUAZIONE DELLE CURE ALL’INTERNO DI UN PERCORSO?
N. Troisi, G. Landini, S. Michelagnoli, F. Falciani, C. Baggiore per conto delle UO afferenti al percorso aziendale del piede diabetico
Centro Interdipartimentale Piede Diabetico, Azienda Sanitaria Firenze, Firenze
Introduzione: l’Azienda Sanitaria Firenze ha stilato un documento aziendale per l’attuazione di un percorso multidisciplinare per il management dei pazienti affetti da piede diabetico.
Obiettivi: scopo di questo studio è stato quello di analizzare i primi 6 mesi di attività dall’implementazione di tale percorso in termini di reingressi ospedalieri dei pazienti sottoposti ad intervento di rivascolarizzazione endovascolare delle arterie degli arti inferiori.
Materiali e Metodi: da marzo ad agosto 2014, 45 pazienti affetti da piede diabetico sono stati sottoposti a rivascolarizzazione endovascolare delle arterie degli arti inferiori. Alla dimissione tutti i pazienti sono stati reinviati all’interno del percorso aziendale multisciplinare per il trattamento del piede diabetico. Tutti i dati peri- e post-procedurali sono stati inseriti all’interno di un database dedicato. Sono stati analizzati tutti gli eventuali reingressi ospedalieri e le relative cause.
Risultati: la durata media del follow-up è stata di 3.1 mesi (range 1-6). Durante tale periodo sono deceduti 2 pazienti (1 caso per emorragia cerebrale e 1 caso per scompenso cardiaco acuto). Ventotto pazienti (62.2%) non hanno subito un nuovo ricovero, mentre i restanti 17 pazienti (37.8%) hanno subito un reingresso ospedaliero a causa dei seguenti motivi: amputazione minore (8/17 casi, 47%), amputazione maggiore (1/17 casi, 5.9%), nuova procedura di rivascolarizzazione endovascolare (4/17 casi, 23.5%), infezione del piede con quadro settico (1/17 casi, 5.9%), scompenso cardiaco acuto (2/17 casi, 11.8%), infusione di cellule staminali (1/17 casi, 5.9%). Globalmente il tasso di reingressi ospedalieri per motivi inerenti il percorso aziendale del piede diabetico è stato dell’88.2% (15/17 casi).
Conclusioni: all’interno di un percorso multidisciplinare per il trattamento del piede diabetico non si può parlare di reingresso ospedaliero, in quanto il nuovo ricovero è insito nel percorso stesso. I reingressi garantiscono la continuità delle cure con lo scopo di ridurre il tasso di amputazioni maggiori.
UTILIZZO DI PALLONI CONICI PER IL TRATTAMENTO DI OCCLUSIONI LUNGHE DEI VASI TIBIALI IN PAZIENTI DIABETICI CON ISCHEMIA CRITICA DEGLI ARTI INFERIORI
N. Troisi, G. Landini, S. Michelagnoli, F. Falciani, C. Baggiore per conto delle UO afferenti al percorso aziendale del piede diabetico
Centro Interdipartimentale Piede Diabetico, Azienda Sanitaria Firenze, Firenze
Introduzione: il diabete è la principale causa di ischemia critica degli arti inferiori. Nei diabetici le occlusioni lunghe dei vasi tibiali sono molto comuni. Scopo di questo studio è stato quello di valutare i risultati dei palloni conici nella ricanalizzazione di occlusioni lunghe di vasi tibiali in pazienti diabetici con ischemia critica.
Materiali e Metodi: da gennaio ad agosto 2014, 49 vasi tibiali con occlusioni lunghe sono stati ricanalizzati e trattati con palloni conici (Amphirion Deep; Medtronic Inc., Minneapolis, MN, USA) in pazienti diabetici con ischemia critica afferenti al percorso aziendale del piede diabetico. I risultati a 6 mesi sono stati valutati in termini di morbidità, mortalità, pervietà primaria, pervietà primaria assistita, pervietà secondaria, assenza di restenosi (target lesion revascularization – TLR), guarigione delle ulcere/risoluzione dei sintomi e salvataggio d’arto.
Risultati: i pazienti erano prevalentemente di sesso maschile (27/35, 77.1%) con un’età media di 70.9 anni (range 51-85). La lunghezza media dell’occlusione tibiale era di 232.7 mm (range 110-380). Il successo tecnico angiosome-oriented è stato ottenuto in 44/49 casi (89.8%). Durante il follow-up (durata media 3.1 mesi, range 1-6) la guarigione delle ulcere/risoluzione dei sintomi è stata ottenuta in 28/35 casi (80%). A 6 mesi il tasso stimato di salvataggio d’arto è stato del 97.1%. Inoltre, a 6 mesi i tassi di pervietà primaria, pervietà primaria assistita, pervietà secondaria e assenza di TLR sono stati rispettivamente del 64.5%, 81.4%, 81.4%, e 78.2%. L’analisi univariata ha dimostrato che il sesso maschile, la classe Rutherford 6, la presenza di concomitante coronaropatia e l’assenza di predilatazione sono fattori predittivi di insuccesso in termini di salvataggio d’arto, pervietà del vaso e di assenza di TLR.
Conclusioni: i palloni conici sono sicuri ed efficaci nel trattamento di occlusioni lunghe di vasi tibiali in pazienti diabetici con ischemia critica. La predilatazione dovrebbe essere raccomandata in tutti i casi. I risultati sembrano incoraggianti, anche se sono necessarie esperienze con popolazioni di studio più ampie e con un più prolungato follow-up.
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