Su indicazione del Presidente e del Consiglio Direttivo della SID apriamo una nuova sezione della rivista aperta ai contributi dei soci SID partecipanti ai Congressi Regionali e ai Gruppi di Studio della società.
il Diabete, oltre ad essere una palestra di aggiornamento scientifico,vuole essere la sede di espressione dell’attività clinica e di ricerca di tutti i soci della SID e soprattutto delle nuove generazioni di diabetologi. Invitiamo perciò le Sezioni Regionali e i Gruppi di Studio ad inviarci i loro contributi che potranno rendere la rivista più vicina all’impegno clinico e alla voce di tutti i membri della grande famiglia della SID.
Il Direttore Antonio Tiengo
anche a nome del Comitato Scientifico
Congresso Congiunto SID-AMD Sezioni Regionali Veneto-Trentino-Alto Adige, 22 novembre 2014,
Policlinico G.B. Rossi, Verona
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Abstracts
Correlazione tra 25-OH Vitamina D e LUTS in pazienti affetti da diabete di tipo 2
N. Caretta, S. Vigili de Kreutzenberg, U. Valente, G. Guarneri, D. Pizzol, A. Ferlin, A. Avogaro, C. Foresta
Dipartimento di Medicina, Università di Padova
Introduzione: vari studi suggeriscono una maggior prevalenza di sintomatologia delle basse vie urinarie (LUTS) nei maschi affetti da diabete mellito di tipo 2 (T2DM). I LUTS sono stati inoltre associati alla presenza di Ipertrofia Prostatica Benigna (IPB) e all’ipovitaminosi D. Alcuni autori hanno suggerito una correlazione tra la presenza di T2DM e ridotti livelli circolanti di Vitamina D. In questo studio abbiamo valutato la possibile associazione tra l’ipovitaminosi D, i LUTS e l’IPB nei maschi affetti da T2DM.
Materiali e Metodi: mediante studio prospettico osservazionale abbiamo valutato 67 uomini affetti da T2DM (età media di 57,9±9,28) con attenta anemnesi ed esame obiettivo, somministrazione del questionario IPSS (International Prostate Symptom Score), esami ematochimici (metabolici e ormonali) ed ecografia prostatica tranrettale.
Risultati: i pazienti affetti da T2DM con punteggio IPPS elevato presentavo una riduzione significativa dei livelli circolanti di Vitamina D (p<0,05) e un incremento dei livelli di PSA (p<0,05) e del volume prostatico (p<0,005) rispetto ai soggetti con normale punteggio IPSS. Abbiamo quindi suddiviso i nostri pazienti sulla base dei livelli circolanti di Vitamina D osservando elevati valori di IPSS (p<0,005), un maggior volume prostatico (p<0,0001), un incremento dei valori pressori diastolici (p<0,05) e una riduzione dei livelli di colesterolo HDL (p<0,05) nei soggetti con marcata riduzione della vitamina D (<25nmol/l) rispetto ai soggetti con normali livelli (>50nmol/l). Si è inoltre rilevata una significativa correlazione inversa tra i livelli di Vitamina D, il punteggio IPSS (R=-0,333; p=0,006) e il volume prostatico (R=-0,311; p=0,011). Infine, mediante analisi multivariata, abbiamo evidenziato che l’ipovitaminosi D è predittore indipendente di LUTS e IPB.
Conclusioni: in conclusione, per la prima volta, in uomini affetti da T2DM abbiamo dimostrato un’associazione tra i livelli circolanti di Vitamina D, l’IPB e la presenza di LUTS.
Utilizzo del pancreas artificiale per più notti consecutive in pazienti con diabete di tipo 1
F. Boscari1, S. Del Favero2, S. Galasso1, R. Visentin2, M. Monaro2, B. Kovatchev3, C. Cobelli2, D. Bruttomesso1, A. Avogaro1
1Cattedra di Malattie del Metabolismo,Dipartimento di Medicina-DIMED, Università di Padova; 2Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione, Università di Padova; 3Center for Diabetes Technology, University of Virginia, Charlottesville, VA
Introduzione: in studi di breve durata (1-2 giorni), il pancreas artificiale o sistema di controllo della glicemia in circuito chiuso (CLC) si è dimostrato efficace nel migliorare i livelli di glicemia nei pazienti diabetici di tipo 1.
Scopo dello studio: in questo studio è stato testato un nuovo concetto di CLC con lo scopo di ottimizzare il controllo notturno per ottenere valori al risveglio vicini all’euglicemia, per più notti consecutive.
Metodi: 10 pazienti diabetici di tipo 1 in terapia con microinfusore (età media 46,4±8,5 anni), arruolati presso l’Università di Padova e della Virginia hanno partecipato ad un trial randomizzato cross over che confrontava l’utilizzo del pancreas artificiale per 5 notti consecutive (dalle ore 23 alle ore 7) in ambito extraospedaliero rispetto alla terapia con microinfusore e sensore glicemico (sensor augmented pump, SAP) utilizzata a domicilio per uno stesso periodo di tempo. L’obiettivo principale dello studio era valutare la percentuale di tempo trascorso entro valori glicemici compresi tra 80-140 mg/dl (secondo misurazioni del sensore glicemico) e la distribuzione dei valori di glicemia al risveglio.
Risultati: rispetto a terapia con SAP, il pancreas artificiale ha: incrementato in maniera significativa il tempo trascorso nell’intervallo 80-140 mg/dl (54,5% vs 32,2%, p<0,001) e nell’intervallo 70-180 mg/dl (85,4% vs 59,1%, p<0,001), ridotto la glicemia media al risveglio (119,3 vs 152,9 mg/dl, p<0,001) e la glicemia media notturna (139,0 vs 170,3 mg/dl, p<0,001) somministrando una quantità di insulina sovrapponibile (6,1 vs 6,8 units, p=0,1). Il miglior controllo notturno ha portato ad un miglior controllo glicemico anche durante il giorno successivo (correlazione r=0,52, p<0,01).
Conclusioni: l’utilizzo del pancreas artificiale per più notti consecutive determina un significativo miglioramento dei livelli glicemici notturni e al risveglio e aumenta il tempo trascorso in target glicemico, con la possibilità di migliorare anche il controllo del giorno successivo nel caso in cui i livelli di glicemia siano stati quasi normalizzati al risveglio.
UN INTERVENTO MULTIDISCIPLINARE NEL TRATTAMENTO DEL DIABETE
V. Cavasin1, A. Ballan2, S. Battagin3, N. Favaro2, K. Flori3, M. Lamonica4, N. Marin4, A. Pisacane5, A. Sabbadin3, L. Confortin4
1Psicologa-psicoterapeuta; 2Dietista; 3Infermiera; 4Diabetologo; 5Educatrice – Struttura Semplice Dipartimentale di Diabetologia, Ospedale di Castelfranco V.to (Azienda ULSS 8-Regione Veneto)
Questo lavoro si propone di valutare l’efficacia di un intervento multidisciplinare per la gestione del diabete tipo 2, strutturato in ambito ospedaliero (azienda ULSS 8-Veneto). Sono stati coinvolti n. 8 utenti che hanno partecipato ad un ciclo di n. 10 incontri su tematiche legate al diabete (mediche, psicologiche, alimentari) e a n. 10 sedute di attività fisica-motoria. Il disegno dello studio è di tipo longitudinale con tre valutazioni (pre-post intervento e a 12 mesi), in cui sono stati monitorati alcuni parametri bioumorali, lo stato ansioso con la Scala di Autovalutazione dell’Ansia (SAS), lo stato depressivo con la Scala di Autovalutazione della Depressione (SDS) e il locus of control con il Multidimensional Locus of Control Scale (MHLC). L’intervento ha prodotto un miglioramento nei valori dell’emoglobina glicata al termine dell’intervento (t=2,83, p=0,02) che però non si sono mantenuti stabili nel tempo (t=2,00; p=0,08). Questi dati suggeriscono l’utilità di un intervento strutturato in modo multidisciplinare e la necessità di monitorare in modo costante nel tempo i bisogni delle persone con diabete tipo 2.
Effetto di diverse procedure di Chirurgia Bariatrica sulla remissione del diabete in pazienti obesi. Esperienza del Gruppo Interdisciplinare di Chirurgia dell’Obesità di Verona (GICOV)
G. Ceradini1, M.G. Zenti1, I. Rubbo1, E. Rinaldi1, L. Nadalini2, M. Battistoni3, G. Zoppini1, E. Bonora1
1Dipartimento ad Attività integrata Medico Generale, UOC di Endocrinologia, Diabetologia e Malattie del Metabolismo, AOUI Verona; 2Dipartimento Direzione Medica e Farmacia, USO Servizio di Psicologia Clinica, AOUI Verona; 3Dipartimento ad Attività Integrata di Chirurgia e Odontoiatria, UOC Chirurgia generale 2 dO, AOUI Verona
Numerosi studi hanno dimostrato l’efficacia della chirurgia bariatrica (CB) nel determinare la remissione del diabete (RD) in soggetti obesi, tuttavia sono ancora poco noti gli effetti delle diverse procedure sul controllo glicemico a breve e lungo termine.
Scopo: valutare gli effetti di diverse tecniche di CB (Bendaggio Gastrico-GB, Sleeve Gastrectomy- SG, Bypass Gastrico-BP) sul calo ponderale e sul compenso glicometabolico in obesi diabetici.
Metodi: dei 479 pazienti sottoposti a CB da gennaio 2005 a dicembre 2013, 104 erano diabetici (66F, 38M; età 46,62±0,82 anni; BMI 45,66±0,76 kg/m2) e sono stati arruolati nello studio. I pazienti erano eterogenei per durata di malattia (DM) e per trattamento antidiabetico. Tutti i soggetti sono stati valutati al basale e dopo 3-6-12-24-36 mesi dall’intervento. La RD è stata definita per HbA1c <6% e glicemia a digiuno <100 mg/dl in assenza di terapia antidiabetica.
Risultati: 11 soggetti sono stati sottoposti GB, 77 a BP e 16 a SG. L’intera coorte ha presentato un calo ponderale a 12 mesi del 33,63±14,73 %, mantenuto a 24 e 36 mesi con diverso effetto secondo la procedura utilizzata (GB -14,73±8,72; BP -28,03±8,96; SG -26,05±7,95; p<0,001 BP vs GB e p<0,001 SG vs GB). La RD a 12 mesi ha riguardato il 27% dei GB, il 62 % dei BP e il 68% delle SG. La terapia antidiabetica è stata sospesa nel 65% dei soggetti in AO e nel 23% dei pazienti insulino-trattati (sospensione nel 30% dei GB; nel 66% dei BP e nel 69% delle SG, p=0,01). Calo ponderale e DM sono risultati predittori indipendenti della riduzione della terapia a 12 mesi (p=0,003 e p=0,11).
La DM è risultato anche l’unico predittore della persistenza di diabete a 12, 24 e 36 mesi. La recidiva di diabete si è verificato in 3 pazienti (a 24 mesi in 2 BP e a 36 mesi in 1 GB). Conclusioni: nella nostra casistica la CB ha determinato un significativo calo ponderale, mantenuto nel corso dei 3 anni di follow-up. La RD a 12 mesi ha riguardato il 63% dei pazienti e si è mantenuta a 24 e 36 mesi; BP e SG hanno determinato un maggior calo ponderale rispetto al GB, e una maggiore riduzione della terapia antidiabetica.
Alterazioni Ecocardiografiche in Pazienti con Diabete tipo 2 e Steatosi Epatica Non Alcolica
A. Mantovani1, I. Pichiri1, S. Bonapace2, L. Bertolini3, L. Zenari3, G. Zoppini1, E. Bonora1, G. Targher1
1Endocrinologia, Diabetologia e Malattie del Metabolismo, Università ed Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona, 2Divisione di Cardiologia e 3Diabetologia, Ospedale “Sacro Cuore”, Negrar (VR)
Background e Scopo: alcuni recenti studi hanno suggerito una significativa associazione della steatosi epatica non alcolica (NAFLD) con la presenza di disfunzione diastolica ventricolare e aumentato rischio di fibrillazione atriale. Siccome i dati disponibili nei diabetici sono ancora assai limitati, abbiamo valutato se la NAFLD si associava alla presenza di alterazioni ecocardiografiche in un ampio gruppo di pazienti ambulatoriali affetti da diabete mellito tipo 2 (T2DM).
Metodi: sono stati studiati 180 pazienti consecutivi con T2DM (75% maschi, età=69±6 anni), regolarmente afferenti presso il Servizio di Diabetologia (nell’arco di 12 mesi), esenti da cardiopatia ischemica, cardiopatia valvolare, epatopatia cronica ed abuso alcolico. La diagnosi di NAFLD è stata formulata mediante ecografia epatica ed esclusione di cause note di epatopatia. In tutti i pazienti è stata inoltre eseguita una ecocardiografia tissue doppler (da un unico operatore) e un test da sforzo al cicloergometro per escludere la presenza di ischemia miocardia acuta inducibile.
Risultati: dei 180 pazienti studiati, 120 (66,7%) avevano la NAFLD. I pazienti con NAFLD avevano valori significativamente più elevati di rapporto E/e’ (7,3±2,7 vs 6,9±2), pressione telediastolica ventricolare (18±1,8 vs 15,9±1.5 mmHg), volume atriale sx indicizzato (34±10 vs 30±13 ml/m2) e una maggior frequenza di disfunzione diastolica ventricolare (rapporto E/e’ >8: 68 vs 14%) rispetto ai pazienti senza NAFLD. I due gruppi non differivano per frazione di eiezione e massa cardiaca indicizzata. La NAFLD si associava ad un’aumentata prevalenza di disfunzione diastolica (odds ratio [OR] 13,1, 95% CI 5,6-30,1, p<0,001). Tale associazione rimaneva significativa (adjusted-OR 20,6, 95% CI 6,9-61, p<0,001) anche dopo aggiustamento per età, sesso, durata di diabete, BMI, HbA1c, ipertensione, frazione di eiezione, massa cardiaca ed uso di farmaci ipoglicemizzanti, anti-ipertensivi, anti-aggreganti ed ipolipemizzanti.
Conclusioni: in pazienti con T2DM privi di cardiopatia ischemica, la NAFLD si associa indipendentemente ad un’aumentata prevalenza di disfunzione diastolica ventricolare di grado lieve-moderato e aumento del volume atriale sx. Tali alterazioni cardiache potrebbero concorrere a spiegare l’aumentato rischio cardiovascolare e di fibrillazione atriale che si osserva nei pazienti con NAFLD. Ulteriori studi sono necessari per definire i possibili meccanismi ezio-patogenetici di tale associazione.
TRATTAMENTO CON INSULINA BASALE LISPRO PROTAMINATA VS NPL E OUTCOME MATERNO-FETALI IN DONNE CON GRAVIDANZA COMPLICATA DA DIABETE GESTAZIONALE E PRE-GESTAZIONALE: RISULTATI DA UNO STUDIO MULTICENTRICO RETROSPETTIVO ITALIANO
S. Burlina1, M.G. Dalfrà1, A. Soldato1, P. Moghetti2, S. Lombardi3, C. Vinci4, A.P. De Cata5, T. Romanelli5, M. Bonomo6, L. Sciacca7, E. Ragazzi8, A. Filippi1, N.C. Chilelli1, A. Lapolla1
1Dipartimento di Medicina, Università di Padova; 2Dipartimento di Medicina, Università di Verona; 3UO Diabetologia e Endocrinologia Azienda ULSS 5-Veneto; 4UO Diabetologia Azienda ULSS 10-Veneto; 5UO Diabetologia Azienda ULSS 13-Veneto; 6UO Diabetologia Azienda Provincia Trento; 7UOC Diabetologia Ospedale Niguarda Ca’ Granda Milano; 7Dipartimento di Medicina Università di Catania; 8Dipartimento di Scienze Farmaceutiche, Università di Padova
Introduzione e Obiettivi: il diabete gestazionale (GDM) e pre-gestazionale determinano outcome materno-fetali negativi, in termini di morbilità e mortalità. La terapia insulinica, specie con analoghi long-acting, può migliorare il controllo glicemico e gli outcome della gravidanza. Pochi dati sono disponibili sull’efficacia e la sicurezza dell’Insulina Lispro Protaminata (ILPS) in gravidanza.
Soggetti e Metodi: abbiamo considerato 1035 donne in gravidanza, affette da diabete tipo1 (DM1), tipo 2 (DM2) o GDM, di cui 710 trattate con ILPS e 325 con insulina NPL. Abbiamo valutato le differenze fra i 2 gruppi in termini di outcome materni, fetali e neonatali.
Risultati: nelle gravide con DM1 si è riscontrata una più bassa glicemia a digiuno al termine della gravidanza nel gruppo ILPS (109±25 vs 139±40 mg/dl; p=0,001), senza differenze in termini di episodi di ipoglicemia e chetoacidosi con il gruppo NPL. La frequenza dei tagli cesarei e parti pretermine è stata significativamente inferiore nel gruppo ILPS rispetto a NPH. Nelle gravide con DM2, i valori di HbA1c prima e durante la gravidanza erano significativamente più alti nel gruppo trattato con NPH, mentre la glicemia a digiuno al termine della gravidanza era più bassa nel gruppo ILPS (88±13 mg/dl vs 114±27 mg/dl, p=0,0001), senza differenze per quanto riguarda ipoglicemie e chetoacidosi. Riguardo gli outcome materni e fetali, la frequenza dei tagli cesarei e di malformazioni è stata inferiore nel gruppo ILPS rispetto al gruppo NPH. Le donne con GDM trattate con ILPS, rispetto a quelle trattate con NPH, avevano più bassi livelli di BMI pregravidico (28,0±6,1 vs 26,9±6,1, p=0,03) e di glicemia a digiuno al termine della gravidanza (88±13 mg/dl vs 114±27 mg/dl, p=0,0001). Inoltre la durata della gestazione è stata significativamente più lunga nel gruppo ILPS, con un tasso inferiore di feti con PI>2,85 g/cm3, parti pretermine, tagli cesarei e ipoglicemie neonatali rispetto al gruppo NPH.
Conclusioni: l’utilizzo di ILPS è risultato efficace e sicuro nel controllo glicemico del GDM e della gravidanza complicata da DM1 e DM2, con un minor tasso di complicanze materne e fetali, rispetto all’utilizzo di insulina NPL.
HADIF: un Trial per il trattamento del piede diabetico ischemico con LDL-aferesi. Dati preliminari
D. Donini1, L. Salvotelli1, V. Stoico1, E. Brocco2, M. Messa3, M. Franchini4, E. Capuzzo4, F. Saggiani5, V. Pugni6, E. Manicardi6, R. Baricchi7, R. Anichini8, A. Tedeschi8, G. D’Alessandri9, E. Bonora1, M.G. Zenti1
1Dipartimento ad Attività integrata Medico Generale, UOC di Endocrinologia, Diabetologia e Malattie del Metabolismo, AOUI Verona; 2Dipartimento ad Attività integrata Medico Generale, Nefrologia e Dialisi, AOUI Verona; 3Unità per il trattamento del piede diabetico, policlinico Abano Terme; 4Servizio Immunoematologia e Medicina trasfusionale, AOPOMA, MN; 5Dipartimento Medico, AOPOMA, MN; 6Diabetologia, ASMN Reggio Emilia; 7Medicina Trasfusionale, ASMN Reggio Emilia; 8Diabetologia, Ospedale di Pistoia; 9Immunoematologia e Trasfusionale, Ospedale di Pistoia
Introduzione: il piede diabetico (PD), una comune, severa e costosa complicanza del diabete, riconosce come principali fattori patogenetici la vasculopatia periferica e le alterazione del microcircolo. Numerose evidenze hanno documentato che la LDL-aferesi (LA) promuove il miglioramento della funzione del microcircolo, con aumento della perfusione dei tessuti periferici.
Scopo: verificare in uno studio clinico randomizzato, multicentrico, prospettico, l’effetto del trattamento con LA in aggiunta alla terapia tradizionale sulla guarigione delle ulcere, in pazienti con PD ischemico e vasculopatia periferica non rivascolarizzabile.
Metodi: sono stati arruolati 11 pazienti (6 a VR, 2 a RE, 2 a PT, 1 a MN). 7 pazienti sono stati randomizzati al trattamento con LA in associazione alla terapia medica tradizionale (TT+LA), 4 al trattamento tradizionale (TT). La LA è stata eseguita con sistema HELP: 10 sessioni in 9 settimane.
Risultati: degli 11 pazienti arruolati, 9M, 2F, età media 71 aa (range 50-80 aa), 7 presentavano ulcere di classe Texas III e 4 di classe Texas I. 5 pazienti hanno completato lo studio: 2 del braccio TT (1 paziente guarito: Texas 1 → 0; 1paziente rimasto in classe Texas III); 3 del braccio TT+LA (1 paziente guarito: classe Texas III → 0; 1 paziente rimasto in classe Texas III, 1paziente sottoposto ad amputazione trans-metatarsale). Nel corso dello studio si sono verificati 3 drop-out (2 nel gruppo TT dopo la V3 e 1 dopo la randomizzazione nel braccio TT+LA). 3 pazienti stanno completando lo studio. Come atteso, la misura dell’ossimetria transcutanea (TcPO2) ha presentato un trend favorevole nei pazienti trattati con LA (TT: TcPO2 V0=31,6; V1=24,8; V2=23,5mmHg. TT+LA: TcPO2 V0=34; V1=38,8; V2=40,41 mmHg).
Conclusioni: questi dati preliminari confermano il miglioramento della perfusione del microcircolo nei paziente sottoposti a LA, tuttavia la casistica limitata non ci consente di arrivare ad una conclusione rispetto all’endpoint primario (guarigione delle ulcere).
Gestione multidisciplinare del diabete mellito gestazionale: la nostra esperienza
A. Marangoni, D. Bontorin, S. Toaldo
S.S. di Diabetologia, Medicina Interna, Ospedale San Bassiano, Bassano del Grappa (VI)
Scopo dello studio: studio osservazionale retrospettivo per valutare l’impatto del diabete mellito gestazionale (DGM).
Materiali e Metodi: i dati del 2012 riguardano donne gravide con OGTT patologico secondo in nuovi criteri utilizzando la cartella Mystar e attingendo alle cartelle cliniche della S.C. di Ginecologia Ostetricia e Pediatria.
Risultati: nella nostra ASL nel 2012 vi sono stati 1301 parti. Le gravide affette da DGM sono state 80.
Caratteristiche materne: – età media alla diagnosi: 34 aa (18-45); settimana media di gestazione alla presa in carico: 26° (18°-30°); – familiarità di primo grado per malattia diabetica: 51/80 (63%); pluripare: 46/80 (57%); – pregresso DGM: 10/46 (21%); razza: caucasica 68%, africana 20%, orientale 12%; – media peso materno alla diagnosi: 76 Kg (51-122); media peso materno al parto: 78 Kg; – media incremento ponderale: 2 Kg; parto vaginale: 53/80 (67%); parto cesareo: 27/80 (33%).
Caratteristiche fetali: – peso medio alla nascita: 3342 gr (1450-4510); macrosomia fetale: 1/80 (1,25%); – malformazioni fetali: 1/80 (idrocefalo); Indice di Apgar medio 1’-5’-10’: rispettivamente 9-10-10; – Ipoglicemia alla nascita: 1/80 (1,25%); Iperbilirubinemia: 9/80 (11%).
Impegno di risorse: – media controlli diabetologici nel follow-up: 4; Autocontrollo glicemico strutturato: 79/80; – valutazione dietologica alla diagnosi: 80/80; terapia insulinica: 10/80 (12,5%).
Conclusioni: la popolazione seguita presenta caratteristiche peculiari: sono donne più anziane dal punto di vista anagrafico, in sovrappeso e hanno spiccata familiarità per malattia diabetica. L’intervento terapeutico strutturato ha determinato un modesto incremento ponderale nel corso della gravidanza. Il taglio cesareo è più frequente rispetto alle gravide non affette da DGM. Come da letteratura la necessità di utilizzare la terapia insulinica. Un solo caso di macrosomia fetale e un solo caso di grave malformazione fetale che si è associato anche a prematurità, basso Apgar, ipoglicemia e iperbilirubinemia alla nascita. Il nostro studio conferma che la diagnosi di DGM nei tempi corretti, la presa in carico e il monitoraggio combinato con il ginecologo permette di ridurre gli outcomes negativi materno-fetali.
Le terapie incretiniche nel trattamento del diabete tipo 2: i dati di pratica clinica evidenziano differenze nel posizionamento e nell’efficacia
E. Bagolin, M. Ferri, B. Almoto, T. Citro, E. Kiwanuka, L. Nollino, M. Sambataro, A. Paccagnella
U.O. Malattie Metaboliche e Nutrizione Clinica, Ospedale di Treviso
Introduzione e Scopo dello studio: le terapie incretiniche sono una scelta efficace per il trattamento di pazienti tipi 2 inadeguatamente controllati dopo la metformina, ma scarse sono le evidenze circa il posizionamento delle varie incretine. Lo scopo di questa indagine retrospettiva osservazionale è stato quello di comparare il posizionamento e l’efficacia di differenti terapie incretiniche in termini di HbA1c e controllo del peso in un gruppo di pazienti ambulatoriali.
Materiali e Metodi: i dati dei pazienti sono stati raccolti presso gli ambulatori della U.O. Malattie Metaboliche e Nutrizione Clinica dell’Ospedale di Treviso. I dati al baseline e le terapie orali associate sono stati raccolti per i GLP1 agonisti e gli inibitori del DPP4. La riduzione della HBA1c, del peso e della BMI sono stati valutati a 12 e 24 mesi.
Risultati: sono stati raccolti i dati di 354 pazienti (60% M), di questi 67 erano trattati con Exenatide, 71 con Liraglutide, 158 con Sitagliptin, 47 con Vildagliptin, 11 con Saxagliptin. I valori al baseline della BMI e glicata erano più elevati con GLP1 vs DPP4i (35,4±6.6 vs 28,6±4,9 kg/m2, 9,0±1,4% vs 7,8±1,1%, per entrambi <0,001); l’età media era più alta con DPP4i (più elevata con Vildagliptin) vs GLP1. I pazienti trattati con GLP1 agonisti hanno mostrato una maggiore riduzione del peso e di glicata dopo 12 mesi (-3,9 vs -1,5 kg, -1,6% vs -0,1%, p<0,001) ed a 24 mesi (-4,3 vs -1,8 kg, -1,6% vs -0,1%, p<0,001). La riduzione maggiore della HbA1c è avvenuta nel gruppo Liraglutide dopo 12 e 24 mesi (-1,7% and -1,8% rispettivamente e per entrambi p<0,001).
Conclusioni: le terapie incretiniche sono efficaci a 12 e 24 mesi nella pratica clinica ambulatoriale. L’efficacia maggiore sulla glicata e sul peso è stata riscontrata per i GLP1 agonisti verso i DPP4i.
PREVALENZA DI NEUROPATIA IN PAZIENTI CON DIABETE TIPO 2 SOTTOPOSTI AD UN PROGRAMMA DI SCREENING DEL PIEDE DIABETICO
L. Salvotelli, V. Stoico, F. Perrone, V. Cacciatori, C. Negri, C. Brangani, I. Pichiri, G. Targher, E. Bonora, G. Zoppini
Endocrinologia e Malattie del Metabolismo, AOUI Verona, Ospedale Civile Maggiore, Verona
Background: la neuropatia diabetica è un’importante complicanza cronica della malattia e fattore di rischio di amputazione. Scopo dello studio è stato determinare la prevalenza di neuropatia e delle variabili cliniche ad essa associate in pazienti con DT2 sottoposti ad un programma di screening del piede diabetico.
Materiali e Metodi: presso il nostro Servizio di Diabetologia si attua un programma universale di screening del piede diabetico. Nel periodo gennaio 2004/dicembre 2012 sono stati valutati 3.591 pazienti con DT2 (55,5% M, età 68±10 anni). La diagnosi di neuropatia è stata eseguita con il Michigan Neuropathy Screening Instrument, nelle sue due componenti di questionario ed esame clinico rapido. Quest’ultimo si basa sulla valutazione di sensibilità vibratoria (biotesiometro), riflessi osteotendinei, alterazioni cutanee e strutturali del piede e presenza di ulcera.
Risultati: la prevalenza di neuropatia osservata con l’esame clinico rapido era di circa il 30%, senza differenze significative tra i due sessi. Con il solo utilizzo del questionario dei sintomi la prevalenza di neuropatia risultava del 2,2% negli uomini e del 5,5% nelle donne (p<0,001). La prevalenza di neuropatia risultava significativamente più alta all’aumentare dell’età, della durata di diabete, dei valori di HbA1c e di BMI. I soggetti con neuropatia erano più alti dei soggetti non neuropatici (165,8±9,2 cm vs 164,7±9,3 cm, p<0,001). La neuropatia risultava significativamente associata alle complicanze macrovascolari (vasculopatia carotidea e arti inferiori) e microvascolari di malattia diabetica – in particolare microalbuminuria e retinopatia. Dall’analisi multivariata emergevano, come fattori associati a neuropatia, età, BMI, HbA1c e ABI <0,9.
Conclusioni: la prevalenza di neuropatia, valutata mediante questionario del MNSI, è bassa, ma decisamente più alta (intorno al 30%) quando si considera l’impiego di un esame clinico rapido. Complicanze microvascolari e vasculopatia TSA/AAII risultano più presenti nei pazienti con neuropatia. I risultati del nostro studio sembrano suggerire che un miglior controllo metabolico e del peso corporeo possano contribuire a ridurre l’incidenza di neuropatia.
Prevalenza intra-ospedaliera del diabete mellito noto e/o neo-diagnosticato. Indagine presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona
G. de Rinaldis, A. Mantovani, V. Cavalieri, I. Pichiri, G. Zoppini, E. Bonora, G. Targher
Endocrinologia, Diabetologia e Malattie del Metabolismo, Università ed Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona
Introduzione e Scopo dello studio: il diabete mellito ha un importante impatto sulla mortalità, morbidità e sui tassi di ospedalizzazione. Ad oggi, la prevalenza del diabete noto e/o neo-diagnosticato tra i pazienti ricoverati in ospedale non è completamente nota. In questo studio abbiamo pertanto valutato la prevalenza del diabete tra i pazienti ricoverati presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata (A.O.U.I.) di Verona.
Metodi: l’indagine si è svolta nel periodo giugno-luglio 2014 presso tutte le 57 Unità Operative (U.U.O.O.) dell’AOUI di Verona. Il numero complessivo e le principali informazioni cliniche e laboratoristiche dei pazienti con diabete noto e/o neo-diagnosticato che erano degenti in regime di ricovero ordinario presso ogni U.O. sono state raccolte dall’analisi dettagliata delle cartelle cliniche. La diagnosi di diabete noto e di nuovo riscontro era basata sull’anamnesi e su criteri diagnostici standard.
Risultati: in un campione complessivo di 976 pazienti ricoverati, la prevalenza del diabete noto e/o neo-diagnosticato era pari al 17,5% (n=171) con percentuali pressoché sovrapponibili fra i due presidi ospedalieri (17,9% presso l’Ospedale Civile Maggiore e 16,7% presso il Policlinico). La maggior parte dei pazienti diabetici aveva un’età >65 anni (70%), era affetta da diabete tipo 2 (83%) ed era ricoverata nelle U.U.O.O. mediche (69%). I valori di HbA1c (disponibili solo in circa un terzo dei casi) erano globalmente accettabili (HbA1c media: 8,1%), seppure vi fossero circa il 20% dei pazienti con HbA1c >9%. Una larga parte dei diabetici ricoverati erano gravati da complicanze croniche e comorbidità (il 42,3% aveva CKD, il 26,9% una pregressa neoplasia, il 21,6% cardiopatia ischemica, il 17% un pregresso ictus ed il 24% arteriopatia obliterante e/o pregressa amputazione distale agli arti inferiori). Le patologie cardiovascolari (24%) erano la causa più frequente del ricovero. Durante la degenza, il 64% dei pazienti diabetici erano trattati con insulina, il 23% dei pazienti erano trattati solo con ipoglicemizzanti orali ed il 13% con la dieta. Nella quasi totalità dei pazienti (~95%) era eseguito un regolare monitoraggio glicemico giornaliero mediante sticks in tutte le U.U.O.O.
Conclusioni: questi dati documentano che la prevalenza del diabete noto e/o neo-diagnosticato nei pazienti ricoverati nell’AOUI di Verona è elevata (17,5%) e coinvolge principalmente pazienti in età avanzata e gravati da molteplici e importanti comorbidità. Dato che la prevalenza del diabete mellito è in continuo aumento in Italia, è ragionevole aspettarsi, a breve, un ulteriore incremento delle ospedalizzazioni di questi pazienti e dei costi sanitari associati.
Applicazione di un protocollo informatico per la gestione della terapia insulinica endovenosa nell’iperglicemia del paziente ospedalizzato
S. Inchiostro e il Gruppo di Utilizzo del Protocollo S.I.
UU.OO. di Medicina Interna e PS degli Ospedali di Borgo Valsugana (TN), Trento, Rovereto (TN), Merano (BZ)
La gestione della terapia insulinica ev nel paziente ospedalizzato si avvale di protocolli che differiscono nei loro principi costitutivi e con una difficoltà di applicazione proporzionale all’accuratezza gestionale. Seppur descritti in letteratura, non sono disponibili protocolli informatici (P.I.) per tale gestione. Scopo di tale studio è stato l’applicazione di un P.I. creato da S.I. per il trattamento dell’iperglicemia mediante infusione insulinica ev con target glicemico di 140 mg/dl. L’algoritmo utilizzato considera la glicemia e la velocità di infusione insulinica attuale, la direzione e l’entità oraria della modificazione glicemica ed attua modificazioni percentuali della velocità di infusione; suggerisce la quantità di glucosio ev per la correzione dell’ipoglicemia e le dosi insuliniche per il passaggio alla terapia sc. I seguenti dati si riferiscono al trattamento di 70 pazienti (età 60±20 aa, 66% maschi) affetti da diabete tipo 1 (23) o tipo 2 (47) ricoverati per chetoacidosi (18), iperosmolarità (14), o scompenso glicemico in comorbosità (38). La glicemia all’inizio dell’infusione era di 454±174 mg/dl (range 225-1190). La riduzione glicemica alla prima ora è stata di 93±77 mg/dl e, nei terzili crescenti di glicemia di partenza, di 29±70, 88±78 e 158±131 mg/dl. Alla seconda ora il decremento si riduceva notevolmente nel terzo gruppo (90±64 mg/dl) e si era già stabilizzato nei primi due gruppi (36±40, 42±39 mg/dl). Il tempo medio necessario per raggiungere una glicemia inferiore a 250 mg/dl è stato di 3,7±2,1 ore e per passare da 250 a 180 mg/dl di 2,2±2,1 ore, con un decremento glicemico medio orario che scendeva da 55 a 32 mg/dl (p <0,01). Venti pazienti (28,6%) sono scesi sotto a 100 mg/dl, (glicemia minima: 77 mg/dl). Nelle prime sei ore di infusione la dose insulinica media è stata di 21±12,6 UI (range 4,6-69,5 UI). Il giudizio sul P.I. richiesto a medici ed infermieri, misurato tramite questionario, ha evidenziato il netto miglioramento della gestione dell’iperglicemia (score 8,1; scala da 0 a 10), la semplicità di utilizzo (5,5), la semplicità del passaggio alla terapia insulinica sc (5,6) e la forte raccomandazione per il suo uso (9,5).
IMPATTO SOCIO-PSICOLOGICO DELLA TERAPIA INSULINICA CON MICROINFUSORE IN SOGGETTI ADULTI CON DIABETE TIPO 1: STUDIO PRELIMINARE
L. Indelicato, C. Negri, M. Dauriz, C. Brangani, L. Santi, L. Boselli, M. Trombetta, E. Bonora
Endocrinologia, Diabetologia e Metabolismo, Università e Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona
La terapia insulinica con microinfusore (CSII) è una delle tecnologie più avanzate per la gestione del diabete tipo 1 (DM1), ma pochi studi hanno valutato l’impatto socio-psicologico del CSII in pazienti avviati a un percorso di training per tale terapia. In 38 pazienti affetti da DM1 (M/F=20/18; media±DS: età: 39,1±11,7 anni; anni malattia: 19,2±11,2; HbA1c: 8,4±1,1%), all’inizio del percorso (T0) è stata misurata HbA1c, sono stati analizzati i profili glicemici e somministrata una serie di questionari per valutare tono dell’umore, ansia e specifici fattori socio-psicologici associati al diabete. Coloro che posizionavano CSII (N=18) sono stati rivalutati a 6 (T6) e 12 mesi (T12) e, rispetto a coloro (N=16) che proseguivano con terapia insulinica multi-iniettiva, risultavano più giovani (p=0,005), presentavano un livello di istruzione più elevato (p=0,009) e un maggiore supporto da parte dei loro familiari (p=0,015).
A T6 (N=15) si è osservato un miglioramento del compenso metabolico (delta HbA1c: -0,98, p=0,009) senza variazioni significative degli indici di variabilità glicemica, una riduzione della gravità percepita del diabete (p=0,006) e un miglioramento del tono dell’umore (p=0,027).
A T12 (N=10) si è confermato un significativo miglioramento del tono dell’umore (p=0,007) ed è emersa una maggiore autonomia nella gestione della malattia espressa in termini di minore sostegno familiare (p=0,049) oltre ad una minore percezione di gravità (p=0,004).
I dati evidenziano che la valutazione psicologica in fase di training favorisce un miglioramento del benessere psicologico confermando l’importanza di un approccio multidisciplinare al diabete di tipo 1.
Incidenza, qualità di vita e fattori clinico-economici correlati ad ipoglicemia in diabetici tipo 2 in terapia orale
F. Mollo1, C. Buzzacchi2, G. Lisato1, P. Bordon1, R. Manunta1, M. Sommacampagna3, S. Kusststatscher4
1UOSD Malattie endocrine, del metabolismo e della nutrizione; 1Corso di Laurea in Farmacia, Università di Ferrara; 2SOC Centrale Operativa 118; 3SOC Pronto Soccorso, ULSS 18-Rovigo
Introduzione: è noto che chi ha avuto esperienza di ipoglicemie tende a riportare una peggiore qualità di vita e maggiore preoccupazione per la malattia, cause tra l’altro di scarsa adesione alle terapie e di comportamenti errati con un peggior controllo metabolico. Le ipoglicemie rappresentano anche una fonte di costi diretti ed indiretti nonché un importante fattore di rischio per eventi cardiovascolari, deficit cognitivi e demenza, ma nonostante il consenso sulla rilevanza clinica, sociale ed economica, in Italia esistono tuttora pochi dati per una chiara quantificazione del problema.
Metodi: a 170 diabetici tipo 2 in terapia orale afferenti consecutivamente all’ambulatorio di Rovigo e Trecenta è stato somministrato il questionario HYPOS (EQ-5D+WHO5+PAID-5). Contestualmente sono state considerate le diagnosi di ipoglicemia che hanno causato l’intervento del SUEM e/o l’acceso in Pronto Soccorso nella ULSS 18 nel 2013.
Risultati: tra i soggetti con ipoglicemia nell’ultimo anno, pari al 18%, e quelli senza ipoglicemia, i dati clinico-anagrafici erano comparabili per età (67±8 vs 68±9), rapporto M/F (51/49 vs 56/44%), andamento del peso e carico farmacologico, mentre differivano per uso di Sulfaniluree (72 vs 56%, Chi-q=6,75, p=0,0009) e autocontrollo domiciliare (84 vs 66%, Chi-q=4,16, p=0,05). I soggetti con ipoglicemia avevano un quadro ansioso-depressivo maggiore (22 vs 12%, Chi-q=41,04, p<0,001) e una scala della salute percepita inferiore nel 31 vs 11% (Chi-q=7,88, p<0,005). Dalle schede del SUEM era documentabile una ipoglicemia in 42 pazienti di cui il 50% ha richiesto l’ospedalizzazione. Il 48% dei casi era in terapia orale con una età media di 68±9, rapporto M/F 51 vs 49,4%. Nel 45% era in uso Biguanide in associazione, Glibenclamide nel 42%, Glimepiride nel 28%, Glicazide nel 5%, Repaglinide nel 25%. Gli accessi al PS con DRG relativo a diabete sono stati 400 di cui il 15% per ipoglicemia. L’età media era 72±8 con il 37% in terapia orale: biguanide 52%, Glibenclamide 48%, Glimepiride 26%, Repaglinide 22%, Glicazide 4%. Il 38% è rientrato a domicilio, mentre il 37% è rimasto in OB ed il 20% in ricovero. Due casi non hanno atteso la visita ed uno è deceduto.
Conclusioni: annualmente le crisi ipoglicemiche per terapia orale sono un evento clinico per il 18% circa dei diabetici tipo 2 e sono causa del 48% percento delle chiamate del 118 e del 37% degli accessi al PS per ipoglicemia, con pesanti ricadute su salute e qualità di vita. In nessun caso erano presenti farmaci incretinici mentre la correlazione con l’uso di sulfaniluree è strettissima ed impone una importante rivalutazione costi-benefici.
“SPAZIO EDUCATIVO” UN PERCORSO EDUCATIVO STRUTTURATO PER DIABETICI INSULINO TRATTATI
R. Mingardi, A.R. Vigolo, F. Trevisan, L. Pigato, S. Pegoraro, G. Ronzani
Casa di Cura Villa Berica, Gruppo Garofalo, Vicenza
Per offrire alla persona con diabete insulino trattato (MDI) un percorso educativo strutturato si è costituito a Villa Berica un team di progetto formato da un diabetologo, un’infermiera, una educatrice professionale, ed un diabetico guida. Sono stati identificati obiettivi generali e specifici condivisi successivamente con 4 diabetologi, 1 nutrizionista, 1 podologa, 2 psicologi e 8 diabetici guida esperti. L’intervento educativo consiste in un percorso di formazione della durata di 6 mesi in cui attraverso apposti indicatori di valutazione delle capacità di autocontrollo e di autogestione e monitorando parametri clinici si è potuto verificare la progressione della gestione della patologia. A tale progetto hanno aderito 40 diabetici MDI (di nuova diagnosi – con diabete in fase di scompenso) che sono stati seguiti dallo stesso diabetico guida per almeno cinque incontri formativi nell’arco di 6 mesi. Durante il percorso sono stati concordati alcuni approfondimenti con sedute plenarie su temi di interesse comune (ipoglicemie – alimentazione – aspetti psicologici). Tutti i diabetici, oltre ad aver incrementato la loro motivazione e rafforzato l’accettazione della cronicità della patologia, hanno presentato alla fine del percorso un netto miglioramento dei parametri metabolici con riduzione della glicata, nonché un’ottima performance sulle capacità di saper eseguire correttamente l’autocontrollo glicemico e le tecniche di iniezione. I questionari sull’impatto psicologico della malattia rilevano difficoltà nella gestione dell’alimentazione e del proprio diabete, considerate dagli interventi educativi, e anche problematiche nel rapporto con se stessi e con gli altri. Il gruppo dei diabetici guida, coordinato dal team diabetologico è una risorsa importante e di supporto nel percorso di cura del paziente diabetico.
Relazione fra sistema delle “osteochine”, aterosclerosi e funzione beta-cellulare nel diabete mellito di tipo 2 neodiagnosticato
C. Zusi1, S. Bonetti1, M. Trombetta1,2, M.L. Boselli1, M. Dauriz1, D. Travia2, E. Bonora1, R.Bonadonna3
1Dipartimento di Medicina, Sezione di Endocrinologia, Diabetologia e Metabolismo, Università degli Studi di Verona; 2AOUI di Verona, Verona; 3Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università degli Studi di Parma
È noto che esiste un cross talk fra metabolismo osseo e sistema glucosio/insulina mediato dall’azione delle osteochine, molecole con funzioni pleiotropiche coinvolte anche nella formazione della placca aterosclerotica. Poiché il diabete di tipo 2 (DM2) è una malattia ad elevato rischio cardiovascolare (CVD), abbiamo testato l’ipotesi che la variabilità genetica comune della cascata del segnale delle osteochine possa essere associata ad aterosclerosi (ATS) subclinica in soggetti con DM2 di nuova diagnosi. 840 (M/F=497/226) soggetti con DM2 neodiagnosticato (VNDS), Ab-GAD negativi (media±SEM età: 58,2±9,8 anni; BMI: 30,2±5,3 kg/m2; HbA1c: 6,9±1,3%) sono stati sottoposti a clamp euglicemico iperinsulinemico e OGTT per stimare sensibilità insulinica (SI) e controllo derivativo (DC) e proporzionale (PC) della funzione beta cellulare (βF). In 554 soggetti sono stati eseguiti ecodoppler delle AA carotidi/arti inferiori ed ECG per valutare il rischio di ATS subclinica; i risultati di questi esami sono stati codificati in 3 livelli di alterazione crescente secondo protocolli standardizzati. Sono stati genotipizzati 26 tagSNPs selezionati in modo da coprire oltre il 96% della variabilità genetica di OCN (osteocalcina), OPN (osteoponitna), OPG (osteoprotegerina) e RANKL (ligando di RANK).
L’allele G di rs2073617 (OPG) era associato ad ATS carotidea (p=0,048), l’allele C di rs10516799 (OPN) e 3 tagSNP di OPG (rs4355801, rs7464496 e rs2073618) erano associati a vascolopatia agli arti inferiori (rispettivamente p=0,016, p=0,05, p=0,034, p=0,013), mentre l’allele G di rs922996 (RANKL) era associato ad alterazioni dell’ECG (p=0,039). Inoltre 10 tagSNPs di OPG erano associati a riduzione del PC della βF (p<0,05-0,01), 2 tagSNP di OPN (rs2853748 e rs1051679) e rs9594738 di RANKL erano entrambi associati a insulinoresistenza (p<0,05).
In conclusione questi dati suggeriscono che nei pazienti con DM2 la variabilità genetica comune della cascata delle osteochine svolge un ruolo patogenetico nel modulare il processo aterosclerotico e nell’influenzare SI e βF.
NEUROPATIA ED INFIAMMAZIONE NEL DIABETICO TIPO 2 CON LESIONI NEUROISCHEMICHE ARTI INFERIORI
M. Sambataro, S. Conte, E. Seganfreddo, L. Campagnol, R. Gobbo, M.L. Marcon, A. Paccagnella
Dipartimento di Medicine Specialistiche, U.O. Malattie Metaboliche e Nutrizione Clinica, UOC di Neurologia, Ospedale Regionale Ca’ Foncello Ulss 9-Treviso
Introduzione: la teoria degli “angiosomi” di Taylor nasce dalla necessità di reperire graft di nervi periferici irrorati secondo distribuzione cutanea negli arti inferiori. È noto da modelli animali che il sistema nervoso periferico è induce un diversa distribuzione “circadiana” tra vasi e midollo osseo di cellule infiammatorie come leucociti e macrofagi attraverso citochine ed integrine di parete. Abbiamo ipotizzato che il piede diabetico neuroischemico (ossimetria transcutanea TCPO2 all’alluce <30 mm Hg) rappresenti un modello di neuropatia attivata in cui è possibile riconoscere un pattern infiammatorio neuromediato che correli con la distribuzione delle fibre nervose interessate e con il loro grado di compromissione.
Scopo e Metodi: valutare la velocità di conduzione (VC) e l’ampiezza del potenziale di reazione (MAP) ad uno stimolo indotto secondo particolare topografia (studio bilaterale nervi sensitivi e motori: sciatico popliteo esterno SPE ed interno SPI, femorale, surale e safeno con tecnica EMGrafica) in una popolazione di diabetici tipo 2 senza (D) e con neuropatia (N), e con lesioni attive al piede (N1). Tali parametri sono stati poi correlati con alcune citochine ed integrine da sangue periferico (IL-8, IL-6, TNFα, VCAM, ICAM, E-SEL, IL1A, IL1B, MCP1, IFNg).
Soggetti: 3 D, 5N (DNI positivi), 7 N1 con ulcere/lesioni/osteomielite dopo rivascolarizzazione periferica prevalentemente distale (endovascolare/chirurgica) (media ossimetrica pre intervento < 30 mm Hg). Anni malattia (7±3,9±3; 13±4) ed HbA1c (7,0±1; 8,2±0,5; 7,8±0,6%) risultavano comparabili in N ed N1 rispetto D.
Risultati: indipendentemente dalle risposte evocate nel surale, in D vi è una precoce compromissione dello SPE profondo (MAP: mean amplitude potential 4,2±0,7 mV) rispetto ad N (5,9±2 ns). TNFα, VCAM, ICAM, E-sel sono risultate aumentate in N1 rispetto ad N (p<0,05). Solo considerando il lato affetto dei pz con lesione, la MAP dello SPE profondo correlava in modo inverso con TNFα, MCP1, E-SEL; la MAP del peroneo (n. motorio) correlava in modo diretto con la TCPO2 e con IL-8 ed inverso con IL1A ed IFNg.
Conclusioni: questo studio ci fa riconsiderare i parametri EMGrafici classici per la diagnosi strumentale di neuropatia periferica diabetica e rende evidente la necessità di adottare criteri di trattamento e cura delle lesioni al piede secondo logica distrettuale angiosomica. Tale principio rafforza l’ipotesi che il sistema nervoso periferico è in grado di attivare risposte infiammatorie e vascolari mirate a stimoli ischemici distrettuali.
Gestione del travaglio di parto in gravide diabetiche: analisi delle criticità e proposta di un percorso strutturato e condiviso con un’equipe multidisciplinare
Michela Dal Pos1, Vera Frison1, Alessio Filippi1, Michela Bettio1, Paola Rocchini1, Giuseppe Rochira2, Daniela Bruttomesso3, Natalino Simioni1
1Servizio di Diabetologia ULSS 15-Alta Padovana, Cittadella (PD); 2U.O. Ostetricia e Ginecologia ULSS 15-Alta Padovana; 3Servizio di Diabetologia Azienda Ospedaliera, Università di Padova
Introduzione: la corretta gestione della terapia insulinica durante il travaglio di parto è indispensabile per raggiungere l’euglicemia materna e ridurre il rischio di ipoglicemia fetale.
L’uso di “protocolli infusionali dinamici di insulina e glucosio” potrebbe eliminare, o quanto meno ridurre, la discrezionalità spesso esistente nelle prescrizioni mediche, valorizzando contestualmente la professionalità ostetrico-infermieristica. Scopo di questo lavoro è stato l’analisi dell’efficacia di tre diversi protocolli validati: protocollo Jovanovic (A), protocollo GESTIO (B), protocollo Ryan (C).
Descrizione casi: casi 1 e 2. Donna con diabete tipo 1 in terapia con microinfusore e donna con diabete tipo 2 in terapia multi-iniettiva. In entrambi i casi è avvenuta la rottura prematura delle membrane (rispettivamente alla 35 e 33 SG) che ha richiesto terapia steroidea per indurre la maturazione polmonare fetale. Sono stati applicati rispettivamente i protocolli A e B, forniti e spiegati all’équipe ostetrica all’avvio del travaglio. In entrambi i casi i protocolli non sono stati gestiti correttamente con conseguenti iperglicemia materna e, nel caso 1, ipoglicemia fetale.
Caso 3. Donna con diabete tipo 1 in terapia multi-iniettiva. Il parto è stato programmato ed indotto alla 38 SG. È stato applicato il protocollo C, condiviso con l’équipe ostetrica nel corso di tre incontri preliminari organizzati nell’arco dei due mesi antecedenti la data presunta del parto; durante il travaglio ed il parto le glicemie materne sono risultate comprese tra 71-112 mg/dL e non si è verificata ipoglicemia fetale.
Discussione e Conclusioni: nei primi due casi, la concomitante terapia steroidea ha reso più difficile la gestione delle glicemie materne. Il mancato raggiungimento dei target glicemici sembra tuttavia principalmente imputabile all’insufficiente condivisione preliminare dei protocolli infusionali con l’équipe ostetrica, piuttosto che alla validità degli stessi. I buoni outcomes nel caso 3 confermano che per applicare correttamente i protocolli sono necessari percorsi formativi e periodici rinforzi educativi.
UNO SCORE DI 44 VARIANTI GENETICHE DI RISCHIO PER NEFROPATIA È ASSOCIATO A RIDOTTO FILTRATO GLOMERULARE IN PAZIENTI CON DIABETE TIPO 2 NEODIAGNOSTICATO
M. Dauriz1, C. Zusi1, M. Trombetta1,2, S. Bonetti1, M.L. Boselli1, D. Travia2, G. Zoppini1,2, E. Bonora1,2, R.C. Bonadonna3
1Dipartimento di Medicina, Sezione di Endocrinologia, Diabetologia e Metabolismo, Università degli Studi di Verona, Verona; 2Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona, Verona; 3Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università degli Studi di Parma, Parma
Diabete mellito tipo 2 (T2D) e malattie cardiovascolari (CVD) sono associati clinicamente e si accompagnano spesso a nefropatia albuminurica e/o compromissione del filtrato glomerulare (GFR). Albuminuria e ridotto GFR sono predittori indipendenti di CVD e recenti studi “genome-wide” in soggetti non diabetici ne hanno individuato alcuni determinanti genetici comuni. Tuttavia, non è ancora chiaro se il rischio genetico per CVD e ridotto GFR sia predittore di tali fenotipi anche in soggetti affetti da T2D. Noi abbiamo esplorato la relazione tra fenotipi subclinici di CVD (ECG, eco-Doppler carotideo e delle arterie dell’arto inferiore) e di alterata funzione renale (eGFR, microalbuminuria) e alcuni determinanti genetici comuni (SNP, polimorfismi in singolo nucleotide) di ridotto GFR e CVD, in un’analisi trasversale di 625 soggetti caucasici, Ab-GAD negativi (M/F=433/192; media±SEM età: 58,2±0,4 anni; BMI: 30,1±0,2 kg/m2; HbA1c: 6,9±0,05%), arruolati nel Verona Newly Diagnosed Type 2 Diabetes Study e per i quali erano disponibili i genotipi relativi a 45 SNP noti per essere predittori di CVD e 44 SNP associati a ridotto eGFR e/o malattia renale cronica (CKD).
Il rischio genetico è stato modellato come score (GRS) sommando il numero di alleli di cui ciascun soggetto era portatore per ognuno dei domini di interesse (GRSCVD e GRSCKD). In modelli di regressione logistica GRSCVD non era associato ad alcuno dei fenotipi cardiovascolari (p=0,09, al minimo). GRSCKD, pur non associato ad albuminuria (p=0,78), risultava significativamente associato a ridotto eGFR, con GRS espresso sia come variabile continua (p=0,003, ANOVA), sia come terzili (eGFR-terzili: 84,3±1,3, 81,7±1,5 e 78,9±1,5 ml/min/1,73m2, p=0,01), anche dopo correzione per età, sesso, BMI, terapia anti-ipertensiva, HbA1c.
Pertanto, in pazienti con T2D alla diagnosi il rischio genetico per CKD rappresentato dai loci marcati da 44 tag-SNP predice la funzione glomerulare residua, suggerendo che l’orologio genetico della complicanza nefropatica parta prima della comparsa dell’iperglicemia. Studi ulteriori sono necessari per individuare varianti funzionali suscettibili di targeting farmacologico all’interno di tali loci.
Associazioni tra grasso ectopico, composizione corporea, parametri metabolici e performance fisica in soggetti con diabete tipo 2 e steatosi epatica
C. Negri1, E. Bacchi1, G. Targher1, N. Faccioli2, C. Milanese3, M. Lanza3, E. Bonora1, P. Moghetti1
1Dipartimento Medicina, Sezione di Endocrinologia, Diabetologia e Metabolismo, Università e AOUI di Verona; 2Sezione Radiologia, AOUI Verona; 3Dipartimento Scienze Neurologiche e Motorie, Università di Verona
Scopo di questo studio è stato valutare a) le relazioni tra misure di performance fisica e parametri metabolici e antropometrici e b) se le misure di performance fisica sono predittori indipendenti della quantità di grasso epatico in soggetti con diabete tipo 2 e steatosi epatica non alcolica.
In 31 soggetti, 22 maschi 9 femmine (media±DS: età 55,8±7,6 anni, BMI 29,6±4,2 kg/m^2, HbA1c 7,29±0,69 %, grasso epatico 28,8±17,5%), con diabete tipo 2 e steatosi epatica sono stati valutati: HbA1c, profilo lipidico, transaminasi, sensibilità insulinica (clamp euglicemico), composizione corporea (DEXA Total Body), grasso epatico e grasso viscerale e sottocutaneo addominale (risonanza magnetica), massimo consumo di ossigeno durante test da sforzo e forza massimale arti superiori ed inferiori.
La forza massima espressa dagli arti inferiori si associava positivamente con BMI, massa muscolare totale, circonferenza vita, GGT, grasso viscerale e grasso epatico e negativamente con colesterolo HDL ed insulinosensibilità. Il consumo di ossigeno correlava invece direttamente con BMI, massa grassa totale, trigliceridi, circonferenza vita e negativamente con il colesterolo HDL. All’analisi multivariata, ponendo come variabile dipendente il grasso epatico e come variabili indipendenti BMI, HbA1c, sensibilità insulinica e forza muscolare massimale dei muscoli estensori del ginocchio, risultavano predittori indipendenti del grasso epatico la sensibilità insulinica e la forza muscolare degli arti inferiori (R^2=37%, p=0,0016).
In conclusione, nei soggetti con diabete tipo 2 e steatosi epatica le misure di performance fisica sono associate con molteplici parametri metabolici e antropometrici. La forza muscolare predice in modo indipendente il grado di deposizione ectopica di grasso epatico.
RIDUZIONE DEI MARKERS DI GLICO-OSSIDAZIONE CON CURCUMINA E BOSWELLIA IN SOGGETTI CON ATTIVITÀ FISICA INTENSIVA, INDIPENDENTEMENTE DALL’INTERVENTO DIETETICO
N.C. Chilelli1, G. Sartore1, A. Gaudenzio1, R. Valentini1, S. Burlina1, C. Cosma1, G. Zecchino1, E. Ragazzi2, A. Lapolla1
1Dipartimento di Medicina, Università di Padova; 2Dipartimento di Scienze Farmaceutiche, Università di Padova
Introduzione e Obiettivi: l’esercizio fisico intensivo è associato ad un aumentato stress ossidativo (SO), che può indurre danno muscolare. I prodotti tardivi di glicazione avanzata (AGE) si accumulano in condizioni di iperglicemia cronica e/o aumentato SO, determinando un irrigidimento (stiffening) dei tessuti ricchi di matrice extracellulare e proteine a lunga emivita, come il muscolo scheletrico. Obiettivo è stato valutare l’efficacia di una supplementazione per 3 mesi con Curcumina e Boswellia (BSE), sostanze con attività anti-ossidante e anti-infiammatoria, sui markers plasmatici di glico-ossidazione e infiammazione in un gruppo di atleti sani.
Soggetti e Metodi: 47 atleti maschi sani di età 46±8 anni, ciclisti amatoriali con un carico di esercizio medio di circa 300 km a settimana, sono stati divisi in 2 gruppi: 22 soggetti avviati alla sola Dieta Mediterranea e 25 soggetti a cui è stato associato anche un integratore a base di Curcumina e BSE (Fitomuscle®). Nei 3 mesi successivi, ai soggetti è stato specificato di non modificare il grado di esercizio fisico e di non assumere altri integratori. I livelli plasmatici di IL-6, TNFα, AGE totali, recettore solubile dei RAGE (sRAGE) e malonil-dialdeide (MDA) sono stati valutati al basale e dopo 12 settimane. I criteri di esclusione includevano malattie cardiovascolari, diabete mellito, ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia, allergie, assunzione cronica di farmaci o integratori alimentari, fumo, consumo di alcolici, recenti interventi chirurgici.
Risultati: entrambi i gruppi hanno evidenziato un calo pre-post dei livelli di MDA, scelto quale marker di lipo-ossidazione, e una riduzione dei sRAGE, mentre gli AGE totali si sono ridotti nel solo gruppo trattato con l’integratore. Nessuna variazione significativa si è osservata per i parametri di infiammazione (IL6, TNFα). Nel confronto fra i 2 gruppi, gli AGE totali sono risultati l’unico parametro significativamente ridotto nel gruppo trattato con l’integratore. La composizione qualitativa dei FFA non è variata significativamente pre/post intervento.
Discussione: l’integrazione alimentare con Curcumina e BSE è risultata efficace nel ridurre i livelli plasmatici degli AGE in un gruppo di atleti, indipendentemente dall’intervento dietetico.
CASE REPORT: UN CASO DI GLOMANGIOMA SOTTOUNGUEALE ALLUCE DX IN PZ CON NEUROPATIA DOLOROSA
L. Nollino, M. Sambataro, S. Conte, E. Seganfreddo, L. Campagnol, R. Gobbo, T. Ciani, M.L. Marcon, A. Paccagnella
Dipartimento di Medicine Specialistiche, U.O. Malattie Metaboliche e Nutrizione Clinica, UOC di Neurologia, Ospedale Regionale Ca’ Foncello ULSS 9-Treviso
Paziente: maschio 45enne seguito occasionalmente presso il Centro Antidiabetico dell’Ospedale Cà Foncello di Treviso affetto da diabete mellito di tipo 2 da 4 anni. Guardia giurata, ha obbligo di uso scarpe antinfortunistiche. Presenta BMI=34 kg/m2 HbA1c 46mmol/mol (6,4%), glicemia a digiuno 162 mg/dl, trigliceridi 440mg/dl, colesterolo 218 mg/dl e creatinina 0,8 mg/dl. Buono il compenso cardio-circolatorio. È in terapia con glitazonico+glimepiride senza effetti collaterali, nonché terapia ipotensiante ed ipolipemizzante. Si presenta in Ambulatorio Piede diabetico per forte dolore all’alluce sinistro dopo onicectomia completa per onicocriptosi eseguita non di recente in altra sede e successiva comparsa di lesione granulomatosa periungueale mediale.
Metodi: valutazione neurologica mediante: MNSI (Michigan Neuropathy Screening Instrument); DNI (diabetic neuropathy index) DN4 (questionario in 4 domande sul dolore neuropatico (Spallone 2012) RX piede, esami colturali, scala visuo-analogica del dolore (VAS).
Risultati e Outcome clinico: i tests concludevano per presenza di sintomi sensitivi positivi ma con componente nocicettiva del dolore all’alluce sx. La diagnosi clinica deponeva per recidiva di onicocriptosi. Dopo ciclo di terapia antibiotica con ciprofloxacina e medicazioni locali senza esito, si è optato per onicectomia allargata durante la quale si asportava masserella di aspetto poltaceo dimensioni 0,5×0,3 cm e l’intera matrice ungueale. Dall’analisi istologica dei frammenti da materiale ungueale dell’alluce sinistro del paziente si riscontrava Glomangioma (tumore glomico in focale angiomatosi) in sede non tipica (sottoungueale alluce). La coltura dei tessuti evidenziava una importante componente infettiva che è stata trattata. Dopo 2 mesi, il pz è attuale restitutio di lesione e follow-up clinico. Non fa uso dei comuni farmaci per la neuropatia diabetica e la VAS è al momento nulla. A completamento delle indagini abbiamo eseguito EMG aa inferiori con studio dei nervi sciatico popliteo esterno SPE ed interno SPI, surale e safeno che ha confermato la presenza di una neuropatia sensitiva agli arti inferiori (sofferenza n safeno e SPE profondo bilateralmente) lieve in assenza di interessamento del n surale.
Conclusioni: la corretta valutazione del dolore nella neuropatia diabetica è una componente fondamentale della nostra pratica clinica quotidiana e nella gestione delle complicanze di malattia diabetica.
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