Rubrica Caso Clinico a cura di Francesco Dotta1, Anna Solini2
1U.O.C. Diabetologia, Azienda Ospedaliera Universitaria Senese, Università degli Studi di Siena; 2Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università degli Studi di Pisa
“A volte l’apparenza inganna”
Rachele Scotton, Valeria Vallone, Alberto Maran
Malattie del Metabolismo, Dipartimento DIMED, Università degli Studi di Padova
La signora GB viene ricoverata nel nostro reparto per diabete di nuova insorgenza con esordio classico (poliuria, polidipsia, calo ponderale di circa 10 Kg in 2 settimane ed offuscamento del visus nell’ultima settimana).
Note anamnestiche. GB è una signora di 69 anni, ex impiegata, ora in pensione, sposata, con 2 figli sani. Riferisce menopausa fisiologica all’età di 53 anni. Non assume alcolici, non fuma, beve 3 caffè/die, dieta varia, alvo e diuresi conservati. Riferisce familiarità per neoplasia, malattie cardiovascolari, dislipidemia e diabete mellito tipo 2 e tireopatia.
GB è affetta da: ipertensione arteriosa complicata da retinopatia ipertensiva di II°; sdr. di Meniere, ipotiroidismo post-tiroiditico in terapia sostitutiva, obesità. Da segnalare anche un pregresso episodio di fibrillazione atriale, calcolosi colecistica e pregressi interventi per deviazione setto nasale, otosclerosi bilaterale ed appendicectomia.
Esame obiettivo ed esami all’ingresso. La paziente si presentava obesa (peso 99.9 Kg, BMI = 36.7 kg/m2, waist 117 cm), la pressione arteriosa era 140/80 mmHg, FC 88 bpm, stick glicemico 478 mg/dl. La cute e mucose erano disidratate, non soffi laterocervicali, tiroide non palpabile, toni cardiaci validi e ritmici, soffio sistolico di 2/6 sul focolaio aortico. Al torace non rumori patologici; addome globoso per adipe, epatomegalia; polsi periferici presenti, non soffi femorali. Intertrigo pieghe inguinali e sottomammaria.
Gli esami ematochimici di routine evidenziavano: lieve anemia normocromica normocitica (Hb 11.4 mg/dl), TSH 2.3 mlU/l. Profilo lipidico: col tot 181 mg/dl, LDL 119 mg/dl, HDL 37 mg/dl, trigliceridi 129 mg/dl. Nella norma la funzionalità renale ed epatica, la ionemia, la sideremia, il CPK, l’amilasi e la lipasi. Presenti chetonuria, leucocituria e glicosuria. HbA1c 12.2%, C-peptide 1.3 ug/l, ACR 12.3 mg/g creatinina.
Gli esami strumentali eseguiti mostravano:
FOO: “sclerosi maculare. OD papilla rosea a bordi netti, iniziale sindrome dell’interfaccia retinica, periferia in ordine. OS: papilla rosea a bordi netti, macula e periferia in ordine per l’età”.
Indice di Winsor: 1.08 a dx e 1.25 a sn.
EcocolorDoppler dei tronchi sovraortici: “a destra pareti arteriose normali, a sinistra ispessimento miointimale al bulbo. Vertebrali con flusso ortodromico”.
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1° QUESITO
Qual è l’obiettivo di HbA1c per questo paziente? Come raggiungerlo?
Dagli studi a lungo termine, recepiti anche dagli Standard di Cura italiani, il trattamento del diabete deve essere tempestivamente adattato in ogni paziente fino a ottenere valori di HbA1c stabilmente inferiori a 53 mmol/mol (7,0%), valori che consentono di prevenire l’incidenza e la progressione delle complicanze micro e macro-vascolari (1).
Per ottenere un rapido raggiungimento di valori target la nostra paziente è stata inizialmente idratata prima con soluzione fisiologica (glicemie >250 mg/dl) e poi con soluzione glucosata al 5% poi (glicemie <250 mg/dl) associando terapia insulinica e.v. Dal secondo giorno di ricovero è stato intrapreso un regime alimentare con dieta per diabetici da 1300 kCal e terapia insulinica s.c. con analogo rapido ai pasti (lispro) e lento serale (glargine) ottenendo un buon controllo glicemico nictemerale. Alla dimissione, dato il buon controllo glicemico con fabbisogno insulinico ridotto, è stata iniziata terapia con GLP-1 analogo (liraglutide 0.6 mg sc) e metformina (500 mg x 3/die) sospendendo l’insulina, anche al fine di favorire il calo ponderale.
2° QUESITO
Qual è la diagnosi corretta per questo paziente? Quali ulteriori esami richiedere per inquadrare correttamente il diabete?
Data la rapida comparsa della sintomatologia specifica, i ridotti valori di C-peptide e la compresenza di patologia autoimmune, nel corso del ricovero è stata effettuata la ricerca di anticorpi anti-GAD, -IA2 ed anti-insula pancreatica, il cui risultato, disponibile successivamente, dimostrava la presenza di autoimmunità specifica (Ab anti IA2 2439 kUI/l, anti GAD >2000 KUI/l e positività degli anti insula) oltre alla presenza anche di positività degli Ab anti tireoglobulina, anti TPO (già noti), e degli anti parete gastrica; negativi invece risultavano gli anti surrene e gli anti fattore intrinseco. A conferma del dato laboratoristico, che evidenziava la presenza di diabete tipo 1, al controllo a due settimane dalla dimissione, la paziente, in corso terapia con metformina e liraglutide mostrava un controllo glicemico domiciliare scadente e in progressivo peggioramento, con glicemie quasi sempre >200 mg/dl nonostante un’adeguata compliance dietetica.
La diagnosi finale di dimissione è stata quindi: “diabete mellito tipo 1 immuno-mediato, tiroidite autoimmune, gastrite cronica autoimmune (SPA III), ipertensione arteriosa, sdr. di Meniere, obesità”.
3° QUESITO
Se non raggiungiamo l’obiettivo di HbA1c previsto, come ottimizzare la terapia?
Dopo avere chiarito la diagnosi veniva ripristinata terapia insulinica basal bolus. Tuttavia, dopo un mese dalla dimissione, la paziente si ripresentava con un controllo glicemico assai scadente (HbA1c 11.6%, C-peptide 0.5 ug/l, chetonuria e leucocituria con urocoltura negativa).
La malattia diabetica è una patologia complessa che richiede notevole impegno da parte del paziente il quale deve essere adeguatamente educato alla corretta gestione della terapia insulinica, dalla modalità di somministrazione alla decisione del dosaggio e della tempistica di somministrazione della stessa. Per ottenere un controllo glicemico ottimale, i boli insulinici preprandiali devono essere calcolati con precisione e il paziente deve essere a tal fine educato adeguatamente.
Il paziente deve conoscere il proprio obiettivo glicemico, in base al quale calcolare l’entità dei boli pre-prandiali che saranno dipendenti dalla qualità/quantità del pasto. È pertanto molto utile insegnare ai pazienti il calcolo del contenuto in carboidrati del pasto (CHO counting) (2) a meno che, il paziente stesso, non preferisca mantenere una dieta con pasti fissi. Inoltre è necessario educare il paziente ad utilizzare eventuali boli di correzione insulinici, sia essi pre o postprandiali, in base al suo fattore di sensibilità insulinica (altrimenti definito Fattore di Correzione) per riuscire ad ottenere valori glicemici nel range desiderato (2). Infine, affinché il paziente possa riuscire ad avere una vita normale deve essere educato a gestire eventuali fattori intercorrenti che potrebbero alterare il controllo glicemico quali: sport, malattia, stress fisici o psicologici.
Pertanto la paziente è stata rieducata alla corretta gestione della malattia diabetica effettuando:
colloquio con la dietista (spuntini, qualità e quantità degli alimenti e dei CHO);
discussione delle modalità di somministrazione insulinica (modo di somministrazione: sede, modalità d’iniezione);
gestione della terapia insulinica (adeguamento dei dosaggi in base alla glicemia pre prandiale, obiettivo glicemico (150 mg/dl) e al FC (1:50 1 UI di analogo rapido abbassa la glicemia di 50 mg/dl));
automonitoraggio glicemico domiciliare (quando misurare la glicemia e come interpretare i valori).
4° QUESITO
Come spiegarci l’elevata HbA1c nonostante i buoni profili glicemici?
Nei mesi successivi, la paziente si è ripresentata in ambulatorio evidenziando un buon controllo glicemico nictemerale (media glicemica 150 mg/dl) ma, ciononostante, con riscontro di valori di HbA1c ancora elevati (10.9-10.6%). Abbiamo escluso la possibilità di falsificazione dei dati trascritti dalla paziente, mediante il confronto tra i dati scaricati dal glucometro della paziente ed i dati del diario glicemico che risultavano sovrapponibili (Fig. 1).
Sono state inoltre escluse varianti emoglobiniche che avrebbero potuto alterare l’HbA1c. Per questa paziente è stato pertanto posto il dubbio di probabile fenotipo glicatore rapido. A distanza di oltre 2 anni dalla diagnosi di diabete, la paziente continua a presentare valori di HbA1c >10% nonostante profili glicemici ottimali relativamente ai target individualizzati.
È stato dimostrato che il valore dell’HbA1c non corrisponde a quello atteso sulla base della glicemia media nel 29% dei casi e che, la maggior parte della variabilità dell’HbA1c, è legata a fattori individuali (3). Da ciò si evince che glicemia media e HbA1c non sono intercambiabili per valutare il controllo glicemico (fenotipo alto, medio o basso glicatore, a pari glicemia media, determina HbA1c differenti). HGI (varianza tra HbA1c misurata e attesa) e il “Glycosylation Gap” (GGAP differenza tra HbA1c misurata e quella attesa dai livelli di fruttosamina) sono direttamente correlati suggerendo che un diverso ambiente intra ed extraeritrocitario possa determinare le diversità di glicazione dell’emoglobina tra i vari individui (4). È stato inoltre dimostrato che i glicatori rapidi si posizionano costantemente al di sopra della linea di regressione tra glicemia media e HbA1c. Pertanto variazioni nella glicemia media si traducono in variazioni proporzionali di HbA1c, ma con valori assoluti di HbA1c sempre maggiori rispetto a quanto atteso nella popolazione generale e diabetica.
CONCLUSIONI
La diagnosi di diabete in questo caso non è risultata inizialmente corretta in quanto siamo stati tratti in inganno dal fenotipo clinico della paziente (obesità, IPA, età e familiarità) e dal valore del c-peptide all’esordio, che facevano propendere per una diagnosi di diabete tipo 2. Tuttavia, il fatto che la paziente presentasse una sintomatologia eclatante con chetonuria all’esordio, fosse già affetta da una patologia autoiummune ed inoltre il controllo glicemico peggiorasse rapidamente in assenza di terapia insulinica ci ha fatto concludere con una diagnosi di diabete di tipo 1 ad esordio tardivo. Il diabete tipo 1 con esordio tardivo nell’adulto ad impronta autoimmune, secondo una recente classificazione, presenta un’ampio spettro di fenotipi alla diagnosi che variano dalla chetoacidosi diabetica a forme lievi che non richiedono un’immediata una terapia insulinica, ed è classificabile in vari sottogruppi (Tab. 1) (5).
In caso di diagnosi di diabete autoimmune (sia esso tipo 1 che LADA) è indicato lo screening di patologie autoimmuni associate più comunemente con la ricerca, in prima battuta di Ab anti TPO, anti tireoglobulina, anti transglutaminasi e anti endomisio, dosaggio di TSH, FT4 ed IgA totali e, se patologici, con eventuale esecuzione di EGDS ed ecografia tiroidea rispettivamente. Nei pazienti con patologia autoimmune multipla e/o familiarità per poliendocrinopatie autoimmuni, sarà inoltre opportuna la ricerca degli anticorpi antisurrene e antimucosa gastrica (PCA) (6-7).
Una volta eseguita la corretta diagnosi di diabete di tipo 1 ed intrapresa la terapia insulinica, per ottenere un adeguato controllo glicemico, è fondamentale eseguire un’educazione terapeutica come dimostrato dal nostro caso, senza dare nulla per scontato. Bisogna sempre verificare la compliance dietetica, spiegare al paziente come e quando eseguire l’autocontrollo domiciliare glicemico annotando i valori su un diario su cui apporre anche eventuali note, rivedere la corretta somministrazione insulinica (sede di iniezione e tempistica di somministrazione, lunghezza dell’ago, corretto uso della penna e conservazione dell’insulina) e l’adeguamento del dosaggio insulinico in base ai valori glicemici e quindi al fattore di sensibilità insulinica individuale, assunzione di CHO in quantità libera o fissa, attività fisica, dieta, stress psicofisici ed eventuali patologie intercorrenti. È sempre importante infine verificare come il paziente gestisca le ipo- e le iperglicemie per evitare rebound secondari ad errori gestionali.
Nel nostro caso, una volta rieducata la paziente, il diario evidenziava un buon controllo glicemico domiciliare, fatto confermato anche dai dati registrati dal glucometro. Pertanto, dopo aver escluso varianti emoglobiniche che potessero spiegare la mancata coincidenza tra la media glicemica e l’HbA1c, gli elevati valori di glicata hanno fatto presupporre un fenotipo glicatore rapido. Le determinanti della glicazione sono la concentrazione del glucosio ematico, il tempo di esposizione al glucosio (quindi la glicata è più bassa se è presente un elevato turnover eritrocitario), la velocità di turnover proteico, la velocità di catalisi, la permeabilità al glucosio, l’accessibilità di gruppi amminici, lo stress ossidativo e la de-glicazione. Inoltre è stato evidenziato che la presenza di polimorfismi di enzimi eritrocitari influenzano la correlazione tra glicemia e HbA1c. Questi polimorfismi potrebbero essere dei determinanti del fenotipo glicatore (8).
Si è visto infine che, sia HGI e GGAP come indicatori di diverso fenotipo glicatore, potrebbero essere considerati come fattori di rischio aggiuntivi per lo sviluppo di complicanze microvascolari ancor più dell’instabilità glicemica (3, 4, 9). Tutto ciò a conferma del fatto che, per valutare l’andamento del compenso metabolico ed ottimizzare la terapia, al fine di procrastinare il più possibile lo sviluppo delle complicanze, è necessario discutere insieme al paziente i dati dell’automonitoraggio glicemico domiciliare senza basarsi esclusivamente sul dato laboratoristico di HbA1c.
BIBLIOGRAFIA
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- Abourazzak S, Dorchy H, Willems D, Melot C. Biological variation of glycation and glycemic average has a greater influence on HbA1c of young type 1 diabetics than glycemic instability. Diabetes Metab 34: A48-A48, 2008.
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