Pier Luigi Canonico1, Armando A. Genazzani1, Maria Angela Sortino2
1Dipartimento di Scienze del Farmaco, Università del Piemonte Orientale, Novara; 2Dipartimento di Scienze Biomediche e Biotecnologiche, sezione di Farmacologia, Università degli Studi di Catania
BIOSIMILARI IN DIABETOLOGIA
L’evoluzione delle tecniche di biologia molecolare negli anni Novanta ha consentito di sviluppare farmaci biotecnologici che hanno radicalmente modificato il corso e il trattamento di numerose patologie, in varie specialità. I farmaci biotecnologici sono già e saranno sempre più utilizzati nel prossimo futuro in ambiti crescenti. Si considera che tra i primi due farmaci che hanno trasformato la pratica medica negli ultimi vent’anni vi sia un farmaco biotecnologico, come riferito dagli stessi specialisti di oncologia, ematologia, reumatologia, gastroenterologia, dermatologia, nefrologia, neurologia, oftalmologia, e genetica medica (1). Per altre discipline specialistiche, quali l’endocrinologia e la diabetologia, sin dall’inizio, l’avvento delle biotecnologie ha profondamente modificato l’approccio terapeutico, garantendo un’aumentata disponibilità di ormoni sostitutivi (e.g. insulina, ormone della crescita, FSH), prima ottenibili solamente per via estrattiva. Oggi, l’approcciarsi della scadenza brevettuale di alcuni di questi farmaci pone il clinico di fronte alla necessità di comprendere meglio in primis le caratteristiche di una molecola biotecnologica e, di conseguenza, dei farmaci definiti da un punto di vista regolatorio “biosimilari”, farmaci che è possibile immettere sul mercato alla scadenza brevettuale.
Le metodiche all’avanguardia utilizzate ai fini della produzione, che comportano investimenti iniziali elevati, caratterizzano i farmaci biotecnologici per costi che, nella maggior parte dei casi, sono più elevati rispetto ai tradizionali farmaci di sintesi chimica. Tale incremento in termini economici è tuttavia ben bilanciato dal valore aggiunto in termini di salute associato a questi farmaci, soprattutto perché spesso essi sono andati a coprire aree in cui i bisogni terapeutici erano elevati e non soddisfatti dalle terapie già esistenti.
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L’avvento dei primi farmaci biotecnologici risale a oltre vent’anni fa e, infatti, alcuni di essi hanno già raggiunto, o sono in procinto di raggiungere, la loro scadenza brevettuale, creando possibilità di una offerta più ampia e modifiche nel mercato. Per la complessità molecolare di questi prodotti, le norme che regolano l’immissione in commercio dei farmaci di sintesi chimica non sono applicabili e la European Medicines Agency (EMA) ha stilato regole apposite per garantire la sicurezza e l’efficacia dei prodotti biotecnologici che intendono sfruttare la scadenza brevettuale del composto di riferimento. Tali nuove molecole hanno avuto la denominazione di “biosimilari”. Cercheremo di illustrare le norme che regolano l’immissione in commercio di farmaci biosimilari, norme che sono state disegnate con lo scopo di garantire non solo i pazienti, ma anche la concorrenza (e di conseguenza la sostenibilità dei sistemi sanitari e l’introduzione in commercio di molecole innovative).
Differenze tra un prodotto di sintesi chimica e un prodotto biotecnologico
Le regole per l’immissione in commercio di un farmaco “equivalente” (generico) e di un farmaco biosimilare sono molto diverse, e questa differenza ricalca la diversa complessità di un prodotto “originator” di sintesi chimica da un prodotto “originator” biotecnologico. È interessante osservare che a differenza di quello che si potrebbe credere, tali regole non sono solamente applicate quando un nuovo produttore vuole commercializzare il prodotto, ma si applicano allo stesso prodotto di riferimento quando viene apportata dall’azienda produttrice una variazione importante. Questo è un evento che avviene molto più frequentemente di quanto si possa immaginare. In questo paragrafo si descriverà quindi la differenza tra prodotti di sintesi chimica e prodotti biotecnologici e le procedure che lo stesso farmaco di riferimento deve seguire se le modifiche ad esso apportate vengono, a parere delle Autorità Regolatorie, ritenute sostanziali.
Un prodotto di sintesi chimica è, nella maggior parte dei casi, ottenuto attraverso reazioni chimiche ben controllate, con reagenti e prodotti della reazione noti. Ciò implica ottimizzazione delle reazioni con conseguente alta resa e purificazione del prodotto desiderato relativamente semplice ed efficiente. Anche la caratterizzazione di un prodotto di sintesi chimica può essere abbastanza semplice, ottenibile con poche metodiche (ad esempio spettrometria di massa e risonanza magnetica nucleare) che, utilizzate in maniera ortogonale, sono in grado di stabilire con certezza l’identità chimica esatta del principio attivo. Queste affermazioni portano a concludere che, nel caso il produttore del prodotto di riferimento desiderasse modificare le tecnologie di sintesi o di produzione, il prodotto finale rimarrebbe in ogni caso invariato. L’unica differenza significativa potrebbe risiedere nella formulazione e quindi, in rari casi, viene richiesto uno studio di bioequivalenza per dimostrare che prodotto farmaceutico pre- e post-variazione sia sovrapponibile (2).
La produzione di un farmaco di natura biotecnologica, invece, si appoggia su un organismo vivente e non su una reazione chimica ben controllata. In breve, attraverso la tecnica del DNA ricombinante o attraverso la tecnica degli ibridomi, si ingegnerizzano cellule (eucariotiche o procariotiche) che fungeranno da centro di sintesi della proteina. In fase di sviluppo del prodotto, si selezionerà quindi una singola cellula che verrà amplificata in maniera clonale. Questa cellula (ad esempio E. Coli, Chinese Hamster Ovary, o Sp2) avrà caratteristiche biologiche uniche, non riproducibili da cellule con identico nome. Ad esempio, diverse cellule sono caratterizzate da un potenziale variabile di glicosilazione o di altre modifiche post-traslazionali. Inoltre, anche la stessa cellula ingegnerizzata per produrre la proteina terapeutica o l’anticorpo monoclonale non sarà in grado di produrre copie esatte della proteina, e la singola proteina potrebbe avere leggere modifiche (ad esempio, presenza o assenza dell’ultimo aminoacido, capacità di glicosilazione, di ossidazione ecc.). Si parla quindi di microeterogeneità, indicando che un prodotto biotecnologico che prende uno specifico nome è in effetti composto da molteplici sotto-specie molecolari eterogenee. Inoltre, il prodotto biotecnologico finito, che verrà confezionato per il paziente, è altamente dipendente anche dalle condizioni “biologiche” che hanno portato alla sua produzione (ad esempio fermentazione) e dalle metodiche di purificazione. Queste ultime non saranno in grado di antagonizzare la microeterogeneità del prodotto e comporteranno, inoltre, necessariamente, la presenza nel prodotto finale di proteine e altre macromolecole cellulari non inerenti alla proteina desiderata (tali contaminazioni vengono ad essere riferite in termini tecnici come process-related impurities). La presenza invece di componenti proteiche non correlate con l’attività clinica, ma inerenti al prodotto desiderato, viene ad essere definita product-related impurities. Infine, il prodotto biotecnologico finale, per la sua microeterogeneità, per la presenza di impurezze e per le elevate dimensioni (in media oltre 100 volte più grande di un prodotto di sintesi) non può essere identificato in maniera univoca, indipendentemente dal numero di tecniche utilizzate. In pratica, si utilizzano decine di tecniche diverse che sono in grado di descrivere proprietà e componenti del prodotto senza mai, neppure ortogonalmente, essere in grado di farne un identikit di unicità.
Un prodotto biotecnologico non è quindi in genere completamente caratterizzato e viene ad essere associato al processo produttivo: un dogma che viene ad essere declinato in inglese “the process is the product and the product is the process”. In teoria, quanto appena riportato, lascerebbe intendere che un’azienda farmaceutica che sviluppa un farmaco biotecnologico non è in grado di modificare il proprio processo (poiché cambierebbe ovviamente il prodotto). Negli ultimi anni, la letteratura scientifica ha approfondito questa tematica (vedi ad es. ref. 3-4) ed è dimostrato che modifiche, anche significative, del prodotto di riferimento (che rimane invariato come nome di fantasia in commercio e come INN) in effetti avvengono, e che queste modifiche potrebbero avere un impatto sull’efficacia e la sicurezza del prodotto. I cambiamenti di processo produttivo e di prodotto sono ovviamente molto ben conosciuti da coloro che operano nel settore regolatorio, proprio alla luce della possibilità che vi siano delle conseguenze per i pazienti. Poiché l’EMA (l’ente regolatorio attraverso cui, in Europa, si ha la registrazione di tutti i farmaci biotecnologici, ottenuti con tecnica del DNA-ricombinante, attraverso una procedura centralizzata) è un ente trasparente nel suo operato, è possibile tracciare questi cambiamenti anche direttamente. Un recente articolo mostra come tali cambiamenti siano numerosi e come prodotti che sono da tempo sul mercato, quasi inevitabilmente, presenteranno tali modifiche (5). Inoltre, poiché il prodotto biotecnologico viene prodotto a cicli, spesso i diversi lotti del medesimo prodotto biotecnologico sono caratterizzati da sottili differenze (4). In ultimo, è relativamente ovvio che il processo produttivo viene ad essere messo a punto e finalizzato nella fase finale dello sviluppo di un farmaco, e quindi molti dei dati acquisiti relativi ad un prodotto biotecnologico (ad esempio, spesso in fase 1 e fase 2) sono stati generati con un prodotto simile, ma non identico, al prodotto commercializzato. Per garantire ai pazienti che i prodotti farmaceutici biotecnologici mantengano nel tempo caratteristiche di efficacia, sicurezza e immunogenicità, gli enti regolatori, già nel 2003 hanno emanato una linea guida che determina i requisiti sperimentali necessari (6). In sintesi, è necessario che l’azienda produttrice del prodotto di riferimento dimostri che il prodotto pre- e post-cambiamento è sovrapponibile (non ovviamente identico) e che le differenze rilevate difficilmente porteranno a conseguenze cliniche rilevanti. Nel caso però non vi fosse questa certezza, è necessario dimostrare, attraverso studi pre-clinici, che non vi siano differenze significative tra i due prodotti. Se, anche in questo caso, non vi fossero sufficienti garanzie, l’EMA (e l’FDA negli USA) può richiedere studi comparativi di farmacocinetica e, più raramente, studi comparativi di efficacia e sicurezza. Questa procedura è anche nota come stepwise comparability exercise, in cui vi è un confronto tra due molecole pre- e post-cambiamento che non necessariamente richiede di arrivare al confronto clinico. Ovviamente, tutto questo viene fatto dall’azienda farmaceutica, sotto la direzione delle Agenzie Regolatorie, senza che vi sia una percezione in campo clinico che il prodotto si sia andato modificando e, anzi, con la convinzione che il prodotto sia identico nel tempo.
I farmaci biosimilari
Ovviamente la stessa complessità, forse maggiore, viene ad essere evidenziata quando non è la stessa azienda farmaceutica che modifica il proprio prodotto, ma quando una seconda azienda, concorrente, decide di lanciarne la versione biosimilare. A differenza di quanto enunciato nel paragrafo precedente, l’azienda concorrente dovrà partire da zero e non avrà, in linea teorica, neanche il know-how dei cambiamenti che potrebbero avere un impatto sul profilo clinico del farmaco. Per questo motivo, l’EMA per prima, seguita da tutte le altre Agenzie Regolatorie del mondo (Australia, Giappone, Stati Uniti, Canada), hanno stilato apposite linee guida per l’approvazione dei farmaci biosimilari. Queste linee guida, oltre ad enunciare la differenza tra prodotti di sintesi chimica e prodotti biotecnologici, sostengono che, per poter commercializzare un farmaco biosimilare, è fondamentale approntare un full comparability exercise in cui si dimostri che, da un punto di vista fisico-chimico, da un punto di vista preclinico e da un punto di vista clinico, il farmaco biosimilare e il farmaco di riferimento sono sovrapponibili. Le Agenzie Regolatorie pretendono quindi che si segua lo stesso processo seguito dalle aziende di riferimento (vedi paragrafo sovrastante), ma che si debba necessariamente arrivare alla dimostrazione di sovrapponibilità in termini di efficacia, sicurezza e immunogenicità sul paziente. L’Unione Europea ha stilato linee guida generali e linee guida specifiche per singoli prodotti, nelle quali si enunciano ad esempio gli end-point da utilizzare e le patologie da investigare (www.ema.europa.eu).
Uno dei passaggi più importanti di queste linee guida è l’enunciazione che il comparability exercise non è disegnato per valutare il valore assoluto di un farmaco, poiché questo è già conosciuto, ma solo che i due principi attivi (quello di riferimento e il biosimilare) sono sovrapponibili tra loro in termini clinici. A tal riguardo, la figura 1 mostra come, ai fini registrativi, prevalgano gli studi preclinici per un biosimilare. Il fatto che il comparability exercise non serva a valutare il valore del farmaco, ma solo la sovrapponibilità tra due principi attivi, già pressoché identici da un punto di vista fisico-chimico, porta alla non necessità talvolta di effettuare studi clinici su tutte le indicazioni. Tale passaggio, noto come “estrapolazione delle indicazioni”, è forse la parte più controversa nel mondo clinico poiché necessita di una visione nuova, da un’ottica diversa. Prima dell’avvento del biosimilare, il farmaco di riferimento è solo sul mercato, è percepito dal mondo clinico come invariabile ed è utilizzato a seguito dei dati clinici registrativi su ciascun setting clinico. Come descritto nei paragrafi precedenti, questo non è del tutto vero poiché i dati clinici disponibili si riferiscono spesso a specie molecolari sorpassate dalle variazioni effettuate. Il biosimilare, invece, avrà una mole di dati di confronto a tutti i livelli (incluso quello clinico), ma potrebbe non avere (e spesso non ha) dati clinici su tutti i setting di utilizzo, perché non necessari per dimostrare la comparabilità. Come scritto in un recente editoriale, l’estrapolazione dei dati clinici da un’indicazione a un’altra, che spesso si verifica per i farmaci biosimilari, non è automatica, ma è basata sull’intero comparability exercise (cioè utilizzando anche i dati pre-clinici e fisico-chimici della molecola), ed è un fattore che l’EMA prende in grande considerazione (7). Nonostante questo approccio utilizzato dalle Agenzie Regolatorie abbia un forte razionale scientifico, può mettere il clinico, abituato a rifarsi a dati clinici su particolari patologie, in estrema difficoltà.
Insulina glargina: un primo esempio di biosimilare in diabetologia
L’imminente disponibilità in Italia del primo biosimilare di insulina glargina immette il clinico diabetologo nel complesso mondo dei biosimilari. È importante al riguardo sottolineare come la relativa semplicità molecolare delle molecola di insulina (e le minori modificazioni post-traslazionali che si verificano rispetto a molecole estremamente più complesse quali ad esempio gli anticorpi monoclonali) renda relativamente meno consistente la possibilità della suddetta microeterogeneità molecolare dei prodotti biotecnologici (Fig. 2).
Il primo farmaco biosimilare della insulina glargina à già stato approvato dall’EMA e sarà sul mercato con il nome commerciale di Abasaglar (8). L’approvazione di questo biosimilare ha fatto seguito ad un comparability exercise che, per la qualità del prodotto, ha riguardato la caratterizzazione strutturale, fisico-chimica, l’attività biologica, la valutazione della presenza di impurità e la stabilità. Gli studi preclinici hanno confrontato farmacodinamica e farmacocinetica, in vitro ed in vivo, di Abasaglar vs il prodotto di riferimento, insulina glargina Lantus. È interessante sottolineare come, a tal riguardo, siano stati utilizzati, presumibilmente su richiesta dell’Autorità Regolatoria, batch diversi, di produzione europea e di produzione statunitense, sia del biosimilare che del prodotto di riferimento (a conferma di quanto illustrato in precedenza sulle peculiarità della produzione dei farmaci biotecnologici). Il comparability exercise degli aspetti clinici si è avvalso dei dati prodotti da 5 studi di fase 1 e 2 studi di fase 3. Gli studi di fase 1, condotti utilizzando diversi dosaggi, in soggetti sani e in soggetti affetti da diabete mellito di tipo 1 (T1DM) e mirati a dimostrare le caratteristiche farmacinetiche e farmacodinamiche del biosimilare vs l’insulina glargina di riferimento, hanno pienamente comprovato la sovrapponibilità dei due composti, in termini di AUC e Cmax. Inoltre, in uno dei 5 studi sono stati utilizzati prodotti di riferimento di origine europea e americana al fine di evidenziare eventuali differenze tra i diversi prodotti. Gli aspetti farmacodinamici sono stati valutati a seguito di clamp euglicemico iperinsulinemico utilizzando come parametri Gtot e Rmax. È stata infine valutata la durata d’azione in pazienti con T1DM e, anche in questo caso, Abasaglar si è dimostrato equivalente al prodotto di riferimento.
Ai fini dell’analisi comparativa di efficacia, sono stati condotti 2 studi di fase 3, prospettici, randomizzati, multicentrici, a due bracci con controllo attivo, della durata di 52 e 24 settimane, che hanno arruolato rispettivamente 536 e 759 pazienti. Nel primo studio sono stati analizzati pazienti con T1DM, precedentemente in trattamento con una insulina ultralenta/lenta combinata con una insulina ultrarapida ai pasti, e nel secondo studio, pazienti con T2DM, sia precedentemente trattati con Lantus che insulina-naive, in trattamento con antidiabetici orali. In ambedue i casi si è trattato di studi di non inferiorità vs Lantus, utilizzando come endpoint primario variazioni dei livelli di HbA1c a 24 settimane. Tra gli obiettivi secondari sono stati inclusi altri parametri di efficacia, come i livelli di HbA1c a tempi precoci, i livelli glicemici tramite automonitoraggio con profilo a 7 punti, la percentuale di pazienti con HBA1c <7.0 e <6.5, i livelli glicemici a digiuno, nonché il dosaggio insulinico e variazioni del peso corporeo. È importante sottolineare come gli studi multicentrici siano stati condotti in paesi e continenti diversi, tra cui paesi europei, Stati Uniti, Messico, Giappone, Sud-Corea e Taiwan e ciò appare particolarmente importante per la potenziale variabilità dei prodotti biotecnologici sopra discussa.
Gli studi di fase 1 e fase 2 hanno fornito anche i dati per un’analisi comparativa del profilo di tollerabilità del biosimilare vs l’originator. L’incidenza di eventi ipoglicemici, reazioni allergiche e risposte anomale al sito di iniezione è stata considerata sostanzialmente simile con i due trattamenti. Si è valutato anche il rischio di insorgenza di neoplasie in seguito a trattamento con Abasaglar sulla base del discusso rischio di tumorigenicità correlato all’uso di Lantus. Un sistema di sorveglianza passiva post-marketing sarà adottata in questo senso anche per Abasaglar.
È evidente inoltre che, come obbligatorio per tutti i farmaci biotecnologici, sia attivato un sistema di farmacovigilanza. Una sintesi delle diverse fasi del comparability exercise che ha portato all’approvazione di Abasaglar da parte dell’EMA è riportato in figura 3.
Conclusioni
La disponibilità del biosimilare di insulina glargina porrà adesso i diabetologi di fronte al quesito più critico: se considerare cioè il farmaco biosimilare alla pari del farmaco di riferimento (e quindi uguale) o considerarlo simile, ma diverso. Nel primo caso, l’unica scelta opportuna sarà di prescrivere il farmaco a minor costo mentre, nel secondo caso, si dovrà scegliere caso per caso. Quest’ultima soluzione, però, sarà difficilmente basata su motivazioni scientifiche poiché, come ribadito anche dall’AIFA in un recente documento ufficiale, il farmaco biosimilare e il farmaco di riferimento rappresentano equivalenti terapeutici con efficacia, sicurezza e immunogenicità sovrapponibile e quindi la scelta basata su “personalizzazione” su singolo paziente potrebbe non essere opportuna e, soprattutto, non basata sulle conoscenze scientifiche e sulla legislazione (9). Inoltre, la “similitudine” non è così ben caratterizzata e resa pubblica da poter essere alla base di una differenziazione.
Nel caso di insulina glargina si pone anche il problema di una terapia cronica in cui è possibile che un paziente abbia già iniziato la terapia con il farmaco di riferimento e debba prendersi in considerazione la sostituzione con il biosimilare. La scelta della continuità terapeutica o del cambiamento al farmaco a minor costo rimane a carico dei singoli Stati, poiché le agenzie EMA e AIFA non hanno assunto delle posizioni decise al riguardo. Mentre non vi sono evidenze che cambiare da un farmaco di riferimento ad un biosimilare o viceversa possa portare ad un cambiamento di efficacia, sicurezza e immunogenicità, può essere che altri dati clinici debbano essere acquisiti prima che vi possa essere una politica nazionale in tal senso. È interessante ciò che è stato attuato in Norvegia in seguito alla disponibilità sul mercato del biosimilare di un anti-TNF (10). Si sta infatti procedendo ad una raccolta dati, pur lasciando al clinico la libertà di continuare con il farmaco o permettere la sostituzione con il biosimilare, in modo da consentire l’acquisizione dei dati necessari per l’attuazione di un percorso condiviso.
Infine, è fondamentale che il farmaco biosimilare sia considerato una importante risorsa per i pazienti e per il Sistema Sanitario Nazionale e che, di conseguenza, tutte le azioni tese al suo utilizzo siano basate sulla concertazione tra le diverse parti coinvolte, siano essi medici e responsabili del controllo della spesa in ambito sanitario.
BIBLIOGRAFIA
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- Schiestl M, Stangler T, Torella C, Cepeljnik T, Toll H, Grau R. Nat Biotechnol 29(4): 310-312, 2011 Apr. doi: 10.1038/nbt.1839.
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- Linee Guida sulla 1.procedura di applicazione dell’art. 15 c. 11 ter del DL 6 Luglio 2012 n. 95 (06/03/2014) http://www.agenziafarmaco.gov.it/it/content/linee-guida-sulla-procedura-di-applicazione-dellart-15-c-11-ter-del-dl-6-luglio-2012-n-95-06 (ultimo accesso 9 febbraio 2015).
- https://clinicaltrials.gov/ct2/show/NCT02148640 (ultimo accesso 9 febbraio 2015).
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